Onere della prova: titolarità posizione soggettiva

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|16 gennaio 2025| n. 1057.

Prova titolarità e salvo difese incompatibili

Massima: La titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto (Nel caso di specie, relativo ad un giudizio promosso per ottenere il pagamento di compensi professionali, la Suprema Corte, richiamato l’enunciato principio, ha cassato con rinvio la sentenza gravata, per avere, nella circostanza, la corte del merito, nel rigettare la domanda attorea in sede di gravame, omesso di pronunciarsi sull’eccezione di difetto di legittimazione passiva di una delle due odierni ricorrenti, che, avendo rinunciato all’eredità del coniuge professionista, nonché attore appellato, era stata erroneamente condannata, come attrice, al pagamento delle spese di entrambi i gradi di merito). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezioni civili unite, sentenza 16 febbraio 2016, n. 2951).

 

Ordinanza|16 gennaio 2025| n. 1057. Prova titolarità e salvo difese incompatibili

Integrale

Tag/parola chiave: Procedimento civile – Azione – Legittimazione ad agire – Titolarità attiva o passiva del rapporto controverso – Natura giuridica – Allegazione e prova – Onere dell’attore – Limiti – Fattispecie in tema di pagamento di compensi professionali. (Cc, articolo 2697; Cpc, articoli 81, 99, 100, 112 e 382)

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta da

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente

Dott. MACCARRONE Tiziana – Consigliere

Dott. PAPA Patrizia – Consigliere

Dott. PICARO Vincenzo – Consigliere

Dott. PIRARI Valeria – Consigliere rel.

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 05879/2020 R.G. proposto da

Fr.An., rappresentata e difesa in proprio ex art. 86 cod. proc. civ., e Fa.Lu., rappresentata e difesa dall’avv. Fr.An., elettivamente domiciliate in Roma, Vi.En., presso lo studio dell’avv. Lu.Go..

– ricorrenti –

contro

Ca.Gi., rappresentato e difeso dall’avv. Vi.Vi. e dall’avv. Fa.Ze., presso il cui studio in Roma, Vi.F., è elettivamente domiciliato.

– controricorrente –

E contro

Se.Ra., quale erede di Ca.Gi.

– intimata –

Avverso la sentenza n. 1514/2019, della Corte d’Appello di Ancona, pubblicata il 23/10/2019 e notificata il 6/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 dicembre 2024 dalla dott.ssa Valeria Pirari.

Prova titolarità e salvo difese incompatibili

RILEVATO CHE:

1. Con atto di citazione l’avvocato Fr.Ro. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Macerata, Ca.Gi. e Ca.Gi. al fine di ottenerne la condanna al pagamento della somma di Euro 12.211,63 o diversa, quale compenso dovutogli per l’attività professionale espletata in loro favore nel giudizio civile di divisione ereditaria promosso presso il medesimo Tribunale e definito transattivamente il 18/10/1991.

Costituitisi in giudizio, i convenuti eccepirono l’avvenuto pagamento del compenso e comunque il decorso del termine prescrizionale ex art. 2956, secondo comma, cod. civ.

Con sentenza n. 430/13, depositata il 20/03/2013, il Tribunale di Macerata condannò solidalmente i convenuti al pagamento della somma di Euro 10.011,51.

Il giudizio di gravame, incardinato da Ca.Gi., si concluse, nella resistenza di Fr.Ro. e, dopo il suo decesso, dalle eredi Fr.An. e Fa.Lu., e nella contumacia di Ca.Gi., con la sentenza n. 1514/2019, pubblicata il 23/10/2019, con la quale la Corte d’Appello di Ancona riformò la sentenza impugnata, rigettando la domanda attorea e condannando le eredi del Fr.An. alla rifusione delle spese del primo grado a favore di Ca.Gi. e Ca.Gi., e le appellate alla rifusione delle maggiori spese del secondo grado a favore dell’appellante (per mero errore materiale indicato come “appellato”).

