Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|27 gennaio 2025| n. 1903.
Nascita indesiderata: responsabilità medica e volontà interruzione
Massima: In tema di risarcimento del danno da nascita indesiderata conseguente a responsabilità medica, poiché l’interruzione volontaria della gravidanza è legittima in evenienze che restano eccezionali, l’impossibilità della scelta della madre di determinarsi a quella, imputabile a negligente carenza informativa del medico curante, può essere fonte di responsabilità civile a condizione che: a) ricorrano i presupposti normativi di cui all’art. 6 della l. n. 194 del 1978; b) risulti la volontà della donna di non portare a termine la gravidanza. Il relativo onere della prova ricade sulla gestante, ma può essere assolto anche in via presuntiva, sempre che i presupposti della fattispecie facoltizzante siano stati tempestivamente allegati e siano rispettati i requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c..
Ordinanza|27 gennaio 2025| n. 1903. Nascita indesiderata: responsabilità medica e volontà interruzione
Integrale
Tag/parola chiave: Responsabilita’ civile – Professionisti – Attivita’ medico – Chirurgica danno da nascita indesiderata – Interruzione volontaria di gravidanza – Presupposti – Onere probatorio – Presunzioni – Requisiti.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere/Rel.
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere
Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere
Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17127/2023 R.G. proposto da:
ASL TARANTO, nella persona del legale rappresentante pro tempore in atti indicato, rappresentata e difesa dall’avvocato VI.PA., presso l’indirizzo di posta elettronica certificata del quale è domiciliata per legge;
– ricorrente –
contro
Li.Fi. e Sc.An., rappresentati e difesi dall’avvocato PONTRELLI GIOVANNI, presso l’indirizzo di posta elettronica certificata del quale sono domiciliati per legge;
– controricorrenti –
nonché contro
CASA DI CURA Be. Srl,
– intimata-
avverso l’ORDINANZA di questa CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE recante n. 17169/2023, depositata il 15/06/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/01/2025 dal Consigliere PASQUALE GIANNITI.
Nascita indesiderata: responsabilità medica e volontà interruzione
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2013 i coniugi Li.Fi. e Sc.An., sia in proprio che quali esercenti la responsabilità genitoriale sul figlio minore Li.Em., convenivano in giudizio la Azienda Sanitaria Locale di Taranto, chiedendo che fosse dichiarata la responsabilità di quest’ultima per colposa mancata rilevazione ed informazione (in occasione della ecografia morfologica, eseguita sulla persona della Sc.An. il 19 dicembre 2008, dopo i primi 90 giorni di gravidanza e precisamente in corrispondenza della 20 settimana, presso il presidio ospedaliero di Massafra) della grave patologia concernente il nascituro.
A fondamento della domanda risarcitoria gli attori si dolevano che i medici, in occasione della suddetta ecografia, avevano indicato come “visualizzata” la vescica e, quindi, non avevano colposamente rilevato l’estrofia vescicale, di cui il feto era affetto; e, in tal modo, avevano ad essi precluso la possibilità di indirizzarsi con scelta consapevole verso l’interruzione della gravidanza. Aggiungevano che il piccolo Li.Em., una volta nato (il (Omissis)), proprio a causa della suddetta grave patologia, era stato immediatamente sottoposto ad un importante intervento ricostruttivo (purtroppo risultato non risolutivo). Sulla base di tali circostanze concludevano chiedendo il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti in proprio e dal piccolo Li.Em. a causa dell’errore commesso dai medici.
L’Azienda si costituiva contestando la domanda attorea, della quale chiedeva il rigetto; e comunque chiedeva di essere autorizzata a chiamare in causa la Casa di cura Be. Srl, dove il piccolo Li.Em. era nato e dove erano stati eseguiti altri quattro esami ecografici sulla Sc.An. (in data sia anteriore che successiva a quello del 19 dicembre 2008)
Autorizzata la chiamata in causa, si costituiva la Casa di cura Be. Srl, che a sua volta contestava la domanda attorea, della quale chiedeva il rigetto.
Il Tribunale di Taranto, con sentenza n. 3165/2016, rigettava la domanda degli attori, in quanto:
a) i coniugi non avevano allegato, nei termini preclusivi previsti dagli artt. 163 e 183 c.p.c., la sussistenza del grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna (e, in particolare, la sussistenza di manifestazioni depressive);
b) comunque, detto presupposto non era stato in alcun modo provato e affermarne l’esistenza sulla base della generica deduzione contenuta in comparsa conclusionale (ove si leggeva che “nel caso di specie, non può dubitarsi di quelle che sarebbero state le ripercussioni sulla salute psichica di Li.An. ove questa avesse saputo che il piccolo aveva una gravissima malformazione in zona urogenitale…”) avrebbe determinato “l’abrogazione surrettizia del predetto presupposto normativo, dovendo pervenirsi in tal modo alla conclusione che sempre e comunque una notizia (certamente affliggente), quale quella della malformazione del feto, provochi una rilevante probabilità (tale essendo il grave pericolo) per la salute psichica della donna”.
Quanto alla domanda avanzata dai coniugi, quali esercenti la responsabilità genitoriale sul figlio minore, rilevava il Tribunale che le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 25767/2015, avevano negato la configurabilità di un diritto risarcitorio del nascituro.
2. Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponevano appello i coniugi Li.Fi.-Sc.An., insistendo in proprio sulla originaria domanda risarcitoria nei confronti dell’azienda e, subordinatamente, nei confronti della casa di cura Be., ove fosse ritenuta provata la responsabilità anche di quest’ultima.
Si costituivano anche nel giudizio di secondo grado l’ASL Taranto e la casa di cura Be. Srl, che chiedevano il rigetto dell’appello con conferma della sentenza di primo grado.
La Corte d’Appello di Lecce – dopo aver istruita la causa con c.t.u. medico legale al fine di accertare “Se, avuto riguardo all’epoca di gestazione di Sc.An., sussistevano le condizioni cliniche e strumentali per formulare la diagnosi della riscontrata patologia di cui è affetto il minore Li.Em., al momento del rispettivo intervento di ciascuno dei professionisti appellati, specificando se sussistano e quali profili di responsabilità medica, a chi siano imputabili ed eventualmente in quale misura percentuale” – con sentenza n. 119/2020, in accoglimento dell’impugnazione, riformava integralmente la sentenza di primo grado.
Nascita indesiderata: responsabilità medica e volontà interruzione
In particolare, la corte di merito, rovesciando la sentenza di primo grado, riteneva provato per presunzione il “pericolo per la salute fisica o psichica della donna” (presupposto richiesto dall’art. 6 della legge n. 194/1978 per poter ritenere legittima l’interruzione volontaria della gravidanza dopo i primi 90 giorni), “in termini quanto meno di presumibile depressione”, sulla base di alcuni elementi indizianti (che saranno di seguito precisati); e, senza alcun riferimento alla espletata consulenza tecnica, riteneva provato il colposo inadempimento dei sanitari, in quanto: a) il referto della ecografia morfologica del 19 dicembre 2008 indicava la visualizzazione della vescica fetale, mentre il piccolo Li.Em. era nato affetto da estrofia vescicale; b) l’Azienda convenuta non aveva prodotto fotografie della suddetta ecografia morfologica, dalla quale risultasse effettivamente indagata la vescica del nascituro (e, quindi, l’eventuale errore incolpevole dei sanitari).
3. Avverso la sentenza della corte territoriale la ASL di Taranto proponeva ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi e iscritto al n. 18179/20 r.g. di questa Corte.
Resistevano con separati controricorsi: sia i coniugi Li.Fi.-Sc.An., che la casa di cura Be. Srl
Per l’adunanza del 28 febbraio 2023 il Procuratore Generale non rassegnava conclusioni scritte mentre i coniugi Li.Fi.-Sc.An. presentavano memoria.
Questa Corte, con ordinanza n. 17169/2023, dichiarava improcedibile il ricorso sul presupposto che l’azienda ricorrente non aveva provveduto a depositare la copia notificata della sentenza impugnata, richiesta a pena di improcedibilità dall’art. 369, secondo comma, c.p.c. e, comunque, la notificazione del ricorso era avvenuta oltre il sessantesimo giorno dalla data di pubblicazione della sentenza.
4. Avverso detta ordinanza di questa Corte l’Azienda ha proposto ricorso per revocazione (qualificandolo erroneamente straordinario ex art. 111 comma settimo), denunciando l’illegittimità di detta ordinanza ed insistendo nella richiesta di cassazione della sentenza n. 119/2020 della Corte di appello di Lecce per i motivi indicati nel ricorso originario (dichiarato improcedibile).
Hanno resistito con controricorso i coniugi Li.Fi.-Sc.An.
Per l’odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte, mentre il Difensore dell’azienda ricorrente ha depositato memoria insistendo nell’accoglimento del ricorso.
La Corte si è riservata il deposito della motivazione entro il termine di giorni sessanta dalla decisione.
Nascita indesiderata: responsabilità medica e volontà interruzione
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso per revocazione dell’Azienda Sanitaria Locale di Taranto va esaminato in primo luogo quanto alla fase rescindente.
1.1. Al riguardo, l’Azienda Sanitaria Locale di Taranto censura la ordinanza n. 17169/2023 di questa Corte per violazione di legge (con riferimento all’art. 24 Cost., nonché con riferimento dell’art. 83 del Decreto Legge 17.3.2020 n. 18, convertito con modificazioni in Legge 24.4.2020 n. 27, e dell’art. 36 del Decreto Legge 8.4.2020 n. 23, convertito con modificazioni in Legge 5.6.2020 n. 40), nella parte in cui non è stato tenuto conto della sospensione straordinaria dei termini a seguito della legislazione emergenziale da Covid-19 e, conseguentemente, è stato dichiarato improcedibile il ricorso da essa presentato avverso la sentenza della Corte d’Appello di Lecce.
1.2. Il motivo è ammissibile e fondato.
In punto di ammissibilità, deve darsi continuità all’orientamento di legittimità per il quale l’errore nel computo di uno dei termini variamente incidenti ai fini di una definizione in rito dell’impugnazione integra appunto un errore revocatorio, rilevante ai fini degli artt. 391-bis e 395, n. 4, c.p.c. (Cass. 23445/2014 e Cass. 4565/20118).
