Legittimo l’indennizzo commisurato alla servitù pubblica

Corte di Cassazione, sezioni unite civili, Sentenza 11 gennaio 2019, n. 542.

La massima estrapolata:

Legittimo l’indennizzo commisurato alla servitù pubblica anche in caso di eventi dannosi che non ne compromettono totalmente l’utilizzo e non si risolvono in un esproprio totale del bene.

Sentenza 11 gennaio 2019, n. 542

Data udienza 11 settembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente

Dott. SPIRITO Angelo – Primo Presidente

Dott. MANNA Felice – Presidente di Sez.

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 3344-2017 proposto da:
AZIENDA AGRICOLA S.A.S. (OMISSIS), nonche’ (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e nella qualita’ di legali rappresentanti dell’Azienda stessa, elettivamente domiciliati in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
REGIONE TOSCANA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
contro
PROVINCIA DI PRATO, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– resistente –
avverso la sentenza n. 200/2016 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il 16/06/2016.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’11/09/2018 dal Consigliere LINA RUBINO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale CAPASSO LUCIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; uditi gli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) per delega dell’avvocato (OMISSIS) e (OMISSIS) per delega dell’avvocato (OMISSIS).

I FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e quali titolari dell’omonima azienda agricola s.a.s., convennero in giudizio dinanzi al Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche presso la Corte d’appello di Firenze la Regione Toscana e la Provincia di Prato per sentirle condannare al risarcimento dei danni patiti dai fondi di loro proprieta’ in dipendenza degli episodi di apertura delle casse di espansione di Ponte alle Vanne e di Lavacchione avvenuti il 25.12.09 e il 2223.12.10, ritenendo configurabile un esproprio di fatto nelle concrete modalita’ di esercizio della servitu’ di allagamento, assai piu’ gravose rispetto a quelle originariamente presupposte.
Le convenute si costituirono, contestando ciascuna la propria legittimazione passiva ed eccependo il giudicato, in virtu’ delle sentenze di quello stesso Tribunale regionale nn. 9/99 (non definitiva) e 23/02 (definitiva), che avevano – tra l’altro – riconosciuto in favore degli attori un risarcimento di oltre 250.000Euro per la riduzione del valore del fondo conseguente ai possibili allagamenti passati ed anche futuri, derivanti appunto dall’utilizzo delle casse di espansione.
2. Il Tribunale regionale adito, con sentenza n. 112 del 21 gennaio 2014, rigettava tutte le domande proposte dai (OMISSIS) e (OMISSIS), individuando la proposizione da parte degli attori di tre distinti gruppi di domande (uno volto ad ottenere il risarcimento dei danni da abuso del diritto di allagamento, un secondo con il quale si chiedeva
accertarsi il dedotto aggravamento della servitu’ e un terzo volto a chiedere il risarcimento per l’esproprio di fatto in cui si sarebbe tradotto il frequente allagamento dei terreni). Il TRAP respingeva le domande, escludendo sia la presenza di un abuso nella gestione dell’allagamento delle casse, sia la configurabilita’ di un aggravamento di servitu’ riconducibile alla semplice maggior ricorrenza dell’esercizio delle facolta’ che ne costituivano oggetto, sia la rilevanza dello scostamento delle previsioni poste a base della liquidazione dei danni nelle pregresse sentenze, ormai passate in giudicato.
3. Contro tale sentenza l’Azienda agricola s.a.s. di (OMISSIS) e (OMISSIS) propose appello, deducendo (oltre alla fondatezza della domanda di esproprio di fatto e di aggravamento della servitu’ di allagamento) che il TRAP di Firenze avesse omesso di pronunciarsi sull’autonoma domanda di risarcimento danni proposta dalla societa’ in proprio, non coperta dai danni risarciti con le due sentenze precedenti in favore delle persone fisiche dei soci.
