Interpretazione atti processuali ed ermeneutica contrattuale

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|31 gennaio 2025| n. 2360.

Interpretazione atti processuali: violazione ermeneutica contrattuale

Massima: In tema d’interpretazione degli atti processuali, la parte che censuri il significato attribuito dal giudice di merito deve dedurre la specifica violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., la cui portata è generale, o il vizio di motivazione sulla loro applicazione, indicando altresì nel ricorso, a pena d’inammissibilità, le considerazioni del giudice in contrasto con i criteri ermeneutici ed il testo dell’atto oggetto di erronea interpretazione.

 

Ordinanza|31 gennaio 2025| n. 2360. Interpretazione atti processuali: violazione ermeneutica contrattuale

Integrale

Tag/parola chiave: Provvedimenti del giudice civile – In genere atti processuali – Interpretazione da parte del giudice – Violazione dei criteri ermeneutici – Deducibilità in sede di legittimità – Condizioni.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente

Dott. CAVALLINO Linalisa – Consigliere

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere/Rel.

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere

Dott. CAPONI Remo – Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 3014/2020 R.G. proposto da:

Ba.Pa., domiciliata ex lege in Roma, Piazza Ca. presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Em.Qu. ((Omissis)).

– Ricorrente –

Contro

COMUNIONE D’USO VIA (Omissis), elettivamente domiciliata in Roma Via Pa.N., presso lo studio dell’avvocato Va.Ba. ((Omissis)) che la rappresenta e difende.

– Controricorrente –

E contro

Ro.Fa..

– Intimato –

Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Genova n. 1682/2019 depositata il 18/12/2019.

Udita la relazione svolta dal Consigliere Riccardo Guida nella camera di consiglio del 15 gennaio 2025.

Interpretazione atti processuali: violazione ermeneutica contrattuale

Rilevato che:

1. Ba.Pa. propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 292/2012 emesso dal Tribunale di Chiavari che le ingiungeva di pagare immediatamente alla Comunione d’uso di Via (Omissis) (“Comunione”) Euro 6.753,89 (oltre interessi), per spese condominiali (consuntivi dal 2008 al 2010) ed eccepì il difetto di legittimazione attiva dell’amministratore a chiedere il decreto ingiuntivo a causa dell’inapplicabilità dell’art. 63 disp. att. c.c. – in quanto la comunione d’uso non è un condominio, ma una comproprietà – e l’infondatezza nel merito della pretesa di controparte; in via riconvenzionale, chiese la declaratoria di nullità o l’annullamento di alcune delibere assembleari (quelle del 22/09/2007, 04/10/2008, 11/07/2009, 18/09/2010, 15/10/2011), per mancato raggiungimento dei quorum costitutivo e/o deliberativo.

Il Tribunale di Chiavari, con sentenza n. 535/2013, revocò il decreto ingiuntivo, rigettò la domanda riconvenzionale di invalidità della deliberazione assembleare dell’11/07/2009, condannò Ba.Pa. al pagamento di Euro 2.017,48 (oltre interessi), e compensò le spese del grado;

2. interposti appello principale da Ba.Pa. e appello incidentale dalla Comunione, la Corte d’Appello di Genova ha respinto l’appello principale, ha accolto l’appello incidentale, ha revocato il decreto ingiuntivo e ha condannato Ba.Pa. (la quale in corso di causa aveva già versato un acconto) a pagare il saldo di Euro 4.567,64 (oltre interessi) e alle spese di entrambi i gradi di merito.

Queste, in sintesi, le ragioni della decisione:

(i) in relazione all’appello principale di Ba.Pa., è infondato il motivo di impugnazione che censura l’errore di diritto commesso dal Tribunale (violazione dell’art. 1101 c.c.) per avere ritenuto corretta la ripartizione delle spese deliberata dall’assemblea condominiale secondo le tabelle millesimali anziché secondo le norme del codice civile in materia di comunione. Invero, l’appellante non considera che il suo dante causa, precedente proprietario di tutto il terreno di via (Omissis), sul quale insistono gli attuali posti auto (19 in tutto), e di un terreno retrostante (lato ovest), aveva redatto il regolamento e le tabelle millesimali per la ripartizione delle spese, e ciascun acquirente dei posti auto (fatta eccezione per due posti auto che il venditore aveva mantenuto per sé), nel proprio atto di acquisto, aveva dichiarato di avere preso visione del regolamento e di approvarlo, sicché l’accettazione, da parte degli acquirenti, delle tabelle millesimali per la ripartizione delle spese ordinarie ha comportato una deroga ai criteri di ripartizione previsti dal codice civile, senza necessità di approvazione da parte dell’assemblea dei condomini;

