Lo Stato o l’ente pubblico risponde civilmente del danno cagionato a terzi dal fatto penalmente illecito del dipendente

Corte di Cassazione, sezioni unite civili, Sentenza 16 maggio 2019, n. 13246.

La massima estrapolata:

Lo Stato o l’ente pubblico risponde civilmente del danno cagionato a terzi dal fatto penalmente illecito del dipendente anche quando questi abbia approfittato delle sue attribuzioni ed agito per finalità esclusivamente personali od egoistiche ed estranee a quelle dell’amministrazione di appartenenza, purché la sua condotta sia legata da un nesso di occasionalità necessaria con le funzioni o poteri che il dipendente esercita o di cui è titolare, nel senso che la condotta illecita dannosa – e, quale sua conseguenza, il danno ingiusto a terzi non sarebbe stata possibile, in applicazione del principio di causalità adeguata ed in base ad un giudizio controfattuale riferito al tempo della condotta, senza l’esercizio di quelle funzioni o poteri che, per quanto deviato o abusivo od illecito, non ne integri uno sviluppo oggettivamente anomalo.

Sentenza 16 maggio 2019, n. 13246

Data udienza 9 aprile 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente di Sezione

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente di Sezione

Dott. TRIA Lucia – Consigliere

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 6769/2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio degli avvocati (OMISSIS) ed (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– resistente –
e contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 1353/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 13/08/2015;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/04/2019 dal Consigliere FRANCO DE STEFANO;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. SALVATO Luigi, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
uditi gli avvocati (OMISSIS) per delega dell’avvocato (OMISSIS) e (OMISSIS) per l’Avvocatura Generale dello Stato.

FATTI DI CAUSA

1. Per l’illecita sottrazione di somme depositate presso un ufficio giudiziario ed alle quali avrebbe avuto diritto quale parte di un giudizio di divisione, (OMISSIS) convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Catania, il cancelliere (OMISSIS) ed il Ministero della Giustizia, chiedendone la condanna al risarcimento del danno a lui derivato dal comportamento illecito dello (OMISSIS), il quale si era appropriato di quelle somme, poi venendo condannato per peculato.
2. Il Ministero convenuto si costitui’ e chiese il rigetto della domanda; ma, rimasto contumace lo (OMISSIS), per quel che qui ancora rilevaiil Tribunale – con sentenza n. 4400 del 28/12/2011 – la accolse e condanno’ il Ministero convenuto al pagamento, in favore del (OMISSIS), della somma di Euro 46.896,32, oltre interessi e spese di giudizio, ritenuti sussistenti i presupposti dell’estensione della responsabilita’ all’Amministrazione, a norma dell’articolo 28 Cost..
3. L’appello del Ministero, cui resistette il solo (OMISSIS), fu in parte accolto dalla corte territoriale, che mando’ assolto l’appellante da ogni pretesa risarcitoria per avere il suo dipendente agito per un fine strettamente personale ed egoistico, estraneo all’Amministrazione e addirittura contrario ai fini che essa perseguiva, idoneo ad escludere ogni collegamento con le attribuzioni proprie dell’agente.
4. Per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Catania, pubblicata il 13/08/2015 col n. 1353, (OMISSIS) propose ricorso basato su un unico motivo, poi illustrato da memoria gia’ per l’adunanza in sesta sezione, cui resistette il solo Ministero, dapprima con mero atto di costituzione in giudizio e poi con memoria.
5. Fu disposta la trattazione del ricorso in pubblica udienza (con ordinanza della sesta sezione di questa Corte, 27/05/2017, n. 12861) e poi la rimessione a queste Sezioni Unite (ordinanza 05/11/2018, n. 28079) della questione, ritenuta oggetto di giurisprudenza non univoca, sulla “sussistenza o meno della responsabilita’ civile della pubblica amministrazione per i fatti illeciti dei propri dipendenti, qualora il dipendente, profittando delle sue precipue funzioni, commetta un illecito penale per finalita’ di carattere esclusivamente personale”; ed infine, per la pubblica udienza del 09/04/2019, formulate dal Pubblico Ministero anche conclusioni scritte richiamate nel corso della discussione orale, il solo Ministero ha depositato memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

A. Inquadramento della fattispecie.
1. La sentenza impugnata ha rigettato la domanda risarcitoria della vittima del peculato del cancelliere in base all’orientamento della giurisprudenza di legittimita’ (richiamando: Cass. 21/11/2006, n. 24744; Cass. 17/09/1997, n. 9260; Cass. 06/12/1996, n. 10896; Cass. 13/12/1995, n. 12786; Cass. 03/12/1991, n. 12960) secondo cui, affinche’ ricorra la responsabilita’ della P.A. per un fatto lesivo posto in essere dal proprio dipendente, poiche’ il fondamento di quella risiede nel rapporto di immedesimazione organica, deve sussistere, oltre al nesso di causalita’ fra il comportamento e l’evento dannoso, anche la riferibilita’ all’Amministrazione del comportamento stesso, la quale presuppone che l’attivita’ posta in essere dal dipendente si manifesti come esplicazione dell’attivita’ dell’ente pubblico e cioe’ tenda, pur se con abuso di potere, al conseguimento dei fini istituzionali di questo nell’ambito delle attribuzioni dell’ufficio o del servizio cui il dipendente e’ addetto; tale riferibilita’ viene meno, invece, quando il dipendente agisca come un semplice privato per un fine strettamente personale ed egoistico, che si riveli del tutto estraneo all’amministrazione o perfino contrario ai fini che essa persegue ed escluda ogni collegamento con le attribuzioni proprie dell’agente, atteso che in tale ipotesi cessa il rapporto organico fra l’attivita’ del dipendente e la P.A. (militando nello stesso senso anche Cass. 12/04/2011, n. 8306, nonche’, in precedenza e tra le altre: Cass. 08/10/2007, n. 20986; Cass. 18/03/2003, n. 3980).
2. Il ricorrente si affida ad un unitario motivo, con cui denuncia, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 28 Cost. e dell’articolo 2049 c.c., dolendosi dell’esclusione della responsabilita’ del Ministero; nega che “ai fini dell’applicazione dell’articolo 28 Cost., oltre al nesso di causalita’ fra il comportamento del funzionario e l’evento dannoso, debba necessariamente ricorrere anche l’ulteriore, troncante presupposto della riferibilita’ all’amministrazione di quel comportamento”; contesta che debba “ricadere esclusivamente sul danneggiato la scelta dell’Amministrazione di affidare la direzione di un ufficio a soggetto rivelatosi privo dei requisiti morali”; chiede che risponda del “danno… occasionato dalla mancanza o inefficienza dei controlli”.