2. Contro la predetta sentenza, Fr.An. e Fa.Lu. propongono ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, illustrati anche con memoria. Ca.Gi. si difende con controricorso, mentre è rimasta intimata Se.Ra.

Prova titolarità e salvo difese incompatibili

CONSIDERATO CHE:

1.1 Con il primo motivo, si lamenta “la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., l’omessa pronuncia sulla eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata da Fa.Lu. e, in subordine, la violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., e l’omessa motivazione”, perché i giudici di merito, riportando nell’intestazione della sentenza, nello svolgimento del processo e nella parte dispositiva, il nome di entrambe le eredi di Fr.Ro., ossia Fr.An. e Fa.Lu., avevano omesso di pronunciarsi sull’eccezione di difetto di legittimazione passiva di Fa.Lu. dalla stessa sollevata con la comparsa di costituzione in seguito a riassunzione, avendo la stessa rinunciato alla chiamata ereditaria dell’attore appellato avv. Fr.Ro., e di considerare i documenti prodotti che attestavano la dedotta rinuncia all’eredità, con la conseguenza che erroneamente avevano condannato la predetta, come attrice, alle spese del primo grado del giudizio ed entrambe le appellate, in solido, a quelle del gravame.

1.2 Il primo motivo è fondato.

Va, innanzitutto, osservato come la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio sia un elemento costitutivo della domanda (tali potendo essere tanto meri fatti o fatti-diritto, quanto altri diritti, come per l’appunto il diritto di proprietà) e attenga al merito della decisione, sicché spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto (Cass., Sez. U, 16/2/2016, n. 2951).

Nella specie, l’appellata ha eccepito di non essere titolare della posizione passiva attribuitale dall’appellante in riassunzione, avendo la stessa rinunciato alla eredità del coniuge, originario appellato, sicché sarebbe spettato al giudice verificare tale circostanza, specie considerando che la semplice delazione che segue l’apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sé sufficiente per l’acquisto della qualità di erede, ma diventa operativa soltanto se il chiamato alla successione accetta di essere erede o mediante una dichiarazione di volontà (aditio), oppure in dipendenza di un comportamento obiettivamente acquiescente (pro herede gestio) (Cass., Sez. 2, 12/3/2003, n. 3696; Cass., Sez. 2, 30/4/2010, n. 10525; Cass., Sez. 6-2, 6/3/2018, n. 5247), mentre la rinuncia espressa, rivestita in forma solenne (dichiarazione resa davanti al notaio o al cancelliere e iscrizione nel registro delle successioni), determina la perdita del diritto all’eredità (Cass., Sez. 2, 28/12/2022, n. 37927).

L’omesso esame di questa circostanza, dunque, non può che avere effetti anche in ordine alla liquidazione delle spese del giudizio, alle quali la ricorrente non avrebbe potuto essere condannata, atteso che un siffatto debito va a gravare sull’asse ereditario e che la condanna al suo pagamento richiede necessariamente l’acquisizione della qualità di erede.

Prova titolarità e salvo difese incompatibili

Consegue da quanto detto la fondatezza della censura.

2.1 Col secondo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 324 cod. proc. civ. e 2909 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., perché i giudici di merito avevano omesso di rilevare il giudicato implicito formatosi con riferimento alla posizione di Ca.Gi. e alla sua condanna, in solido con Ca.Gi., al pagamento degli onorari dell’avv. Fr.An., non avendo Ca.Gi. impugnato la sentenza di primo grado, né in via principale, né incidentale, ed essendo anzi rimasto contumace in appello. Era, pertanto, erronea la condanna alla rifusione delle spese del primo grado di giudizio in favore anche di Ca.Gi., nei cui confronti la sentenza di primo grado era passata in giudicato.