(ii) l’appellante afferma che la delibera assembleare in data 11/07/2009 sarebbe invalida perché adottata in violazione dell’art. 1105 c.c. In realtà, la deliberazione è valida in ragione del fatto che, come risulta dal relativo verbale, essa è stata adottata dalla maggioranza prevista dal secondo comma dell’art. 1105 c.c., dato che l’approvazione del consuntivo è atto di ordinaria amministrazione. Inoltre (vedi pag. 9 della sentenza), “(s)i è già detto della legittimità dell’applicazione delle tabelle millesimali (approvate contrattualmente in deroga al criterio di ripartizione previsto dal codice civile), per la ripartizione delle spese di manutenzione allegate al regolamento contrattuale accettato dai compratori al momento dell’acquisto dei singoli posti auto. Allo stesso modo, la delibera appare conforme alla norma anche con riferimento dell’incarico all’amministratore” di agire in via monitoria per il recupero delle spese della proprietà Ba.Pa., come risulta dal contenuto del verbale di assemblea, che il Tribunale ha esaminato;

(iii) è priva di pregio la censura relativa all’omessa pronuncia, da parte del Tribunale, sulle altre domande riconvenzionali proposte dall’opponente, domande rispetto alle quali il primo giudice ha debitamente ritenuto assorbente il rigetto dell’impugnazione della deliberazione dell’11/07/2009 in considerazione del fatto che tutte le altre decisioni assembleari ripartivano le spese secondo le tabelle millesimali allegate al regolamento contrattuale, e rispettavano la maggioranza di cui al secondo comma dell’art. 1105 c.c.;

(iv) quanto all’appello incidentale della Comunione, è errata la sentenza di primo grado (oltre che nella parte in cui ha compensato le spese di lite, anche) nella parte in cui ha escluso l’applicabilità della normativa in materia di condominio che, per la giurisprudenza di legittimità e in base all’art. 1117 bis c.c., introdotto con legge n. 220 del 2012 di riforma del condominio, si applica anche a varie tipologie di condomini orizzontali, ivi inclusa la comunione d’uso che è parte di questo giudizio, la quale riguarda un’area di manovra con annessi servizi comuni di illuminazione, acqua, pulizia, manutenzione aiuole, che non è riservata ai soli proprietari dei posti auto scoperti, ma è estesa anche ai proprietari dei box e delle villette che sono state costruite sullo stesso terreno. E ciò comporta che, ai sensi degli artt. 1117 c.c., 63 disp. att. c.c., l’amministratore, senza bisogno di autorizzazione, era legittimato ad agire in via monitoria per la riscossione dei contributi dovuti dal condomino;

3. avverso la sentenza d’appello, Ba.Pa. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sette motivi.

La Comunione ha resistito con controricorso.

L’amministratore Ro.Fa. è rimasto intimato.

La ricorrente ha depositato una memoria in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio.

Interpretazione atti processuali: violazione ermeneutica contrattuale

Considerato che:

1. il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 276 comma 2 c.p.c.

La sentenza qui impugnata è nulla perché la Corte d’Appello di Genova ha omesso di pronunciare sull’eccezione preliminare di inammissibilità tanto della costituzione nel giudizio di secondo grado della Comunione che dell’appello incidentale da questa svolto.

L’eccezione era basata, da un lato, sul difetto di legittimazione processuale dell’amministratore, in assenza di una deliberazione dell’assemblea che lo autorizzasse a costituirsi in giudizio, avendo controparte depositato in giudizio non il verbale di assemblea del 28/06/2014, da cui discenderebbe tale autorizzazione, ma soltanto la prima pagina di esso, che indica esclusivamente l’ordine del giorno e i partecipanti all’assemblea, dall’altro, comunque, sulla mancanza del quorum deliberativo, dato che i comunisti presenti all’assemblea del 28/06/2014 raggiungevano una quota complessiva di comproprietà di 683,50 millesimi che, detratta la quota di 185,80 millesimi di Ba.Pa. (appellante e in conflitto di interessi con la comunione), si riduceva a 497,70 millesimi, ed era pertanto inferiore al quorum deliberativo richiesto tanto in materia di comunione che in materia di condominio;

1.1. il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile;

in primo luogo, sulla premessa che si fa valere un error in procedendo e che ciò autorizza la Corte, che è giudice del fatto processuale, a consultare i fascicoli dei gradi di merito, nella specie è in atti la delibera assembleare del 28/06/2014 – che consta di una sola pagina – che, testualmente, per quanto qui di rilievo, così recita:

“l’assemblea, a maggioranza dei presenti, con l’astensione degli eredi Ba.Pa., delibera di costituirsi per l’appello accidentale (incidentale, n.d.r.) nella vertenza tra la Comunione d’uso posti auto (Omissis) ed eredi Ba.Pa. dando mandato all’avv. Pa.Ma.”.