Quanto poi al “merito cassatorio” del motivo rescindente in esame, è noto che gli artt. 83 del D.L. n. 18/2020 e 36 del DL n. 23/2020 hanno complessivamente previsto (rispettivamente, il primo dal 9 marzo al 15 aprile 2020, il secondo ha prorogato il termine dal 15 aprile all’11 maggio 2020) la sospensione dei termini processuali per il compimento di “qualsiasi” atto dei procedimenti civili e penali dal 9 marzo all’11 maggio 2020 in relazione all’emergenza sanitaria determinata dalla pandemia da Covid-19.
In virtù delle suddette disposizioni normative che hanno disposto la sospensione straordinaria dei termini processuali per l’emergenza sanitaria da Covid-19, sono rimasti sospesi tutti i termini relativi alle impugnazioni civili.
Ne consegue che nel caso di specie – nel quale la sentenza della corte di appello di Lecce era stata pubblicata il 27 marzo 2020 (cioè in pendenza della suddetta sospensione straordinaria dei termini) e i detti termini hanno ripreso a decorrere a partire dall’11 maggio 2020 – il termine breve di sessanta giorni dalla pubblicazione del provvedimento impugnato sarebbe spirato il 10 luglio 2020, mentre il ricorso avverso la sentenza della corte territoriale è stato notificato il 6 luglio 2020, quando il suddetto termine breve non era spirato.
In definitiva, il ricorso presentato dalla ASL di Taranto avverso la sentenza n. 119/2020, pronunciata dalla Corte d’Appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, era procedibile in virtù del principio di diritto (ripetutamente affermato da questa Corte – cfr., ad iniziare da Cass. 17066/2013 e poi, tra le tante, Cass. n. 11386/2019 e n. 18645/2015 – e richiamato anche all’interno dell’ordinanza qui gravata), secondo il quale il ricorso per cassazione deve egualmente ritenersi procedibile ove risulti, dallo stesso, che la sua notificazione si è perfezionata, dal lato del ricorrente, entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza, poiché il collegamento tra la data di pubblicazione della sentenza (indicata nel ricorso) e quella della notificazione del ricorso (emergente dalla relata di notificazione dello stesso) assicura comunque lo scopo, cui tende la prescrizione normativa, di consentire al giudice dell’impugnazione, sin dal momento del deposito del ricorso, di accertarne la tempestività in relazione al termine di cui all’art. 325, comma 2, cod. proc. civ.
Per la ragione che precede, l’ordinanza n. 17169/2023 di questa Corte non può che essere revocata.
Nascita indesiderata: responsabilità medica e volontà interruzione
2. Passando alla fase rescissoria della qui dispiegata revocazione, l’azienda ha articolato quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo (pp. 10-22) essa ha denunciato “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1218, 2697, 2727 e 2729 cod. civ.; artt. 115 e 116 c.p.c., art. 6 L. 194/78 e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, nonché motivazione apparente ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.”, nella parte in cui la corte territoriale, da un lato, ha ritenuto provati per presunzione i presupposti per l’interruzione della gravidanza della Sc.An.; e, dall’altro, ha ritenuto sussistente il suo inadempimento, pur dando atto che era stato “genericamente allegato”, senza neppure considerare le risultanze della c.t.u. da essa disposta.
A) Quanto al primo profilo, la ricorrente – nell’evidenziare (p. 14 e p. 21) che la prova per presunzione, certamente applicabile alla materia in esame, non può prescindere dalla tempestiva allegazione del fatto per il quale ci si voglia giovare della prova presuntiva; e che tale allegazione è nella specie del tutto mancante, come correttamente era stato rilevato dal giudice di primo grado – quanto agli elementi indiziari, individuati dalla corte di merito, osserva che:
a) anche alla luce del principio fissato da Cass. n. 12264/2014, la richiesta di accertamenti diagnostici non ha di per sé alcun valore indiziante “essendo diverse le ragioni che possono spingere la donna ad esigerli, ed il medico a prescriverli, a partire dalla elementare volontà di gestire al meglio la gravidanza, pilotandola verso un parto che, per le condizioni, il tempo ed il tipo, sia il più consono alla nascita di quel figlio quand’anche malformato”; d’altra parte, non risulta che la donna si sia sottoposta ad esami diagnostici invasivi (come la amniocentesi o villocentesi) o ad esami probabilistici (come bitest o tritest), che solitamente vengono effettuati per verificare lo stato di salute del feto ed eventuali malformazioni dello stesso;
b) la grave malformazione, di cui il piccolo Li.Em. risultò poi affetto alla nascita, non incide sui requisiti richiesti dall’art. 6 della legge n. 194/1978 (che, dopo i primi 90 giorni di gestazione, ammette il ricorso all’interruzione di gravidanza solo in caso di gravissime ripercussioni sulla salute o pericolo di vita per la gestante) e, d’altra parte, la stessa corte territoriale ha testualmente affermato (sentenza impugnata, p. 13) che non risultavano “dimostrati i soli allegati “gravi problemi” che sarebbero comunque residuati successivamente”;
c) benché tale elemento non fosse stato neppure allegato dalla Sc.An. (p. 15), la “presumibile depressione” è stata desunta dalla corte di merito da manifestazioni di pensiero “non assolutamente precise esternate dalla Li.Fi., e per come narrate dai testimoni (zia, cognata e sorella della medesima Li.Fi. – cfr. udienza 5/6/2015), in ordine a mancanza di “coraggio” di portare a termine la gravidanza ove il nascituro fosse risultato avere “gravi malattie””.
