Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|26 novembre 2024| n. 30494.
Mancato guadagno appalto: indennizzo con aliquota forfettaria
Massima: Qualora sia difficile raggiungere una dimostrazione sicura sull’entità del pregiudizio con riferimento ai rapporti giuridici ad esecuzione prolungata, tra i quali ricade l’appalto privato, l’indennizzo spettante all’appaltatore per il danno da mancato guadagno patito a causa del recesso unilaterale del committente può essere quantificato in via equitativa applicando per analogia l’aliquota forfettaria e presuntiva tratta dalla disciplina degli appalti pubblici, pari al dieci per cento della differenza fra il corrispettivo pattuito e quello maturato per le opere parzialmente realizzate.
Ordinanza|26 novembre 2024| n. 30494. Mancato guadagno appalto: indennizzo con aliquota forfettaria
Integrale
Tag/parola chiave: Contratti – Appalto – Scioglimento del contratto – Per recesso unilaterale del committente – Indennizzo spettante all’appaltatore per mancato guadagno – Determinazione – Quantificazione sulla base di una percentuale forfettaria presuntiva tratta dalla disciplina dei pubblici appalti – Applicabilità – Condizioni – Fattispecie relativa ad appalto di servizi di logistica
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERTUZZI Mario – Presidente
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere
Dott. PICARO Vincenzo – Consigliere
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere
Dott. TRAPUZZANO Cesare – Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 22262/2020) proposto da:
Ku.+Na. Srl con socio unico (C.F.: Omissis), in persona del suo legale rappresentante pro – tempore, elettivamente domiciliata in Roma, viale Go.N., presso lo studio dell’Avv. An.Pa., che la rappresenta e difende, unitamente agli Avv.ti Da.Pa., Co.Pa. e An.Me., giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
IC. Srl – già Gr.Co. Spa, in seguito IC. Spa – (C.F.: Omissis), in persona del suo legale rappresentante pro – tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Ge.N., presso lo studio dell’Avv. Er.Mo., che la rappresenta e difende, unitamente agli Avv.ti Fr.An. (deceduto nelle more del giudizio di legittimità), Ad.Ca. ed El.Be., giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 2967/2019, pubblicata il 4 luglio 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30 ottobre 2024 dal Consigliere relatore Cesare Trapuzzano;
lette le memorie illustrative depositate nell’interesse delle parti, ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c.
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FATTI DI CAUSA
1.- Con atto di citazione notificato il 13 luglio 2000, la Ha.So. Spa conveniva, davanti al Tribunale di Milano, Gr.Co. Spa e la sua dante causa St. Spa, in seguito Eu. Spa, al fine di sentirle condannare al risarcimento dei danni, quantificati in 15 miliardi delle vecchie lire, oltre interessi e adeguamento monetario, a titolo di responsabilità contrattuale in ordine al concluso contratto di appalto di servizi, avente ad oggetto la gestione dei servizi di logistica relativi alla custodia e alla movimentazione di merci alimentari e non alimentari distribuite dalla committente, per la riduzione progressiva dei servizi di logistica commissionati, a decorrere dal gennaio 2000, in violazione degli obblighi contrattuali.
Si costituiva in giudizio Gr.Co. Spa, la quale contestava, in fatto e in diritto, la fondatezza delle domande avversarie, negando la sussistenza di alcun vincolo di esclusiva nonché l’integrazione di alcuna violazione delle pattuizioni contrattuali, quanto alla progressiva diminuzione della merce smistata fatta confluire su C, anche in ragione della previsione, in luogo della tariffa fissa, di una nuova tariffa variabile con andamento inversamente proporzionale al quantitativo delle merci fatte pervenire a C, in modo tale che alla diminuzione dei colli movimentati corrispondesse un incremento della remunerazione spettante all’attrice per prestazione unitaria.
Si costituiva altresì in giudizio la Eu. Spa, già Eu. Spa, la quale si opponeva all’accoglimento delle pretese avversarie.
