Il ricorrente in cassazione il quale deduca che l’interpretazione di un contratto è avvenuta in violazione degli artt. 1366 e 1369 c.c.

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 21 maggio 2019, n. 13603.

La massima estrapolata:

Il ricorrente in cassazione il quale deduca che l’interpretazione di un contratto è avvenuta in violazione degli artt. 1366 e 1369 c.c. ha l’onere di indicare, a pena di inammissibilità del gravame, l’elemento semantico di tale contratto che, essendo oggettivamente incerto nel suo significato, rende non sufficiente, per la ricerca della volontà comune delle parti, l’utilizzo del criterio cd. letterale e necessaria, invece, l’applicazione di quelli della buona fede o della funzione del contratto.

Ordinanza 21 maggio 2019, n. 13603

Data udienza 26 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 21247-2017 proposto da:
(OMISSIS) SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA, in persona del procuratore ad negotia Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 300/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 06/02/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/02/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

FATTI DI CAUSA

In totale riforma della decisione di prime cure, la Corte d’appello di Venezia, con sentenza in data 6.2.2017 n. 300 riteneva non dovuta la prestazione di indennizzo effettuata da (OMISSIS) s.p.a. a favore della propria assicurata, (OMISSIS) s.r.l., per la responsabilita’ civile conseguente a danni arrecati dalla attivita’ di impresa (posa di coperture e guaine impermeabilizzanti), atteso che dalla interpretazione del testo delle clausole di cui all’articolo 14, lettera L) e articolo 17, lettera A), n. 8) delle Condizioni generali di assicurazioni i danni cagionati, sia alla guaina impermeabilizzante, sia alla sottostante struttura lignea dell’edificio, da un cannello ossidrico lasciato incautamente acceso, risultavano esclusi dalla copertura assicurativa. Conseguentemente il Giudice di appello condannava la societa’ assicurata alla restituzione delle somme ricevute a titolo di indennizzo dalla societa’ assicuratrice e da questa versate in esecuzione della decisione di prime cure, oltre alle spese di lite del doppio grado.
La sentenza di appello, non notificata, e’ stata impugnata per cassazione da (OMISSIS) s.r.l. con cinque motivi.
Resiste (OMISSIS) s.p.a., incorporante di (OMISSIS) s.p.a., con controricorso.
Entrambe le parti ricorrente e resistente hanno depositato memorie illustrative ai sensi dell’articolo 380 bis.1 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la societa’ ricorrente deduce la violazione dell’articolo 342 c.p.c., allegando che la Corte d’appello avrebbe errato a ritenere l’atto di impugnazione proposto da (OMISSIS) s.p.a. dotato dei requisiti di specificita’ richiesti per l’ammissibilita’ dei motivi di gravame in quanto questi non evidenziavano le norma violate non individuavano i capi di sentenza impugnati, ne’ proponevano una diversa ricostruzione del fatto.
Il motivo e’ inammissibile in quanto la esposizione non risponde al requisito di completezza e chiarezza prescritto dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 3.
Osserva il Collegio che la verifica di ammissibilita’ del gravame doveva essere compiuta alla stregua del testo dell’articolo 342 c.p.c. riformato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera Oa), conv. con mod. in L. 7 agosto 2012, n. 134, essendo stato introdotto il grado di appello in data successiva all’11.9.2012 (Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, comma 2), norma che e’ stata oggetto di esame nella pronuncia di questa Corte Sez. U -, Sentenza n. 27199 del 16/11/2017 che, nel fornire la interpretazione del nuovo testo dell’articolo 342 c.p.c., ha evidenziato come il Legislatore abbia inteso formalizzare in norma quelli che erano gia’ i consolidati approdi giurisprudenziali in tema di ammissibilita’ dell’atto di appello, ed ha enunciato il principio di diritto secondo cui “Gli articoli 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal Decreto Legge n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilita’, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversita’ rispetto alle impugnazioni a critica vincolata”.
La Corte territoriale si e’ attenuta a tale indicazioni ed ha riscontrato la sussistenza dei requisiti predetti e la prescritta specificita’ nei motivi di gravame dedotti con l’atto di appello da (OMISSIS) s.p.a.
