Presupposizione: fatto certo, comune, condiziona contratto

Corte di Cassazione, civile,Ordinanza|28 gennaio 2025| n. 1995.

Presupposizione: fatto certo, comune, condiziona contratto

Massima: In materia di contratti, si ha presupposizione quando una determinata situazione di fatto o di diritto – comune ad entrambi i contraenti ed avente carattere certo e obiettivo – sia stata elevata dai contraenti stessi a presupposto condizionante il negozio, in modo tale da assurgere a fondamento, pur in mancanza di un espresso riferimento, dell’esistenza ed efficacia del contratto. (Nella specie, la S.C. ha confermato la pronuncia di merito che aveva escluso la possibilità di qualificare la qualità di socio della debitrice principale in termini di presupposto implicito delle fideiussioni prestate, onde inferirne la sopravvenuta inefficacia in conseguenza del suo venir meno, trattandosi di situazione di fatto priva di carattere obiettivo, dipendendo dalla volontà ed attività del socio).

 

Ordinanza|28 gennaio 2025| n. 1995. Presupposizione: fatto certo, comune, condiziona contratto

Integrale

Tag/parola chiave: Contratti in genere – Requisiti (elementi del contratto) – Requisiti accidentali – Presupposizione presupposizione – Elementi costitutivi – Fattispecie.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

ha pronunciato la seguente ad. 19.11.2024
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 955/2023 R.G.,

proposto da

Gr.An., rappresentato e difeso dal prof. avv. Ro.Gu., domiciliato come da indirizzo per indicato, per procura su foglio separato allegato al ricorso

– ricorrente –

contro

SI.NP. Srl, e per essa la mandataria CE.CR. Spa (già Ju. Spa), in persona del procuratore speciale Riccardo Zerbo, rappresentata e difesa dall’avv. Si.Od., domiciliata come da indirizzo pec indicato, per procura in calce al su foglio separato allegato al controricorso

– controricorrente –

contro

Co.Lo.

– intimata –

per la cassazione della sentenza n. 2009/2022 della Corte d’Appello di Bologna pubblicata in data 11.10.2022;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 19.11.2024 dal Consigliere dott. Roberto Simone.

Presupposizione: fatto certo, comune, condiziona contratto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza n. 69/2018, pubblicata il 16.1.2018, il Tribunale di Modena, nei giudizi riuniti promossi da Gr.An., il primo, contro Ba.MP., il secondo, contro Ba.Mo. Spa e MP.Ca. Spa, e con l’intervento di Co.Lo. (moglie dell’attore), rigettò le domande svolte tese alla dichiarazione di nullità, annullabilità o inefficacia delle fideiussioni da lui rilasciate a garanzie dei debiti di GB. Spa, di cui era stato socio fino al 5.9.2006.

2. La Corte d’Appello di Bologna, intervenuta nel giudizio Ju. Spa quale mandataria di SI.NP. Srl, cessionaria dei crediti oggetto di lite, con sentenza pubblicata l’11.10.2022 rigettò l’appello proposto da Gr.An. con l’aggravio delle spese del grado.

Notò la Corte d’Appello quanto alla presupposizione, invocata dall’appellante per poter inferire la sopravvenuta inefficacia delle fideiussioni a causa della perdita della qualità di socio a partire dal 5.9.2006, che essa deve intendersi come “avvenimento futuro e incerto che le parti hanno taciuto, ritenendolo, però, un presupposto da cui far dipendere l’efficacia del contratto”. Gli elementi indicati dall’appellante, tuttavia, erano inconferenti: a) l’essere state rilasciate le fideiussioni nel periodo in cui era socio di GBS Spa era ininfluente; b) l’essere la qualità di socio l’unica ragione per la quale l’appellante avesse rilasciato le garanzie, era un motivo meramente interno; c) il non essersi mai occupato (Gr.An.) della gestione della società, tanto che nel contratto di mutuo era stato indicato come “impiegato” della società, mentre i fratelli erano menzionati come “imprenditori”, non impediva che un “impiegato” potesse rendersi garante in quanto animato dall’interesse di permettere alla compagine l’ottenimento di finanziamenti; ma tale interesse per sé non sarebbe indice, né prova, del fatto che le banche avrebbero dovuto immaginare i motivi soggettivi dell’appellante; d) dal testo del contratto, compresa la clausola sul recesso, non emergeva alcun riferimento alla possibilità di subordinare la qualità fideiussore alla persistenza dello status di socio.