4. Con sentenza n. 200 del 16 giugno 2016, il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche rigettava l’appello, ritenendolo infondato nella stessa prospettazione delle tesi di diritto.
Al punto 5.1. della sentenza qui impugnata il TSAP ricostruiva l’articolata pretesa degli appellanti come volta a far valere le diminuzioni patrimoniali subite per i danni arrecati ai fondi da loro coltivati o detenuti o posseduti, dovute alle concrete modalita’ di esercizio delle servitu’ relative alle due casse di espansione (e concretantesi in due allagamenti, del 2009 e del 2010), dedotte dagli appellanti come sensibilmente differenti, nel senso di una notevole maggior gravita’, rispetto a quanto originariamente previsto dai progetti posti a base della realizzazione dei manufatti.
Puntualizzava che il giudice di primo grado, benche’ non avesse compiuto un accurato riscontro circa la esatta corrispondenza dei fondi oggetto delle precedenti sentenze di merito passate in giudicato con quelli oggetto della presente azione, avesse correttamente inquadrato il problema con riferimento alle tre linee argomentative dell’abuso del diritto di allagamento, dell’aggravamento della servitu’ e dell’esproprio di fatto.
Confermava la decisione di primo grado, pur con una necessaria integrazione quanto alle casse di Lavacchione. Precisava infatti che, quanto ai fondi interessati dalla cassa di espansione di Ponte alle Vanne, erano intervenute le due sentenze passate in giudicato che risarcivano i danni; quanto ai fondi interessati dalla cassa del Lavacchione, gli appellanti erano stati indennizzati dalla Regione. Cio’ premesso, affermava che la quantificazione preventiva e forfettaria dei danni futuri contenuta nell’un caso nelle sentenze passate in giudicato, nell’altro caso nell’accordo volontario con il quale si accettava l’indennizzo per l’asservimento dei terreni in questione agli eventuali allagamenti che si fossero resi necessari in futuro in presenza di situazioni metereologiche particolarmente avverse, non fosse in alcun modo scalfita dalla eventuale inferiorita’ del danno previsto rispetto a quello effettivamente verificatosi, rientrando nell’alea normalmente insita in una valutazione prognostica e probabilistica quale quella necessitata in casi consimili (salvo il solo caso dell’aggravamento imprevedibile). Escludeva la configurabilita’ nel caso di specie di quell’aggravamento imprevedibile del danno che avrebbe consentito una maggiore liquidazione, precisando che a tal fine sarebbe stato necessario prendere in considerazione un arco di tempo ben maggiore per valutare l’imprevedibilita’ del danno effettivamente verificatosi rispetto a quello tenuto in conto nella valutazione ex ante.
Escludeva quindi l’abuso del diritto di allagamento, ritenendo pienamente legittimo l’operato degli enti gestori; escludeva l’aggravamento della servitu’ di allagamento, osservando che da un lato, non di tutti i fondi gli appellati si professavano titolari di diritti reali ed inoltre evidenziando che una maggiore o minore frequenza nell’esercizio delle facolta’ concesse al titolare del diritto di servitu’ di per se’ non rileva ai fini dell’aggravamento della servitu’ stessa; quanto al dedotto esproprio di fatto, riteneva satisfattivo, per i motivi esposti, l’indennizzo gia’ corrisposto. Infine, indicava una sostanziale coincidenza tra le persone dei soci e la societa’ agricola.
5. Contro tale sentenza propone ricorso per Cassazione, con un unico motivo, l’Azienda Agricola s.a.s. (OMISSIS).
Resiste con controricorso la Regione Toscana. La Provincia di Prato ha depositato procura speciale ed ha partecipato alla discussione in udienza pubblica.
Non sono state depositate memorie.