Nel corso del giudizio era dato corso agli ordini di esibizione documentale, erano assunte le prove orali ammesse ed era espletata consulenza tecnica d’ufficio in materia contabile al fine di stabilire l’ammontare dei danni subiti dall’attrice in ragione del recesso di controparte dal contratto di gestione di servizi.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 9165/2007, depositata il 25 luglio 2007, rigettava le domande spiegate, rilevando che – benché la situazione di completo azzeramento della movimentazione dei colli realizzasse un illecito, quantomeno sotto il profilo dell’esecuzione del contratto secondo buona fede, ricadendo tra le obbligazioni di Coin anche quella di mantenere quantomeno un quantitativo pari alla quota minima prevista in tabella – cionondimeno non era stata raggiunta la prova in ordine all’esistenza di un danno causalmente riconducibile al comportamento individuato di azzeramento della movimentazione dei colli.
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2.- Con atto di citazione notificato il 28 febbraio 2008, la Ha.So. Spa proponeva appello avverso la pronuncia di primo grado, lamentando: 1) la mancata considerazione dell’accordo-quadro del 16 maggio 1996, che avrebbe dato vita ad una fattispecie negoziale complessa, sicché il contratto concluso inter partes nel 1998 non avrebbe potuto essere considerato autonomamente dal contesto negoziale, del quale era pur sempre un elemento attuativo; 2) l’indebita interpretazione sul mancato rinvenimento di alcuna previsione del vincolo di esclusiva; 3) la mancata considerazione delle risultanze istruttorie; 4) la possibilità di ricavare una serie di costi e spese sulla base dei risultati cui erano pervenuti i consulenti tecnici d’ufficio, con la conseguente esigenza di rinnovazione o integrazione della consulenza.
Si costituiva nel giudizio di impugnazione Gr.Co. Spa, la quale – in via principale – insisteva per il rigetto dell’appello proposto e, per l’effetto, concludeva, previa riforma – occorrendo anche in via di appello incidentale – della sentenza di prime cure, in relazione alla ritenuta contrarietà a buona fede contrattuale della condotta consistente nell’azzeramento finale della movimentazione dei colli presso il Ce. di C, per la conferma della decisione impugnata.
Resisteva al gravame anche Ex. Spa in liquidazione, già Eu. Spa
Decidendo sul gravame interposto, con sentenza n. 178/2011, depositata l’11 gennaio 2011, notificata il 27 settembre 2011, la Corte d’Appello di Milano accoglieva l’appello principale, limitatamente alla sola condanna nei confronti del Gr.Co., rilevando la sussistenza di un inadempimento alle obbligazioni contrattuali in cui era incorsa la committente e condannando conseguentemente quest’ultima al ristoro dei danni patiti a seguito di tale inadempimento, liquidati in complessivi euro 1.138.787,00, oltre rivalutazione monetaria a decorrere dal 1 gennaio 2000 ed interessi, in ragione dei legittimi interessi dell’appaltatrice a vedere realizzato un guadagno dallo svolgimento dell’attività commissionata, con la conseguente esclusione della legittimità di una così drastica diminuzione della quantità di colli mantenuti a far tempo dal mese di gennaio del 2000, ridottasi progressivamente a zero. Per l’effetto, dopo aver dato atto che non era stata fornita alcuna prova dall’appellante del danno emergente, il lucro cessante era identificato nel mancato ricavo minimo moltiplicato per il numero di esercizi che Ha. si aspettava di ottenere e avrebbe dovuto conseguire qualora Gr.Co. avesse adempiuto alle sue obbligazioni.
3.- Con ricorso notificato il 26 novembre 2011, Gr.Co. Spa interponeva impugnazione di legittimità avverso la pronuncia d’appello, svolgendo tre motivi: A) violazione e falsa applicazione delle norme che presiedono alla determinazione degli obblighi risarcitori, per il mancato guadagno conseguente ad inadempimento contrattuale, e dei relativi oneri probatori, per mancanza di prova della voce relativa, espressa nei costi sostenuti per aver dato esecuzione ai contratti stipulati, risultando impossibile determinare la componente negativa che, dedotta dal ricavato, avrebbe consentito di calcolare l’utile netto, così prescindendo dalla determinazione di tali costi e facendo coincidere il mancato guadagno con i ricavi non conseguiti; B) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere argomentato l’asserita coincidenza tra ricavo e utile marginale, senza necessità di tenere conto dei costi, in modo del tutto insufficiente, appiattendosi sulla prospettazione della Ha. affacciata per la prima volta, e dunque tardivamente, nella comparsa conclusionale, con il correlato errore di calcolo nell’individuazione della decorrenza del momento iniziale della mancata percezione dei ricavi dal 1 gennaio 2000; C) violazione e falsa applicazione delle norme in tema di danni conseguenti alla violazione di obbligazioni pecuniarie, in rapporto alla rivalutazione monetaria.
