Corte di Cassazione, sezione sesta civile, Ordinanza 5 settembre 2018, n. 21646.

La massima estrapolata:

L’assenza di rimesse solutorie non esclude l’interesse del correntista a ricorrere contro clausole illegittime su interessi anatocistici.

Ordinanza 5 settembre 2018, n. 21646

Data udienza 28 giugno 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 14325-2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 130/2017 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 10/03/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 28/06/2018 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;
dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.

FATTI DI CAUSA

1. Con citazione notificata il 31 maggio 2001 (OMISSIS) evocava in giudizio il (OMISSIS) domandando l’accertamento della nullita’ di clausole anatocistiche dei contratti di conto corrente intercorsi tra le parti e regolanti un rapporto che risaliva al 24 settembre 1985; l’attrice domandava, altresi’, l’accertamento del dare e avere relativo al conto in essere, con scomputo degli interessi anatocistici, l’accertamento della somma che la stessa istante aveva indebitamente versato alla banca a quel titolo, oltre che a titolo di commissione di massimo scoperto,, fino al 31 dicembre 1991, nonche’ la condanna del (OMISSIS) alla ripetizione dell’indebito consistente nelle somme illecitamente riscosse dall’istituto di credito; in subordine, chiedeva la corresponsione del medesimo importo quale indennizzo per l’ingiustificato arricchimento; il tutto con la maggiorazione della rivalutazione, degli interessi e del risarcimento del maggior danno ex articolo 1224 c.c..
Nella resistenza della banca, il Tribunale di Matera accoglieva in parte la domanda e condannava la convenuta stessa alla restituzione dell’importo complessivo di Euro 64.061,87, oltre interessi.
2. – Interposto gravame, la Corte di appello di Potenza, con sentenza del 10 marzo 2017, riformava la pronuncia impugnata e rigettava la domanda attrice. Osservava che la domanda di ripetizione dell’indebito presupponeva un precedente pagamento e che alla data dell’introduzione del giudizio il rapporto di conto corrente era ancora in corso, presentando esso una esposizione debitoria di L. 108.237.353 a fronte di un fido di 200.000.000. Rilevava, inoltre, che, con riferimento a quel momento, non vi era alcuna evidenza di versamenti aventi funzione solutoria, e non ripristinatoria della provvista; ne’ poteva rilevare, ad avviso della Corte potentina, la circostanza per cui il conto corrente fosse stato chiuso il 31 marzo 2005, dal momento che la domanda era delimitata all’arco temporale ricompreso tra il 1985 e il 31 marzo 2001. Infine, il giudice del gravame affermava che il rigetto della domanda relativa all’indebito travolgeva anche le domande “presupposte” aventi ad oggetto la richiesta di accertamento della nullita’ di clausole contrattuali e la rideterminazione del saldo, posto che esse dovevano intendersi strumentali all’accoglimento della domanda di condanna, non potendo “l’esame di queste ultime e l’interesse ad esse sotteso (…) essere isolato e (…) prescindere dalla richiesta restitutoria”.
3. – La sentenza e’ impugnata per cassazione da (OMISSIS), che fa valere tre motivi. Con controricorso resiste il (OMISSIS). Sono state depositate memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo viene dedotta la violazione dell’articolo 111 Cost., articoli 99, 100 e 112 c.p.c., nonche’ degli articoli 1283, 1418, 1419, 1421 e 2907 c.c.. Si lamenta, in sintesi, che la Corte di merito abbia mancato di pronunciare sulla domanda di nullita’ della clausola contrattuale che regolava gli interessi anatocistici, reputando assorbente la circostanza per cui al momento dell’introduzione del giudizio il rapporto era ancora in corso e la domanda di ripetizione non poteva essere accolta.
Il secondo motivo censura la sentenza impugnata per violazione dell’articolo 111 Cost., articolo 100 c.p.c. e articolo 2033 c.c.. Rileva il ricorrente che la domanda di mero accertamento sulla validita’ della clausola contrattuale che regolava la capitalizzazione trimestrale aveva autonoma funzione in quanto consentiva di appurare il saldo del conto corrente e conseguentemente di individuare chi, tra la banca e il correntista, fosse debitore nei confronti dell’altro; osserva, altresi’, che tale accertamento prescindeva dalla condictio indebiti e che l’azione correlativa era volta a un risultato utile e giuridicamente apprezzabile. Assume dunque l’istante che il correntista, cosi’ come vanta il diritto al ricalcolo del saldo in pendenza del rapporto, cosi’ e’ titolare di una azione giudiziale diretta al corrispondente accertamento.
Col terzo mezzo viene lamentata la violazione dell’articolo 111 Cost., articoli 100 e 112 c.p.c., articoli 2907 e 2042 c.c.. L’istante si duole del mancato esame, da parte del giudice del gravame, della domanda di indennizzo per l’ingiustificato arricchimento: domanda che era stata proposta in via subordinata rispetto a quella di ripetizione dell’indebito.