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2909 c.c., della L. n. 2359 del 1865, articolo 40, della Legge Regionale Toscana n. 67 del 2003, commi 3 e 4, articolo 31, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, nonche’ il contrasto tra la sentenza impugnata e le sentenze n. 88 del 5 dicembre 1997 del TSAP, n. 9 del 25 giugno 1999 del TRAP, n. 23 del 29 novembre 2002 del TRAP, passate in giudicato e pronunciate tra le stesse parti. Denuncia inoltre la violazione degli articoli 1218, 1223, 1063 e 1067 c.c. e la violazione dell’articolo 117 Cost., comma 1, in relazione all’articolo 1, primo prot. CEDU, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3.
Osserva che le menzionate sentenze del TSAP e del TRAP passate in giudicato non comprendono anche la riparazione dei futuri danni alle colture, ma risarciscono solo la diminuzione del valore dei terreni nella allora stimata misura del 35%, e che pertanto non sia coperto da giudicato il diritto dei ricorrenti di essere risarciti e indennizzati, per i nuovi fatti sopravvenuti alle sentenze, sia in riferimento ai danni alle colture subiti dall’Azienda Agricola a seguito delle aperture delle casse di espansione avvenute il 25 dicembre 2009 e il 22-23 dicembre 2010, sia dei danni per la ulteriore diminuzione del valore dei terreni pari al 100%, con evidente azzeramento del valore e conseguente esproprio di fatto e/o aggravamento della servitu’ di allagamento.
Lamenta infatti che tali danni si basino su fatti sopravvenuti alla sentenza n. 92/2002, eccezionali e imprevedibili rispetto a quanto previsto nel progetto originario approvato dalla Regione Toscana (non riprodotto in questa sede), che prevedeva l’apertura delle casse di espansione ogni cento anni, sulla cui base l’azienda agricola sottoscrisse l’accordo volontario.
Deduce che la sentenza impugnata non abbia considerato che le casse di espansione debbano essere utilizzate in base al progetto, ai sensi dell’articolo 1063 c.c., e che un loro utilizzo comporti sempre e comunque un indennizzo per i danni alle colture cosi’ come prevede lo stesso progetto; con la conseguenza che, per un verso, risultino violate le norme di cui all’articolo 1063 c.c. (per cui la servitu’ di allagamento, in relazione all’estensione e al suo esercizio, e’ regolata dal titolo) e articolo 1067 c.c. (che vieta di aggravare la servitu’, pena il diritto al risarcimento del danno) e, per l’altro, che ai fini della configurazione del risarcimento richiesto non sia necessario provare ne’ la mancanza di uno stato di necessita’ o di pericolo o di calamita’ o di rischio idraulico, ne’ tantomeno l’abusivo utilizzo della cassa di espansione.
Assume che la nuova azione proposta non sia coperta da giudicato, in quanto si farebbe valere il fatto, nuovo e diverso, dell’aggravamento della servitu’ di allagamento con conseguente esproprio di fatto. Deduce che il Giudice dell’impugnata sentenza non abbia tenuto conto che, a seconda della frequenza degli allagamenti, si prospetti un range di possibili indennita’, che vanno da quella di esproprio a quella di servitu’ di allagamento con indennizzo minimo; e che pertanto il risarcimento del danno liquidato nella misura del 35% del valore venale dei beni debba essere integrato in proporzione all’incidenza negativa sensibilmente aumentata.
Lamenta infine che l’inutilizzabilita’ del bene integri una violazione del diritto di proprieta’, garantito quale diritto dell’uomo ai sensi dell’articolo 1 del Primo prot. CEDU; e che la stessa rappresenti la novita’ fattuale ignorata dal Giudice della sentenza impugnata, in violazione dell’orientamento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che riconosce tutela anche a tutti i casi di espropriazione di fatto.
La Regione Toscana, controricorrente, oltre a chiedere il rigetto del ricorso ribadisce, per l’eventuale ipotesi di suo accoglimento, il proprio difetto di legittimazione passiva, per essere competenti, in materia di difesa del suolo in relazione ai compiti di piena e pronto intervento idraulico, la Provincia di Prato (in quanto il trasferimento di competenze dalla Provincia alla Regione operato dalla Legge Regionale Toscana n. 22 del 2015, non opererebbe, a norma dell’articolo 10 della medesima legge, per i procedimenti gia’ avviati al momento del trasferimento delle funzioni), e, per la manutenzione delle casse di espansione, il Consorzio (OMISSIS).
Il motivo di ricorso e’ infondato.
Esso riproduce le caratteristiche della linea argomentativa seguita nel giudizio di merito, ovvero tende integrare l’uno con l’altro profili non del tutto coincidenti di asserita lesione dei diritti dei ricorrenti, che invece il Tribunale Regionale prima ed il TSAP poi hanno opportunamente tenuti distinti, dando una scansione logica e concettuale alle domande proposte dai ricorrenti, pur ritenendoli tutti infondati.
Tende inoltre, inammissibilmente, a reintrodurre in questa sede, pur prospettando l’esistenza di plurime violazioni di legge, il giudizio di fatto sull’aggravamento della servitu’ di allagamento e sull’avvenuto verificarsi di un esproprio di fatto.
In relazione alle lamentate violazioni di legge, la sentenza impugnata resiste alle critiche mossele.
Quanto al profilo dell’aggravamento del diritto di servitu’, in primo luogo non vi e’ censura al profilo motivazionale con il quale il Tsap segnala che, proponendo una complessiva domanda risarcitoria sotto molteplici profili, i ricorrenti non si sono neppure professati titolari di diritti reali su tutti i fondi oggetto dell’allagamento, condizione necessaria ai fini della legittimazione ad agire a tutela dell’aggravamento delle modalita’ di esercizio di una servitu’.