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Proponeva ricorso incidentale la Ku.+Na. Srl, già Ha.So., articolato in tre motivi: 1) omessa motivazione della sentenza, nella parte in cui non affrontava la richiesta di rinnovo della consulenza tecnica d’ufficio finalizzata alla quantificazione dei danni; 2) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il mancato riconoscimento del danno emergente; 3) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa le modalità di liquidazione del lucro cessante.
Con sentenza n. 18249/2016, depositata il 16 settembre 2016, questa Corte accoglieva i primi due motivi del ricorso principale, dichiarando assorbito il terzo, e rigettava i primi due motivi del ricorso incidentale, dichiarando assorbito il terzo, e – per l’effetto – cassava la pronuncia impugnata con rinvio.
Al riguardo, la pronuncia di legittimità – dopo aver precisato che si era ormai formato il giudicato sulla sussistenza di una responsabilità contrattuale del Gr.Co., sicché il giudizio atteneva unicamente al tema della quantificazione del danno – evidenziava la sussistenza di diverse fratture nel percorso logico-argomentativo seguito dal Giudice di secondo grado, oltre che gli errori di calcolo in cui era incorso nella determinazione dell’ammontare dei mancati ricavi e le contraddizioni espresse in ordine all’esistenza, all’interno delle pattuizioni negoziali, di una clausola di minimo garantito.
In conseguenza, prospettava che non era stata data alcuna giustificazione, nel caso di specie, della completa equiparazione dei ricavi aziendali ai profitti netti dell’imprenditore, prescindendo assolutamente dai costi sostenuti per la produzione.
4.- Con atto di citazione notificato il 12 ottobre 2017, la Ku.+Na. Srl riassumeva il giudizio, chiedendo che si provvedesse alla liquidazione del lucro cessante in ragione dell’accertato inadempimento contrattuale, alla luce dell’equivalenza del mancato guadagno all’ammontare dei ricavi.
Si costituiva in giudizio Gr.Co. Spa, chiedendo il rigetto delle avverse domande e, in via riconvenzionale, la restituzione degli importi versati in esecuzione della sentenza annullata.
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La Corte d’Appello di Milano, con la sentenza di cui in epigrafe, in parziale accoglimento dell’appello proposto, condannava Gr.Co. al risarcimento, in favore della Ku.+Na., del danno da lucro cessante a seguito dell’inadempimento del contratto di appalto di servizi, danno liquidato nella somma capitale complessiva di Euro 87.306,73, oltre rivalutazione monetaria e interessi, con la conseguente condanna di Ku.+Na. a restituire al Gr.Co. tutto quanto ulteriormente da quest’ultimo versato in esecuzione della cassata sentenza n. 178/2011, oltre interessi decorrenti dal pagamento al saldo.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a) che in nessuno dei passaggi argomentativi della sentenza della Corte di legittimità si rinveniva una aprioristica preclusione ad una determinazione del danno basata sull’assunto dell’equivalenza tra utile netto e mancato guadagno, essendo la critica piuttosto incentrata su una carenza motivazionale della sentenza della Corte d’Appello, per non avere esplicitato adeguatamente le ragioni sottese alla propria decisione, ragioni che avrebbero dovuto essere specificamente affrontate, tanto più sulla scorta del contrario principio, plurime volte espresso in sede di legittimità, secondo cui il mancato guadagno consiste nell’utile netto, tenendo conto, quindi, degli oneri sopportati; b) che, se dunque – in tesi – l’ambito devoluto alla Corte in sede di rinvio investiva anche la possibilità di riconoscere un mancato guadagno coincidente con i ricavi aziendali, nondimeno la prova di tale coincidenza gravava sulla danneggiata; c) che nella fattispecie tale prova non era stata minimamente fornita dalla ricorrente in riassunzione, né la riferita coincidenza poteva ritenersi provata per difetto di contestazione, avendo già la Corte di legittimità precisato che la tesi dell’appellante, introdotta per la prima volta in comparsa conclusionale nel giudizio di gravame, era stata comunque contestata dalla società appellata;