3. Sostiene, ancora, il (OMISSIS) che il principio secondo cui la responsabilita’ dell’Amministrazione, nelle ipotesi previste dall’articolo 28 Cost., debba ritenersi esclusa ogni qual volta l’agente, profittando delle sue precipue funzioni, abbia dolosamente commesso il fatto per ritrarre egli stesso utilita’, non troverebbe giustificazione nel dettato costituzionale, ne’ in norme di legge, integrando un “disparitario postulato assolutamente privo di sostrato logico e giuridico, che non solo svuota di ogni contenuto quella norma di garanzia (evidentemente posta a tutela dell’amministrato), ma ne sbilancia smaccatamente gli effetti a tutto favore dell’Amministrazione”; sicche’ la Corte di merito avrebbe dovuto piuttosto aderire al diverso orientamento espresso con la sentenza di questa Corte, VI Sez. Pen., n. 13799 del 31 marzo 2015, secondo cui “e’ configurabile la responsabilita’ civile della P.A. anche per le condotte dei dipendenti pubblici dirette a perseguire finalita’ esclusivamente personali mediante la realizzazione di un reato doloso, quando le stesse sono poste in essere sfruttando, come premessa necessaria, l’occasione offerta dall’adempimento di funzioni pubbliche, e costituiscono, inoltre, non imprevedibile sviluppo dello scorretto esercizio di tali funzioni, in applicazione di quanto previsto dall’articolo 2049 c.c.” (annullato cosi’ il rigetto della domanda risarcitoria nei confronti di imputato che, quale agente di Ufficio notifiche esecuzioni e protesti, si era appropriato di titoli di credito ed effetti cambiari a lui consegnati per il protesto, commettendo i reati di peculato, falso e truffa).
4. Pertanto, per il ricorrente la responsabilita’ del Ministero si fonda sul fatto che, come emerso nelle fasi di merito, lo (OMISSIS) aveva esplicato l’attivita’ criminosa, non imprevedibile in assoluto, nella qualita’ di funzionario di cancelleria e che solo grazie a quella veste istituzionale gli era stato possibile accedere alla cassaforte ove i libretti vincolati erano custoditi, falsificare i mandati di pagamento e conseguirne di persona l’incasso.
5. Dal canto suo il Ministero, eccepita la tardivita’ del ricorso, invoca la giurisprudenza di legittimita’ sulla necessita’, ai fini della responsabilita’ diretta dell’Amministrazione, della riferibilita’ a questa della condotta del funzionario o del dipendente, come esplicazione dell’attivita’ di quella in virtu’ del rapporto organico, ricollegabile ad attribuzioni proprie di lui: tanto da escludere ogni responsabilita’ nel caso, come quello in esame, di condotta sorretta da un fine strettamente personale ed egoistico del funzionario o dipendente ed anzi contrario agli scopi istituzionali perseguiti dall’Amministrazione.
6. Con la memoria depositata per l’udienza del 09/04/2019, poi, il Ministero nega la rilevanza dell’invocata giurisprudenza di legittimita’ penale, da un lato perche’ anch’essa postula i caratteri dell’assoluta imprevedibilita’ ed eterogeneita’ della condotta dell’agente rispetto ai suoi compiti istituzionali (in modo da non consentire un collegamento con essi) e dall’altro perche’ la stessa P.A. avrebbe potuto costituirsi parte civile nel procedimento penale per peculato contro il suo funzionario evidentemente infedele, attesa la natura plurioffensiva del delitto di peculato per il quale quello e’ stato poi condannato.
7. Il Pubblico Ministero, infine, nella requisitoria scritta con ampiezza di riferimenti ricostruisce i termini della questione, iniziando dalla disamina della natura della responsabilita’ di Stato ed Enti pubblici per i fatti illeciti commessi dai propri dipendenti e funzionari; illustra una prima impostazione ermeneutica, propria della prevalente odierna giurisprudenza civilistica e di quella penalistica piu’ risalente (ma pure di quella amministrativa), per la quale la responsabilita’ dello Stato per il fatto illecito dei propri dipendenti sussiste solo in applicazione di criteri pubblicistici e quindi esclusivamente in caso di attivita’ corrispondente ai fini istituzionali e, in virtu’ del rapporto organico, allorche’ quella vada imputata direttamente all’ente (con orientamento definito consolidato da Cass. n. 15930/02, seguita poi, tra le altre, da Cass. nn. 2089 e 27246 del 2008, 8306 e 29727 del 2011, 21408/14 e 8991/15); ma ricorda pure una seconda interpretazione, propria soprattutto della giurisprudenza penalistica (Cass. pen. nn. 21195/11, 40613/13, 13799 e 44760 del 2015) e di una giurisprudenza civilistica ora piu’ remota e poi superata, ora minoritaria (Cass. nn. 20928/15 e 17836/07), ora riferita a rapporti di preposizione privatistici (Cass. nn. 2226/90, 20924/15, 22058/17, 4298/19) e quindi non assimilabili al rapporto che lega il pubblico dipendente allo Stato o all’ente pubblico, la quale riconosce la responsabilita’ di questi pure in applicazione di criteri privatistici, corrispondenti a quelli elaborati per la responsabilita’ del preponente ai sensi dell’articolo 2049 c.c., ammettendola cosi’ in ipotesi di nesso di occasionalita’ necessaria tra condotta illecita e danno.
8. Nella stessa requisitoria scritta si dubita poi della sussistenza di un effettivo contrasto: da un lato, per la costanza nella configurazione di una responsabilita’ diretta e, dall’altro, per la sussistenza di questa esclusivamente in caso di condotta del dipendente strumentalmente connessa con l’attivita’ d’ufficio, benche’ non esclusa in ipotesi di condotta dolosa o con abuso di poteri o con violazione di legge o di un ordine, purche’ si innesti nell’attivita’ dell’ente e sia anche soltanto indirettamente collegabile alle sue attribuzioni e non sia connotata dal carattere dell’imprevedibilita’ ed eterogeneita’ rispetto a queste ultime, si’ da escluderne ogni collegamento con le medesime, dovendo rimettersi il superamento delle discrasie all’apprezzamento di fatto delle circostanze concrete. Per l’errore di diritto consistente nella violazione di tale principio si chiede cosi’ l’accoglimento del ricorso.
B. L’ordinanza di rimessione.
9. L’ordinanza di rimessione (05/11/2018, n. 28079), esclusa la tardivita’ del ricorso in base al testo dell’articolo 327 c.p.c., applicabile in ragione della data di instaurazione del giudizio in primo grado, identifica come oggetto della controversia la questione della sussistenza o meno della responsabilita’ civile della Pubblica Amministrazione per i danni cagionati dal fatto penalmente illecito del dipendente quando questi abbia approfittato delle sue attribuzioni ed agito per finalita’ esclusivamente personali od egoistiche ed estranee all’amministrazione di appartenenza; ed individua la ragione della sua devoluzione a queste Sezioni Unite nella rilevata non univocita’, sul punto, delle conclusioni della giurisprudenza di legittimita’.
10. Da un lato, la prevalente giurisprudenza civile di legittimita’ ha ravvisato il fondamento della responsabilita’ di Stato ed enti pubblici nell’articolo 28 Cost. – la cui ratio e’ quella di un piu’ agevole od ampio conseguimento del risarcimento da parte del danneggiato e, basandosi tale norma sul rapporto di immedesimazione organica, solo in virtu’ del quale l’attivita’ posta in essere dal funzionario (o dipendente) e’ sempre imputabile all’ente di appartenenza, ne ha desunto la configurazione di una responsabilita’ diretta o per fatto proprio, ma soltanto se l’attivita’ dannosa si atteggi come esplicazione dell’attivita’ dello Stato o dell’ente pubblico e cioe’ tenda, sia pur con abuso di potere, al conseguimento dei suoi fini istituzionali, nell’ambito delle attribuzioni dell’ufficio o del servizio cui il dipendente e’ addetto (richiamando: Cass. 12/08/2000, n. 10803; Cass. 30/01/2008, n. 2089; Cass. 17/09/1997, n. 9260). Ne conseguirebbe l’esclusione di quella responsabilita’ in tutti i casi in cui la condotta sia sorretta da un fine esclusivamente privato od egoistico, o a maggior ragione se contrario ai fini istituzionali dell’ente (Cass. 12/04/2011, n. 8306; Cass. 8/10/2007, n. 20986, Cass. 21/11/2006, n. 24744; Cass. 18/03/2003, n. 3980; Cass. 12/08/2000, n. 10803; Cass. 13/12/1995, n. 12786).
