SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE V
SENTENZA 21 aprile 2016, n.16679
Ritenuto in fatto
Con sentenza emessa in data 28 marzo 2013 la Corte d’Appello di Napoli confermava la sentenza del Tribunale di Avellino dei 25 novembre 2009 con cui M. F., M. M. e M.F. sono stati condannati alla pena di € 600,00 di multa – pena sospesa – per aver in concorso tra di loro quali debitori esecutati, con esposto indirizzato al Presidente del Tribunale di Avellino, al Giudice dell’esecuzione immobiliare presso il Tribunale di Avellino, al Procuratore della Repubblica, all’Ordine degli avvocati ed al Presidente dell’associazione notarile, offeso l’onore ed il decoro di D.V.C., notaio delegato nella procedura esecutiva, assumendo che avrebbe avuto una condotta frettolosa e poco trasparente nella fissazione e nelle notifiche dell’asta dei beni di essi debitori.
Hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, con atto sottoscritto dal loro difensore, affidandolo ad un unico motivo.
Viene dedotta l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 595 comma primo e terzo, dell’art. 598 c.p.p e dell’art. 521 e 522 c.p.p. nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione .
In primo luogo, evidenziano che nell’esposto non si è mai parlato dì ‘condotta frettolosa e poco trasparente’ essendosi utilizzata l’espressione ‘frettolosa sollecitudine’ e lo stesso giudice di primo grado aveva rimarcato che i denuncianti non avevano contestato irregolarità in ragione del codice di rito o dell’ordinamento giuridico, ma soltanto la sollecitudine di tale procedura in rapporto alle altre seguite in altri casi.
Inoltre, nel capo di imputazione, alcun riferimento era stato fatto ad una supposta connivenza del notaio con interessi speculativi creditori, come invece esposto nella della sentenza di secondo grado con conseguente violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p. oltre al vizio motivazionale.
Lamentavano inoltre gli imputati che, come già dedotto nei motivi d’appello, nessuna prova era stata fornita che l’esposto fosse stato inviato e ricevuto dai soggetti indicati nel capo d’imputazione oltre al Giudice dell’Esecuzione, difettando quindi la prova della comunicazione con più persone, elemento costitutivo della diffamazione.
Censuravano il mancato riconoscimento da parte della Corte dell’esimente dell’art. 598 c.p. sul rilievo che le espressioni ingiuriose non avrebbero riguardato in modo diretto ed immediato l’oggetto della controversia e non avrebbero avuto una rilevanza funzionale con la procedura. Non aveva considerato la Corte che l’esposto era stato presentato direttamente al giudice dell’esecuzione in un procedimento in cui i ricorrenti erano debitori esecutati e riguardava appunto la procedura esecutiva e dopo tale esposto il Giudice dell’Esecuzione aveva fissato udienza di comparizione delle parti.
Infine, veniva censurata l’applicazione dell’aggravante di cui al comma 3° dell’art. 595 c.p. non rientrando l’esposto tra i mezzi di stampa e pubblicità e non costituendo atto pubblico e contestando la motivazione con cui la Corte aveva ritenuto la maggiore diffusività della missiva diretta al magistrato necessariamente destinata a venire a conoscenza di più persone nell’ambito del pubblico ufficio.
Considerato in diritto
II ricorso è fondato e va pertanto accolto.
Va preliminarmente osservato che rispetto all’espressione contestata agli imputati nel capo d’imputazione – si sarebbero lamentati in un esposto indirizzato al Giudice dell’Esecuzione e ad altre autorità che il notaio delegato avrebbe avuto una ‘condotta frettolosa e poco trasparente’ nella fissazione e nelle notifiche dell’asta dei beni di essi debitori – entrambi i giudici di merito hanno accertato che l’espressione effettivamente utilizzata nel loro esposto dai ricorrenti è quella di ‘ frettolosa sollecitudine’, senz’altro meno pungente. Orbene, ritiene questo Collegio che tale espressione sia stata pronunciata nell’esercizio dei diritto di critica.
Posto che per giurisprudenza consolidata di questa Corte perché sia integrata la scriminante è necessario che sia rispettato il requisito della continenza, ovvero che le modalità espressive dispiegate siano proporzionate e funzionali alla comunicazione dell’informazione, e non si traducano in espressioni che in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato, (Sez. 5, n. 18170 del 09/03/2015 – dep. 30/04/2015, Mauro e altri, Rv. 263460) non appare nel caso di specie che tale limite sia stato travalicato.
Va peraltro osservato che la circostanza lamentata dai ricorrenti, ovvero che la durata della loro procedura immobiliare era stata più ridotta rispetto ad altre procedure esecutive – la connotazione negativa di tale fatto deve essere ovviamente letta nella prospettiva di soggetti esecutati che stanno per perdere i loro beni – non era un’invenzione sebbene la persona offesa avesse nel processo di primo grado fornito, in proposito, una plausibile spiegazione, e segnatamente che quella procedura non aveva presentato alcuna difficoltà essendoci poche formalità pregiudizievoli.
D’altra parte, lo stesso giudice di primo grado, cui la sentenza impugnata ha fatto ampio richiamo, ha evidenziato che nel loro esposto i ricorrenti non avevano contestato al notaio irregolarità procedimentali o altre violazioni dell’ordinamento giuridico, di talchè la censura era stata circoscritta proprio alla durata della procedura.
Dunque, ad avviso di questa Corte, si potrà ritenere che questa critica sia stata ingenerosa nei confronti del notaio, il quale non aveva fatto altro che il proprio dovere, ma l’espressione contestata nel capo d’imputazione e, maggior ragione, quella accertata dai giudici di merito (frettolosa sollecitudine) deve ritenersi priva di penale rilevanza.
Infine, l’osservazione svolta dalla Corte di merito, secondo cui nell’esposto i ricorrenti avrebbero adombrato una convivenza dei notaio con interessi speculativi del creditore, non trova minimamente conforto nel capo d’imputazione 1 il cui oggetto costituisce il thema decidendum su cui l’organo giudicante è chiamato a pronunciare una decisione.
P.Q.M.
La Corte annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non sussiste
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