SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI
Ordinanza 11 marzo 2016, n. 4797
E’ stata depositata la seguente relazione:
1) La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 7.1.2014, ha parzialmente accolto l’appello proposto da A.B. contro la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che, dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio da lui contratto il 12.8.2000 con S.T., aveva posto a suo carico l’obbligo di corrispondere a quest’ultima un assegno divorzile di € 200,00.
La corte territoriale, rilevato che la T. risulta affetta da disturbo bipolare, a prevalente componente depressiva, che la rende assolutamente inabile allo svolgimento di qualsivoglia attività lavorativa, ha ribadito il diritto della signora, che percepisce unicamente una pensione di invalidità di € 275,00 mensili, alla corresponsione dell’assegno divorzile, ma ha ridotto la misura dell’assegno ad € 150 mensili in ragione sia della breve durata del matrimonio (circa due anni) sia dei maggiori oneri cui il B. deve far fronte per il mantenimento della nuova famiglia di fatto che ha costituito con un’altra donna.
2) A.B. ha impugnato la sentenza con ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui S.T. ha resistito con controricorso.
2.1) Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione dell’art. 5, 6° co., della 1. n. 898/70. Sostiene che per poter riconoscere l’assegno divorzile sarebbe stata necessaria una verifica comparativa tra l’attuale situazione reddituale e patrimoniale della richiedente e quella sussistente all’epoca della cessazione della convivenza, che non sarebbe stata effettuata dalla corte del merito. 2.2.) Col secondo motivo il B., denunciando ulteriore violazione dell’art. 5, 6° co., della 1. n. 898/70 oltre che vizio di motivazione, deduce che la breve durata del matrimonio costituiva ragione sufficiente ad escludere la debenza dell’assegno divorzile.
3) Entrambe le censure appaiono inammissibili.
3.1) Quanto alla prima, è sufficiente rilevare che non risulta che la questione dell’omessa indagine circa il tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio sia stata devoluta alla cognizione del giudice d’appello, dinanzi al quale il ricorrente si è limitato a lamentare che l’assegno fosse stato riconosciuto sulla scorta di certificazioni mediche tardivamente prodotte dalla T., inidonee, peraltro, ad incidere sugli accertamenti già compiuti dal giudice della separazione, che aveva respinto la domanda della ex moglie di corresponsione di un assegno di mantenimento. Può aggiungersi, ad abundantiam, che il peggioramento del tenore di vita della T. rispetto a quello goduto in costanza di matrimonio emergeva dalla mera considerazione della modestia della pensione di invalidità percepita dalla signora, di appena € 275 mensili, rispetto allo stipendio fisso percepito dal ricorrente (costituente l’unica fonte di sostentamento della famiglia durante la breve durata della vita matrimoniale) e non necessitava, pertanto, di uno specifico accertamento. 3.2) La seconda ragione di doglianza appare invece volta unicamente ad ottenere una diversa valutazione nel merito di una circostanza che la corte d’appello ha attentamente vagliato, traendone un convincimento diverso da quello preteso dal ricorrente.
Si dovrebbe pertanto concludere per l’inammissibilità del ricorso, con decisione che potrebbe essere assunta in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.
Il ricorrente ha depositato memoria.
Il collegio ha esaminato gli atti, ha letto la relazione e ne condivide le conclusioni, non contraddette dal B. nella memoria depositata, cui sono stati inammissibilmente allegati nuovi documenti, dei quali non si può tener conto, e che, per un verso, non contiene neppure un accenno ai rilievi svolti dalla relatrice in ordine alla mancata devoluzione al giudice d’appello della questione concernente il tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio e, per l’altro, si limita a prospettare la mera “ingiustizia” della decisione ed a pretendere una nuova valutazione nel merito delle circostanze sulle quali essa si fonda.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in € 2.200, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso forfetario ed accessori di legge.
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