Al contrario di quanto afferma la ricorrente, quindi, la costituzione del giudizio di appello e la possibilità di proporre appello incidentale era stata autorizzata dall’assemblea della Comunione.

Ora, è indubitabile che su questo specifico aspetto la Corte d’Appello non si è pronunciata, il che non esclude, tuttavia, che all’omissione possa porre rimedio questa Corte, trovando qui applicazione il principio di diritto per il quale, nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che (come nella specie) non richiede ulteriori accertamenti di fatto (Sez. 3, Ordinanza n. 17416 del 16/06/2023, Rv. 668197 – 01; in termini, Cass. nn. 21968/2015; 4051/2024).

La seconda critica, attinente, precisamente, alla mancanza del quorum deliberativo), è inammissibile, per difetto di autosufficienza, perché la ricorrente non dimostra di avere formulato un motivo di appello concernente la mancanza del quorum deliberativo dell’assemblea in applicazione delle norme sulle maggioranze rispettivamente in caso di comunione e di condominio.

Né la censura si evince dal contenuto delle conclusioni dell’appellante Ba.Pa., trascritte nell’incipit della sentenza d’appello, la quale, senz’altro aggiungere, chiede di dichiarare inammissibile la costituzione in giudizio e l’appello incidentale della Comunione “per carenza di capacità di agire e legittimazione processuale mancando una valida deliberazione assembleare autorizzativa della costituzione in giudizio e dell’impugnazione incidentale”, senza alcuno specifico riferimento al quorum;

2. il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c. e dell’art. 1101 c.c.

Si sostiene che il regolamento contrattuale, contenuto negli atti di compravendita dei singoli posti auto, era stato redatto nel 1985 da Ba.Ri., originario proprietario dell’intera area, dante causa di Ba.Pa.; che, in epoca successiva, vi era stata una modifica dello stato dei luoghi nel senso che, nella proprietà Ba.Pa. (lato ovest), erano stati costruiti alcuni box e due villette, che erano stati separati dalla Comunione d’uso; che, con delibera assembleare del 22/09/2007, era stata costituita la “Comunione d’uso dei posti auto scoperti di Via (Omissis)”, che era un ente diverso e formalmente distinto dall’originaria “Amministrazione posteggi Località Via (Omissis)”, la quale aveva nominato amministratore Ro.Fa. e aveva adottato un regolamento e una tabella millesimale, la cui fonte evidentemente era assembleare e non contrattuale; che la tabella millesimale era stata invalidamente adottata senza il consenso unanime di tutti i partecipanti poiché all’assemblea in questione erano presenti dodici comproprietari su diciotto, ragion per cui la ripartizione delle spese doveva essere effettuata secondo il criterio legale dell’art. 1101 c.c. e non in base alla tabella millesimale illegittimamente adottata;

Interpretazione atti processuali: violazione ermeneutica contrattuale

2.1. il motivo è inammissibile;

è stato recentemente ribadito (tra le altre, da Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 38228 del 2021) che “Secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte,… “In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di specificità, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio” (ex plurimis Sez. 2, Sent. n. 20694 del 2018, Sez. 6-1, Ord. n. 15430 del 2018). Infatti, il ricorrente che proponga in sede di legittimità una determinata questione giuridica, la quale implichi accertamenti di fatto, ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (per l’ipotesi di questione non esaminata dal giudice del merito: Cass. 02/04/2004, n. 6542; Cass. 10/05/2005, n. 9765; Cass. 12/07/2005, n. 14599; Cass. 11/01/2006, n. 230; Cass. 20/10/2006, n. 22540; Cass. 27/05/2010, n. 12992; Cass. 25/05/2011, n. 11471; Cass. 11/05/2012, n. 7295; Cass. 05/06/2012, n. 8992; Cass. 22/01/2013, n. 1435; Cass. Sez. U. 06/05/2016, n. 9138)”.

Nella specie, la ricorrente prospetta una questione di diritto e circostanze di fatto – la modifica dello stato dei luoghi e la costituzione di una nuova Comunione, quale ente diverso e formalmente distinto dall’iniziale amministrazione dei posti auto – che non risultano essere state prospettate alla Corte d’Appello di Genova, alle quali non è fatto cenno nella sentenza impugnata e che, pertanto, non possono essere né dedotta né valutate per la prima volta in sede di legittimità;

3. il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c. e degli artt. 1101, 1105 comma 2 c.c.