11. Dall’altro lato, pero’, almeno in tempi recenti la giurisprudenza penale di legittimita’ configura la responsabilita’ civile della pubblica amministrazione pure per le condotte dei pubblici dipendenti dirette a perseguire finalita’ esclusivamente personali e merce’ la realizzazione di un reato doloso, ove poste in essere sfruttando l’occasione necessaria offerta dall’adempimento delle funzioni pubbliche cui essi sono preposti, nonche’ integranti il non imprevedibile od eterogeneo sviluppo di un non corretto esercizio di tali funzioni, in applicazione del criterio previsto dall’articolo 2049 c.c. (Cass. pen., 20/01/2015, n. 13799 – poi richiamata da Cass. pen. 03/04/2017, n. 35588, ma preceduta da Cass. pen. 11/06/2003, n. 33562 – in consapevole contrasto con l’orientamento precedente, di cui e’ stata ulteriore espressione la piu’ recente Cass. pen. 04/06/2015, n. 44760).
12. Ad analoga estensione della responsabilita’ civile si assiste nella giurisprudenza civile di legittimita’ in altri ambiti di preposizione, meramente privatistici, quali quelli propri dei funzionari di banche o dei promotori di queste o di societa’ di intermediazione finanziaria, in ordine ai quali e’ stata riconosciuta la responsabilita’ dei preponenti anche nei casi in cui sussista un nesso di occasionalita’ necessaria tra le incombenze attribuite al preposto e il danno arrecato a terzi: nesso che e’ presupposto indispensabile della responsabilita’ del preponente ex articolo 2049 c.c., e non viene meno in caso di commissione da parte del preposto di un illecito penale per finalita’ di carattere esclusivamente personale (v. gia’ Cass. 06/03/2008, n. 6033; successivamente, v.: Cass. 16/04/2009, n. 9027; Cass. 24/7/2009, n. 17393; Cass. 25/01/2011, n. 1741; Cass. 24/03/2011, n. 6829; Cass. 13/12/2013, n. 27925; Cass. 04/03/2014, n. 5020; Cass. 10/11/2015, n. 22956). Di qui il rilievo della non univocita’ della giurisprudenza in materia e la rimessione della relativa questione a queste Sezioni Unite.
C. La normativa applicabile.
13. Pertinenti per la risoluzione della questione sono:
– l’articolo 28 Cost., per il quale, com’e’ noto: “I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilita’ civile si estende allo Stato e agli enti pubblici”;
– l’articolo 2049 c.c., rubricato “responsabilita’ dei padroni e dei committenti”, per il quale “i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti”.
14. Sostanzialmente neutri ai fini che qui interessano, per il rinvio espresso che operano ai principi ed alle norme vigenti, si rivelano invece alcuni articoli del t.u. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), in particolare gli articoli 22 e 23, i cui rispettivi primi commi prevedono:
– “l’impiegato che, nell’esercizio delle attribuzioni ad esso conferite dalle leggi o dai regolamenti, cagioni ad altri un danno ingiusto ai sensi dell’articolo 23 e’ personalmente obbligato a risarcirlo. L’azione di risarcimento nei suoi confronti puo’ essere esercitata congiuntamente con l’azione diretta nei confronti dell’Amministrazione qualora, in base alle norme ed ai principi vigenti dell’ordinamento giuridico, sussista anche la responsabilita’ dello Stato”;
– “e’ danno ingiusto, agli effetti previsti dall’articolo 22, quello derivante da ogni violazione dei diritti dei terzi che l’impiegato abbia commesso per dolo o per colpa grave; restano salve le responsabilita’ piu’ gravi previste dalle leggi vigenti”.
D. La normativa costituzionale.
15. E’ noto l’ampio dibattito, soprattutto in dottrina e all’indomani dell’entrata in vigore della Carta fondamentale, sulla portata dell’articolo 28 Cost.: superate le prime tesi sulla natura meramente sussidiaria della responsabilita’ di Stato od ente pubblico rispetto a quella dell’agente, e’ invalso il riconoscimento della natura concorrente o solidale delle due responsabilita’, ricostruita quella dello Stato od ente pubblico come diretta, in forza dei principi sull’immedesimazione organica dovendo escludersi che l’attivita’ posta in essere al di fuori dei compiti istituzionali dal pubblico funzionario o dipendente potesse imputarsi allo Stato o ente pubblico.
16. Non ha incontrato il favore degli interpreti la ricostruzione della responsabilita’ della Pubblica Amministrazione per l’illecito del suo dipendente quale responsabilita’ indiretta (o per fatto altrui, dovendo la Pubblica Amministrazione sopportare i rischi delle conseguenze dannose degli atti posti in essere da coloro che agiscono per suo conto), ne’ altra tesi eclettica, che ha prospettato la natura composita di quella stessa responsabilita’, dovendo l’Amministrazione rispondere in via diretta per i danni causati nello svolgimento dell’attivita’ provvedimentale (l’unica rispetto alla quale si configurerebbe un’immedesimazione organica, in quanto esplicazione della funzione diretta al perseguimento del pubblico interesse e posta in essere da funzionari dotati del potere rappresentativo – organi in senso stretto – attraverso cui l’Ente esprime la sua volonta’ ed agisce nei rapporti esterni) ed in via indiretta per i danni causati nell’espletamento di ogni altra attivita’, tra cui quella materiale.
17. Nella prevalente dottrina pubblicistica la tesi della responsabilita’ diretta da rapporto organico in funzione limitativa si fonda sulla tesi del contenimento dell’innovazione portata dalla norma costituzionale: questa non starebbe nell’immutazione della natura della responsabilita’ dell’Ente, che andrebbe sempre qualificata, come nel sistema anteriore all’entrata in vigore della Costituzione, in termini di responsabilita’ diretta o per fatto proprio; essa invece starebbe nella previsione, accanto alla responsabilita’ diretta della pubblica amministrazione, di una concorrente responsabilita’, sempre diretta, del funzionario o del dipendente, che invece, nel sistema previgente, poteva essere chiamato a rispondere, in solido con l’Ente di appartenenza, solo ove tale responsabilita’ solidale fosse prevista da specifiche disposizioni di legge; la norma costituzionale avrebbe cioe’ disegnato un sistema fondato su due responsabilita’ concorrenti e solidali, entrambe dirette, spettando esclusivamente al danneggiato la scelta se far valere l’una o l’altra od entrambe.
