Cassazione 4

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza 27 aprile 2016, n. 8277

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente
Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere
Dott. MANNA Felice – Consigliere
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6501-2013 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimata –
avverso la sentenza n. 362/2012 del TRIBUNALE di NAPOLI SEZIONE DISTACCATA di PORTICI, depositata il 03/10/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/09/2015 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI;
udito l’Avvocato (OMISSIS) difensore del ricorrente che si riporta agli atti.

CONSIDERATO IN FATTO

Con atto notificato il 20 marzo 2009, (OMISSIS), in qualita’ di proprietario dell’immobile posto al piano terra di un edificio sito in (OMISSIS), donatogli in conto legittima dalla madre (OMISSIS), citava in giudizio (OMISSIS), proprietaria di un appartamento situato al primo piano del medesimo edificio,domandando l’accertamento dei diritti su talune parti comuni del condominio e la condanna della convenuta a consentire il libero accesso e l’utilizzo di tali luoghi, rimuovendo le opere che ne ostacolavano il godimento.
Il Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Portici, nella resistenza della controparte, rigettava le domande attoree con la sentenza n. 362 del 2012, pubblicata il 3 ottobre 2012, successivamente impugnata da (OMISSIS) con atto di citazione del 18 ottobre 2012.
La Corte di appello di Napoli, con ordinanza n. 480 dell’I. 1 febbraio 2013, accoglieva l’eccezione di inammissibilita’ dell’appellata, ritenendo il gravame privo di una ragionevole probabilita’ di accoglimento ai sensi del combinato disposto degli articoli 348 bis e 348 ter c.p.c..
Con ricorso notificato il 6 marzo 2013, (OMISSIS) ha domandato la cassazione sia della sentenza di primo grado sia dell’ordinanza suddetta, articolando un unico motivo, con il quale ha denunciato la violazione degli articoli 817, 818 e 566 c.c., nonche’ di ogni consolidato principio di diritto.
(OMISSIS) non ha svolto difese in sede di legittimita’.
Il consigliere relatore, nominato a norma dell’articolo 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all’articolo 380 bis c.p.c. proponendo dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso proposto avverso l’ordinanza ex articolo 348 ter c.p.c. e la manifesta fondatezza del ricorso proposto avverso la sentenza di primo grado.

