In tema di contraddittorio e poteri del giudice tributario

Corte di Cassazione, sezione tributaria, Ordinanza 18 maggio 2019, n. 13490.

La massima estrapolata:

In tema di contraddittorio e poteri del giudice tributario, non lede il diritto di difesa la ripresa a tassazione contenuta nell’avviso di accertamento per importi maggiori a quelli oggetto del prodromico processo verbale di constatazione, in quanto solo con l’atto impositivo, che non dipende necessariamente dal p.v.c., si esterna ciò che viene constatato ed accertato dall’Amministrazione finanziaria ed è al rispetto del suo contenuto che è tenuto il giudice tributario.

Ordinanza 18 maggio 2019, n. 13490

Data udienza 26 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 12316-2018 proposto da:
(OMISSIS), in proprio nonche’ nella qualita’ della cessata (OMISSIS) SNC, nonche’ anche nella qualita’ di rappresentante legale della (OMISSIS) DI (OMISSIS), e (OMISSIS), in proprio nonche’ nella qualita’ di socio della (OMISSIS) SNC, elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
AGENZIA ENTRATE, c.p. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6054/19/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO SEZIONE DISTACCATA di LATINA, depositata il 20/10/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GORI PIERPAOLO.

RILEVATO

che:
– Con sentenza n. 6054/19/17 depositata in data 26 gennaio 2017 la Commissione tributaria regionale del Lazio, sez. staccata di Latina, rigettava l’appello proposto da (OMISSIS) e da (OMISSIS), in proprio e quali soci della cessata societa’ (OMISSIS) Snc, e il primo anche quale titolare dell’omonima ditta individuale, avverso la sentenza n. 465/4/16 della Commissione tributaria provinciale di Latina che aveva, previa riunione del ricorso proposto dalla societa’, poi trasformata in ditta individuale, con quelli proposti dai soci, rigettato i ricorsi contro avvisi di accertamento per II.DD. ed IVA 2009 e 2010 e basati su accertamenti bancari di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32, n. 2;
– La CTR condivideva la decisione di primo grado ritenendo nel merito che i contribuenti non avessero dato prove idonee a superare le risultanze degli accertamenti bancari condotti dall’Amministrazione sui conti correnti dei contribuenti;
– Avverso la decisione hanno proposto ricorso per cassazione i contribuenti, deducendo quattro motivi, che illustrano con memoria cui resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