19. La giurisprudenza amministrativa e’, poi, ferma nel ritenere interrotta l’imputazione giuridica dell’attivita’ posta in essere da un organo della pubblica amministrazione nei casi in cui siano posti in essere fatti di reato (Cons. Stato, Sez. 6, 14/11/2014, n. 5600), o di atti adottati in ambienti collusivi penalmente rilevanti (Cons. Stato, Sez. 5, 04/03/2008, n. 890; TAR Reggio Calabria, Sez. 1, 11 agosto 2012, n. 536), o comunque allorche’ il soggetto agente, legato alla P.A. da un rapporto di immedesimazione organica, abbia posto in essere il provvedimento amministrativo, frutto del reato contro la P.A., nell’ambito di un disegno criminoso e quindi perseguendo un interesse personale del tutto avulso dalle finalita’ istituzionali dell’Ente (TAR Sicilia-Catania 25/07/2013, n. 2166, per il quale il venir meno dell’imputabilita’ dell’atto all’Amministrazione, per interruzione del rapporto organico, determina la nullita’ dell’atto stesso, per mancanza di uno degli “elementi essenziali” – L. n. 241 del 1990, ex articolo 21 septies, – individuabile nel soggetto o per mancanza di volonta’ in capo alla stessa P.A., escludendosi che l’atto de quo possa dirsi posto in essere da una P.A. nell’esplicazione di un’attivita’ amministrativa).
20. E la stessa Corte costituzionale ha reiteratamente statuito (tra le altre: Corte Cost. n. 64 del 1992, con richiami a Corte Cost. n. 18 del 1989, n. 26 del 1987, n. 148 del 1983, n. 123 del 1972) che l’articolo 28 Cost., stabilisce la responsabilita’ diretta per violazione di diritti tanto dei dipendenti pubblici per gli atti da essi compiuti, quanto dello Stato o degli enti pubblici, rimettendone la disciplina dei presupposti al legislatore ordinario, con la precisazione che (Corte Cost. nn. 18 del 1989 e 88 del 1963) la responsabilita’ dello Stato o dell’ente pubblico puo’ esser fatta valere anteriormente o contestualmente a quella dei funzionari e dei dipendenti, non avendo carattere sussidiario.
E. La normativa codicistica.
21. Il codice civile regola la responsabilita’ dei padroni e committenti, mutuandola pedissequamente dalla previsione del Code civil francese (ed in particolare dal suo originario articolo 1384, che oggi corrisponde all’articolo 1242, in forza dell’Ordonnance n. 2016-31 del 10/02/2016, in vigore dal 01/10/2016), a mente del quale “les maitres et les commettants… sont solidairement responsables du dommage cause’… par leurs domestiques et pre’pose’s dans les fonctions auxquelles ils les ont employe’s”; in tale fattispecie si conferma, analogamente ad altre ipotesi di responsabilita’ civile senza colpa, la deroga al principio ohne Schuld keine Haftung, che permea sia l’altro ordinamento cardine dei sistemi romanisti (quello tedesco in punto di Deliktsrecht, benche’ in via di graduale superamento e solo in determinati settori, mediante la ricostruzione di obblighi derivanti direttamente, prima della riforma del 2002, dalla norma sulla buona fede e, poi, dalla novella del BGB sulla sussistenza di obblighi di protezione piu’ ampi rispetto a quelli di prestazione, tali da riverberare i loro effetti anche a favore di chi non e’ parte del contratto), sia il sistema originario di common law (in cui la Tort Law presuppone appunto ed almeno in linea generale un difetto di due diligence).
22. Il concetto di padrone o committente, in origine riferito ad economie rudimentali e connotate da rapporti assai stretti di preposizione, e’ stato via via ampliato in forza di un’interpretazione evolutiva, per essere esteso a molte figure di soggetti che, per conseguire i propri fini, si avvalgono dell’opera di altri a loro legati in forza di vincoli di varia natura (e non necessariamente di dipendenza: su tale specifico punto, tra le prime, v. Cass. 16/03/2010, n. 6325).
23. Si e’, al riguardo, superata l’originaria configurazione della responsabilita’ in esame come soggettiva o per fatto proprio, quando questo si identificava almeno in una colpa in eligendo o in vigilando: il testo normativo non concede al responsabile alcuna prova liberatoria, cosicche’ il ricorso alla fictio della presunzione assoluta di colpa si risolve nell’introduzione artificiosa nella norma di un presupposto che le e’ irrilevante; al contrario (benche’ in dottrina si parli anche di responsabilita’ diretta o per il fatto proprio di essere il preponente), si e’ dinanzi ad una responsabilita’ oggettiva per fatto altrui.
24. Si tratta (per tutte: Cass. 09/06/2016, n. 11816, ove ulteriori richiami giurisprudenziali; piu’ di recente: Cass. ord. 12/10/2018, n. 25373; Cass. 14/02/2019 n. 4298; quanto al rapporto tra ente pubblico concedente e concessionario, Cass. 20/02/2018, n. 4026, espressamente fonda la responsabilita’ del primo sull’inserimento del secondo nell’apparato organizzativo della P.A.) di un’applicazione moderna del principio cuius commoda eius et incommoda, in forza del quale l’avvalimento, da parte di un soggetto, dell’attivita’ di un altro per il perseguimento di propri fini comporta l’attribuzione al primo di quella posta in essere dal secondo nell’ambito dei poteri conferitigli.
25. Ma una tale appropriazione di attivita’ deve comportarne l’imputazione nel suo complesso e, cosi’, sia degli effetti favorevoli che di quelli pregiudizievoli: un simile principio risponde ad esigenze generali dell’ordinamento di riallocazione dei costi delle condotte dannose in capo a colui cui e’ riconosciuto di avvalersi dell’operato di altri (poco importa se per scelta od utilita’, come nel caso delle persone fisiche, o per necessita’, come in ogni altro caso, in cui e’ indispensabile il coinvolgimento di persone fisiche ulteriori e distinte per l’imputazione di effetti giuridici ad entita’ sovraindividuali).
26. Dalla correlazione di tale specifica forma di responsabilita’ ai vantaggi che sia lecito per il preponente attendersi dall’avvalimento dell’altrui operato la giurisprudenza civile di legittimita’ per i rapporti privatistici di preposizione e quella piu’ recente penale di legittimita’ hanno ricavato la necessita’ di un nesso di occasionalita’ necessaria tra esercizio delle incombenze e danno al terzo (quale ultimo elemento costitutivo della fattispecie, oltre al rapporto di preposizione ed all’illiceita’ del fatto del preposto): nesso che e’ stato ritenuto sussistente non solamente se il fatto dannoso derivi dall’esercizio delle incombenze, ma pure nell’ipotesi in cui tale esercizio si limiti ad esporre il terzo all’ingerenza dannosa del preposto ed anche se questi abbia abusato della sua posizione od agito per finalita’ diverse da quelle per le quali le incombenze gli erano state affidate.