2. – Nei termini che si vengono ad esporre i primi due motivi, che possono esaminarsi congiuntamente in ragione della connessione che evidenziano, sono fondati. Il terzo motivo e’ invece assorbito.
2.1. E’ anzitutto da disattendere l’eccezione della banca controricorrente vertente sulla incompletezza dei richiami operati dall’istante alle deduzioni e alle domande da questa svolte nella comparsa di risposta in appello: incompletezza che rileverebbe nei termini di carente autosufficienza del ricorso per cassazione quanto ai denunciati vizi di cui sarebbe affetta la pronuncia di appello con riguardo alle domande di accertamento della nullita’ contrattuale. In realta’, e’ la stessa Corte di Potenza ad occuparsi delle predette domande, cosi’ implicitamente, ma univocamente, affermando, con statuizione non impugnata, che esse facevano parte del tema devoluto al suo esame e che su di esse doveva quindi rendersi una pronuncia.
Parimenti da respingere e’ l’assunto per cui l’omessa pronuncia non sarebbe stata denunciata a mezzo di un puntuale riferimento alla fattispecie di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 4. E’ incontestabile che la ricorrente, col primo motivo, abbia inteso dedurre anche il vizio di cui all’articolo 112 c.p.c.: lo si desume dalla rubrica e dal compiuto svolgimento delle censura; ne’ puo’ conferirsi rilievo dirimente al mancato richiamo, nella intestazione del motivo, alla tipologia del vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 4, giacche’, come e’ noto, una erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, ne’ determina l’inammissibilita’ del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (Cass. 7 novembre 2017, n. 26310; Cass. 27 ottobre 2017, n. 25557; Cass. 20 febbraio 2014, n. 4036).
2.2. – Cio’ posto, la conclusione cui e’ pervenuta la Corte di merito che ha disatteso la domanda di accertamento delle nullita’ contrattuali e di rideterminazione del saldo sul presupposto della loro strumentalita’ rispetto alla domanda di ripetizione (a sua volta non accoglibile in ragione della mancata evidenza di versamenti solutori) – non merita condivisione. Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte distrettuale, infatti, il correntista, in una situazione quale quella in esame contrassegnata dall’assenza di rimesse solutorie da lui eseguite ha comunque un interesse di sicura consistenza a che si accerti, prima della chiusura del conto, la nullita’ o validita’ delle clausole anatocistiche, l’esistenza o meno di addebiti illegittimi operati in proprio danno e, da ultimo, l’entita’ del saldo (parziale) ricalcolato, depurato delle appostazioni che non potevano aver luogo. Tale interesse rileva, sul piano pratico, almeno in tre direzioni: quella della esclusione, per il futuro, di annotazioni illegittime; quella del ripristino, da parte del correntista, di una maggiore estensione dell’affidamento a lui concesso, siccome eroso da addebiti contra legem; quella della riduzione dell’importo che la banca, una volta rielaborato il saldo, potra’ pretendere a seguito della cessazione del rapporto (allorquando, cioe’, dovranno regolarsi tra le parti le contrapposte partite di debito e credito). Sotto questi tre profili la domanda di accertamento di cui si dibatte prospetta, dunque, per il soggetto che la propone, un sicuro interesse, in quanto e’ volta al conseguimento di un risultato utile, giuridicamente apprezzabile, che non puo’ attingersi senza la pronuncia del giudice.
Come lucidamente osservato dalle Sezioni Unite di questa Corte, il correntista, sin dal momento dell’annotazione in conto di una posta, avvedutosi dell’illegittimita’ dell’addebito in conto, ben puo’ agire in giudizio per far dichiarare la nullita’ del titolo su cui quell’addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso: e potra’ farlo, se al conto accede un’apertura di credito bancario, proprio allo scopo di recuperare una maggiore disponibilita’ di credito entro i limiti del fido concessogli (Cass. Sez. U. 2 dicembre 2010, n. 24418, in motivazione; nel medesimo senso, sempre in motivazione, Cass. 15 gennaio 2013, n. 798).
La Corte di appello avrebbe dovuto quindi comunque statuire sul merito delle domande di accertamento proposte, giacche’ l’acclarata insussistenza di rimesse solutorie non escludeva un interesse della correntista rispetto alle pronunce invocate.
2.3. – Resta assorbito il terzo motivo.
3. – In conclusione, vanno accolti i primi due motivi, mentre rimane assorbito il terzo. La sentenza e’ cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Potenza, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi e dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Potenza, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimita’.

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