Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|16 gennaio 2025| n. 1025.
Negligenza avvocato nesso causale probabilità logica
Massima: La valutazione del nesso causale tra la negligenza dell’avvocato e il danno subito dal cliente deve essere effettuata sulla base di un criterio di probabilità logica e statistica. La responsabilità dell’avvocato per negligenza richiede la verificazione di un rapporto di causalità ipotetica mediante un giudizio controfattuale.
Ordinanza|16 gennaio 2025| n. 1025. Negligenza avvocato nesso causale probabilità logica
Integrale
Tag/parola chiave: Avvocati – Appello tardivo – Mancanza di prova del repechage – Risarcimento del danno – Riconoscimento – Esclusione
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. FIECCONI Francesca – Relatore
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14622/2022 R.G. proposto da:
Ma.An., elettivamente domiciliato in ROMA VIA TA.N., presso lo studio dell’avvocato PA.GA. (Omissis) rappresentato e difeso dall’avvocato LA.RO. (Omissis)
– ricorrente –
Contro
De.Lo., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DI.RI., presso lo studio dell’avvocato CA.CL. (-) rappresentato e difeso dagli avvocati NA.RO. (Omissis), AL.RO. (Omissis)
– controricorrente –
nonché contro
Al.Ro., elettivamente domiciliato in PALERMO VIA PI.AR. – DOMICILIO DIGITALE, presso lo studio dell’avvocato MA.MA. (Omissis) che lo rappresenta e difende
– controricorrente –
nonché contro
GE.IT. Spa, elettivamente domiciliato in ROMA LU.DE., presso lo studio dell’avvocato AR.GI. (Omissis) che lo rappresenta e difende
– controricorrente –
nonché contro
GE.IT. Spa, Al.Ro., Ro.Gi.
– intimati –
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO PALERMO n. 607/2022 depositata il 06/04/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/11/2024 dal Consigliere FRANCESCA FIECCONI.
Negligenza avvocato nesso causale probabilità logica
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con atto notificato il 30 maggio 2022 Ma.An., illustrato da successiva memoria, ricorre per cassazione avverso la sentenza n. 607/2022 della Corte d’Appello di Palermo del 6/4/2022 con la quale è stato respinto l’appello proposto dal ricorrente avverso la sentenza di primo grado, pronunciata in un giudizio avviato per vedere affermata la responsabilità dei legali cui aveva affidato l’incarico di assisterlo in una causa giuslavoristica in cui era inutilmente spirato il termine per proporre appello. Gli intimati avv.ti De.Lo. e Al.Ro. hanno notificato separati controricorsi, illustrati da memoria; GE.IT. Spa, chiamata in causa dai convenuti qui intimati, ha notificato controricorso, illustrato da memoria.
2. Nel giudizio di primo grado instaurato dal ricorrente innanzi al Tribunale di Trapani, oltre ai legali convenuti, si sono costituiti anche i chiamati in causa dai convenuti, l’avv. Ro.Gi., difensore del Ma.An. nel primo grado di giudizio al quale i legali convenuti addebitano l’eventuale responsabilità, e GE.IT. Spa, la compagnia assicuratrice dei legali dei convenuti, entrambi costituitisi chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale adito ha rigettato la domanda, dopo avere escluso la responsabilità dell’avv. Ro.Gi., rilevando che, nonostante l’inadempimento del mandato professionale imputabile ai due legali convenuti, ai fini dell’affermazione della loro responsabilità per il “danno da intempestiva impugnazione” non fosse possibile effettuare alcuna valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell’appello “poiché nel primo grado di giudizio il Ma.An. non aveva adempiuto all’onere di allegazione circa la possibilità di repêchage (limitandosi a richiedere di essere adibito ad altre mansioni all’interno dell’aeroporto, domanda, peraltro, rinunciata nel corso del giudizio), e in fase di appello sarebbe stato necessario integrare la domanda con l’introduzione di nuovi argomenti ed elementi, così esponendosi ad una eccezione di inammissibilità (eccezione puntualmente spiegata da AI.)”.