In definitiva, secondo l’azienda ricorrente, sulla base dei suddetti elementi indiziari, la corte territoriale ha erroneamente ritenuto provati: sia i presupposti alla cui sussistenza l’articolo 6 della legge n. 194/1978 subordina la possibilità per la donna di procedere ad interruzione volontaria della gravidanza dopo i primi 90 giorni della stessa (e, in particolare, il grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna); sia la volontà della Sc.An. di interrompere la gravidanza nel caso in cui fosse stata informata della malformazione del feto che portava nel grembo.
B) Quanto al secondo profilo (e, quindi, alla denunciata violazione dell’art. 1218 c.c.), la ricorrente osserva (p. 15) che “a fronte di una c.t.u. (peraltro disposta dalla stessa, perché il Tribunale non aveva disposto tale accertamento) che conclude affermando che “non si ravvisano profili di responsabilità medica sia per i sanitari che hanno effettuato l’ecografia morfologica che i successivi controlli ecografici”, la Corte ha invece ritenuto provato “l’allegato colposo inadempimento dei sanitari in ordine alla mancata constatazione della malformazione de qua” (pag. 9 Sentenza d’Appello)”.
Sottolinea che il c.t.u. aveva dato una analitica spiegazione del perché la condotta dei sanitari fosse esente da censura ed in particolare aveva rilevato che “la diagnosi basata sulla mancata visualizzazione della vescica è difficile e frequenti sono i falsi negativi. In letteratura sono indicati almeno cinque aspetti diagnostici associati con l’estrofia vescicale: 1. Mancata visualizzazione all’ecografia della vescica in 12 su 17 cases (71%)…”.
Nascita indesiderata: responsabilità medica e volontà interruzione
In definitiva, secondo l’azienda ricorrente, l’accertamento peritale ha definitivamente accertato che nessun inadempimento colpevole è attribuibile alle Strutture sanitarie che ebbero in cura la Sc.An. durante la gravidanza. In ogni caso, quand’anche il c.t.u. avesse ravvisato la colpa dei sanitari nella mancata diagnosi della malformazione, la Sc.An., per vedere accolta la domanda risarcitoria inerente la presunta lesione del suo diritto all’autodeterminazione, avrebbe dovuto provare elementi (precisamente: che la diversa condotta dei sanitari avrebbe consentito la diagnosi precoce della patologia; che sussistevano i presupposti indicati dall’art. 6 della legge n. 194/1998; che sarebbe stata sua volontà ricorrere all’interruzione della gravidanza, se fosse stata informata delle malformazioni del concepito), che invece non erano risultati provati.
2.2. Con il secondo motivo (pp. 22-25) l’azienda ricorrente ha denunciato: “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1218, 2697, 2727 e 2729 cod. civ; artt. 115 e 116 c.p.c., e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, errato esame e valutazione delle prove, nonché motivazione apparente ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.” nella parte in cui la corte territoriale, senza alcuna motivazione, ha disatteso le risultanze della CTU medico legale (che, come già rilevato nel primo motivo, aveva dato una analitica spiegazione del perché la condotta dei sanitari fosse esente da censura).
Non mette in discussione l’azienda ricorrente il fatto che non sussiste per il giudice di merito alcun obbligo di attenersi alle risultanze della c.t.u., ma si duole del fatto che la corte territoriale ha deciso di riformare la sentenza di primo grado (che, si ribadisce, aveva rigettato la domanda risarcitoria attorea), “dopo aver disposto sua sponte una perizia e sulla base di testimonianze per sua stessa ammissione contraddittorie”.
Invocando principi di diritto affermati da questa Corte (e in particolare da Cass. n. 1294/2017 e n. 13922/2016) e riprendendo argomenti già svolti nel primo motivo, sottolinea che il c.t.u. aveva negato ogni sua responsabilità e che, in via generale, il giudice di merito, per discostarsi dagli esiti e dalle risultanze delle operazioni peritali, deve soddisfare uno specifico onere motivazionale, mentre nel caso di specie la espletata c.t.u. “non è stata minimamente presa in considerazione”.
Ribadisce (p. 24) che il presunto inadempimento nella verificazione del danno al diritto all’autodeterminazione è privo di adeguato supporto probatorio, “visto che la c.t.u. nulla dice sul pericolo di vita o alla salute della gestante, unico presupposto legittimante il ricorso all’interruzione della gravidanza per la sua epoca gestazionale”.
2.3. Con il terzo motivo (pp. 25-28) l’azienda ricorrente ha denunciato: “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2056, 2727 e 2729 cod. civ; artt. 115 e 116 c.p.c. e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, nonché motivazione apparente ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.” nella parte in cui (sentenza impugnata, pp. 12-14) la corte territoriale – in assenza di prova – ha erroneamente quantificato e liquidato il danno, patrimoniale e non, invocato dai coniugi Li.Fi. – Sc.An.
Si duole che corte di merito, pur rilevando (p. 12) una “mancata allegazione (e dimostrazione, cfr. Cass. 1951/2018) di circostanze fattuali che possano condurre ad esatta quantificazione del danno subito dagli appellanti, del tutto genericamente da essi indicato in una somma” – non soltanto non ha rigettato la domanda, ma ha anche liquidato una somma in misura ben superiore al minimo della forbice prevista dalle Tabelle milanesi.