RITENUTO IN DIRITTO

Vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione ex articolo 380 bis c.p.c. che di seguito si riporta: “Occorre preliminarmente osservare, quanto all’ammissibilita’ del ricorso avverso l’ordinanza del giudice d’appello, che la giurisprudenza di questa Corte, nel silenzio del legislatore, ha accolto un’interpretazione restrittiva dell’articolo 348 ter c.p.c., individuandovi un caso eccezionale di impugnabilita’ diretta per cassazione della sentenza di primo grado, operante al di la’ dell’ipotesi di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 2.
Il Giudice di legittimita’, infatti, con le sentenze nn. 16936 del 2015 e 7273 del 2014, ha escluso espressamente l’ammissibilita’ del ricorso per cassazione avverso l’ordinanza ex articolo 348 bis, limitandola a quei rari casi in cui l’ordinanza-filtro sia pronunciata non per confermare il provvedimento di primo grado, ma per decidere questioni preliminari al merito o per dichiarare l’inammissibilita’ dell’appello, perche’ privo dei contenuti di cui all’articolo 342 c.p.c.. Solo in tali casi la Corte ha ammesso un ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’articolo 111 Cost., comma 7, ritenendo che l’ordinanza impugnata sarebbe connotata tanto dal carattere della decisivita’, quanto dal carattere della definitivita’, carente, quest’ultimo, laddove i viti dell’ordinanza possano essere censurati mediante l’impugnazione del provvedimento di primo grado, rientrando nell’ipotesi eccezionale di cui all’articolo 348 ter c.p.c..
Alla luce di tale orientamento, cui il relatore ritiene di doversi allineare per la soluzione del caso di specie, le censure mosse dal ricorrente avverso l’ordinanza della Code di Appello di Napoli appaiono dunque inammissibili e insuscettibili di decisione nel merito.
Al contrario, e’ possibile procedere allo scrutinio del ricorso nella parte in cui, censurando i vizi del provvedimento di primo grado, deduce la violazione della disciplina dei beni pertinenziali e contesta la ricostruzione operata dal giudice di prime cure, il quale ha desunto dal tenore letterale dell’atto di donazione di (OMISSIS), contenente un esplicito riferimento ai soli beni di proprieta’ esclusiva e al solo cortile comune, la volonta’ della donante di non trasmettere al figlio la proprieta’ pro quota parte dei restanti beni condominiali.
La decisione impugnata sembra dunque trarre ispirazione dalla sola circostanza dell’omessa indicazione di tali beni nell’atto di donazione, a partire dalla quale il giudice perviene a conclusioni che appaiono contrarie non solo alle previsioni del Codice civile, laddove l’articolo 818 dispone chiaramente che “gli atti e i rapporti giuridici che hanno per oggetto la cosa principale comprendono anche le pertinenze, se non e’ diversamente disposto”; ma anche ai principi giurisprudenziali consolidati in materia.
In particolare, la giurisprudenza di legittimita’ ha interpretato il dato codicistico, di per se’ assai esplicativo, ribadendo che la costituzione del vincolo pertinenziale richiede la presenza di due particolari requisiti del bene servente, rispettivamente di natura soggettiva e oggettiva: il primo consiste nella titolarita’ omogenea della res principale e della pertinenza, le quali devono entrambe appartenere a un unico proprietario, legittimato a disporre anche separatamente dei due beni; il secondo, invece, riguarda la circostanza che la cosa pertinenziale risulti, per le sue caratteristiche funzionali e strutturali, destinata in modo durevole al servizio o ad ornamento del bene principale (Cass., sez. 2, n. 12855 del 2011).
Tale duplice accezione, soggettiva e oggettiva, del vincolo si riflette anche sul piano delle vicende genetiche ed estintive del rapporto tra accessorium e res principalis, le quali possono costituire l’effetto sia di un esplicito atto di destinazione del proprietario sia del mutare delle caratteristiche strutturali e funzionali del bene secondario. Ne deriva che la natura pertinenziale della res puo’ desumersi tanto da un’espressa manifestazione di volonta’ del titolare dei beni, quanto dalla ricognizione di facta concludentia e circostanze obbiettive tali da far presumere l’esistenza di una relazione funzionale tra il bene principale e il bene secondario (Cass., set. 2, n. 16914 del 2011). Parallelamente, costituiscono vicende estintive del suddetto vincolo tanto l’emersione di nuove circostanze di fatto idonee a pregiudicare l’oggettiva utilita’ esplicata dal bene pertinenziale, quanto l’esercizio del potere del proprietario di disporre separatamente della pertinenza, anche nell’ambito di un atto traslativo della res principale, introducendo una clausola espressa di esclusione dell’automatica estensione degli effetti di cui all’articolo 818 c.c. (Cass., sez. 2, nn. 2730212013 e 14528/2000).
Tornando all’analisi del caso di specie, appare evidente che i principi appena delineati non hanno trovato corretta applicazione nel provvedimento impugnato, la cui motivazione rivela che il giudice di prime cure, preso atto della mancanza di un esplicito riferimento ai beni in discussione nell’atto di donazione, ha ritenuto tale circostanza di per se’ sufficiente a dimostrare la volonta’ della donante di interrompere il nesso pertinenziale, disattendendo ingiustificatamente il principio di cui all’articolo 818 c.c., in virtu’ del quale, in assenza di espresse disposizioni di segno contrario, i beni secondari partecipano delle medesime vicende traslative della res principale.
Del resto, e’ opportuno evidenziare che, nell’esporre i motivi della decisione, il giudice de quo non ha fatto riferimento a circostanze oggettive idonee a far presumere la sopravvenuta autonomia funzionale dei beni reclamati, dei quali, peraltro, resta pacifica l’anteriore destinazione a favore dell’immobile dell’odierno ricorrente, trattandosi della scala, della terrazza e del pensile situati al primo piano dello stabile condominiale, per cui essi devono ritenersi tuttora vincolati da un rapporto pertinenziale, non essendo intervenuto nessuno dei meccanismi estintivi, supra indicati, descritti da questa Corte (Cass., sez. 2, n. 10147/2004).
A tal fine, non puo’ d’altronde ritenersi in alcun modo rilevante il fatto che l’appartamento e’ collocato al pian terreno, in quanto si tratta di una circostanza di fatto che non e’ certo mutata a seguito del trasferimento della titolarita’ dell’immobile in capo all’odierno ricorrente e che pertanto non appare idonea, nella sua continuita’ temporale, a incidere sull’obiettiva utilita’ esplicata dai beni comuni a favore delle proprieta’ esclusive dei singoli condomini. D’altro canto, questa Corte ha piu’ volte ribadito che le scale condominiali, in quanto struttura necessaria al fine di garantire la manutenzione e la conservazione della copertura apicale dell’edificio cui appartengono, soddisfano un interesse comune a tutti i condomini, compresi i proprietari di negozi con accesso esclusivo dalla strada e, analogamente, i titolari di appartamenti siti al piano terreno o interrati, circostanza tanto piu’ rilevante in presenza di un terrazzo concretamente utilizzabile e raggiungibile mediante le stesse (Cass., sez. 2, nn. 4419/2013 e 15444/07).
In assenza di un’espressa disposizione della dante causa e del riferimento a circostanze oggettive indicative della sopravvenuta autonomia dei beni condominiali, appare dunque evidente la violazione di legge dedotta dall’odierno ricorrente, ragion per cui il relatore suggerisce di procedere cameralmente ai sensi del combinato disposto degli articoli 375 e 380 bis c.p.c., potendosi rilevare l’inammissibilita’ del ricorso proposto avverso l’ordinanza ex articolo 348 bis c.p.c. e la manifesta fondatezza delle censure rivolte al provvedimento del giudice di primo grado.”.
Gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra, e alla quale non sono state rivolte critiche di sorta, sono condivisi dal Collegio, ragione per la quale va dichiarata l’inammissibilita’ del ricorso proposto avverso l’ordinanza ex articolo 348 ter c.p.c., mentre in accoglimento del ricorso, va cassata la sentenza di primo grado con rinvio a diversa Sezione della Corte di appello di Napoli, che provvedera’ al riesame della controversia alla luce dei principi sopra illustrati, nonche’ alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso avverso l’ordinanza ex articolo 348 ter c.p.c.;
accoglie il ricorso;
cassa la sentenza del Tribunale di Napoli e rinvia a diversa Sezione della Corte di appello di Napoli, anche per le spese del giudizio di Cassazione.

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