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3. Proposto appello dall’odierno ricorrente, per quanto qui ancora di interesse, la Corte adita ha dichiarato inammissibili i primi due motivi di impugnazione per carenza di interesse a impugnare le relative statuizioni (giudicate irrilevanti ai fini del decidere) e rigettato il terzo motivo, diretto al merito del giudizio di responsabilità, sull’assunto che difettasse lo standard minimo di certezza probabilistica (logica e statistica) relativamente al nesso causale tra negligenza degli avvocati e risultato negativo derivatone, richiamando giurisprudenza in proposito; dichiarava assorbito il quarto motivo relativo alla responsabilità aggravata degli avvocati convenuti ex art. 96 c.p.c. e l’appello incidentale condizionato degli odierni resistenti.
4. Il ricorso è affidato a cinque motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
5. Con il primo motivo ex articolo 360 1 comma, n. 3 cod. proc. civ. il ricorrente deduce “Vizio di motivazione apparente ex art. 360 n. 5 c.p.c. in relazione alla chiesta declaratoria di responsabilità aggravata ai sensi degli artt.88 e 96 cpc, per omessa pronunzia, in violazione degli artt. 92, 112, 115 e 116 c.p.c., nonché degli artt. 1176, 1281, 2697 c.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo discusso tra le parti”. Il ricorrente evoca, con una censura articolata, l’omessa pronuncia in merito ai primi due motivi di appello, ritenuti inammissibili dalla Corte territoriale in quanto inerenti a statuizioni del Tribunale non incentrate sulla primaria ragione del decidere, ed al quarto motivo di appello, relativo alla dedotta responsabilità aggravata dei professionisti, dichiarato assorbito per effetto del rigetto della domanda nel merito.
5.1. Il motivo è inammissibile ex art. 366 n. 4 c.p.c.
5.2. La Corte di Appello ha dichiarato inammissibili i primi due motivi per difetto di interesse perché riguardavano statuizioni del giudice di primo grado rese su profili accessori rispetto alla effettiva ratio decidendi della pronuncia di primo grado, inerente alla constatata carenza di un nesso causale tra l’inadempimento dei legali e il danno lamentato.
5.3. Il ricorrente lamenta, a riprova della erroneità della motivazione, una non corretta ricostruzione dei fatti posti a base della domanda con argomentazioni che insistono, di nuovo, sulle violazioni commesse dai legali. Le suddette circostanze, tuttavia, non sono idonee a mettere in crisi la ratio decidendi di cui sopra, che non si fonda sull’avere i suoi difensori (qui controricorrenti) indotto il cliente (qui ricorrente) ad intraprendere un giudizio d’appello infondato in partenza, ma sulla constatazione che l’impugnazione, per quanto tardivamente proposta dai legali del ricorrente, non aveva alcuna chance di essere accolta, e ciò a prescindere dalla valutazione negligente o meno della condotta dei procuratori legali nel suggerire al cliente di intraprendere il giudizio o nell’impostare la difesa, venendo prima la questione del nesso causale tra omessa impugnazione della sentenza di primo grado nei termini e probabile esito della lite. Sebbene tale valutazione abbia un contenuto tecnico-giuridico, essa si risolve in una considerazione “in fatto”, censurabile in sede di legittimità solo sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 28903 del 11/11/2024; Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 24007 del 06/09/2024; Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 2109 del 19/01/2024; Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 10320 del 30/04/2018; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3355 del 13/02/2014).
5.4. Peraltro, la deduzione che il titolo per cui i due legali sono stati chiamati in responsabilità fosse diverso da quello considerato dai giudici di merito, con valutazione doppiamente conforme di tardiva proposizione dell’atto di appello, in realtà, non si dimostra autosufficiente ex art. 366 n. 6 c.p.c., non riportando il motivo, per la parte che rileva, l’atto difensivo da cui è desumibile una censura di errata qualificazione della domanda
(cfr. Sez. U, Sentenza n. 34469 del 27/12/2019).