d) che Ku.+Na. non aveva offerto alcuna dimostrazione dell’asserita struttura anelastica dei costi sopportati, poiché dagli atti di causa non si evinceva sulla base di quali elementi avrebbe dovuto ritenersi che, a seguito della cessata movimentazione dei colli nel magazzino di C, il guadagno perso dall’appaltatore non sarebbe stato identificabile con l’utile al netto dei costi, come ordinariamente avviene nei casi di legittimo recesso, ma avrebbe coinciso con i ricavi aziendali; e) che, peraltro, ammettere tale equivalenza avrebbe determinato una violazione del giudicato formatosi sulla statuizione di mancato riconoscimento del danno emergente; f) che inglobare nel mancato guadagno anche la componente dei costi, asseritamente sostenuti ma non provati, avrebbe fornito uno strumento di elusione di quanto statuito in ben due gradi di giudizio circa la mancata dimostrazione di tali costi e dunque del danno emergente; g) che, del resto, il fatto che neppure Ha.So. ritenesse, quantomeno in una fase precontenziosa, di poter stimare i guadagni perduti nel ricavo aziendale emergeva dai prospetti prodotti dall’attrice in primo grado e analizzati dai consulenti tecnici d’ufficio, poiché sia il prospetto n. 19 sia il prospetto n. 21 prevedevano una stima del lucro cessante per differenza tra il totale dei ricavi e i costi, sicché il metodo di calcolo dei mancati guadagni portava ad un risultato di gestione che oscillava tra il 13,3% (prospetto n. 19) e il 12,5% (prospetto n. 21) dei ricavi; h) che, in difetto della prova della dedotta coincidenza dei ricavi aziendali con i profitti mancati, il guadagno non conseguito dall’appaltatore avrebbe dovuto essere calcolato facendo riferimento all’utile netto, costituito dalla differenza tra il pattuito prezzo globale dell’appalto e le spese che si sarebbero rese necessarie per l’esecuzione dei servizi di logistica oggetto dell’appalto;
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i) che, nella specie, tale quantificazione si rivelava impossibile, appunto in carenza di prova adeguata dei costi, né pareva meritevole di accoglimento la richiesta di parte attrice di rinnovo o integrazione della consulenza tecnica d’ufficio, in quanto palesemente esplorativa; l) che poteva, invece, trovare accoglimento la richiesta di liquidazione equitativa del danno, formulata in subordine, sussistendo la dimostrazione dell’esistenza di un danno da perdita di guadagno; m) che, infatti, la progressiva riduzione dei colli movimentati attuata dal Gr.Co., sino al completo azzeramento, si era di fatto concretizzata in un “illegittimo” recesso dal contratto, “inadempimento”, questo, che aveva determinato un sicuro danno patrimoniale all’appaltatore per i guadagni che avrebbe conseguito se la committente avesse continuato ad affidargli la movimentazione delle merci; n) che la prova dell’utilità che il contraente non inadempiente avrebbe percepito, nel caso in cui il rapporto contrattuale avesse avuto regolare adempimento, era di notevole complessità e si scontrava con la difficoltà di distinguere dalla contabilità generale di Ha.So. le voci di costo pertinenti al rapporto contrattuale con il Gr.Co., in ragione della contemporanea esecuzione, nel centro di C, di prestazioni di servizi per altri clienti, analoghe a quelle oggetto del contratto di appalto con il Gr.Co.;
o) che, pertanto, era legittimo il ricorso ad un criterio equitativo di quantificazione del danno, stante l’obiettiva difficoltà a fornirne la misura; p) che l’utile netto poteva essere commisurato al 10% del corrispettivo sulle movimentazioni non eseguite, mutuando il criterio normativamente adottato in materia di appalti pubblici, sia di servizi, sia di forniture – settore in cui sarebbe stata legittima, in tema di risarcimento del danno da lucro cessante per l’inadempimento della stazione appaltante, la liquidazione di una percentuale di utile pari al 10% del residuo corrispettivo -, e tenendo conto delle indicazioni fornite dalla stessa parte danneggiata, che nei prospetti in atti aveva stimato un utile netto oscillante tra il 13,3% e il 12,5% dei ricavi, con l’effetto che un utile pari al 10% non era molto distante dalle previsioni, certamente ottimistiche, effettuate dall’appaltatore.