In relazione all’indicata violazione dell’art. 1956 cod. civ., per aver Ba.MP., già Ba.Ag., continuato, senza informarlo, ad erogare credito a GB. Spa, nonostante il peggioramento della sua condizione, osservò la corte, premesso che non vi era prova della dedotta estensione della garanzia, la parte era onerata della dimostrazione che la nuova erogazione fosse avvenuta nonostante il peggioramento delle condizioni del debitore principale e che la banca avesse agito nella consapevolezza della condizione di insolvenza di quest’ultimo. In ogni caso, in base all’art. 6 della fideiussione il garante era tenuto ad informarsi presso il debitore delle sue condizioni patrimoniali, oltre che dei suoi rapporti con la banca, a sua volta tenuta comunicargli, previa richiesta scritta, l’entità dell’esposizione, tanto più che la conoscenza delle condizioni finanziarie la si sarebbe dovuta ritenere presuntivamente conosciuta da parte del socio.

La violazione dell’art. 1938 cod. civ. in relazione alla fideiussione del 4.3.2005 per Euro 700.000, invocata dall’appellante sul dato della sproporzione tra importo finanziato (euro 350.000) e ammontare della garanzia, era infondata, giacché nel contratto risultavano indicati l’importo del credito accordato e quello massimo entro il quale il garante avrebbe dovuto rispondere.

In ordine al preteso annullamento delle fideiussioni per la violazione degli artt. 180 e 184 cod. civ., il rilascio di una fideiussione per debito altrui costituiva atto di ordinaria amministrazione, rispetto al quale non hanno rilievo i beni in comunione ma quelli di proprietà esclusiva, o di comproprietà, del fideiussore.

3. Per la cassazione della sentenza della Corte ricorre Gr.An., sulla base di dieci motivi. Risponde con controricorso SI.NP. Srl, e per essa la mandataria CE.CR. Spa (già Ju. Spa).

La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380-bis.1. cod. proc. civ.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è denunciata la violazione, ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 1362, 1363 e 1366 cod. civ.

Il ricorrente lamenta che la Corte d’Appello non avrebbe debitamente e correttamente indagato la reale intenzione delle parti secondo i criteri di ermeneutica codicistici e secondo quanto disposto dalla giurisprudenza di legittimità in tema di presupposizione. Lo status di socio non lo si sarebbe potuto relegare a elemento rilevante nella sfera soggettiva, mentre esso era: a) circostanza esterna al contratto non esplicitata ma ben nota agli istituti di credito; b) elemento certo nella rappresentazione dei contraenti che è stato tenuto in considerazione da questi in sede di conclusione dei contratti di garanzia; c) presupposto obiettivo, consistente in una situazione di fatto che venuta meno comporta l’inevitabile perdita di interesse al mantenimento del vincolo negoziale.

Nessun rilievo si sarebbe potuto attribuire all’assenza di riferimenti nel contratto alla qualifica di socio del garante, poiché la presupposizione per l’appunto è intesa quale condizione non sviluppata o inespressa e, come tale, priva di un espresso richiamo nelle clausole.

2. Il motivo è infondato.

A parte il profilo attinente alla prospettazione della violazione dei criteri di interpretazione, non adeguatamente articolata poiché il ricorrente si limita a contrapporre apoditticamente a quella svolta dalla Corte d’Appello una diversa interpretazione del contenuto del contratto (il sindacato di legittimità deve avere ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti e non può investire il risultato interpretativo in sé, bensì solo l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere la funzione a lui riservata, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (tra le molte, v. Cass. 31 marzo 2006, n. 7597; 1 aprile 2011, n. 7557; 14 febbraio 2012, n. 2109; 10 febbraio 2015, n. 2465; 29 luglio 2016, n. 15763; 5 dicembre 2018, n. 31512; 12 maggio 2020, n. 8810; 2 luglio 2020, n. 13620; sez. un., 21 gennaio 2021, n. 2061)), correttamente la Corte d’Appello ha escluso la possibilità di qualificare in termini di presupposto implicito delle fideiussioni la qualità di socio in capo ad Gr.An. della debitrice principale, onde poter inferire la sopravvenuta inefficacia delle fideiussioni per effetto del venire meno dello status di socio.