2.2 Il secondo motivo è fondato.

Come questa Corte ha avuto modo di affermare, l’obbligazione solidale, pur avendo ad oggetto un’unica prestazione, dà luogo non ad un rapporto unico ed inscindibile, ma a rapporti giuridici distinti, anche se fra loro connessi, e, potendo il creditore ripetere da ciascuno dei condebitori l’intero suo credito, è sempre possibile la scissione del rapporto processuale, il quale può utilmente svolgersi nei confronti di uno solo dei coobbligati. Ne consegue che la mancata impugnazione, da parte di un coobbligato solidale, della sentenza di condanna pronunciata verso tutti i debitori solidali – che, pur essendo formalmente unica, consta di tante distinte pronunce quanti sono i coobbligati con riguardo ai quali essa è stata emessa -, così come il rigetto dell’impugnazione del singolo, comporta il passaggio in giudicato della pronuncia concernente il debitore non impugnante (o il cui gravame sia stato respinto) esclusivamente con riferimento a lui, pure qualora lo stesso sia stato convenuto nel giudizio di appello ex art. 332 cod. proc. civ., mentre il passaggio in giudicato di detta pronuncia rimane, poi, insensibile all’eventuale riforma od annullamento delle decisioni inerenti agli altri coobbligati (Cass., Sez. 2, 8/10/2018, n. 24728; Cass., Sez. 1, 25/5/1995, n. 5738; Cass., Sez. 2, 30/5/1990, n. 5082).

Nella specie, risulta dalla stessa sentenza impugnata che Ca.Gi., pur condannato in primo grado, in solido con Ca.Gi., al pagamento degli onorari dovuti all’avv. Fr.Ro. per la prestazione professionale resa, liquidati nella misura di Euro 10.011,51, non si era costituito nel giudizio d’appello promosso dall’altro debitore solidale, tant’è che ne è stata dichiarata espressamente la contumacia, con la conseguenza che i giudici non avrebbero potuto modificare la sentenza di primo grado in punto di spese, come erroneamente disposto dalla Corte territoriale, che ha posto a carico di “parte attrice”, ovvero degli eredi del Fr.An., le spese dei “convenuti”, ovvero di Ca.Gi. e Ca.Gi.

Prova titolarità e salvo difese incompatibili

3.1 Con il terzo motivo, si lamenta, infine, “la violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., omessa o perplessa motivazione sulla compatibilità della risposta all’interrogatorio formale “ho già pagato in un certo modo che non voglio precisare” con la eccezione di prescrizione presuntiva ex art. 2956, secondo comma, cod. civ.”. Ad avviso delle ricorrenti, i giudici di merito non avevano spiegato i motivi per i quali avevano ritenuto di attribuire alla risposta data dalla controparte in sede di interrogatorio formale, nei termini sopra precisati, la prova dell’intervenuto pagamento e non invece quella contraria della mancata corresponsione della cifra richiesta, come invece ritenuto dal Tribunale, limitandosi a dire di non condividere l’interpretazione sul punto data dal giudice di primo grado.

3.2 Il terzo motivo presenta profili di inammissibilità e d’infondatezza.

Si osserva, innanzitutto, come le norme applicate nella specie siano quelle contenute nell’art. 2956 cod. civ., il quale sancisce la prescrizione nel termine di tre anni, tra gli altri, del diritto dei professionisti al compenso per l’opera prestata e del rimborso spese, e nell’art. 2959 cod. civ., il quale stabilisce che l’eccezione è rigettata se chi oppone la prescrizione nei casi indicati, tra gli altri, dall’art. 2956 cod. civ. ha comunque ammesso in giudizio che l’obbligazione non è estinta.

Quest’ultima disposizione è stata interpretata da questa Corte nel senso che l’eccezione di prescrizione in esame poggia sulla presunzione dell’avvenuto pagamento nei termini previsti (Cass., Sez. 18/4/1962, n. 766) e implica, perciò, il riconoscimento dell’esistenza del credito nella stessa misura richiesta dal creditore (Cass., Sez. 2, 5/6/2023, n. 15665), potendo la stessa essere superata unicamente, quanto alla posizione del debitore opponente, attraverso l’ammissione di non avere estinto l’obbligazione, e, quanto a quella del creditore, attraverso il deferimento al debitore del giuramento decisorio (Cass., Sez. 3, 15/5/2007, n. 11195; Cass., Sez. 1, 24/9/2004, n. 19240; Cass., Sez. 2, 27/1/1998, n. 785).