5.- Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a nove motivi, la Ku.+Na. Srl
Ha resistito, con controricorso, la IC. Srl, già Gr.Co. Spa
6.- Le parti hanno depositato memorie illustrative.
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RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 384, primo e secondo comma, 324, 329 c.p.c. e 1223 e 2909 c.c., per avere la Corte di merito violato il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione, che imponeva alla Corte d’Appello, quale giudice di rinvio, di effettuare un motivato esame circa la determinazione del danno da lucro cessante patito dalla ricorrente e così di verificare, sulla base delle risultanze istruttorie, se tale danno potesse coincidere con i ricavi aziendali in dipendenza del carattere anelastico dei costi.
Osserva l’istante che la Corte d’Appello non avrebbe compiuto né quell’esame né quella verifica, poiché erroneamente avrebbe ritenuto che vi ostasse il giudicato interno formatosi sul rigetto della domanda di risarcimento relativamente all’altra componente del danno (diversa dal lucro cessante) costituita dal danno emergente.
2.- Con il secondo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e 111, sesto comma, Cost. nonché 384, primo e secondo comma, 324 e 329 c.p.c. e comunque per difetto assoluto di motivazione e/o motivazione inesistente o solamente apparente, in relazione ad un fatto decisivo per la controversia, per avere la Corte territoriale – nell’attribuire al giudicato interno formatosi sul danno emergente un’indebita portata preclusiva dello scrutinio del (diverso e autonomo) diritto della ricorrente ad ottenere anche la determinazione del lucro cessante – immotivatamente, non solo disatteso il principio di diritto enunciato dalla Cassazione, che le imponeva di compiere un nuovo esame circa il lucro cessante per verificare la sua coincidenza con i ricavi aziendali, ma altresì violato le regole concernenti la portata preclusiva del giudicato interno.
3.- Con il terzo motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto (ritenuto tale anche nel principio di diritto enunciato dalla Cassazione) decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti ovvero il difetto assoluto di motivazione e/o la motivazione inesistente o meramente apparente, per avere la Corte distrettuale, in conseguenza dell’assegnazione di un’indebita portata preclusiva al giudicato interno sul danno emergente, omesso di esaminare il fatto discusso e decisivo (e ritenuto tale anche dal dictum della Cassazione) della coincidenza del lucro cessante con i ricavi aziendali della società ricorrente.
3.1.- I tre motivi – che possono essere esaminati congiuntamente, in quanto avvinti da evidenti ragioni di connessione logica e giuridica – sono infondati.
Ed invero l’esclusione della coincidenza del danno da lucro cessante con i ricavi aziendali, in dipendenza del carattere anelastico dei costi, è stata argomentata, non già in ragione della formazione del giudicato interno sul rigetto della domanda di risarcimento relativamente all’altra componente del danno (diversa dal lucro cessante) costituita dal danno emergente, bensì alla stregua della carenza di prova in ordine all’identificazione del mancato guadagno con i ricavi aziendali.
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In mancanza di tale dimostrazione, la Corte in sede di rinvio ha ritenuto che non potesse derogarsi dal generale principio secondo cui il guadagno non conseguito dall’appaltatore avrebbe dovuto essere calcolato facendo riferimento all’utile netto, il cui onere probatorio sarebbe comunque ricaduto sull’appaltatore, costituito dalla differenza tra il pattuito prezzo globale dell’appalto e le spese che si sarebbero rese necessarie (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15304 del 17/07/2020; Sez. 2, Sentenza n. 8853 del 05/04/2017; Sez. 6-2, Ordinanza n. 9132 del 06/06/2012; Sez. 2, Sentenza n. 77 del 08/01/2003; Sez. 3, Sentenza n. 1189 del 09/05/1966).
Conclusione, questa, suffragata – ad avviso della pronuncia impugnata – anche dagli stessi prospetti (nn. 19 e 21) prodotti dalla danneggiata, che quantificavano il nocumento patito in termini percentuali sul ricavo aziendale, alla stregua del rilievo attribuito ai costi sostenuti.