Al riguardo, ha sostenuto la Corte d’Appello, nell’ambito della presupposizione ricade un “avvenimento futuro e incerto che le parti hanno taciuto, ritenendolo, però, un presupposto da cui far dipendere l’efficacia del contratto”. Nessuno degli elementi indicati dal ricorrente avrebbe permesso di ritenere che le parti avessero inteso subordinare, sia pur in modo inespresso a livello contrattuale, l’efficacia delle garanzie alla persistenza dello status di socio.

2.1. La sentenza è conforme all’orientamento espresso da questa Corte, la quale da tempo ha statuito che “La presupposizione, non attenendo né all’oggetto né alla causa né ai motivi del contratto, consiste in una circostanza ad esso “esterna”, che pur se non specificamente dedotta come condizione ne costituisce specifico ed oggettivo presupposto di efficacia, in base al significato proprio del medesimo, assumendo per entrambe le parti, o anche per una sola di esse – ma con riconoscimento da parte dell’altra – valore determinante ai fini del “mantenimento” del vincolo contrattuale, la sua mancanza legittimando l’esercizio del recesso” (v. Cass., sez. III, 25 maggio 2007, n. 12235).

Presupposizione: fatto certo, comune, condiziona contratto

Tale principio di diritto è stato più di recente ribadito, rimarcando come la presupposizione poggi sull’esistenza di una determinata situazione di fatto o di diritto, comune ad entrambi i contraenti ed avente carattere obiettivo (essendo il suo verificarsi indipendente dalla loro volontà e attività), e certo, che sia stata elevata dai contraenti stessi a presupposto condizionante il negozio, in modo da assurgere a fondamento, pur in mancanza di un espresso riferimento, dell’esistenza ed efficacia del contratto (v. Cass., sez. un., 20 aprile 2018, n. 9909; sez. III, 24 agosto 2020, n. 17615; sez. I, 15 dicembre 2021, n. 40729; v. in tal senso già Cass., sez. III, 9 maggio 1981, n. 3074).

La situazione di fatto o di diritto (presente o futura), non contemplata nel contratto, deve essere comune ad entrambi i contraenti, o se assunta da uno solo, perché riflettente il suo esclusivo interesse, quantomeno deve essere nota all’altro, ed intesa dagli stessi (o da una parte e nella consapevolezza dell’altra) come dotata di valore determinante per la costituzione o la permanenza del vincolo contrattuale. Inoltre, come già detto, detta situazione deve essere obiettiva ed esterna alle parti per essere “il suo verificarsi indipendente dalla loro volontà e attività”.

In questa cornice, fermo restando che nessuno degli elementi valutati della corte (l’essere state rilasciate le fideiussioni nel periodo in cui il ricorrente era socio di GB. Spa; l’essere la qualità di socio l’unica ragione per la quale l’appellante avesse rilasciato le garanzie; il non essersi mai occupato il ricorrente della gestione della società, tanto che nel contratto di mutuo era stato indicato come “impiegato” della società, mentre i fratelli erano menzionati come “imprenditori”) avrebbe permesso di suffragare la tesi sostenuta dal ricorrente, il quale, come detto, ha valorizzato ragioni soggettive (motivi) senza alcun riferimento al livello di possibile condivisione delle controparti, è assorbente che l’invocata situazione di fatto sia pacificamente priva del carattere obiettivo, dipendendo, dalla volontà ed attività del socio. Gr.An. si è limitato a dedurre di essere cessato dalla condizione di socio a partire dal 5.9.2006 e tanto basta per escludere che si sia in presenza di una situazione obiettiva indipendente dalla volontà ed attività di una parte.