Tanto premesso, la ricorrente avrebbe dovuto non limitarsi ad una mera allegazione di un risultato, ritraibile dall’esame dell’atto di appello, opposto a quello del Giudice di merito, ma avrebbe dovuto rendere ostensibili le manchevolezze denunciate, evidenziando in tal modo l’errore processuale in cui era incorso il Giudice.
Ribadendo, infatti, un principio di diritto espresso costantemente da questa Corte, osserva il Collegio che, anche laddove vengano denunciati con il ricorso per cassazione “errores in procedendo”, in relazione ai quali la Corte e’ anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l’ammissibilita’ del motivo in relazione ai termini in cui e’ stato esposto, con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilita’ diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione puo’ e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali.
Ne segue che il ricorrente, ove censuri la statuizione della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso l’inammissibilita’, per difetto di specificita’, di un motivo di appello, ha l’onere di trascrivere il contenuto del mezzo di impugnazione nella misura necessaria ad evidenziarne la genericita’, e non puo’ limitarsi a rinviare all’atto medesimo (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 12664 del 20/07/2012; id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 6014 del 13/03/2018. Con riferimento alla censura della speculare statuizione che dichiara, invece, inammissibile il motivo di gravame per difetto di specificita’: Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 20405 del 20/09/2006; id. Sez. 5 -, Ordinanza n. 22880 del 29/09/2017. Vedi: Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 11738 del 08/06/2016).
Tale onere non e’ stato assolto dalla ricorrente, ed il motivo non puo’, quindi, accedere al sindacato di legittimita’.
Venendo all’esame degli altri motivi di ricorso, si rileva come nei motivi secondo, terzo e quarto, la ricorrente venga a cumulare vizi riconducibili ad errore di diritto, per violazione delle norme che individuano e disciplinano i criteri ermeneutici degli atti negoziali, e vizi invece riconducibili ad errore di fatto. Orbene, premesso che per giurisprudenza consolidata di questa Corte, sussiste una oggettiva incompatibilita’ tra i due vizi di legittimita’ indicati nelle rubriche, in quanto rivolti alla impugnazione di una medesima statuizione della sentenza, in considerazione del diverso oggetto della attivita’ del Giudice cui si riferisce la critica (attivita’ interpretativa della fattispecie normativa astratta che va distinta dalla attivita’ valutativa della fattispecie concreta emergente dalle risultanze probatorie: Corte cass. 1 sez. 11.8.2004 n. 15499; id. sez. lav. 16.7.2010 n. 16698; Corte cass. 2 sez. 29.4.2002 n. 6224, id. 3 sez. 18.5.2005 n. 10385, id. 5 sez. 21.4.2011 n. 9185; Vedi Corte cass. 3 sez. 7.5.2007 n. 10295 sulla antinomia tra “error in judicando” e vizio di motivazione), osserva il Collegio che, la cumulativa denuncia, con il medesimo motivo, di vizi attinenti alle ipotesi previste dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5) (id est: formulazione di un singolo motivo articolato in piu’ profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo), non impedisce l’accesso del motivo all’esame di legittimita’ allorche’ esso, comunque, evidenzi distintamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie (ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), ed i profili attinenti invece alla ricostruzione del fatto (ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), cosi’ da consentire alla Corte di individuare agevolmente ciascuna autonoma critica formulata alla sentenza impugnata in relazione ai diversi vizi di legittimita’ contestati in rubrica (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 9793 del 23/04/2013; id. Sez. U, Sentenza n. 9100 del 06/05/2015). Diversamente, il motivo “formalmente unico” ma articolato in plurime censure di legittimita’ si palesa inammissibile tutte le volte in cui l’esposizione contestuale dei diversi argomenti a sostegno di entrambe le censure non consenta di discernere le ragioni poste a fondamento, rispettivamente di ciascuna di esse: in tal caso, infatti, le questioni formulate indistintamente nella esposizione del motivo e concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo ed in genere il merito della causa, costringerebbero il Giudice di legittimita’ ad operare una indebita scelta tra le singole censure teoricamente proponibili e riconducibili ai diversi mezzi d’impugnazione enunciati dall’articolo 360 c.p.c., non potendo sostituirsi la Corte al difensore per dare forma e contenuto giuridici alle doglianze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011; id. Sez. 1, Sentenza n. 21611 del 20/09/2013), trattandosi di compito riservato in via esclusiva alla parte interessata, come emerge dal combinato disposto dell’articolo 360 c.p.c. e articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 18242 del 28/11/2003 id. Sez. 1, Sentenza n. 22499 del 19/10/2006; id. Sez. 1, Sentenza n. 5353 del 08/03/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 18421 del 19/08/2009; id. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 3248 del 02/03/2012; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 7009 del 17/03/2017).