CONSIDERATO

che:
– Con il primo e terzo motivo – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3- i contribuenti si dolgono della violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32, per aver la CTR illegittimamente confermato che le movimentazioni bancarie giustificassero le riprese, nonostante la prova contraria fornita e, comunque, il fatto che l’avviso di accertamento riguardasse importi superiori a quelli accertati dai prodromici processi verbali di constatazione, con conseguente violazione del contraddittorio;
– Le censure, da esaminarsi congiuntamente con riferimento al profilo del contraddittorio endoprocedimentale, sono infondate. Va ribadito, quanto alla presunzione legale relativa in materia di accertamenti bancari e al previo contraddittorio, che: “In tema di accertamento delle imposte surredditi, la presunzione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, ex articolo 32, consente all’Amministrazione finanziaria di riferire “de plano” ad operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente, salva la prova contraria da parte di costui, e la legittimita’ della utilizzazione degli elementi risultanti dalle movimentazioni bancarie non e’ condizionata alla previa instaurazione del contraddittorio con il contribuente sin dalla fase dell’accertamento, posto che il citato Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32 prevede quel contraddittorio alla stregua di mera facolta’, non di obbligo, dell’amministrazione tributaria.” (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 10249 del 26/04/2017 – Rv. 644098 – 01);
– Inoltre, quanto ai limiti delle “vires” del giudice tributario, circoscritte dall’atto impositivo, va reiterato che: “Il processo tributario, in quanto rivolto a sollecitare il sindacato giurisdizionale sulla legittimita’ del provvedimento impositivo, e’ strutturato come un giudizio di impugnazione del provvedimento stesso e tale caratteristica circoscrive il dibattito alla pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato. Ne consegue che non e’ consentito al giudice tributario, pur se libero di qualificare giuridicamente i fatti allegati a sostegno della pretesa fiscale, di estendere la propria indagine, in ordine alla fondatezza della pretesa stessa, all’esame di circostanze nuove ed estranee a quelle originariamente invocate dall’ufficio” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4125 del 22/03/2002, Rv. 553201 – 01);
– Inoltre, si rammenta che “Il giudizio tributario non si connota come un giudizio di “impugnazione-annullamento”, bensi’ come un giudizio di “impugnazione-merito”, in quanto non e’ finalizzato soltanto ad eliminare l’atto impugnato, ma e’ diretto alla pronuncia di una decisione di merito sul rapporto tributario, sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria, previa quantificazione della pretesa erariale, peraltro entro i limiti posti da un lato, dalle ragioni di fatto e di diritto esposte nell’atto impositivo impugnato e, dall’altro lato, dagli specifici motivi dedotti nel ricorso introduttivo del contribuente. ” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21759 del 20/10/2011, Rv. 619743 – 01);
– Nel caso di specie, la sentenza impugnata si e’ attenuta ai principi di diritto summenzionati, in primo luogo nell’applicazione del canone dell’onere della prova, alla luce della presunzione relativa discendente dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32, che la CTR accerta in fatto non essere stata superata, e cui i contribuenti non replicano evidenziando prove decisive contrarie ritualmente introdotte nel processo e di cui i giudici di appello non abbiano tenuto conto.
In secondo luogo, la deduzione secondo la quale con l’avviso di accertamento l’amministrazione finanziaria non avrebbe potuto recuperare ad imposizione somme maggiori di quelle risultanti dai p.v.c. senza previo contraddittorio sul punto per consentirgli di giustificare le movimentazioni via via contestategli, e la CTR avrebbe mancato di sanzionare cio’, non coglie nel segno. Infatti, premesso che non esiste nel sistema un obbligo generalizzato di contraddittorio endoprocedimentale, che nel caso di specie si verte in materia di accertamento a tavolino e che, anche per le imposte armonizzate, sussiste un onere di dimostrare in che misura il contraddittorio avrebbe consentito un esito diverso (v., mutatis mutandis, Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 701 del 15/01/2019, Rv. 652456 – 01), l’avviso di accertamento e’ atto non necessariamente dipendente dal contenuto del p.v.c., perche’ in esso, atto impositivo, si esterna cio’ che viene constatato ed accertato dall’amministrazione finanziaria, ed e’ al rispetto del contenuto dell’atto impositivo che e’ tenuto lo stesso giudice tributario. Pertanto, ben poteva l’Amministrazione procedere al recupero ad imposizione di importi in misura maggiore di quelli risultanti dal p.v.c., in quanto questi non necessariamente devono coincidere con quelli riportati nel successivo avviso di accertamento e, a maggior ragione, il p.v.c. non circoscrive i poteri del giudice tributario;
La Corte ritiene al proposito di esprimere il seguente principio di diritto, desumibile dalle pronunce giurisprudenziali sopra citate: “In tema di contraddittorio e di poteri del giudice tributario, non sussiste alcuna lesione del diritto di difesa per il solo fatto che la ripresa ad imposizione contenuta nell’avviso di accertamento sia per importi superiori a quelli oggetto del prodromico processo verbale di constatazione, in quanto l’atto impositivo non dipende necessariamente dal p.v.c., perche’ solo in esso si esterna cio’ che viene constatato ed accertato dall’amministrazione finanziaria, ed e’ al rispetto del contenuto dell’atto impositivo che e’ tenuto il giudice tributario”;
– Con il secondo motivo, i contribuenti deducono – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 42, comma 2, per difetto di motivazione dell’avviso;
– La censura e’ inammissibile. Va rammentato che: “In tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza – prescritto, a pena di inammissibilita’, dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 3, – e’ volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore
della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione: ne deriva che il ricorrente ha l’onere di operare
una chiara funzionale alla piena valutazione di detti motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di cassazione (che non e’ tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda, la cui testuale riproduzione, in tutto o in parte, e’ invece richiesta quando la sentenza e’ censurata per non averne tenuto conto.” (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 24340 del 04/10/2018 – Rv. 651398 – 01). Nel caso di specie non e’ riportato in ricorso il passaggio dell’atto di appello in cui la doglianza viene riproposta avanti alla CTR, ne’ la sentenza gravata ne da’ conto, ne’ e’ stato riprodotto il contenuto dell’avviso di accertamento di cui i ricorrenti lamentano il difetto di motivazione, da cio’ derivandone plurimi profili di inammissibilita’;
– Con il quarto motivo, ci si duole – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3- della violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 63, comma 3, per non essersi gli uffici finanziari, in presenza di reiterazione di accessi presso gli stessi contribuenti, dati reciprocamente tempestiva comunicazione delle ispezioni e delle verifiche intraprese e, in particolare, per non essere nota la motivazione per cui non sarebbero stati recepiti i rilievi della Guardia di Finanza da parte dell’Agenzia delle Entrate;
– Il motivo e’ inammissibile. Va ribadito che: “In tema di ricorso per cassazione, qualora una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimita’, al fine di evitare una statuizione di inammissibilita’ per novita’ della censura, ha l’onere non solo di
allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicita’ di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 1435 del 22/01/2013, Rv. 625055 – 01; conformi, Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 27568 del 21/11/2017, Rv. 646645 – 01 e Cass. Sez. 1 -, Sentenza n. 16347 del 21/06/2018, Rv. 649535 – 01);
– Nel caso di specie, emerge chiaramente la novita’ della questione dedotta, la cui prospettazione nei precedenti gradi di merito non e’ desumibile ne’ dal contenuto del ricorso ne’ dalla sentenza impugnata;
– In conclusione, il ricorso va rigettato, e dal rigetto discende il regolamento delle spese di lite secondo soccombenza.

P.Q.M.

La Corte:
– rigetta il ricorso, e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione alla resistente delle spese di lite, liquidate in Euro 5.600,00 oltre spese prenotate a debito.
La Corte da’ atto che, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (legge di stabilita’ 2013), per effetto del presente provvedimento sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore contributo unificato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-bis, testo unico spese di giustizia.

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