Al contrario di quanto ha stabilito la Corte d’Appello di Genova, la delibera in data 11/07/2009, che ha approvato all’unanimità dei presenti il bilancio consuntivo 2008/2009 e quello preventivo 2009/2010 e ha incaricato l’amministratore di recuperare il credito verso la proprietà Ba.Pa., è invalida perché è stata adottata dall’unanimità dei presenti (dieci comunisti su diciotto), che corrisponde a una quota di 466,70 millesimi, ed è, dunque, più bassa della maggioranza richiesta dall’art. 1105 comma 2 c.c.;

3.1. il motivo è inammissibile;

la decisione del giudice di appello si fonda su due distinte rationes decidendi, ciascuna delle quali idonea a giustificare la decisione, ossia sull’adozione della delibera del giorno 11/07/2009, riguardante un atto di ordinaria amministrazione, nel rispetto del quorum del secondo comma dell’art. 1105 c.c. (maggioranza dei partecipanti calcolata secondo il valore delle loro quote), e sull’applicazione del criterio delle tabelle millesimali allegate al regolamento contrattuale accettato dai compratori al momento dell’acquisto dei singoli posti auto ai fini della ripartizione delle spese di manutenzione. Da questo secondo punto di vista, è chiaro che il giudice d’appello ha inteso attenersi al principio di diritto secondo cui il regolamento di condominio, predisposto dall’originario unico proprietario dell’edificio, vincola chi abbia acquistato le singole unità immobiliari successivamente alla sua predisposizione purché richiamato ed approvato nei singoli atti di proprietà, in modo da far parte “per relationem” del loro contenuto (Sez. 2, Sentenza n. 19798 del 19/09/2014, Rv. 633359 – 01; in termini, Cass. nn. 14898/2013, 15794/2002, 13164/2001).

Detto questo, il motivo è inammissibile, per un verso, in quanto è basato su un aspetto fattuale (come il calcolo della maggioranza che ha approvato la delibera) il cui esame è riservato al giudice di merito e sfugge al sindacato della S.C., per altro verso, perché critica una soltanto delle due rationes decidendi.

Sul punto è il caso di richiamare il consueto indirizzo di questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 18641 del 27/07/2017, Rv. 645076 – 01), secondo cui, ove (come nella specie) la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza.

Sussiste, invero, un ultimo profilo di inammissibilità.

Infatti, sul tema dell’invalidità della delibera in data 11/07/2009, che approvava il bilancio e autorizzava l’amministratore a chiedere il decreto ingiuntivo nei confronti della Ba.Pa., è il caso di richiamare i seguenti principi di diritto, enunciati dalla Corte a sezioni unite:

– nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare sia la nullità dedotta dalla parte o rilevata d’ufficio della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione, sia l’annullabilità di tale deliberazione, a condizione che quest’ultima sia dedotta in via d’azione, mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell’atto di citazione, ai sensi dell’art. 1137, comma 2, c.c., nel termine perentorio ivi previsto, e non in via di eccezione; ne consegue l’inammissibilità, rilevabile d’ufficio, dell’eccezione con la quale l’opponente deduca solo l’annullabilità della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione senza chiedere una pronuncia di annullamento;

– in tema di condominio degli edifici, l’azione di annullamento delle delibere assembleari costituisce la regola generale, ai sensi dell’art. 1137 c.c., come modificato dall’art. 15 della L. n. 220 del 2012, mentre la categoria della nullità ha un’estensione residuale ed è rinvenibile nelle seguenti ipotesi: mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali, impossibilità dell’oggetto in senso materiale o giuridico – quest’ultima da valutarsi in relazione al “difetto assoluto di attribuzioni” -, contenuto illecito, ossia contrario a “norme imperative” o all'”ordine pubblico” o al “buon costume”. Pertanto, sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135, nn. 2) e 3), c.c., mentre sono meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate in violazione dei criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio di dette attribuzioni assembleari, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall’art. 1137, comma 2, c.c. (Sez. U, Sentenza n. 9839 del 14/04/2021, Rv. 661084 – 02).