3. Con il secondo motivo è denunciata la violazione, ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 2697 cod. civ., 112 e 115 cod. proc. civ., nonché la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 4, cod. proc. civ., per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.

Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello erroneamente, quanto alla dedotta violazione dell’art. 1956 cod. civ., avrebbe ritenuto non assolto l’onere della prova in ordine all’estensione della garanzia ed alla mala fede degli istituti di credito. Assume il ricorrente che nel giudizio di primo grado la banca nel costituirsi aveva fatto una contestazione generica, per essersi limitata a sostenere che “(n)on si comprende di cosa stia parlando parte attrice, in quanto non risulta, alla convenuta odierna deducente, che vi sia stata alcuna estensione della originaria fideiussione”. La Corte d’Appello, pertanto, avrebbe omesso di pronunciarsi in ordine alla violazione del principio di non contestazione da parte del giudice del primo grado, limitandosi ad indicare come non provata l’estensione della garanzia per non aver il sig. Gr.An. offerto documentazione a sostegno di quanto indicato.

3.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366, comma primo, n. 6, cod. proc. civ.

Al fine del rispetto del principio di specificità, è necessario che il ricorso contenga l’indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali si fonda il motivo e l’illustrazione del contenuto rilevante, provvedendo alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass. 16 marzo 2012, n. 4220). Sono infatti inammissibili le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito, qualora il ricorrente, pur avendo riprodotti nel ricorso tali atti e documenti, non abbia fornito puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., sez. un., 27 dicembre 2019, n. 34469).

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Infatti, sulla parte ricorrente grava l’obbligo di precisazione anche dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti anche in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 4 marzo 2021, n. 5999; sez. un., 23 settembre 2019, nn. 23552 e 23553; Cass., 18 giugno 2020, n. 11892; 6 novembre 2012, n. 19157; 23 marzo 2010, n. 6937; 12 giugno 2008, n. 15808; 25 maggio 2007, n. 12239), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass., sez. un., 34469/2019 cit.; 19 aprile 2016, n. 7701), poiché il compito dei giudici della corte è quello di procedere a una “verifica degli atti stessi, non già alla loro ricerca” (v. Cass. 20 luglio 2021, n. 20753; 24 giugno 2020, n. 12498; 20 marzo 2017, n. 7048).

Il ricorrente nell’aggredire la motivazione riportata a pagina 8 e s. della sentenza (“(f)ermo restando, come elemento base della correttezza della sentenza, che non vi è prova dell’estensione della garanzia, giova qui richiamare la pronuncia della Suprema Corte (Cass. Civ. Sez. VI, 5 ottobre 2021, n. 2694) secondo la quale “è onere della parte, che deduca la violazione del canone della buona fede dimostrare, non solo la nuova concessione di credito avvenuta nonostante il peggioramento delle condizioni economiche e finanziarie del

debitore principale, ma anche che la banca abbia agito nella consapevolezza di una irreversibile situazione di insolvenza” del debitore principale”…) ha omesso di precisare nell’esposizione sia dei motivi, sia del fatto ai sensi dell’art. 366, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.., se e quando abbia dedotto, provvedendo a circostanziare la deduzione sul piano temporale, l’avvenuta estensione della garanzia e la pretesa condotta della banca contraria ai canoni della buona fede e della correttezza, mediante l’indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali si fonda il motivo e l’illustrazione del contenuto rilevante, provvedendo alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame.

A pagina 23 del ricorso si richiamano pagine 14 e 15 dell’atto di appello, dove però si fa riferimento in modo generico ad una tempestiva allegazione dell’estensione del finanziamento da Euro 320.000 ad Euro 435.000. Tale indicazione, però, non è sufficiente dovendosi conoscere se essa sia stata fatta in modo puntuale in primo grado e successivamente ripresa in sede di appello, ma in modo specifico. Peraltro, a fronte della pluralità dei rapporti garantiti dal ricorrente non risulta neanche l’indicazione di quale tra essi sarebbe stato interessato dall’aumento dell’esposizione, così da integrare il dato oggettivo dell’estensione alla prospettazione dell’operato in mala fede della banca. Il ricorrente, inoltre, là dove addebita alla Corte d’Appello di non essersi pronunciata sulla pretesa non contestazione ha omesso di esplicitare se e come in sede di appello abbia gravato la sentenza del primo giudice tanto nell’esposizione del motivo del ricorso per cassazione, quanto nell’indicazione dei motivi di appello.