Alla stregua dei principi enunciati verra’ quindi verificata l’ammissibilita’ dei motivi di ricorso in esame, mentre la seppure non sintetica esposizione dei motivi, compiuta attraverso la estesa riproduzione delle Condizioni generali della polizza assicurativa, non inficia l’ammissibilita’ del ricorso in relazione al profilo di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 3 indicato dalla controricorrente, atteso che la detta riproduzione non osta al riconoscimento della parte critica rivolta alla sentenza impugnata e degli argomenti in diritto addotti a supporto della stessa. Tale grave vizio di ammissibilita’ trova, infatti, riscontro quando il ricorrente non riproduca alcuna narrativa della vicenda processuale, ne’ accenni all’oggetto della pretesa, limitandosi ad allegare, mediante “spillatura” al ricorso, i diversi atti processuali ed i documenti prodotti nel giudizio di merito (Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 16628 del 17/07/2009: id. Sez. U, Ordinanza n. 19255 del 09/09/2010), in tal caso essendo inidoneo il ricorso a soddisfare la necessita’ della sintetica esposizione dei fatti, in quanto detto assemblaggio equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso (Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 5698 del 11/04/2012).
Qualora, tuttavia, attraverso la agevole espunzione dei documenti assemblati, sia consentito di ricondurre i motivi di ricorso a chiarezza espositiva, risultando quindi definita la censura svolta, senza necessita’ di ricostruzioni logiche ed interpolazioni interpretative inammissibilmente demandate da questa Corte, in tal caso e’ possibile ritemere assolto l’onere della sintetica esposizione del fatto di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 3, dovendo, al riguardo, confermarsi il principio secondo cui e’ inammissibile il ricorso per cassazione confezionato mediante l’assemblaggio di parti eterogenee del materiale di causa (trascrivendo o fotocopiando interi atti processuali o documenti di causa dei pregressi gradi di giudizio, tra di loro giustapposti con mere proposizioni di collegamento), ma solo quando cio’ renda incomprensibile il mezzo processuale, perche’ privo di una corretta ed essenziale narrazione dei fatti processuali (ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 3), della sintetica esposizione della soluzione accolta dal giudice di merito, nonche’ dell’illustrazione dell’errore da quest’ultimo commesso e delle ragioni che lo facciano considerare tale, ipotesi che non ricorre quando, espunti i documenti e gli atti integralmente riprodotti, in quanto facilmente individuabili ed isolabili, l’atto processuale, ricondotto al canone di sinteticita’, rispetti il requisito prescritto a pena di inammissibilita’ (cfr. Corte cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 22185 del 30/10/2015; id. Sez. 5 -, Sentenza n. 8245 del 04/04/2018).
Secondo motivo: violazione e falsa applicazione dell’articolo 1362 c.c.; omesso esame di fatto decisivo (articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).
Sostiene la ricorrente che la Corte d’appello privilegiando in via esclusiva il criterio interpretativo cd. letterale, avrebbe violato il principio per cui l’interprete non deve fermarsi al senso letterale delle parole ma deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti. Aggiunge che pertanto un corretto esame sistematico delle clausole di cui all’articolo 14, lettera d), l) ed m) (garanzie comprese automaticamente nell’assicurazione della responsabilita’ civile verso terzi) e articolo 17, lettera A), n. 2) e n. 8) (rischi esclusi dall’assicurazione) delle CGA, oltre al frontespizio, alla scheda di polizza ed all’oggetto della polizza, avrebbe condotto a riconoscere dovuta la prestazione indennitaria dell’assicuratore.
Il motivo e’ inammissibile sotto molteplici profili.
1-) Non coglie la “ratio decidendi”.
La ricorrente estrapola un passo della motivazione della sentenza -ove si riconosce quale criterio fondamentale quello della interpretazione letterale ex articolo 1362 c.c., comma 1: cfr. in motiv. pag. 5 – e su questa fonda la critica della omessa indagine sulla effettiva volonta’ comune delle parti. Il Giudice di merito, tuttavia, non ha affatto pretermesso di applicare al testo, oltre al criterio cd. letterale, anche il criterio logico-sistematico, previsto dall’articolo 1363 c.c., avendo per l’appunto verificato la portata semantica della clausola descrittiva della causa del rischio assicurato comparando ed interpretando il senso logico dei rinvii contenuti nelle due clausole delle CGA.