27. Alla stregua di tale elaborazione, il nesso di occasionalita’ necessaria (e la responsabilita’ del preponente) sussiste nella misura in cui le funzioni esercitate abbiano determinato, agevolato o reso possibile la realizzazione del fatto lesivo, nel qual caso e’ irrilevante che il dipendente abbia superato i limiti delle mansioni affidategli, od abbia agito con dolo e per finalita’ strettamente personali (tra molte: Cass. 24/09/2015, n. 18860; Cass. 25/03/2013, n. 7403); alla condizione pero’ che la condotta del preposto costituisca pur sempre il non imprevedibile sviluppo dello scorretto esercizio delle mansioni, non potendo il preponente essere chiamato a rispondere di un’attivita’ del preposto che non corrisponda, neppure quale degenerazione od eccesso, al normale sviluppo di sequenze di eventi connesse all’espletamento delle sue incombenze (Cass. 11816/16, cit.).
28. Non ha infatti giuridico fondamento accollare a chicchessia le conseguenze dannose di condotte del preposto in alcun modo collegate alle ragioni, anche economiche, della preposizione, ove cioe’ non riconducibili al novero delle normali potenzialita’ di sviluppo di queste – anche sotto forma di deviazione dal fine perseguito o di contrarieta’ ad esso o di eccesso dall’ambito dei poteri conferiti secondo un giudizio oggettivo di probabilita’ di verificazione.
29. L’appropriazione dei risultati delle altrui condotte deve, in definitiva, essere correlata (e, corrispondentemente, limitata) alla normale estrinsecazione delle attivita’ del preponente e di quelle oggetto della preposizione ad esse collegate, sia pure considerandone le violazioni o deviazioni oggettivamente probabili: sicche’ chi si avvale dell’altrui operato in tanto puo’ essere chiamato a rispondere, per di piu’ senza eccezioni e la rilevanza del proprio elemento soggettivo, delle sue conseguenze dannose in quanto egli possa ragionevolmente raffigurarsi, per prevenirle, le violazioni o deviazioni dei poteri conferiti o almeno tenerne conto nell’organizzazione dei propri rischi; e cosi’ risponde di quelle identificate in base ad un giudizio oggettivizzato di normalita’ statistica, cioe’ riferita non alle peculiarita’ del caso, ma alle ipotesi in astratto definibili come di verificazione probabile o – secondo i principi di causalita’ adeguata elaborati da questa Corte fin da Cass. Sez. U. 11/01/2008, n. 576 “piu’ probabile che non”, in un dato contesto storico.
F. La natura della responsabilita’ dello Stato e degli enti pubblici.
30. Deve allora constatarsi una non piena coerenza tra le impostazioni ermeneutiche di questa Corte di legittimita’: una prima, propria della prevalente odierna giurisprudenza civilistica e di quella preponderante penalistica piu’ risalente (e, per la verita’, anche quella amministrativa), per la quale la responsabilita’ dello Stato (o degli enti pubblici) per il fatto illecito dei propri dipendenti (o funzionari) e’ diretta e sussiste, in forza di criteri pubblicistici, esclusivamente in caso di attivita’ corrispondente ai fini istituzionali, quando cioe’, in virtu’ del rapporto organico, quella vada imputata direttamente all’ente; una seconda, propria soprattutto della giurisprudenza penalistica piu’ recente e di parte di quella civilistica (ora piu’ remota e poi superata, ora minoritaria, ora riferita in prevalenza a rapporti di preposizione privatistici), in base alla quale sussiste la responsabilita’ dello Stato o dell’ente pubblico in applicazione di criteri privatistici, corrispondenti sostanzialmente a quelli in tema di responsabilita’ del preponente ai sensi dell’articolo 2049 c.c., sol che sussista un nesso di occasionalita’ necessaria tra condotta illecita e danno.
31. Ritengono queste Sezioni Unite di comporre la disomogeneita’ tra dette impostazioni rilevando che nessuna ragione giustifichi piu’, nell’odierno contesto socio-economico, un trattamento differenziato dell’attivita’ dello Stato o dell’ente pubblico rispetto a quello di ogni altro privato, quando la prima non sia connotata dall’esercizio di poteri pubblicistici: e che, cosi’, vada riconsiderato il preponderante orientamento civilistico dell’esclusione della responsabilita’ in ipotesi di condotte contrastanti coi fini istituzionali o sorrette da fini egoistici.
32. In particolare, deve ammettersi la coesistenza dei due sistemi ricostruttivi, quello della responsabilita’ diretta soltanto in forza del rapporto organico e quello della responsabilita’ indiretta o per fatto altrui: entrambi sono validi, poiche’ il primo non esclude il secondo ed ognuno viene in considerazione a seconda del tipo di attivita’ della P.A. di volta in volta posta in essere.
33. Infatti, il comportamento della P.A. che puo’ dar luogo, in violazione dei criteri generali dell’articolo 2043 c.c., al risarcimento del danno (secondo la compiuta definizione di Cass. Sez. U. 22/07/1999, n. 500) o si riconduce all’estrinsecazione del potere pubblicistico e cioe’ ad un formale provvedimento amministrativo, emesso nell’ambito e nell’esercizio di poteri autoritativi e discrezionali ad essa spettanti, oppure si riduce ad una mera attivita’ materiale, disancorata e non sorretta da atti o provvedimenti amministrativi formali (sulla distinzione, determinante prima di tutto in materia di giurisdizione, v. da ultimo Cass. Sez. U. ord. 13/12/2018, n. 32364; tra le altre piu’ remote, v. Cass. Sez. U. 25/11/1982, n. 6363).
34. Orbene, nel primo caso (attivita’ provvedimentale o, se si volesse generalizzare, istituzionale in quanto estrinsecazione di pubblicistiche ed istituzionali potesta’), l’immedesimazione organica di regola – pienamente sussiste e bene e’ allora ammessa la sola responsabilita’ diretta in forza della sicura imputazione della condotta all’ente; del resto, con l’introduzione della L. n. 241 del 1990, articolo 21 septies, pure la carenza di un elemento essenziale – in genere esclusa se l’atto integra l’elemento oggettivo di un reato – comporta la mera nullita’ e non piu’ l’inesistenza dell’atto, come invece voleva la dottrina tradizionale (col che potrebbe forse sostenersi l’attribuibilita’ all’ente dell’atto nullo poiche’ delittuoso, sia pure a certe condizioni).
35. Nel secondo caso, di attivita’ estranea a quella istituzionale o comunque materiale, ove pure vada esclusa l’operativita’ del criterio di imputazione pubblicistico fondato sull’attribuzione della condotta del funzionario o dipendente all’ente (questione non immediatamente rilevante ai fini che qui interessano e che si lascia impregiudicata), non puo’ pero’ negarsi l’operativita’ di un diverso criterio: non vi e’ alcun motivo per limitare la responsabilita’ extracontrattuale dello Stato o dell’ente pubblico – se correttamente ricostruita, pure ad evitarne strumentali distorsioni o improprie sconsiderate dilatazioni al di fuori dell’esercizio di una pubblica potesta’ quando ricorrano gli altri presupposti validi in caso di avvalimento dell’operato di altri.