Risulta inoltre corretta in diritto l’affermazione secondo la quale una maggiore o minore frequenza dell’uso tipico della servitu’ ovvero delle facolta’ concesse al titolare del fondo dominante, da esercitarsi sul fondo servente, non e’ di per se’ idonea a determinare l’aggravamento della servitu’ stessa.
Ne’ e’ allegato, ai fini della prospettata violazione dell’articolo 1067 c.c., la realizzazione di alcun tipo di innovazioni che rendano piu’ gravosa la condizione del fondo servente, in quanto si lamenta semplicemente un ricorso piu’ frequente all’uso tipico della servitu’ – di allagamento controllato, appunto, dei fondi ad esso assoggettati – rispetto a quanto originariamente prefiguratosi dalle parti in base alle esigenze dell’epoca, con valutazione ex ante.
Neppure riproduce, il testo di eventuali accordi sottoscritti (ne’ li richiamano con sufficiente precisione), dai quali emerga che l’amministrazione pubblica si fosse impegnata a procedere agli allagamenti controllati con una determinata periodicita’, successivamente non rispettata.
A cio’ si aggiunga che l’aggravamento di una servitu’ conseguente alla modificazione dello stato dei luoghi o alla sopravvenienza di diverse modalita’ di esercizio non puo’ ritenersi “in re ipsa”, ma deve essere valutato caso per caso, in relazione al complesso delle circostanze in concreto esistenti, tenendo conto degli elementi probatori forniti dalle parti.
Nel caso di specie il giudice di merito ha escluso, con accertamento in fatto, sia che si sia verificato un aggravamento nel senso sopra indicato, sia che la maggior frequenza dell’allagamento implichi un danno imprevisto o imprevedibile (solo in questa ipotesi potrebbe configurarsi il diritto al risarcimento di un danno futuro, non coperto dalla liquidazione effettuata con le due sentenze passate in giudicato, quanto al terreno di Ponte alle Vanne, che hanno riconosciuto il danno conseguente ad una perdita di valore del fondo nella misura del 35%, ne’ dalla quantificazione volontariamente accettata in relazione al terreno di Lavacchione).
Ugualmente, l’accertamento in fatto considera assolutamente troppo esiguo il lasso di tempo tra la prima messa in utilizzo delle casse di espansione e la proposizione della domanda risarcitoria, dopo due episodi di allagamento, per potersene trarre una valutazione significativa in relazione al verificarsi di un danno imprevisto o imprevedibile, che sia pari ad una totale perdita di valore del terreno, e quindi ad un esproprio di fatto dell’intera sua utilita’.
Astrattamente, infatti, sarebbe configurabile un esproprio in fatto qualora fosse stato accertato che i terreni, dei quali e’ stata risarcita una perdita di valore nella misura del 35% (determinazione che tiene conto della riduzione della capacita’ produttiva del bene), abbiano in realta’ perso, per la sostanziale continuita’ degli episodi di allagamento e per la totale impossibilita’ di trarne una utilita’ economica, anche il residuo valore. E tuttavia il giudice di merito ha escluso che si sia verificata una totale perdita di valore non perche’ abbia omesso di considerare la differenza, astrattamente configurabile, tra parziale perdita di valore ed esproprio di fatto. La sentenza impugnata risponde infatti efficacemente alle critiche, in questa sede riproposte dai ricorrenti, in ordine al contrasto tra la decisione del giudice nazionale e la disciplina contenuta nella Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo a tutela della proprieta’ individuale, puntualizzando, con considerazione che appare pienamente condivisibile, che neppure ai sensi dell’articolo 1 del primo protocollo aggiuntivo alla Convenzione Europea sui diritti dell’Uomo la limitazione del godimento del fondo per motivi di pubblica utilita’ puo’ dirsi illegittima allorche’ – come nel caso di specie – la determinazione dell’indennizzo per la diminuzione del valore e la limitazione dell’uso futuro, benche’ forfettaria, si sia comunque avuta, e sia stata parametrata a previsioni che, al momento in cui sono state eseguite, potevano qualificarsi attendibili e corrispondenti ad un uso normale e prevedibile, ne’ risultano totalmente alterate da uno scostamento macroscopico conseguente alle concrete modalita’ di utilizzo della servitu’. I due episodi di allagamento precedenti alla proposizione della domanda, per la loro episodicita’, non sono stati ritenuti ne’ determinanti di una totale perdita di valore, e neppure elementi significativi ai fini del determinarsi di un danno sopravvenuto ed imprevedibile.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.
Il ricorso per cassazione e’ stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la ricorrente risulta soccombente, pertanto e’ gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, comma 1 bis, articolo 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico della ricorrente le spese di giudizio sostenute dalla Regione Toscana, che liquida in complessivi Euro 6.000,00 oltre 200,00 per esborsi, oltre contributo spese generali ed accessori, e le spese di giudizio sostenute dalla Provincia di Prato, che liquida in complessivi Euro 2.500,00 per compensi, oltre 200,00 per esborsi, oltre accessori e contributo spese generali.
Da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Avv. Renato D’Isa

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