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5.5. Per altro verso, il motivo erroneamente evoca la proposta domanda di condanna dei legali per lite temeraria ex art. 96 c.p.c. a dimostrazione del fatto che il titolo di responsabilità dedotto fosse diverso, essendo quest’ultima domanda riferita al fatto che i legali avessero insistito su tesi false nel difendersi nel giudizio di responsabilità. Va però sottolineato che la domanda di condanna per lite temeraria ex art. 96 c.p.c. presuppone un indennizzo per la parte vittoriosa, stante il richiamo operato dall’art. 96, comma 3 c.p.c. all’art. 91 c.p.c. e al principio di soccombenza ivi stabilito, ed è strumentale alla domanda principale, non potendo avere valore autonomo, né potendo valere, da sola, a qualificare diversamente la domanda principale (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 15232 del 30/05/2024; Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 19948 del 12/07/2023; Sez. U -, Sentenza n. 9912 del 20/04/2018).
5.6. Anche in considerazione di questo residuale aspetto, la sentenza si dimostra del tutto conforme al requisito del cd” minimo costituzionale” di cui a Cass. SU 8053/2014, non risultando priva di idonea e sufficiente motivazione.
6. Il secondo motivo denuncia la “violazione ex art. 360 n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti violazione artt.112,115. c.p.c., artt.1218 e 2697 c.c. “per avere la Corte di Appello dichiarato assorbito l’appello incidentale condizionato spiegato dai legali convenuti, visto il rigetto dell’appello principale”. Il ricorrente deduce che la Corte avrebbe dovuto rilevare la inammissibilità dell’appello, e dunque pronunciarsi in merito, per non essere stato notificato alla parte rimasta contumace (l’avv. Ro.Gi., difensore della parte nel giudizio di primo grado).
6.1. Il motivo è inammissibile. Va in proposito affermato, in via pregiudiziale, che la parte soccombente riguardo all’appello principale non ha interesse a impugnare la mancata pronuncia sull’ appello incidentale della controparte, in quanto l’onere di impugnazione presuppone la soccombenza della parte, venendo a mancare altrimenti l’interesse ad impugnare, richiesto dall’art. 100 cod. proc. civ. come essenziale requisito del diritto di azione o di eccezione e dello stesso diritto di impugnazione della sentenza (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18691 del 06/09/2007; Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 13395 del 29/05/20189).
7. Con il terzo motivo il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 1218 e 2697 c.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo”. Secondo il ricorrente, il giudice di seconde cure avrebbe omesso di effettuare la necessaria valutazione prognostica circa il probabile esito favorevole dell’azione giudiziaria estintasi per omesso deposito nei termini dell’atto di appello, per la quale non sarebbe necessario il raggiungimento di una certezza che gli effetti di una diversa attività del professionista sarebbero stati vantaggiosi, essendo sufficiente che tale risultato appaia probabile.
7.1. Il motivo incorre nella ragione di inammissibilità di cui all’art. 366 n. 4 c.p.c., perché non è in grado di attingere la ratio decidendi, la quale, contrariamente a quanto assunto nella censura, nel valutare il nesso causale tra condotta negligente degli avvocati e danno conseguente all’ impugnazione tardiva della sentenza, non ha ragionato in termini di raggiunta certezza della infondatezza dell’appello proposto, ma ha chiarito che “la responsabilità dell’avvocato per inadempimento degli obblighi nascenti dalla diligenza professionale postula la verifica del rapporto di causalità ipotetica (per il tramite del giudizio cd. ‘controfattuale’), richiedendosi, cioè, di accertare che ove il difensore avesse tenuto il comportamento dovuto, l’assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni; nel caso di specie, un simile scrutinio comporta inevitabilmente di tenere conto del progetto di riforma cui l’appello (stimato tardivo) anelava” (cfr. sentenza impugnata, p. 8). In breve, la Corte di Appello del tutto correttamente ha, a più riprese, indicato il criterio di probabilità logica e statistica per valutare la sussistenza o meno del nesso causale, in osservanza del principio di diritto sopra richiamato.