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4. L’inammissibilità del secondo motivo determina l’assorbimento del terzo, quarto, quinto e sesto motivo, con i quali il ricorrente, sempre nell’ambito della dedotta violazione dell’art. 1956 cod. civ. e della ripartizione dell’onere della priva, ha denunciato:

a) ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 2697 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ. (violazione del principio di “vicinanza della prova” come declinato da questa Corte, poiché non avrebbe potuto conoscere la mutata situazione della società, dalla cui compagine era uscito nel settembre 2006, tanto più che mai le banche avevano inviato l’informativa periodica ex art. 119 t.u.b.);

b) ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 1956 e 1418 cod. civ. (La Corte d’Appello nella sentenza aveva richiamato l’art. 6 del contratto di fideiussione, ma tale previsione sarebbe nulla per contrarietà all’art. 1956 cod. civ., che prevede l’invalidità della preventiva rinuncia del fideiussore ad avvalersi della liberazione);

c) ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 3, cod. proc. civ., degli art. 2697 cod. civ. e 116 cod. proc. civ. (la Corte d’Appello erroneamente avrebbe affermato che il ricorrente “non poteva non conoscere” la situazione della società debitrice per il solo fatto che fosse socio e dipendente della stessa. La decisione, tuttavia, poggiava sull’erroneo assunto che il ricorrente fosse dipendente, ma solo socio della GB. Spa);

d) ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 3,cod. proc. civ., la violazione degli artt. 1956 e 1375 cod. civ. (le banche in violazione dell’art. 1956 cod. civ. si erano rese inadempienti rispetto all’obbligo di tempestiva informazione del fideiussore, pur conoscendone le difficoltà e, comunque, il peggioramento delle condizioni di G.B.S. Spa Tale peggioramento, come riportato nella domanda di concordato depositata nel 2011, risaliva al 2009/2010 a causa dell’aggravarsi del livello di indebitamento).

5. Con il settimo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1938 cod. civ.

Erroneamente la Corte d’Appello non avrebbe ritenuto che la sproporzione tra entità del debito della garantita e della garanzia concessa implicasse la violazione dell’art. 1938 cod. civ.: “La sproporzione tra l’importo finanziato e quello garantito (pari esattamente al doppio) costituisce l’elusione della disposizione menzionata che impone la necessità di prevedere l’importo massimo garantito che deve essere uguale a quello erogato”.

5.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366, comma primo, n. 4, cod. proc. civ. per difetto di specificità, poiché non enuncia una censura chiara ed univoca rispetto alla sentenza di secondo grado

Infatti, il motivo d’impugnazione è costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo; tale nullità si risolve in un “non motivo” del ricorso per cassazione ed è conseguentemente sanzionata con l’inammissibilità (principio costante: si veda Cass. 11 novembre 2005, n. 359; ed in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto, Cass., sez. un., 20 marzo 2017, n. 7074; nonché Cass., sez. un., 24 luglio 2013, n. 17931 riguardo alla prevalenza della sostanza rispetto alla formale enunciazione del motivo; più di recente Cass. 24 settembre 2018, n. 22478; 12 gennaio 2024, n. 1341).

La Corte d’Appello con riferimento all’eccepita nullità ex art. 1938 cod. civ. della fideiussione del 4.3.2005 ebbe a rilevare la genericità della doglianza svolta con l’atto d’appello. Quest’oggi il ricorrente si è limitato a dedurre che “La sproporzione tra l’importo finanziato e quello garantito (pari esattamente al doppio) costituisce l’elusione della disposizione menzionata che impone la necessità di prevedere l’importo massimo garantito che deve essere uguale a quello erogato”. Mancano, pertanto, sia l’esplicazione delle ragioni per le quali la decisione sarebbe, sia la critica della decisione impugnata, essendosi limitato il ricorrente a contrapporre il divario tra importo finanziato e quello garantito.