Osserva che la corte di merito non avrebbe dovuto provvedere ad alcuna liquidazione a favore del Li.Fi., mancando, in capo al padre, la legittimazione attiva e/o la legittimazione dal lato attivo della domanda.
2.4. Con il quarto motivo (pp. 28-29) l’azienda ricorrente ha denunciato: “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1218, 2697, 2727 e 2729 cod. civ; artt. 115 e 116 c.p.c., e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, errato esame e valutazione delle prove, nonché motivazione apparente ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.” nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto non concorrente causalmente alla determinazione dell’evento la condotta dei Sanitari della Casa di Cura terza chiamata.
Nascita indesiderata: responsabilità medica e volontà interruzione
Sostiene che un’eventuale responsabilità circa la mancata diagnosi della patologia avrebbe dovuto essere al più ricercata nel comportamento tenuto dalla struttura privata Casa di Cura Be. che seguì integralmente la gravidanza della Sc.An. (parto compreso) eccezion fatta per la sola ecografia del 19.12.2008.
Evidenzia al riguardo che in data 26 gennaio 2009 era stata effettuata presso detta struttura privata “un’ecografia dal cui referto emergerebbe la mancata visualizzazione, fra gli altri, dei 2 reni e della vescica”.
3. I primi due motivi – che, in quanto parzialmente connessi, sono qui trattati congiuntamente – sono entrambi fondati, nei termini di seguito indicati.
3.1. In via preliminare, occorre sottolineare la rilevanza, nel vigente sistema processuale, dell’onere di allegazione – inteso quale situazione giuridica soggettiva processuale consistente nel dovere gravante sull’attore e sul convenuto di allegare ritualmente (in modo chiaro, completo e nelle forme previste) e tempestivamente (prima della maturazione delle preclusioni assertive, generalmente cadenti, nella tempistica processuale, prima di quelle istruttorie), rispettivamente, i fatti costitutivi del diritto azionato e i fatti impeditivi, modificativi od estintivi di tale diritto, in funzione dell’interesse ad ottenere una pronuncia sul merito della domanda proposta e delle eccezioni in senso proprio eventualmente sollevate.
Il fondamento di detto onere (e della successiva decadenza dall’allegazione ove non assolto, con conseguente inammissibilità della domanda per violazione del divieto di nova) viene correttamente individuato in alcuni principi cardini del processo di cognizione, ovverosia: nel principio del contraddittorio (avente rilevanza costituzionale), nel principio dell’impulso di parte (art. 99 cod. proc. civ.) e nel principio dispositivo, inteso sia in senso materiale (art. 112 cod. proc. civ.) che in senso formale (art. 115 cod. proc. civ.).
La rilevanza dell’assolvimento di detto onere è stata di recente accentuata dal legislatore, in quanto, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 149/2022, la barriera preclusiva assertiva è stata anticipata rispetto alla udienza di prima comparizione delle parti e trattazione della causa di cui all’art. 183 cod. proc. civ. (e precisamente a livello della prima memoria integrativa ex art. 171-ter cod. proc. civ.).
3.2. Tanto premesso, sono ormai passati quasi dieci anni da quando le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 25767/2015, componendo un contrasto di giurisprudenza nei precedenti arresti di legittimità, hanno affrontato il controverso tema del danno da nascita indesiderata e, in particolare:
a) la questione relativa al riparto dell’onere probatorio ed ai mezzi con cui provare il danno subìto dalla donna a causa della nascita indesiderata di un figlio affetto da handicap (ponendo detto onere a carico della gestante e prevedendo che esso possa essere assolto anche per presunzione); nonché
b) la questione della legittimazione attiva del nato malformato ad ottenere il risarcimento per non poter condurre una vita “sana e dignitosa” (escludendo che nel nostro ordinamento possa trovare spazio l’aborto eugenetico e sia configurabile un diritto a non nascere se non sani).
Il Collegio ritiene utile ripercorrere i fatti ed i giudizi di merito che hanno preceduto quella sentenza.
Una coppia aveva intentato azione risarcitoria nei confronti, oltre che della ASL, anche del ginecologo che aveva assistito la signora durante la gravidanza. Gli attori si erano doluti che il medico non avesse prontamente diagnosticato la sindrome di Down della figlia e che, pertanto, la donna non fosse stata messa nelle condizioni di poter praticare l’aborto c.d. terapeutico. Sia il giudice di primo grado che il giudice di appello avevano respinto le domande attoree. In particolare, quanto alla posizione della madre, i giudici di merito avevano affermato che il risarcimento del danno non conseguiva automaticamente all’inadempimento dell’obbligo di esatta informazione a carico del sanitario su possibili malformazioni del nascituro, bensì era soggetto alla prova della sussistenza delle condizioni previste dall’art. 6, L. 194/1978. Ciò in quanto l’interruzione volontaria di gravidanza, nello spirito della legge 194/1978, è consentita per evitare un pericolo per la salute della gestante ed è subordinata a requisiti specifici – che la stessa gestante è tenuta a provare – in assenza dei quali l’aborto costituisce reato. Dato che, sul punto, gli attori non avevano fornito neppure delle specifiche allegazioni, limitandosi ad affermare che corrispondeva a regolarità causale il rifiuto della gestante, se correttamente informata, a portare a termine la gravidanza, l’onere della prova non era stato considerato soddisfatto. Né, secondo la corte di merito, sarebbe stato possibile supplire al difetto di prova mediante l’esperimento di una consulenza tecnica d’ufficio. Quanto poi alla posizione del figlio affetto da trisomia 21, era stata negata la sua egittimazione attiva nell’azione risarcitoria contro il medico, sostenuta dai ricorrenti sulla base di un diritto a non nascere se non sano.