36. Ogni diversificazione di trattamento, per di piu’ nel senso di evidente favore, si risolverebbe in un ingiustificato privilegio dello Stato o dell’ente pubblico, in palese contrasto con il principio di uguaglianza formale di cui all’articolo 3 Cost., comma 1, e col diritto di difesa tutelato dall’articolo 24 Cost., e riconosciuto anche a livello sovranazionale dall’articolo 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo (firmata a Roma il 04/11/1950, ratificata con L. 4 agosto 1955, n. 848, pubblicata sulla G.U. n. 221 del 24/09/1955 ed entrata in vigore il 10/10/1955) e dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (adottata a Nizza il 07/12/2000 e confermata con adattamenti a Strasburgo il 12/12/2007; pubblicata, in versione consolidata, sulla G.U. dell’U.E. del 30/03/2010, n. C83, pagg. 389 ss.; efficace dalla data di entrata in vigore del Trattato di Lisbona – ratificato in Italia con L. 2 agosto 2008, n. 130 – e cioe’ 01/12/2009): poiche’ escluderebbe quella piu’ piena tutela risarcitoria, invece perseguibile con la concorrente responsabilita’ del preponente.
37. Ed una tale diversificazione neppure potrebbe difendersi in base a generiche esigenze finanziarie pubbliche, poiche’ la tutela dei diritti non puo’ mai a queste essere – se non altro sic et simpliciter o in linea di principio – sacrificata (come, in campo sovranazionale, riconosce da sempre, perfino in tema di esecuzione coattiva contro lo Stato, la Corte di Strasburgo: da ultimo, Corte eur. dir. Uomo 14/11/2017, IV sez., Spahic e aa. c. Bosnia-Erzegovina, in ric. n. 20514/15 e altri) e poiche’ in ogni caso va garantita, affinche’ possa dirsi apprestato un rimedio effettivo, almeno un’adeguata tutela risarcitoria in caso di violazione dei diritti fondamentali sanciti dalla Convenzione, incombendo il relativo onere a ciascuno Stato ed ai suoi organi, primi fra tutti quelli giurisdizionali (per tutte, sui relativi principi generali: Corte eur. dir. Uomo 11/06/2010, Grande Camera, GMgen c/ Germania, ric. 22978/05, pp. 115 a 119).
38. In definitiva, non puo’ piu’ accettarsi, perche’ in insanabile contrasto con tali principi fondamentali e da superarsi con una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, la conclusione che, quando gli atti illeciti sono posti in essere da chi dipende dallo Stato o da un ente pubblico (e cioe’ da chi e’ legittimo attendersi una particolare legalita’ della condotta), la tutela risarcitoria dei diritti della vittima sia meno effettiva rispetto al caso in cui questi siano compiuti dai privati per mezzo di loro preposti.
39. Si tratta, riprendendo una tesi non ignota alla stessa dottrina pubblicistica (sopra, punto 16), della ricostruzione sistematica di un regime di responsabilita’ articolato, corrispondente alla composita natura delle condotte dello Stato e degli enti pubblici: a seconda che cioe’ esse siano poste in essere nell’esercizio, pur se eccessivo o illegittimo, delle funzioni conferite agli agenti ed oggettivamente finalizzate al perseguimento di scopi pubblicistici, oppure che siano poste in essere da costoro quali singoli, ma approfittando della titolarita’ o dell’esercizio di quelle funzioni (o poteri o attribuzioni), sia pur piegandole al perseguimento di fini obiettivamente estranei o contrari a quelli pubblicistici in vista dei quali erano state conferite.
40. Nel primo caso, l’illecito e’ riferito direttamente all’Ente e questi ne rispondera’, altrettanto direttamente, in forza del generale principio dell’articolo 2043 c.c.; nel secondo caso, con le precisazioni di cui appresso, la responsabilita’ civile dell’Ente deve invece dirsi indiretta, per fatto del proprio dipendente o funzionario, in forza di principi corrispondenti a quelli elaborati per ogni privato preponente e desunti dall’articolo 2049 c.c..
41. Tale conclusione comporta che debba prescindersi in modo rigoroso da ogni colpa del preponente anche pubblico e lascia intatta la concorrente e solidale responsabilita’ del funzionario o dipendente (salvo eventuali limitazioni espressamente previste indotte dalla peculiarita’ di determinate materie, come nel caso del personale scolastico – L. 11 luglio 1980, n. 312, ex articolo 61 cpv., su cui v. Corte Cost. n. 64 del 1992 – o dei magistrati ex L. n. 113 del 1987, su cui v. tra le altre Corte Cost. n. 18 del 1989); e ad essa, beninteso, deve farsi eccezione quando vi sia un’esplicita diversa previsione normativa che, ad esempio per la peculiarita’ della specifica materia, mandi esente da responsabilita’ l’ente pubblico e mantenga esclusivamente quella dell’agente o viceversa.
42. Ritengono queste Sezioni Unite che debba allora superarsi la rigida alternativita’, con rapporto di mutua esclusione, fra i criteri di imputazione pubblicistico o diretto e privatistico o indiretto: l’articolo 28 Cost., non preclude l’applicazione della normativa del codice civile, piuttosto essendo finalizzata all’esclusione dell’immunita’ dei funzionari per gli atti di esercizio del potere pubblico ed alla contemporanea riaffermazione della responsabilita’ della P.A.; ne consegue che la concorrente responsabilita’ della P.A. e del suo dipendente per i fatti illeciti posti in essere da quest’ultimo al di fuori delle finalita’ istituzionali di quella deve seguire, in difetto di deroghe normative espresse, le regole del diritto comune.
43. Del resto, piu’ non osta all’applicabilita’ dell’articolo 2049 c.c., l’originaria sua ricostruzione come estrinsecazione di una colpa in eligendo vel in vigilando, la quale sarebbe esclusa in tesi nel rapporto organico in forza della predeterminazione normativa dei criteri di selezione e di un sistema pubblicistico di controlli, entrambi estrinsecazione di poteri discrezionali: infatti, la norma in esame prescinde, nella sua corrente ricostruzione, da ogni profilo di colpa.
44. Nemmeno l’ontologica differenza tra rapporto di preposizione institoria e rapporto organico tra Stato od ente pubblico e suo funzionario o dipendente osta alla generalizzazione del principio dell’articolo 2049 c.c., poiche’ questo e’ solamente espressione di un generale criterio di imputazione di tutti gli effetti, non solo favorevoli ma anche pregiudizievoli, dell’attivita’ non di diritto pubblico dei soggetti di cui ci si avvale; e che la P.A. possa rivestire la qualita’ di parte lesa nel procedimento penale avente ad oggetto la condotta del dipendente infedele non muta la responsabilita’ della prima nei confronti dei terzi, soltanto rilevando nei rapporti interni con quello.
45. Ancora, solo in caso di responsabilita’ indiretta e’ pienamente coerente col sistema generale (se non derogato da discipline speciali) di imputazione, nei rapporti interni, del carico dell’obbligazione risarcitoria l’attribuzione (talora normativamente prevista: v. ad es. l’articolo 22, cpv., del richiamato Decreto del Presidente della Repubblica n. 10 gennaio 1957, n. 3) di questo per intero al dipendente colpevole (in armonia con il sistema appunto di cui all’articolo 2049 c.c.: da ultimo, Cass. 05/07/2017, n. 16512), salva per quest’ultimo la prova della colpa pure dell’amministrazione.
G. L’occasionalita’ necessaria.
46. Alla puntualizzazione dell’ambito di operativita’ del criterio di imputazione ricondotto ai principi dell’articolo 2049 c.c., va premesso un richiamo ai principi in tema di causalita’ nel diritto civile.
