Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|14 gennaio 2025| n. 886.
Grave inadempimento direttore lavori pubblici e niente pagamento pregresso
Massima: In materia di contratti per l’appalto di lavori pubblici, la previsione contrattuale di una clausola risolutiva espressa che consente all’ente committente di revocare l’incarico professionale per persistenti inadempienze dei direttori dei lavori, sentito il parere del RUP, esclude il diritto di questi ultimi a percepire i compensi professionali relativi alle prestazioni già eseguite. La clausola risolutiva espressa, attribuendo all’ente il diritto unilaterale di sciogliersi dal contratto in via di autotutela, prevale sulla disciplina generale dell’art. 2237 cod. civ. in tema di diritto di recesso ad nutum e sull’art. 1460 cod. civ. in tema di eccezione di inadempimento, rendendo legittimo il rifiuto di pagamento del compenso anche per prestazioni già eseguite, quando l’inadempimento del professionista sia accertato come grave.
Ordinanza|14 gennaio 2025| n. 886. Grave inadempimento direttore lavori pubblici e niente pagamento pregresso
Integrale
Tag/parola chiave: Appalti pubblici – Incarico professionale – Professionista inadempiente – Revoca dell’incarico – Clausola risolutiva espressa – Contenuta nel contratto – Applicabilità
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dai Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. PAPA Patrizia – Consigliere Rel.
Dott. PICARO Vincenzo – Consigliere
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 31866 – 2016 proposto da:
Ca.Lo. e Di.Ro., elettivamente domiciliati in Pescara, presso lo studio dell’avv. Ca.Mo. e dell’avv. An.Sa. dai quali sono rappresentati e difesi, giusta procura allegata al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– ricorrente –
contro
AZIENDA SANITARIA LOCALE (A.S.L.) N.3., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. To.Ma. dal quale è rappresentata e difesa, giusta procura allegata al controricorso, con indicazione dell’indirizzo pec;
– controricorrente –
e contro
AM. ASSICURAZIONI Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Al.Ma. dal quale è rappresentata e difesa, giusta procura allegata al controricorso, con indicazione dell’indirizzo pec;
– controricorrente –
nonché contro
AS.DE., rappresentanza generale per l’Italia
– intimata –
avverso la sentenza n. 1288/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, pubblicata il 18/7/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7/5/2024 dal consigliere PATRIZIA PAPA;
lette le memorie delle parti.
Grave inadempimento direttore lavori pubblici e niente pagamento pregresso
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione notificato in data 18 novembre 2009, l’ing. Ca.Lo. e l’arch. Di.Ro. convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Pescara, l’Azienda Sanitaria Locale (A.S.L.) di Pe. per sentire accertare l’illegittimità del provvedimento con cui erano stati sollevati dall’incarico di direzione dei lavori e coordinamento per la sicurezza nell’esecuzione dell’appalto – di importo complessivo di Euro 2.499.360,91 – per la ristrutturazione e messa a norma dell’unità operativa di ostetricia e ginecologia dell’ospedale di Pe. e per ottenere la condanna della convenuta al risarcimento dei danni, rispettivamente per Euro 682.972,34 all’uno ed Euro 903.182,18 all’altra.
Gli attori rappresentarono che, con delibera 1055 del 14 luglio 2005 e successivo disciplinare di incarico professionale sottoscritto in data 8 settembre 2005, la A.S.L. aveva conferito loro l’incarico di direzione dei lavori e coordinamento per la sicurezza dell’appalto, che a seguito dei loro rilievi sulle carenze e criticità progettuali, era stata loro commissionata la redazione di una bozza di perizia di variante con aggiornamento del quadro di spesa;
nelle more dell’approvazione avevano provveduto ad ordinare all’appaltatrice l’esecuzione di lavori urgenti e indifferibili; la direzione generale aveva approvato la perizia soltanto nel 3 luglio 2009, con un quadro economico difforme rispetto a quello predisposto, fino a che, in data 28 luglio 2009, era stata loro comunicata una proposta formale di revoca dell’incarico, motivata dal generico rilievo di persistente inottemperanza alle direttive impartite dal RUP, di inadempimento agli impegni assunti e di scarsa presenza in cantiere.
Aggiungevano che, in conseguenza della revoca immotivata, essi non avevano potuto proseguire nell’incarico e percepire il residuo compenso pari rispettivamente a Euro 191.486,17 per l’ingegnere ed Euro 301.591,09 per l’architetto e avevano altresì subito un danno di pari importo in termini di riduzione del reddito oltre alla compromissione della reputazione professionale.