2-) Non individua l’errore commesso dal Giudice, cosi’ incorrendo nella inammissibilita’ del motivo per difetto di specificita’ ex articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4.
Fermo il principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, e dal quale non vi e’ ragione di discostarsi, quello secondo cui: a) l’interpretazione del contratto e, in genere, degli atti di autonomia privata, costituisce attivita’ riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimita’ soltanto per violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione; b) il motivo di ricorso con il quale si sostenga il malgoverno delle regole interpretative deve contenere non solo l’astratto riferimento agli articoli del codice che le sanciscono, ma altresi’ la specificazione dei canoni in concreto violati; c) va altresi’ in ogni caso precisato il modo in cui il giudice se ne e’ discostato e, quindi, le distorsioni che in concreto ha prodotto la denunciata violazione (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 24461 del 18/11/2005; id. Sez. 2, Sentenza n. 1406 del 23/01/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 2560 del 06/02/2007), osserva il Collegio che la ricorrente non ha censurato idoneamente l’applicazione del criterio ermeneutico di cui all’articolo 1362 c.c., comma 1 fatta dal Giudice di merito, non avendo evidenziato in che modo la Corte territoriale si sia discostata dalla interpretazione nomofilattica della norma ermeneutica secondo cui la chiarezza ed univocita’ del testo contrattuale deve essere tale – secondo la previsione dell’articolo 1362 c.c., comma 1 – da consentire di determinare in modo inequivoco la intenzione delle parti, non essendo a tal fine pero’ sufficiente la chiarezza lessicale in se’ e per se’ considerata, sicche’ detto principio non trova applicazione nel caso in cui il testo negoziale, pur chiaro, non appaia tuttavia coerente con ulteriori ed esterni indici rivelatori della effettiva volonta’ dei contraenti (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 12957 del 13/07/2004; id. Sez. 3, Sentenza n. 7083 del 28/03/2006; id. Sez. L, Sentenza n. 12360 del 03/06/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 25840 del 09/12/2014; id. Sez. L -, Sentenza n. 24560 del 01/12/2016).
La ricorrente ha omesso, infatti, di indicare quali ulteriori elementi extratestuali (ivi inclusi eventuali convergenti comportamenti significativi tenuti dalle parti anteriormente o successivamente alla stipula del contratto), non considerati dal Giudice di merito, concorressero ad inficiare l’applicazione della regola ermeneutica, essendo appena il caso di rilevare, peraltro, come non possa essere qualificato errore su “fatto decisivo” pretermesso, “il carattere suppostamente chiaro e inequivoco delle clausole” (vedi: ricorso pag. 26-27), venendo a confondersi in tal modo il risultato della interpretazione con il presupposto testuale ed extratestuale della stessa, risultando quindi palesemente inammissibile la censura prospettata sub articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
La mera rassegna delle parti componenti il documento di polizza, non disvela alcun argomento critico idoneo a confutare la affermata – dal Giudice di appello – coincidenza del tenore letterale del testo delle clausole con la comune volonta’ dei contraenti, atteso che:
Il frontespizio, la scheda di polizza, l’oggetto della assicurazione (nelle parti riprodotte alla pag. 20 del ricorso) forniscono indicazioni del tutto neutre, limitandosi ad indicare la tipologia di rischio assicurato (responsabilita’ civile per imprese edili e di costruzione, con specificazione della peculiare attivita’ svolta dalla assicurata), che impongono il rinvio alla scheda di polizza ed alle CGA per poter individuare quale sia l’esatto oggetto della garanzia assicurativa.
Il riferimento alla lettera d) (cessione di lavori in subappalto) dell’articolo 14 delle CGA – che estende la garanzia anche ai danni cagionati da ditte che lavorano nei cantieri dell’assicurato -, non e’ ex se esplicativo in quanto rimanda “ai rischi per i quali e’ stipulata l’assicurazione ed elencati nella scheda di polizza”, mentre il riferimento al medesimo articolo 14, lettera m) appare inconferente in quanto concerne “danni alle cose di terzi in consegna o custodia all’assicurato”, ipotesi che non ricorre nel caso di specie in cui i danni alle strutture dell’edificio di proprieta’ di terzi (copertura lignea del tetto; pareti in cartongesso) sono stati causati dall’incendio provocato da un cannello ossidrico lasciato acceso dalle maestranze della ditta che aveva subappaltato i lavori dall’assicurata.