47. A partire dalla fondamentale elaborazione di queste Sezioni Unite di cui alle sentenze nn. 576 ss. del di 11/01/2008 (alla cui esauriente motivazione, tuttora valida e meritevole di piena condivisione, qui basti un richiamo), ai fini della definizione della causalita’ materiale nell’ambito della responsabilita’ extracontrattuale va fatta applicazione dei principi penalistici, di cui agli articoli 40 e 41 c.p., sicche’ un evento e’ da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (c.d. teoria della condicio sine qua non).
48. Tuttavia, il rigore del principio dell’equivalenza delle cause, posto dall’articolo 41 c.p. (per il quale, se la produzione di un evento dannoso e’ riferibile a piu’ azioni od omissioni, deve riconoscersi ad ognuna di esse efficienza causale), trova un temperamento nel principio di causalita’ efficiente, desumibile dal capoverso della medesima disposizione, in base al quale l’evento dannoso deve essere attribuito esclusivamente all’autore della condotta sopravvenuta, solo se quest’ultima risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle regolari linee di sviluppo della serie causale gia’ in atto.
49. Al contempo, neppure e’ sufficiente tale relazione per dar luogo ad una causalita’ giuridicamente rilevante, dovendosi, all’interno delle serie causali cosi’ determinate, dare rilievo a quelle soltanto che appaiano ex ante idonee a determinare l’evento secondo il principio della c.d. causalita’ adeguata o quello similare della c.d. regolarita’ causale: quest’ultima, a sua volta, individua come conseguenza normale imputabile quella che – secondo l’id quod plerumque accidit e cosi’ in base alla regolarita’ statistica o ad una probabilita’ apprezzabile ex ante – integra gli estremi di una sequenza costante dello stato di cose originatosi da un evento originario (ivi compresa la condotta umana), che ne costituisce l’antecedente necessario e sufficiente. E, sempre secondo i citati precedenti di queste Sezioni Unite, la sequenza costante deve essere prevedibile non da un punto di vista soggettivo, cioe’ da quello dell’agente, ma in base alle regole statistiche o scientifiche (se non proprio, in sostanza, di empiria reiterata e verificata) e quindi per cosi’ dire oggettivizzate, da cui inferire un giudizio di probabilita’ di verificazione dell’evento.
50. Il principio della regolarita’ causale, rapportato ad una valutazione ex ante, diviene la misura della relazione probabilistica in astratto (e svincolata da ogni riferimento soggettivo) tra evento generatore del danno ed evento dannoso (nesso causale), da ricostruirsi anche sulla base dello scopo della norma violata, mentre tutto cio’ che attiene alla sfera dei doveri di avvedutezza comportamentale va piu’ propriamente ad iscriversi entro l’elemento soggettivo dell’illecito (la colpevolezza), ove questo per l’ordinamento rilevi; ma non potendo escludersi una loro efficienza peculiare nel senso dell’elisione, a certe condizioni, del nesso causale tra l’illecito ed il danno, come precisato dalle sezioni semplici di questa Corte (su cui vedi, per tutte, Cass. ord. 01/02/2018, nn. 2478, 2480 e 2482).
51. Non e’ questa la sede per esaminare le differenze tra causa ed occasione o concausa, ne’ per sanare la contradictio in adiecto della nozione di occasionalita’ necessaria: infatti, basta qui rilevare che questa coinvolge una peculiare specie di relazione di causalita’, visto che, nella concreta elaborazione che finora se ne e’ operata e con le precisazioni di cui appresso, una tale occasionalita’ necessaria si identifica con quella peculiare relazione tra l’uno e l’altro tale per cui la verificazione del danno-conseguenza non sarebbe stata possibile senza l’esercizio dei poteri conferiti da altri, che assurge ad antecedente necessario anche se non sufficiente; ma qui va affermata la necessita’ che tale valutazione di impossibilita’ sia operata in base ai principi della causalita’ adeguata appena riassunti e cosi’ ad un giudizio controfattuale, oggettivizzato ex ante, di regolarita’ causale atta a determinare l’evento, vale a dire di normalita’ – in senso non ancora giuridico, ma naturalistico-statistico – della sua conseguenza.
52. Ne consegue che il preponente pubblico, con tale espressione potendo descrittivamente identificarsi lo Stato o l’ente pubblico nella fattispecie di interesse, risponde del fatto illecito del proprio funzionario o dipendente ogni qual volta questo non si sarebbe verificato senza l’esercizio delle funzioni o delle attribuzioni o dei poteri pubblicistici: e cio’ a prescindere dal fine soggettivo dell’agente (non potendo dipendere il regime di oggettiva responsabilita’ dalle connotazioni dell’atteggiamento psicologico dell’autore del fatto), ma in relazione all’oggettiva destinazione della condotta a fini diversi da quelli istituzionali o – a maggior ragione – contrari a quelli per i quali le funzioni o le attribuzioni o i poteri erano stati conferiti.
53. La conseguenza e’ l’integrale applicazione della disciplina della responsabilita’ extracontrattuale, che implica a sua volta un’adeguata delimitazione di tale conclusione: in primo luogo, valgono i principi e le regole in tema di accertamento del nesso causale secondo le regole sopra ricordate; in secondo luogo, vige l’elisione del nesso in ipotesi di fatto naturale o del terzo o del danneggiato che sia di per se’ solo idoneo a determinare l’evento; in terzo luogo, si applica la regola generale dell’articolo 1227 c.c., in tema di concorso del fatto colposo del danneggiato (su cui v., tra le altre, le gia’ richiamate Cass. ord. nn. 2478, 2480 e 2482 del 2018).
54. Soprattutto, pero’, e’ insito nel concetto stesso di causalita’ adeguata che la sequenza tra premesse e conseguenze sia rigorosa e riferita a quelle tra queste che appaiano, con giudizio controfattuale di oggettivizzazione ex ante della probabilita’ o di regolarita’ causale, come sviluppo non anomalo, anche se implicante violazioni o deviazioni od eccessi in quanto anch’esse oggettivamente prevenibili, di attivita’ rese possibili solo da quelle funzioni, attribuzioni o poteri.
55. In tanto puo’ giustificarsi, infatti, la scelta legislativa di far carico al preponente degli effetti delle attivita’ compiute dai preposti, in quanto egli possa raffigurarsi ex ante quali questi possano essere e possa prevenirli o tenerli in adeguata considerazione nell’organizzazione della propria attivita’ quali componenti potenzialmente pregiudizievoli: e quindi in quanto possa da lui esigersi di prefigurarsi gli sviluppi che possono avere le regolari (in quanto non anomale od oggettivamente improbabili) sequenze causali dell’estrinsecazione dei poteri (o funzioni o attribuzioni) conferiti al suo preposto, tra i quali rientra la violazione aperta del dovere di ufficio la cui cura e’ stata affidata, non per nulla quello essendo circondato di garanzie o meccanismi di salvaguardia anche interni alla stessa organizzazione del preponente (come rileva Cass. pen. 13799 del 2015 cit.).