La A.S.L. chiese in riconvenzionale l’accertamento delle gravi inadempienze e violazioni nell’espletamento dell’incarico loro affidato, con condanna al risarcimento dei danni.
2. Disposta, a domanda dell’arch. Di.Ro., la chiamata in causa di Ca. Spa (cui è subentrata AM. Ass.ni Spa) e As.De., in garanzia in ipotesi accoglimento della riconvenzionale di risarcimento del danno, il Tribunale di Pescara, con sentenza n. 1723/2014, ricondotta la revoca alla clausola risolutiva dell’articolo 8 del disciplinare di incarico professionale che prevedeva, in caso di persistente inadempienza dei professionisti, sentito il parere del RUP, la risoluzione unilaterale del rapporto professionale, escluse, tuttavia, la prova delle inadempienze contestate; quindi, ricondusse la revoca all’esercizio di recesso ad nutum, ex art. 2237 cod. civ. e riconobbe, perciò, ai professionisti, soltanto il rimborso delle spese sostenute e il compenso maturato per l’attività effettivamente svolta sino al V SAL.
3. Gli attori proposero appello, deducendo che il diritto di recesso ad nutum ex art. 2237 cod. civ. fosse escluso dalla limitazione, nel disciplinare, del tempo di durata dell’incarico e dalla previsione dell’art. 8 che consentiva la revoca soltanto nell’ipotesi di persistente inadempienza da parte dei professionisti; chiesero, pertanto, il riconoscimento del loro diritto a percepire i compensi che sarebbero spettati dalla data di revoca anticipata a quello di scadenza contrattuale, cioè anche il compenso maturando per l’attività non svolta, in considerazione dell’accertata insussistenza delle inadempienze contestate.
La A.S.L. 3 di Pescara propose appello incidentale per far accertare la sussistenza delle gravi inadempienze contestate nel provvedimento di revoca e, in conseguenza, la non debenza di alcun compenso ulteriore.
4. Con sentenza n. 1288/2019, la Corte d’Appello di L’Aquila, in accoglimento dell’appello incidentale, riconobbe provate le inadempienze e rigettò le domande dei due attori appellanti.
La Corte d’Appello riscontrò, in particolare, la tenuta del giornale di contabilità non conforme, la mancanza di attendibilità della storia del cantiere rappresentata nel giornale dei lavori, l’insufficiente controllo della conformità dei lavori svolti a quelli oggetto di appalto, la commissione di un falso con la retrodatazione dell’ordine di sospensione dei lavori, come accertato in sede penale e l’assenso alla prosecuzione degli stessi con la realizzazione di opere che avrebbero dovuto fare parte di un progetto di variante che, tuttavia, non soltanto non era stata ancora approvata;
a tal proposito, rilevò altresì che questa variante non era stata neppure redatta compiutamente, con la consapevolezza (tenuto conto della qualifica rivestita) che l’importo dei lavori della perizia superava il “quinto d’obbligo” di cui all’art. 132 comma 1 lettera a) e comma 4) D.Lgs. 163/2006 e l’incremento del 50% dell’importo contrattuale (art. 57, comma 5, lettera a.2, D.Lgs. 163/2006), sicché sarebbe stato necessario procedere alla risoluzione del contratto e provvedere ad una nuova gara; gli stessi direttori dei lavori, inoltre, avevano emesso ben cinque stati di avanzamento che avevano consentito il pagamento all’ATI anche di lavori non compresi nel progetto originario.
5. Avverso questa sentenza Ca.Lo. e Di.Ro. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi; la A.S.L. e AM. Ass.ni Spa hanno resistito con controricorso;
As.Ni. non ha svolto difese.
I ricorrenti e la A.S.L. hanno presentato memorie illustrative.
Grave inadempimento direttore lavori pubblici e niente pagamento pregresso
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., Ca.Lo. e Di.Ro. hanno lamentato la violazione dell’art. 1460 cod. civ., per avere la Corte d’Appello ritenuta operante l’eccezione di inadempimento proposta, ex art. 1460 cod. civ., per paralizzare la loro domanda di pagamento dei compensi, sebbene il contratto fosse stato già risolto dalla stessa ASL per esercizio della revoca ex 1227 cod. civ., il contratto fosse di durata e, in conseguenza, dovesse operare nella fattispecie il principio dell’art. 1458 cod. civ. e, cioè, la salvezza del compenso a corrispettivo delle prestazioni già eseguite; era, inoltre, certamente contrario a buona fede il rifiuto del pagamento delle prestazioni già ricevute perché sproporzionato rispetto all’asserito inadempimento, soltanto parziale.