Solo in chiave rafforzativa – e dopo aver dato atto della carenza di prova sulla natura anelastica dei costi e sulla conseguente coincidenza del mancato guadagno con i ricavi aziendali – la Corte del rinvio ha sostenuto che tale equivalenza avrebbe comunque determinato la violazione del giudicato formatosi sulla statuizione di mancato riconoscimento del danno emergente.
4.- Con il quarto motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 116, 384, primo e secondo comma, 324, 329 c.p.c. e 2697, 1223 e 2909 c.c. nonché dei principi generali che sovrintendono alla distinzione tra attività di allegazione di fatti e prova dei medesimi fatti, per avere la Corte del rinvio addebitato alla società ricorrente di essersi limitata ad allegare, senza provare, il carattere anelastico dei costi relativi alla commessa di cui è causa, mentre nel giudizio di rinvio vi sarebbe stata tanto l’allegazione, quanto la prova, da parte dell’odierna ricorrente, di tale carattere anelastico e così la dimostrazione della doverosa coincidenza del lucro cessante con i ricavi aziendali.
Obietta, in proposito, l’istante che le produzioni documentali di cui ai nn. 9, 10, 12, 13 e 14 del fascicolo di parte attrice e le testimonianze rese – in particolare quella del direttore della logistica Ge.Ro., escusso all’udienza del 3 ottobre 2002 – avrebbero offerto la prova di tale natura anelastica dei costi.
5.- Con il quinto motivo la ricorrente rileva, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e 111, sesto comma, Cost. nonché 384, primo e secondo comma, c.p.c. e comunque per difetto assoluto di motivazione e/o per motivazione inesistente o solamente apparente, in relazione ad un fatto decisivo per la controversia, per avere la Corte d’Appello omesso di esaminare le prove addotte dalla ricorrente senza spiegarne le ragioni.
6.- Con il sesto motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., dell’omesso esame di un fatto (ritenuto tale anche nel principio di diritto enunciato dalla Cassazione) decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti ovvero del difetto assoluto di motivazione e della motivazione inesistente o meramente apparente, per avere la Corte di merito aprioristicamente sostenuto che il fatto decisivo oggetto di causa – ossia il carattere anelastico dei costi – fosse stato solo allegato ma non provato dalla ricorrente, omettendo di esaminarlo, visto il mancato scrutinio delle prove, di cui non vi era traccia nella motivazione della sentenza impugnata.
6.1.- I tre motivi – che possono essere scrutinati congiuntamente, in quanto connessi – sono inammissibili.
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E ciò perché nell’esplicitazione dei motivi la ricorrente non ha dato contezza del contenuto specifico di tali prove (se non per rinvio al fascicoletto sub 2 allegato al ricorso), che avrebbero dovuto dare luogo ad un esito diverso.
Ora, il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento.
Ne consegue che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 16583 del 13/06/2024; Sez. 3, Ordinanza n. 16812 del 26/06/2018; Sez. 6-5, Ordinanza n. 19150 del 28/09/2016; Sez. 5, Sentenza n. 25756 del 05/12/2014).
Stessa conclusione vale per la deposizione testimoniale evocata.
Elementi istruttori (documenti asseritamente rinvenibili nelle produzioni nn. 9, 10, 12, 13 e 14 attoree e testimonianza del direttore della logistica Ge.Ro., escusso all’udienza del 3 ottobre 2002) di cui, dunque, la Corte territoriale ha ritenuto la non congruenza e decisività ai fini della prova della natura anelastica dei costi, senza che tale assunto sia stato specificamente smentito nel corpo del ricorso.
7.- Con il settimo motivo la ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 c.c., anche in relazione agli artt. 1175, 1362 e 1373 c.c., 14 disp. prel. c.c. (in congiunzione con gli artt. 345 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F., 132, quinto comma, del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e 109, primo e secondo comma, del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50), per avere la Corte d’Appello utilizzato, quale criterio di giudizio equitativo, una regula iuris manifestamente inappropriata e pertanto illegittima, con precipuo riferimento al criterio equitativo del 10% del corrispettivo sulle movimentazioni non eseguite, sulla cui base è stato commisurato il danno da mancato guadagno.