Nascita indesiderata: responsabilità medica e volontà interruzione
Avverso la sentenza della corte territoriale, i genitori della bambina avevano dispiegato ricorso in Cassazione. Secondo i ricorrenti, la prova dell’inadempimento del medico sarebbe stata di per sé sufficiente a dimostrare il danno subìto dalla gestante, senza necessità di fornire alcuna ulteriore prova in merito alla sussistenza dei presupposti di cui all’art. 6, L. 194/1978. Ciò in quanto corrisponderebbe “a regolarità causale il rifiuto della gestante, se correttamente informata, a portare a termine la gravidanza”.
Le Sezioni Unite, confermando sul punto la decisione della Corte di merito, hanno respinto tale tesi, sottolineando che nel nostro ordinamento l’aborto costituisce una “possibilità legale” di “natura eccezionale” (sottoposta alla verifica di ben specifici presupposti, i quali “non possono che essere allegati e provati dalla donna, ex art. 2697 cod. civ.”) e ricordando che la L. 194/1978 vieta l’interruzione volontaria di gravidanza “come strumento di pianificazione familiare, o mezzo di controllo delle nascite, e “a fortiori” in funzione eugenetica”.
La decisione della corte territoriale, invece, è stata cassata nel punto in cui la corte di merito aveva dichiarato inammissibile l’esperimento della C.T.U psichica.
A tal riguardo, le Sezioni Unite:
– hanno evidenziato che l’onere probatorio posto a carico della gestante, che voglia accedere all’aborto c.d. “terapeutico”, concerne: a) “la rilevante anomalia del nascituro”, b) “l’omessa informazione da parte del medico”; c) “il grave pericolo per la salute psico-fisica della donna”; d) “la scelta abortiva di quest’ultima”, dando atto del fatto che “la prova verte anche su un fatto psichico: e cioè, su uno stato psicologico, un’intenzione, un atteggiamento volitivo della donna, che la legge considera rilevanti”, del quale “non si può dire che esso sia oggetto di prova in senso stretto”;
– hanno statuito che: “I presupposti della fattispecie facoltizzante non possono che essere allegati e provati dalla donna ex art. 2697 c.c., con un riparto che appare del resto rispettoso del canone della vicinanza della prova”;
– hanno statuito che la prova “della malattia grave, fisica o psichica, che giustifichi il ricorso all’interruzione della gravidanza, nonché della sua conforme volontà di ricorrervi” può essere data per “praesumptio hominis, rispondente ai requisiti di cui all’art. 2729 cod. civ.”; in altri termini, hanno statuito che è possibile ricostruire la sussistenza dei suddetti fatti, “sulla base non solo di correlazioni statisticamente ricorrenti, secondo l’id quod plerumque accidit… ma anche di circostanze contingenti, eventualmente anche atipiche emergenti dai dati istruttori raccolti”, tra i quali, hanno indicato ad esempio “il ricorso al consulto medico proprio per conoscere le condizioni di salute del nascituro; le precarie condizioni psico-fisiche della gestante, eventualmente verificabili tramite consulenza tecnica d’ufficio; pregresse manifestazioni di pensiero, in ipotesi, sintomatiche di una propensione all’opzione abortiva in caso di grave malformazione del feto”.
Per tali ragioni, le Sezioni Unite – dopo aver sottolineato che “il tema d’indagine principale diventa quello delle inferenze che dagli elementi di prova possono essere tratte” – hanno cassato la sentenza della corte territoriale nella parte in cui aveva omesso “di prendere in considerazione la possibilità di una prova presuntiva, in concreto desumibile dai fatti allegati”.
3.3. Fatta tale premessa ricostruttiva dell’approdo nomofilattico nella tematica oggetto di causa, va ora ricordato che, in tema di ragionamento presuntivo, le Sezioni Unite di questa Corte, già con le note sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014 – nello scrutinare il significato del nuovo n. 5 dell’art. 360 cod proc. civ. e “nel farsi carico dell’allarme di parte della dottrina sulla “scomparsa” del controllo sull’applicazione da parte del giudice di merito delle presunzioni hominis” (così testualmente, Cass. n. 17720/2018), avevano sottolineato (paragrafo 14.8.1.) che: “… la peculiare conformazione del controllo sulla motivazione non elimina, sebbene riduca (ma sarebbe meglio dire, trasformi), il controllo sulla sussistenza degli estremi cui l’art. 2729 c.c., comma 1, subordina l’ammissione della presunzione semplice. In realtà è in proposito possibile il sindacato per violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Ciò non solo nell’ipotesi (davvero rara) in cui il giudice abbia direttamente violato la norma in questione deliberando che il ragionamento presuntivo possa basarsi su indizi che non siano gravi, precisi e concordanti, ma anche quando egli abbia fondato la presunzione su indizi privi di gravità, precisione e concordanza, sussumendo, cioè, sotto la previsione dell’art. 2729 c.c., fatti privi dei caratteri legali, e incorrendo, quindi, in una falsa applicazione della norma, esattamente assunta nella enunciazione della “fattispecie astratta”, ma erroneamente applicata alla “fattispecie concreta””.