56. Ne deriva che quest’ultimo andra’ esente dalle conseguenze dannose di quelle condotte, anche omissive, poste in essere dal preposto in estrinsecazione dei poteri o funzioni o attribuzioni conferiti, che fosse inesigibile prevenire o raffigurarsi oggettivamente come sviluppo non anomalo, secondo un giudizio controfattuale oggettivizzato ex ante, di quell’estrinsecazione, quand’anche distorta o deviata o vietata: in tanto assorbita od a tanto ricondotta, almeno quanto alla sola qui rilevante fattispecie dei danni causati dall’illecito del pubblico funzionario, ogni altra conclusione sull’occasionalita’ necessaria, tra cui l’estensione alla mera agevolazione della commissione del fatto.
H. Sintesi.
57. Per sintetizzare quanto fin qui esposto, occorre dunque postulare una natura composita della responsabilita’ dello Stato o dell’ente pubblico per il fatto illecito del dipendente o funzionario, per applicare i principi della responsabilita’ indiretta elaborati per l’articolo 2049 c.c., all’attivita’ non provvedimentale (o istituzionale) della pubblica amministrazione; e, in base ad essi, affermarne la concorrente e solidale responsabilita’ per i danni causati da condotte del preposto pubblico definibili come corrispondenti ad uno sviluppo oggettivamente non improbabile delle normali condotte di regola inerenti all’espletamento delle incombenze o funzioni conferite, anche quale violazione o come sviamento o degenerazione od eccesso, purche’ anche essi prevenibili perche’ oggettivamente non improbabili.
58. Sono pertanto fonte di responsabilita’ dello Stato o dell’ente pubblico anche i danni determinati da condotte del funzionario o dipendente, pur se devianti o contrarie rispetto al fine istituzionale del conferimento del potere di agire, purche’:
– si tratti di condotte a questo legate da un nesso di occasionalita’ necessaria, tale intesa la relazione per la quale, in difetto dell’estrinsecazione di detto potere, la condotta illecita dannosa – e quindi, quale sua conseguenza, il danno ingiusto – non sarebbe stata possibile, in applicazione del principio di causalita’ adeguata ed in base al giudizio controfattuale riferito al tempo della condotta;
nonche’:
– si tratti di condotte raffigurabili o prevenibili oggettivamente, sulla base di analogo giudizio, come sviluppo non anomalo dell’esercizio del conferito potere di agire, rientrando nella normalita’ statistica pure che il potere possa essere impiegato per finalita’ diverse da quelle istituzionali o ad esse contrarie e dovendo farsi carico il preponente delle forme, non oggettivamente improbabili, di inesatta o infedele estrinsecazione dei poteri conferiti o di violazione dei divieti imposti agli agenti.
59. Infine, adeguata protezione del preponente dal rischio di rispondere del fatto del proprio ausiliario o preposto al di la’ dei generali principi in tema di risarcimento del danno extracontrattuale si ravvisa nell’applicazione anche in materia di danni da attivita’ non provvedimentale della P.A. dei principi in tema di elisione del nesso causale in ipotesi di caso fortuito o di fatto del terzo o della vittima di per se’ solo idoneo a reciderlo e di quelli in tema di riduzione del risarcimento in caso di concorso del fatto almeno colposo di costoro.
60. La questione sottoposta a queste Sezioni Unite dall’ordinanza interlocutoria va cosi’ risolta alla stregua del seguente principio di diritto: “lo Stato o l’ente pubblico risponde civilmente del danno cagionato a terzi dal fatto penalmente illecito del dipendente anche quando questi abbia approfittato delle sue attribuzioni ed agito per finalita’ esclusivamente personali od egoistiche ed estranee a quelle dell’amministrazione di appartenenza, purche’ la sua condotta sia legata da un nesso di occasionalita’ necessaria con le funzioni o poteri che il dipendente esercita o di cui e’ titolare, nel senso che la condotta illecita dannosa – e, quale sua conseguenza, il danno ingiusto a terzi non sarebbe stata possibile, in applicazione del principio di causalita’ adeguata ed in base ad un giudizio controfattuale riferito al tempo della condotta, senza l’esercizio di quelle funzioni o poteri che, per quanto deviato o abusivo od illecito, non ne integri uno sviluppo oggettivamente anomalo”.
I. conclusioni.
61. Nella specie, non risulta mai utilmente contestato che le funzioni attribuite allo (OMISSIS), cancelliere in servizio presso un ufficio giudiziario (quale il Tribunale di Catania), comprendessero, anche in dipendenza delle sue attribuzioni all’interno di questo, pure quelle di custodia o di cooperazione nella custodia delle somme depositate presso il medesimo, ricavate nelle fasi di un giudizio civile – nella specie, di divisione – e funzionalizzate al perseguimento dello scopo istituzionale della loro consegna agli aventi diritto, a garanzia dell’imparzialita’ della Giustizia e del corretto andamento della pubblica amministrazione.
62. E’ altrettanto evidente che la violazione, in concreto avutasi da parte dello stesso (OMISSIS), del divieto di distrarre quelle somme dal loro fine istituzionale era una conseguenza riconducibile ad una sequenza causale (purtroppo) oggettivamente non improbabile e che quindi avrebbe dovuto prevenirsi da parte di qualunque preponente:
in tanto il cancelliere infedele ha potuto appropriarsi di quelle somme proprio e soltanto perche’ era titolare di quelle attribuzioni o funzioni o poteri, sia pure appunto piegandoli a fini eminentemente personali od egoistici ed oltretutto delittuosi, accedendo alla cassaforte in cui il libretto era custodito o comunque impossessandosene, falsificando la firma del responsabile del mandato di pagamento ed accedendo presso il depositario per riscuoterlo simulando l’attuazione di un atto amministrativo (nella specie, giudiziario) legittimamente emesso.
63. Del danno conseguente a tale complessiva condotta criminosa, obiettivamente prevenibile da chi conferisca ad altri il potere di custodire somme o di eseguire ordini o mandati di pagamento a valere sui relativi documenti rappresentativi e pertanto imputabile al primo, non poteva che essere responsabile in solido, pertanto, l’ente pubblico da cui il funzionario dipendeva: e la gravata sentenza va allora cassata, in accoglimento dell’unitario motivo di ricorso ed in tal senso risolta la questione devoluta a queste Sezioni Unite dall’ordinanza di rimessione.
64. Va disposto il rinvio alla stessa corte territoriale, in diversa composizione, affinche’, all’esito provvedendo pure sulle spese del giudizio di legittimita’ ai sensi della seconda ipotesi dell’articolo 385 c.p.c., comma 3, decida la controversia in applicazione del principio di diritto enunciato al precedente punto 60: il quale si declina, in relazione alla presente fattispecie, nel senso che l’Amministrazione della Giustizia risponde dei danni cagionati dal delitto di peculato del cancelliere che, in ragione dell’esercizio delle funzioni conferitegli (nella specie, di custodia o concorso nella custodia delle somme, ricavate nel corso di un giudizio civile di divisione, depositate per il perseguimento dello scopo istituzionale della consegna agli aventi diritto), abbia obiettivamente violato, per fini personali od egoistici, i propri doveri di ufficio (nella specie, appropriandosi delle somme giacenti su libretto di deposito giudiziario affidato alla sua custodia mediante falsificazione della firma del funzionario competente per il mandato di pagamento ed accesso presso il depositario per la riscossione).
65. Infine, va dato atto della non sussistenza, per essere stato accolto il ricorso, dei presupposti per l’applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso. Cassa la gravata sentenza e rinvia alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimita’.

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