Interpretazione atti processuali: violazione ermeneutica contrattuale

Posto che i medesimi principi si applicano analogicamente anche alla comunione, stante la struttura organizzativa e la finalità dell’ente, e considerato altresì che si fa questione di una delibera (ipoteticamente) annullabile e certamente non nulla, per avere comunque applicato criteri generali convenzionali, ossia le tabelle millesimali approvate dall’assemblea del 22/09/2007, l’impugnazione, mediante domanda riconvenzionale, della delibera in questione doveva avvenire nel termine di trenta giorni dalla sua adozione, il che certamente non è accaduto visto che il ricorso per decreto ingiuntivo è stato depositato il 01/06/2012;

4. il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c. e degli artt. 1101, 1105 comma 2 c.c., nonché l’erronea interpretazione letterale della sentenza di primo grado.

Si ascrive alla Corte d’Appello di Genova di avere erroneamente ritenuto valide le assemblee del 22/09/2007, del 04/10/2008, del giorno 11/07/2009, del 18/09/2010 e del 15/11/2011, che invece sono invalide perché hanno applicato il criterio di ripartizione delle spese in base alle tabelle millesimali e in deroga al criterio legale dell’art. 1101 c.c., senza la preventiva approvazione con il quorum richiesto dalla legge (unanimità dei comunisti), e di avere affermato che il Tribunale, nel respingere l’eccezione di invalidità della delibera in data 11/07/2009, avrebbe automaticamente disatteso tutte le altre doglianze riguardanti le altre assemblee, con ciò discostandosi dal contenuto testuale della pronuncia di primo grado, che affermava che l’unica assemblea valida ai fini della legittimazione a proporre domanda di ingiunzione di pagamento era quella del giorno 11/07/2009 e concludeva che, una volta respinte le domande della Comunione d’uso riguardanti le altre assemblee, era inutile esaminare le doglianze dell’opponente relative a queste deliberazioni assembleari, sulle quali, pertanto, il Tribunale non aveva pronunciato;

4.1. il motivo è inammissibile;

la censura – che, nella sostanza, si appunta contro all’esegesi della sentenza di primo grado operata dalla Corte d’Appello – è mal posta perché non è stata formulata in termini di violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c.

In altre parole, la formulazione del motivo non si confronta col seguente principio di diritto: “in tema d’interpretazione degli atti processuali, compresa la sentenza, la parte che censuri il significato attribuito dal giudice di merito deve dedurre la specifica violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c., la cui portata è generale, o il vizio di motivazione sulla loro applicazione (nei limiti in cui, attualmente, la relativa censura è ancora ammissibile), indicando altresì nel ricorso, a pena d’inammissibilità, le considerazioni del giudice in contrasto con i criteri ermeneutici e il testo dell’atto processuale oggetto di erronea interpretazione;

5. il quinto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 113 c.p.c.: la sentenza è viziata perché non ha pronunciato sulla domanda dell’appellante principale di condanna della Comunione ex art. 96 c.p.c., e, conseguentemente, per non avere accolto la stessa domanda;

5.1. il motivo è inammissibile per l’evidente rigetto implicito della domanda atteso l’esito del giudizio, sfavorevole all’appellante (vedi Cass. nn. 7662/2020, 29191/2017);

6. il sesto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 113 c.p.c., 1117, 1117 bis c.c. e 63 disp. att. c.c.: la sentenza non è conforme a diritto nella parte in cui ha accolto l’appello incidentale qualificando la Comunione come un condominio sul presupposto, erroneo, che i box e le villette facessero parte dell’area della comunione, quando invece ne erano estranei, con la conseguenza che, in assenza di fabbricati e trattandosi soltanto di posti auto scoperti, si era in presenza di una comunione e non di un condominio;

6.1. il motivo è inammissibile: la S.C. è sollecitata a risolvere una quaestio facti, circa l’esistenza o meno di un condominio, già decisa dal giudice di merito, attività che, come in precedenza accennato (vedi punto 3.1.), è estranea al sindacato di legittimità;

7. il settimo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c.: si esprime l’auspicio che la cassazione della sentenza d’appello, che conterrebbe molteplici errori di diritto, determini anche la riforma del capo della decisione che ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese dei gradi di merito;

7.1. il motivo è inammissibile: esso manca di autonomia poiché non critica l’erroneità della decisione sulle spese operata dalla Corte d’Appello, ma si limita ad auspicarne la cassazione quale effetto della ravvisata (ma, per le ragioni che precedono, insussistente) fondatezza dell’appello;

8. il ricorso è rigettato, con condanna della ricorrente alle spese processuali;

9. ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.

Interpretazione atti processuali: violazione ermeneutica contrattuale

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.000,00, più Euro 200,00, per esborsi, oltre alle spese generali, e agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del D.P.R. n. 115/2002, dichiara che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2025.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2025.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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