2. Con il secondo motivo, articolato in riferimento al 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., i ricorrenti hanno lamentato la violazione dell’art. 2237 cod. civ.: la previsione della possibilità di recesso ad nutum del cliente, contemplata dall’art. 2237, comma 1, cod. civ., non ha carattere inderogabile, sicché è possibile che, per particolari esigenze delle parti, sia esclusa tale facoltà fino al termine del rapporto, dovendosi ritenere sufficiente – al fine di integrare la deroga pattizia alla regolamentazione legale di questa facoltà di recesso – la mera apposizione di un termine al rapporto di collaborazione professionale, senza necessità di un patto espresso e specifico; hanno, quindi, aggiunto che l’articolo 8 del disciplinare, come da loro già invocato in appello, prevedendo il diritto del A.S.L. di recesso per inadempimento, escludeva logicamente l’operatività del recesso ad nutum ex 2237 cod. civ.
2.1 I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente per continuità di argomentazione, sono inammissibili perché non conferenti rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata.
Il Tribunale di Pescara, nella sentenza impugnata, aveva già esplicitamente affermato che la A.S.L. aveva revocato l’incarico dei due professionisti nell’esercizio del diritto di recesso come previsto dall’art. 8 del disciplinare, per “inadempienze gravi” dei due professionisti a aveva esaminato l’eccezione di inadempimento proposta dalla convenuta in riferimento a tale articolo, puntualizzando esplicitamente, all’ultimo capoverso di pag. 5, che il riscontro della “ipotesi contrattuale di persistente inadempienza” avrebbe “escluso l’obbligo della A.S.L. di corrispondere i compensi professionali”, attesa la portata derogatoria dell’art. 8; aveva, tuttavia, ritenuto non provate le dedotte inadempienze e, in conseguenza, escluso che risultasse “integrata l’ipotesi contrattuale” e “in mancanza di specifiche determinazioni ulteriori derogatorie delle norme di legge” aveva ritenuto comunque configurabile la recidibilità ad nutum da parte dell’ente, propria del rapporto di appalto di lavori pubblici, di natura strettamente fiduciaria, riconducendo in conseguenza l’adottato provvedimento di revoca all’esercizio di recesso ex art. 2237 cod. civ.
La Corte d’Appello, invece, in accoglimento dell’appello incidentale della A.S.L., ha ritenuto sussistente la prova della l’inadempienza grave dei due professionisti, riconoscendo in conseguenza, in riforma della sentenza impugnata, l’operatività della clausola risolutiva espressa come prevista dall’art. 8 del disciplinare.
Grave inadempimento direttore lavori pubblici e niente pagamento pregresso
È evidente, allora, che l’inadempimento dei due professionisti non è stato valutato ai sensi dell’art. 1460 cod. civ. asseritamente violato, ma in riferimento alla clausola risolutiva espressa prevista nel disciplinare di incarico tra l’ente e i due professionisti all’art. 8.
La clausola risolutiva espressa è il patto con cui le parti prevedono che, nella sussistenza di un’ipotesi d’inadempienza contrattuale imputabile ad una di loro è attribuito all’altra, in via di autotutela, il diritto potestativo di sciogliersi unilateralmente dal contratto. Per giurisprudenza consolidata di questa Corte, questo patto è pienamente compatibile con i rapporti di appalto pubblico, attesa la loro natura fiduciaria, né sul punto i ricorrenti hanno argomentato in senso diverso.
Secondo l’articolo 8, come riportato in controricorso dalla stessa A.S.L., qualora i professionisti non avessero ottemperato, nell’espletamento dell’incarico, alle prescrizioni contenute nel disciplinare o alle indicazioni e direttive fissate dall’ente committente o dal R.U.P., compatibili con il disciplinare, il R.U.P. avrebbe proceduto con regolare lettera scritta ad impartire le disposizioni e gli ordini necessari per l’osservazione delle condizioni disattese; in caso di persistente inadempienza dei professionisti, l’ente committente, sentito il parere del R.U.P. e su proposta del medesimo, avrebbe potuto provvedere, con motivato giudizio, alla revoca dell’incarico affidato; in tal caso ai professionisti non sarebbero state dovute “le competenze professionali relative”.
In riforma della sentenza appellata, la Corte d’Appello ha dunque ritenuto che la revoca dell’incarico da parte dell’Azienda fosse stata fondatamente adottata per i comportamenti dei due professionisti non ottemperanti alle direttive del RUP e da lui segnalati proprio al fine di rendere operante l’art. 8; questi comportamenti, specificati in comparsa di risposta in primo grado, sono stati ritenuti provati nella sentenza di secondo grado qui impugnata, con un’articolata motivazione (pagine da 7 a 14 della sentenza).