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7.2. Ogni altra censura concernente le denunciate violazioni di legge in tema di valutazione delle prove, deve ritenersi del pari inammissibile, in quanto attinente a fatti valutati discrezionalmente dal giudice in merito alla loro rilevanza probatoria, con rispetto dei paradigmi normativamente indicati in tema di prove (così, Sez. U -, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020; Cass., Sez. 6-3, ordinanza n. 26769 del 23/20/2018; Sez. 3, sentenza n. 20382 dell’11/10/2016; Cass. Sez. 3, sentenza n. 11892 del 10/6/2016). Con riferimento all’art. 116 c.p.c., in sede di giudizio di legittimità l’errata applicazione della norma è configurabile solo nei casi in cui si applichi il libero apprezzamento in riferimento a una prova che per legge sia vincolata a determinati criteri di valutazione, ovvero si dichiari di applicare un parametro legale ad una prova invece liberamente apprezzabile, non potendo comportare una diversa valutazione della prova da parte del giudice di legittimità (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016; Cass. sez. VI, 09/12/2020, n. 28105, che espressamente richiama Cass. Sez.3, 05.03.2019, n. 6303; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18092 del 31/08/2020; Cass. Sez. U -, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020).
8. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la “violazione dell’art. 360 n. 3, in relazione agli artt. 3 e 5 L.604/1996,1463 e 1464 c.c. alla luce dell’art. 4 comma 4 L. 68/1999, nonché art. 2087 c.c. ed art. 2013 c.c.”, che deriverebbe dall’avere la Corte di Appello mancato di valutare che il lavoratore Ma.An., qui ricorrente, aveva rinunciato in corso di causa alla domanda di risarcimento per la sua assegnazione a mansioni non idonee al suo stato di salute per il fatto che la stessa convenuta AI. lo aveva nei fatti adibito a mansioni meno pesanti in corso di causa, circostanza che avrebbe dovuto senz’altro far cadere la domanda riconvenzionale della AI. Spa volta a ottenere la risoluzione del rapporto di lavoro per inidoneità lavorativa sopravvenuta del lavoratore, a causa dei reiterati infortuni subiti. La lamentata violazione di legge conseguirebbe dall’avere la Corte di appello violato l’art. 2087 c.c. poiché nessuna prova sarebbe stata fornita dalla resistente AI. Spa sulla impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni anche di livello inferiore, ma anzi, il contrario, avendo di fatto dato esecuzione al c.d. obbligo di repêchage del lavoratore non più idoneo a svolgere la mansione originariamente assegnata.
8.1. Il motivo, per come formulato, è inammissibile ex art. 366 n. 4 c.p.c. perché, anch’esso, non è in grado di attingere la ragione del decidere là dove la Corte d’Appello ha ritenuto che nei motivi di appello “non veniva per converso aggredita la statuizione di rigetto delle domande spiegate dal dipendente, intese al mutamento delle mansioni e al risarcimento del danno” essendo l’appello inteso a riformare la sentenza là dove aveva accolto la domanda riconvenzionale della società datrice di lavoro di risoluzione del rapporto lavorativo per sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa, risultata non adeguatamente contrastata dal lavoratore in prime cure e nel grado di appello, e comunque suffragata da prove offerte dal datore di lavoro circa l’adempimento del suddetto obbligo di offrire una mansione equivalente, tuttavia rifiutata dal lavoratore che è stato temporaneamente assegnato, in corso di causa, a una mansione superiore cui non aveva diritto.
