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Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 29 aprile 2016, n. 17397

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza in data 3 aprile 2015, la Corte di appello di Roma ha confermato la condanna dell’imputato C.R. e per una rapina consumata, due tentativi di rapina, una resistenza a pubblico ufficiale e un falso materiale su certificazione amministrativa, tutti avvenuti o accertati il 26 settembre 2013, confermando in ciò la sentenza del giudice dell’udienza preliminare di Roma in data 11 marzo 2013 ma escludendo la sussistenza dell’aggravante delle più persone riunite con riferimento al capo A).
2. Avverso tale provvedimento, propone ricorso per cassazione imputato a mezzo del proprio difensore strutturando ricorso non in relazione ai vizi previsti all’articolo 606 cod proc pen, ma in relazione le richieste finali e quindi lamentando violazione di legge e illogica o contraddittoria motivazione in ordine alla ritenuta aggravante del travisamento, in relazione al fatto che la parte offesa era stata comunque perfettamente in grado di riconoscere il rapinatore nonostante l’uso da parte di quest’ultimo del casco da motociclista e degli occhiali.

Considerato in diritto

3. II ricorso è manifestamente infondato. Deve infatti ricordarsi come – per giurisprudenza costante di questa Corte – al fine della sussistenza della circostanza aggravante del travisamento del delitto di rapina è sufficiente una lieve alterazione dell’aspetto esteriore della persona, conseguita con qualsiasi mezzo anche rudimentale, purché idoneo a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona stessa. – Sez. 6, Sentenza n. 21890 del 03/04/2014 Rv. 259766. Non è rilevante dunque che la parte offesa sia riuscita o meno a riconoscere le sembianze del rapinatore, ma che vi fosse un oggettiva alterazione dell’aspetto. L’uso di un casco da motociclista o anche solamente di occhiali da sole per commettere una rapina appaiono sufficienti a integrare un aspetto esteriore della persona.
4. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.
5. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in € 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1500.00 alla Cassa delle Ammende.

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