Deduce, in proposito, l’istante che il giudice di merito, allo scopo di quantificare il danno da lucro cessante, avrebbe applicato le norme in tema di appalto pubblico, che, viceversa, per il loro carattere eccezionale, non avrebbero potuto essere utilizzate analogicamente o estensivamente per regolare un appalto del tutto diverso intercorrente tra privati.
Né il precedente richiamato avrebbe potuto giustificare tale estensione, in quanto esso si sarebbe limitato ad estendere analogicamente le norme riferite al recesso della pubblica amministrazione appaltante anche al caso di risarcimento dei danni.
8.- L’ottavo motivo del ricorso investe, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, ovvero il difetto assoluto di motivazione e/o la motivazione inesistente o meramente apparente, per avere la sentenza impugnata erroneamente impiegato, come regola di giudizio equitativamente determinata, la misura del 10% ricavata dalle norme in tema di recesso della pubblica amministrazione da appalti pubblici, omettendo di considerare la documentazione in atti prodotta da parte ricorrente, dalla quale sarebbe emerso un diverso e superiore criterio per calcolare il danno da lucro cessante.
9.- Il nono motivo del ricorso concerne, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e 111, sesto comma, Cost. e comunque per difetto assoluto di motivazione e/o per motivazione inesistente o solamente apparente, in relazione ad un fatto decisivo per la controversia, per avere la pronuncia impugnata solo apparentemente considerato i due documenti in atti prodotti da parte ricorrente, dai quali avrebbe invece dovuto ricavare che la percentuale rilevante, onde calcolare il danno da lucro cessante, era pari al 13,3% o comunque non inferiore al 12,5% dei ricavi.
9.1.- I tre motivi – che possono essere affrontati congiuntamente, in quanto connessi – sono infondati.
Ora, la Corte del rinvio ha dato contezza del fatto che, in presenza della certezza dell’an del danno da lucro cessante, in mancanza di elementi da cui poter ricavare la sua quantificazione (quantum), potesse essere mutuato, ai fini della liquidazione equitativa, il parametro presuntivo vigente per la determinazione di tale voce di nocumento negli appalti pubblici.
Difficoltà probatoria avvalorata dall’impossibilità di distinguere dalla contabilità generale di Ha.So. le voci di costo pertinenti al rapporto contrattuale con il Gr.Co., in ragione della contemporanea esecuzione, nel centro di C, di prestazioni di servizi per altri clienti, analoghe a quelle oggetto del contratto di appalto con il Gr.Co..
E ciò considerato che la riduzione progressiva della movimentazione dei colli, fino al suo azzeramento, doveva essere equiparata ad un sostanziale recesso dal contratto di gestione di servizi, qualificato quale appalto di servizi di logistica, oltre che della possibilità di utilizzare la citata aliquota forfettaria anche nel caso di risarcimento dei danni (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16152 del 26/06/2013).
Conclusione, questa, conforme all’orientamento nomofilattico a mente del quale, qualora sia difficile raggiungere una dimostrazione sicura sull’entità del pregiudizio con riferimento ai rapporti giuridici ad esecuzione prolungata, tra i quali ricade l’appalto privato, l’indennizzo spettante all’appaltatore per il danno da mancato guadagno patito a causa del recesso unilaterale del committente può essere quantificato in via equitativa applicando per analogia l’aliquota forfettaria e presuntiva tratta dalla disciplina degli appalti pubblici, pari al dieci per cento della differenza fra il corrispettivo pattuito e quello maturato per le opere parzialmente realizzate (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 16346 del 12/06/2024; Sez. 2, Sentenza n. 5368 del 07/03/2018; Sez. 2, Sentenza n. 2608 del 14/04/1983).
D’altronde, le indicazioni fornite dalla parte attrice nei prospetti che stimavano un utile netto oscillante tra il 13,3% e il 12,5% dei ricavi non sono state utilizzate come prova del danno da lucro cessante, in quanto appunto documenti di provenienza unilaterale della danneggiata, aventi valore di mera previsione ottimistica del danno che sarebbe potuto conseguire.
Mancato guadagno appalto: indennizzo con aliquota forfettaria
10.- In definitiva, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla refusione, in favore della controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 21.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 30 ottobre 2024.
Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2024.
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