6. Con l’ottavo motivo il ricorrente prospetta la violazione degli artt. 180 e 184 cod. proc. civ.

Il ricorrente lamenta che, per essersi costituito garante della società, aveva ha disposto di una parte consistente dei beni ricadenti nel patrimonio della comunione, compresi quelli indicati dall’art. 184 cod. civ. Tali fideiussioni, dunque, erano in grado di arrecare una considerevole diminuzione del patrimonio della comunione: le garanzie rilasciate costituivano atto di straordinaria amministrazione che richiedeva il consenso di entrambi i coniugi per rimuovere un limite all’esercizio di un potere dispositivo.

6.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366, comma primo, n. 6, cod. proc. civ.

Richiamato quanto detto nel paragrafo 3.1 a proposito dell’onere di produzione degli atti e dei documenti su cui poggia l’impugnazione, il ricorrente si è limitato a dedurre che nel costituirsi garante ha disposto di una parte consistente del patrimonio della comunione (compresi i beni indicati dall’art. 184 cod. civ.), ma non ha evidenziato, come invece era doveroso per soddisfare il requisito della specificità del ricorso, se e quando, nell’ambito delle due fasi di merito, avesse debitamente e allegato e comprovato, provvedendo alla relativa individuazione, il regime patrimoniale alla base della svolta doglianza.

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7. Con il nono motivo Gr.An. lamenta la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.

La sentenza della Corte d’Appello sarebbe viziata per aver omesso di provvedere in ordine all’eccepita invalidità per contrasto con la legge 287/1990 della fideiussione rilasciata in favore della Ba.Ag. come stabilito dal provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia. Tale nullità era stata eccepita all’udienza del 19.3.2019, prima udienza del giudizio di appello, ed oggetto di discussione tra le parti. La fideiussione rilasciata in favore di Ba.Ag. era del tutto conforme al modello ABI del 2003, sanzionato dall’Autorità Garante in quanto integrante una intesa restrittiva della concorrenza.

7.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366, comma primo, n. 6, cod. proc. civ.

Il ricorrente prospetta di avere eccepito in occasione della prima udienza la nullità della fideiussione in quanto conforme al modello ABI del 2003, sanzionato dall’Autorità Garante in quanto integrante una intesa restrittiva della concorrenza. Tuttavia, a parte la non irrilevante circostanza che la fideiussione è successiva al menzionato provvedimento sanzionatorio, il ricorrente ha omesso di precisare se è quando sia avvenuta la produzione del modello ABI e del provvedimento della Banca d’Italia, provvedendo alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame.

8. Con il decimo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 4 e 5 del D.M. 55/2014.

Il ricorrente, in relazione alla condanna alle spese di lite, indicate nella misura di Euro 9.515 per competenze professionali, lamenta il carattere aspecifico della decisione e l’assenza di indicazione dei criteri adottati per la liquidazione. La corte avrebbe provveduto alla liquidazione di un importo onnicomprensivo, il quale, pur non essendo possibile stabilire il parametro adottato, “appare notevolmente superiore agli importi dello scaglione di riferimento”.

8.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.

Il ricorrente lamenta l’intervenuta liquidazione di un importo onnicomprensivo, il quale, pur non essendo possibile stabilire il parametro adottato, “appare notevolmente superiore agli importi dello scaglione di riferimento”. Sennonché, non risulta impugnata la motivazione della sentenza là dove a pagina undici si legge “le spese del grado, liquidate secondo lo scaglione dichiarato…”. Non avendo attinto il motivo tale parte della decisione non è possibile effettuare la dedotta violazione dei parametri normativi, fermo restando che la liquidazione ha riguardato il solo compenso professionale per l’attività di difesa sostenuta dall’appellata.

9. All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

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P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 9.200,00, di cui Euro 9.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale/ricorrente

incidentale, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della Corte Suprema di Cassazione in data 19 novembre 2024

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2025.

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