Essa, dunque, non può essere opposta dal debitore che abbia contestato l’originaria sussistenza dell’obbligazione o negato l’esecuzione delle prestazioni sulle quali si basa la pretesa attorea o comunque la loro estinzione (Cass., Sez. 1, 28/6/2019, n. 17595; Cass., Sez. 18/4/1962, n. 766), giacché colui che nega il rapporto non può pretendere che si presuma l’avvenuta sua estinzione (Cass., Sez. 18/4/1962, n. 766, cit.), e può perciò essere paralizzata o dall’ammissione della non avvenuta estinzione dell’obbligazione fatta in giudizio dal presunto debitore (Cass., Sez. 2, 14/10/1959, n. 2837), tale essendo anche la negazione dell’esistenza stessa del credito oggetto di domanda (Cass., Sez. 2, 16/2/2016, n. 2977) o l’eccezione sulla identità della persona del creditore diversa da colui che agisce in giudizio (Cass., Sez. L, 2/10/2009, n. 21107), o dalla predisposizione di difese che presuppongono il mancato pagamento del credito o la sua stessa sussistenza o che si incentrino sulla contestazione dell’entità della somma richiesta (Cass., Sez. L, 3/3/2001, n. 3105; Cass., Sez. L., 12/7/2001, n. 9467; Cass. 4015/2002; Cass., Sez. L, 20/3/2012, n. 12771), poiché in tal modo si ammette, implicitamente, che l’obbligazione non è stata estinta (Cass., Sez. 2, 5/6/2023, n. 15665; Cass., Sez. 1, 28/6/2019, n. 17595; Cass., Sez. 2, 1/10/2018, n. 23751; Cass., Sez. 2, 16/2/2016, n. 2977; Cass., Sez. 2, 2/12/2013, n. 26986).

Prova titolarità e salvo difese incompatibili

Per contro, le deduzioni con le quali il debitore assume che il debito sia stato pagato, o sia comunque estinto, non rendono inopponibile l’eccezione di prescrizione presuntiva, giacché, lungi dall’essere incompatibili con la presunta estinzione del debito per decorso del termine, sono, invero, adesive e confermative del contenuto sostanziale dell’eccezione stessa (Cass., Sez. 2, 1/10/2018, n. 23751; Cass., Sez. 3, 31/3/2010, n. 7800).

Orbene, i giudici di merito hanno sul punto ritenuto compatibile l’eccezione di prescrizione con quanto affermato da Ca.Gi. in sede di interrogatorio formale, di “avere già pagato in un certo modo che non voglio precisare” anche per conto del fratello, e hanno disatteso l’interpretazione che di quelle affermazioni aveva offerto il giudice di primo grado, secondo cui il Ca.Gi. aveva voluto con esse implicitamente contestare la congruità della pretesa e non la fondatezza nel merito in ragione dell’avvenuto adempimento.

È evidente allora l’infondatezza della censura, nella parte in cui è fondata sul vizio di motivazione, atteso che le argomentazioni offerte dai giudici di merito superano certamente il vaglio del c.d. minimo costituzionale ex art. 111 Cost., incentrandosi sostanzialmente la doglianza sul cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove da parte del giudice di merito, il quale però non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, né in quello del precedente n. 4, (Cass., Sez. 1, 26/9/2018, n. 23153; Cass., Sez. 3, 10/6/2016, n. 11892), sia perché la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione, non più censurabile secondo il nuovo parametro di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), sia perché con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, contrapponendovi le proprie, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie concreta operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto, precluso in sede di legittimità (ex plurimis Cass., Sez. 1, 6/11/2023, n. 30844; Cass., Sez. 5, 15/5/2018, n. 11863, Cass., Sez. 6-5, 7/12/2017, n. 29404; Cass., Sez. 1, 2/8/2016, n. 16056).

4. In conclusione, dichiarata la fondatezza della prima e seconda censura e l’inammissibilità della terza, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, inammissibile il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 dicembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2025.

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