Successivamente, le Sezioni Unite con sent. n. 1785/2018 – nell’indicare le modalità con cui il ragionamento presuntivo ex art. 2729 c.c. può essere censurato ai sensi dell’art. 360 comma primo numero 3 c.p.c. – hanno avuto modo di spiegare (pp. 14 ss.) che:
a) la gravità allude ad un concetto logico, generale o speciale (cioè, rispondente a principi di logica in genere oppure a principi di una qualche logica particolare, per esempio di natura scientifica o propria di una qualche lex artis), che esprime nient’altro che la presunzione si deve fondare su un ragionamento probabilistico, per cui dato un fatto A noto è probabile che si sia verificato il fatto B;
b) la precisione esprime l’idea che l’inferenza probabilistica conduca alla conoscenza del fatto ignoto con un grado di probabilità che si indirizzi solo verso il fatto B e non lasci spazio, sempre al livello della probabilità, ad un indirizzarsi in senso diverso, cioè anche verso un altro o altri fatti;
c) la concordanza esprime un requisito del ragionamento presuntivo, che non lo concerne in modo assoluto, cioè di per sé considerato, come invece gli altri due elementi, bensì in modo relativo, cioè nel quadro della possibile sussistenza di altri elementi probatori, volendo esprimere l’idea che, in tanto la presunzione è ammissibile, in quanto indirizzi alla conoscenza del fatto in modo concordante con altri elementi probatori, che, peraltro, possono essere o meno anche altri ragionamenti presuntivi.
Nascita indesiderata: responsabilità medica e volontà interruzione
Ed hanno altresì spiegato che, nella vigenza dell’art. 360 comma primo n. 5 c.p.c. nuova formulazione, l’eventuale erronea applicazione dell’art. 2729 c.c. sotto il profilo della sussunzione non è preclusa dal carattere limitativo del controllo della motivazione proprio del detto nuovo n. 5 ogniqualvolta:
a) in riferimento al requisito della gravità, difetti la c.d. inferenza probabilistica;
b) con riguardo a quello della precisione, la presunzione presenti inferenze probabilistiche plurime (e non la sola assunta dal giudice di merito);
c) rispetto alla concordanza, quando vi siano elementi probatori dissonanti rispetto alla presunzione;
3.4. Sul solco tracciato dalle suddette pronunce, la successiva giurisprudenza di legittimità a sezione semplice ha avuto modo di precisare, con specifico riferimento al tema del risarcimento del danno da nascita indesiderata, (cfr., tra le più recenti, Cass. n. 18327/2023), che: “In tema di risarcimento del “danno da nascita indesiderata”, la prova, incombente sulla danneggiata, della volontà di esercitare la facoltà di interrompere la gravidanza può essere fornita anche mediante presunzioni, le quali devono essere valutate dal giudice secondo un modello “atomistico-analitico”, fondato sul rigoroso esame di ciascun singolo fatto indiziante e sulla successiva valutazione congiunta, complessiva e globale, degli stessi, da compiersi alla luce dei principi di coerenza logica, compatibilità inferenziale e concordanza”.
3.5. Quanto poi al mancato esame delle risultanze della c.t.u., è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. tra le tante, Cass. n. 13399/2018 e n. 13922/2016) il principio per cui detto mancato esame “integra un vizio della sentenza che può essere fatto valere, nel giudizio di cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., risolvendosi nell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.
Quanto precede, fermo restando che (Cass. n. 5148/2011), “Le valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio non hanno efficacia vincolante per il giudice e, tuttavia, egli può legittimamente disattenderle soltanto attraverso una valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata, dovendo il giudice indicare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del c.t.u.”.