Diversamente da quanto sostenuto in memoria dai due ricorrenti, pertanto, la Corte territoriale, accogliendo l’appello incidentale, ha soltanto riscontrato la prova delle inadempienze rilevanti, accertando come legittimo il rifiuto di pagamento del compenso e rigettando, in conseguenza, la domanda dei due professionisti.
Non possono, evidentemente, essere sottoposte all’esame di questa Corte, in questa sede di legittimità, vizi attinenti allo svolgimento del procedimento amministrativo sfociato nel provvedimento di revoca (la mancanza di una “lettera” del RUP prospettata in memoria), in quanto involgenti questioni di fatto o di diritto (vizi del provvedimento di revoca) che sarebbero dovute risultare già sottoposte al Giudice del merito (ciò che, invece, non è stato riportato in ricorso).
Così ricostruita in diritto la vicenda risolutiva del rapporto, è evidente, allora, come siano del tutto inconferenti le denunce di violazione dell’art. 1460 e dell’art. 2237 cod. civ., perché nessuno dei due articoli è stato posto a fondamento della decisione impugnata.
3. Con il terzo motivo, pure articolato in riferimento al n. 3, i ricorrenti hanno riproposto, in questa sede, la censura formulata con il primo motivo di appello, assorbito dal Giudice di secondo grado, lamentando la violazione e falsa applicazione dell’art. 2230 cod. civ. e del comma secondo dell’art. 10 della tariffa professionale degli ingegneri e architetti applicabile alla fattispecie, come prevista alla legge 2 marzo 1949 n. 143: sul punto, i ricorrenti hanno rappresentato di aver chiesto alla Corte d’Appello, con la loro impugnazione, l’applicazione del secondo comma dell’art. 15 secondo cui “rimane salvo il diritto del professionista al risarcimento degli eventuali maggiori danni, quando la sospensione non sia dovuta a cause dipendenti dal professionista stesso”.
In disparte ogni considerazione sulla formulazione del motivo che, non denunciando un error in procedendo (i ricorrenti non hanno, infatti, lamentato l’erroneità della statuizione di assorbimento), richiedeva, ai fini della autosufficienza, la riproposizione in questa sede della censura formulata alla sentenza di primo grado, le ragioni di inammissibilità delle prime due censure come suesposte implicano l’inammissibilità anche di quest’ultima.
Grave inadempimento direttore lavori pubblici e niente pagamento pregresso
Innanzitutto, come chiarito da questa Corte, la tariffa professionale degli ingegneri ed architetti è applicabile, ai sensi dell’art. 2233 cod. civ., soltanto in assenza di determinazione pattizia del compenso (cfr. Cass. Sez. 2, n. 40182 del 15/12/2021; Sez. 2, n. 15206 del 11/07/2011); nella specie, è incontestata la avvenuta stipulazione dell’art. 8 citato; al contrario, non risulta riportata nel motivo di ricorso – con conseguente difetto di autosufficienza – l’art. 4 che rinvierebbe alla tariffa.
In ogni caso, come risulta dal testo della norma invocata, il secondo comma dell’art. 10 concerne il risarcimento dei maggiori danni che, nella fattispecie, è stato correttamente escluso dalla Corte d’appello, mediante l’assorbimento, per aver ritenuto la revoca come imputabile ai due professionisti.
3. Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna dei ricorrenti Ca.Lo. e Di.Ro. al rimborso delle spese processuali in favore della l’Azienda Sanitaria Locale (A.S.L.) di Pe., liquidate in dispositivo in relazione al valore, con distrazione in favore dell’avv. To.Ma., dichiaratosi antistatario.
Le spese di AM. Ass.ni Spa devono essere dichiarate irripetibili, atteso che, ove venga proposto ricorso contro una sentenza pronunciata tra più parti in cause scindibili ed il ricorrente risulti soccombente, sono irripetibili le spese sostenute dal controricorrente al quale sia stato notificato il ricorso, come nella fattispecie, al mero scopo di litis denuntiatio, non essendo questi contraddittore del ricorrente e rimanendo indifferente all’esito della lite (in ultimo, Cass. Sez. 2, n. 8491 del 24/03/2023).
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna Ca.Lo. e Di.Ro. al pagamento, in favore dell’Azienda Sanitaria Locale (A.S.L.) di Pescara, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv. Marchese antistatario.
Dichiara irripetibili le spese di AM. Ass.ni Spa
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1-bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di Cassazione del 7 maggio 2024.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2025.
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