8.2. La Corte di merito, nell’effettuare il giudizio prognostico sul probabile esito dell’impugnazione giuslavoristica con riferimento alla domanda riconvenzionale di AI., ha ritenuto la questione circoscritta alla domanda di risoluzione del rapporto di lavoro, giudicata “probabilmente fondata”, al pari di quanto ritenuto dal giudice del lavoro nel giudizio di primo grado, e ciò in relazione alla infondatezza della eccezione – opposta dal lavoratore – di violazione dell’ obbligo di repêchage da parte del datore di lavoro, posto che il lavoratore aveva già rifiutato una mansione equivalente, e il datore di lavoro aveva provveduto ad integrare la prova notoriamente necessaria ai fini dell’assolvimento di detto obbligo: non rilevavano, all’uopo, le mansioni inferiori dell’organigramma aziendale, ma solo quelle compatibili con le competenze professionali del lavoratore ovvero quelle effettivamente già svolte (contestualmente o in precedenza), non sussistendo un obbligo del datore di lavoro di fornire un’ulteriore o diversa formazione del prestatore per la salvaguardia del posto di lavoro. Ugualmente inammissibile è stata dalla Corte di merito ritenuta la richiesta di emissione di un ordine di esibizione svolta dal lavoratore appellante, poiché “a prescindere dal profilo della tempestività”, “la sollecitazione istruttoria era correlata al cambio mansioni operato da AI. nelle more del giudizio davanti al giudice del lavoro, e quei documenti potevano e dovevano essere prodotti autonomamente dal lavoratore concernendo la sua progressione in carriera e visto ch’era su di lui che gravava la dimostrazione di possedere le capacità professionali necessarie a svolgere le mansioni – afferenti presumibilmente a livello di inquadramento superiori a quello di appartenenza – di marshalling (o smistamento voli) o di fuel boarding (vigilanza sull’aeromobile durante il rifornimento del carburante), o la prova che queste rientravano, in ipotesi, in un livello di inquadramento inferiore” (cfr. sentenza impugnata, in motivazione, p. 11).
8.3. Il motivo appare dunque inammissibile ex art. 366 n. 4 c.p.c. perché si limita a reiterare, in sostanza, la tesi propugnata nell’atto di appello del giudizio giuslavoristico, a confutazione di quanto ritenuto dal giudice del lavoro, omettendo di confrontarsi con la motivazione diffusa di “prognosi di inammissibilità” della suddetta domanda, anche in appello, resa dalla Corte di merito in questo giudizio.
9. Con il quinto motivo il ricorrente censura “Violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. e del Decreto Min. n 55/2014 in relazione alla condanna alle spese di lite ed alla loro entità”, in quanto la Corte d’Appello non avrebbe rispettato lo scaglione previsto nella normativa di settore e non avrebbe considerato la parziale soccombenza dei resistenti sull’appello incidentale autonomo.
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9.1. Il motivo è in parte assorbito dalla rilevata inammissibilità del secondo motivo di ricorso: non vi è stata pronuncia sull’appello incidentale perché esso era condizionato all’accoglimento dell’appello principale. Non essendosi verificata la condizione processuale per il suo esame, la relativa domanda non avrebbe potuto essere valutata ai fini della regolamentazione delle spese processuali. Per la residua parte il “riferimento ad uno scaglione sino ad Euro 2.000.000,00, mentre la domanda complessiva era di un risarcimento complessivo entro Euro 1.500.000,00”, è assolutamente irrilevante, posto che la normativa richiamata individua lo scaglione tra 1 e 2 mln., per cui rimane indifferente un valore, come quello indicato, compreso entro i due estremi.
9.2. Per quanto attiene alle spese poste a favore della terza chiamata dai convenuti, la censura omette di confrontarsi con il principio per cui, una volta che sia stata rigettata la domanda principale, le spese di quest’ultima vanno poste a carico della parte che, rimasta soccombente, abbia provocato e giustificato la chiamata in garanzia, trovando tale statuizione adeguata giustificazione nel principio di causalità, che governa la regolamentazione delle spese di lite, anche se l’attore soccombente non abbia formulato alcuna domanda nei confronti del terzo, e salvo che l’iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria (Cass. n. 8363/10; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 2492 del 08/02/2016; Cass. ord. n. 23123 del 17/09/2019).
10. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile. Attesa la complessità e peculiarità della vicenda, sussistono i presupposti per compensare le spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; compensa le spese tra le parti.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 22 novembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2025.
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