4. Tali principi di diritto non sono stati rispettati nel caso di specie, nel quale la corte territoriale, come per l’appunto si duole l’azienda ricorrente:
– ha riformato la sentenza del giudice di primo grado (che aveva rilevato la mancata allegazione nei termini preclusivi previsti dal codice di rito della sussistenza del grave pericolo per la salute psichica della donna, nonché l’omissione nei medesimi termini di qualunque attività deduttiva del suddetto presupposto), senza indicarne le ragioni per le quali detta mancata allegazione e detta mancata deduzione sarebbero state erroneamente ritenute: e, così, con motivazione mancante;
– con motivazione contraddittoria, ha ritenuto provato che la Sc.An., se avesse conosciuto le malformazioni da cui era purtroppo affetto il feto, avrebbe interrotto la gravidanza, sulla base di manifestazioni di pensiero, che la stessa corte di merito stessa ha ritenuto “non assolutamente precise”;
– ha erroneamente dato rilevanza probatoria esclusiva alla circostanza che la donna si era sottoposta a più di una visita di controllo e a più ecografie, senza considerare che tale elemento di per sé non è univocamente indicativo di volontà abortiva, potendo invece essere astrattamente indicativo della volontà della donna di gestire al meglio la propria gravidanza;
– ha riformato la sentenza del giudice di primo grado, (che aveva ritenuto non provati dalla donna i presupposti normativi, che rendono legittimo il ricorso all’interruzione della gravidanza dopo il 90 giorno), senza indicare le ragioni per cui ha ritenuto provato il grave pericolo per la salute psichica della donna (e, in particolare, senza spiegare la portata indiziante e la inferenza probabilistica dei tre indicati elementi, in termini di “presumibile depressione”, peraltro in assenza di c.t.u. psichica): e, così, anche in tal caso con motivazione mancante;
– pur ritenendo generica l’allegazione dell’inadempimento contrattuale dell’azienda, ha ritenuto sussistente quest’ultimo, a ben vedere senza neppure identificare l’oggetto della prestazione inadempiuta o imperfettamente adempiuta;
– con motivazione apparente, in riforma della sentenza di primo grado e dopo aver disposto una c.t.u. medico legale (che non aveva ravvisato profili di responsabilità medica per i sanitari), ha invece ritenuto provato il colposo inadempimento dei sanitari (si ribadisce, genericamente allegato dalla parte), non soltanto senza spiegare perché abbia assunto una posizione divergente rispetto a quella del suo ausiliario, ma senza neppure fare a questi riferimento; e dovendo definirsi un non consentito paralogismo la conclusione della sussistenza della colpa nell’espletamento degli esami oggetto di obbligazione contrattuale, quale causa del danno patito dalla controparte, in base esclusivamente al fatto che il danno si era poi verificato.
5. In definitiva, il ricorso viene deciso sulla base dei seguenti principi di diritto:
“In tema di responsabilità medica e di risarcimento del danno da nascita indesiderata, poiché l’interruzione volontaria della gravidanza è legittima in evenienze che restano eccezionali, l’impossibilità della scelta della madre di determinarsi a quella, che sia imputabile a negligente carenza informativa del medico curante, può essere fonte di responsabilità civile, sempre che: a) ricorrano i presupposti normativi di cui all’art. 6 della legge 22 maggio 1978 n. 194; b) risulti la volontà della donna di non portare a termine la gravidanza. Il relativo onere della prova ricade sulla gestante, ma può essere assolto anche per via presuntiva, sempre che i presupposti della fattispecie facoltizzante siano stati tempestivamente allegati e siano rispettati i requisiti di cui all’art. 2729 c.c.”.
“In tema di ragionamento presuntivo, quando il giudice di merito sussume erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione semplice ex art. 2729 c.c. (gravità, precisione e concordanza) fatti concreti accertati che non sono invece rispondenti a quei caratteri, il suo ragionamento probatorio è censurabile alla stregua dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 e compete, dunque, alla Corte di cassazione controllare se la norma dell’art. 2729 cod. civ., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta dal giudice di merito, lo sia stata anche a livello di applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta”.
“In tema di presunzioni semplici, di cui all’art. 2729 cod. civ., è deducibile come vizio di violazione e falsa applicazione di norma di diritto ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. l’ipotesi in cui il giudice di merito fonda la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza da esso della conseguenza ignota, così sussumendo sotto la norma dell’art. 2729 cod. civ. fatti privi di quelle caratteristiche e, quindi, incorrendo in una sua falsa applicazione, giacché dichiara di applicarla assumendola esattamente nel suo contenuto astratto, ma lo fa con riguardo ad una fattispecie concreta che non si presta ad essere ricondotta sotto tale contenuto, cioè sotto la specie della gravità, precisione e concordanza”.
6. Ne consegue che, in accoglimento dei motivi in esame – assorbito il terzo motivo (concernente la quantificazione del danno) e ritenuto inammissibile il quarto (per difetto di autosufficienza sui tempi ed i modi in cui sarebbe stata sottoposta alla Corte d’Appello la questione della responsabilità concorsuale della casa di cura e dell’operatività della azione di regresso) – la sentenza deve essere cassata; e tanto, essendo necessari altri accertamenti di fatto, con rinvio alla stessa corte territoriale in altra composizione, perché proceda a nuovo esame dell’impugnazione proposta avverso la sentenza n. 3165/2016 del Tribunale di Taranto, senza incorrere nei vizi sopra evidenziati ed alla luce dei principi sopra ribaditi.
Si rimette al giudice del rinvio la regolazione delle spese, anche del presente giudizio di legittimità.
Infine, per la natura della causa petendi, va di ufficio disposta l’omissione, in caso di diffusione del presente provvedimento, delle generalità e degli altri dati identificativi dei controricorrenti e del minore, ai sensi dell’art. 52 D.Lgs. 196 del 2003.
P.Q.M.
La Corte:
– in accoglimento del ricorso per revocazione, revoca l’ordinanza n. 17169/2023, depositata da questa Corte il 15/06/2023;
– pronunciando sul ricorso originario, già iscritto al n. 18179/20 r.g. di questa Corte: accoglie, per quanto di ragione, il primo ed il secondo motivo, assorbito il terzo e dichiarato inammissibile il quarto; cassa la sentenza n. 119/2020 della Corte d’Appello di Lecce, alla quale, in diversa composizione, rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità;
– dispone che, ai sensi dell’art. 52 D.Lgs. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento siano omessi generalità ed altri dati identificativi dei controricorrenti e del minore.
Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2025.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2025.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
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