Il richiamo delle Condizioni particolari di polizza All. 01, n. 2) (“l’assicurazione comprende i danni al fabbricato sui quali e’ stata installata la copertura impermeabilizzante, nonche’ i danni alle cose in contenute”), oltre a non essere supportato dalle necessarie allegazioni in fatto, emergendo dalla sentenza impugnata che l’evento dannoso si era prodotto durante i lavori e dunque quando la guaina non era stata ancora installata (sentenza appello, in motiv. pag. 3), e’ argomento del tutto infondato posto che le Condizioni particolari hanno per oggetto la responsabilita’ civile dell’assicurata che dovesse insorgere nei dieci anni successivi alla ultimazione e consegna dell’opera (completamento della installazione della copertura impermeabilizzante), operando quindi in deroga alla disposizione dell’articolo 17, lettera A, n. 9 CGA che altrimenti escluderebbe tale rischio dalla copertura assicurativa; 3-) La contestazione mossa dalla ricorrente all’accertamento della volonta’ negoziale compiuto dal Giudice di merito in ordine alla esatta individuazione dell’oggetto del rischio assicurato, difetta pertanto di specificita’ ex articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, non evidenziando il carattere ambiguo, incerto, polisenso del testo delle clausole contrattuali, e venendo quindi a rivestire soltanto un contenuto meramente oppositivo rispetto alla soluzione interpretativa fornita dalla Corte d’appello in relazione al testo delle clausole, secondo cui, la previsione di esclusione dalla garanzia del rischio di danni “a cose altrui derivanti da incendio di cose dell’assicurato o da lui detenute” (articolo 17, lettera A, n. 2 CGA) ed “alle opere in costruzione, a quelle sulle quali si eseguono i lavori e alle cose esistenti nell’ambito di esecuzione degli stessi” (articolo 17, lettera A, n. 8 CGA), facendo espressamente salve le ipotesi contemplate dall’articolo 14, lettera L (lavori presso terzi) CGA, doveva essere coordinata con tale ultima disposizione che delimitava il rischio assicurato per lavori presso terzi ai soli danni “a cose altrui, derivanti da incendio di cose dell’assicurato o da lui detenute”, avendo quindi ritenuto il Giudice di merito non sussumibile, l’ipotesi di danno in concreto verificatasi, nella modalita’ causativa del danno come descritta nella predetta clausola, in quanto, indipendentemente dalla appartenenza o detenzione del cannello ossidrico alla societa’ assicurata, il danno cagionato alle strutture dell’edificio non poteva ritenersi “derivante dall’incendio della cosa” cioe’ dalla cosa incendiatasi – atteso che la fiamma emessa dallo strumento di lavoro non comportava di per se’ incendio dello stesso (id est della cosa dell’assicurato); con l’ulteriore conseguenza che riemergeva in tal modo la esclusione della garanzia, di cui all’articolo 17, lettera A, n. 8, per i danni alle cose di terzi cagionati da altri fattori causali (diversi dall’incendio della cosa dell’assicurato) “alle opere in costruzione, a quelle sulle quali si eseguono i lavori ed alle cose esistenti nell’ambito di esecuzione degli stessi”, categorie nell’ambito delle quali dovevano ritenersi ricompresi sia la struttura lignea del tetto che le pareti in cartongesso dell’edificio.
Orbene, in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimita’ non puo’ investire il risultato interpretativo in se’, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicita’ della motivazione addotta, con conseguente inammissibilita’ di ogni critica alla ricostruzione della volonta’ negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 2465 del 10/02/2015; id. Sez. 3, Sentenza n. 10891 del 26/05/2016). Ne segue che la critica svolta dalla ricorrente fondata sulla prospettazione di una diversa ricostruzione della volonta’ negoziale, non e’ sufficiente a fondare l’accertamento del denunciato vizio di legittimita’, atteso che non e’ necessario, affinche’ la sentenza impugnata vada esente da censura, che quella data dal Giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto. Ne segue che, quando di una clausola siano possibili due o piu’ interpretazioni, non e’ consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimita’ del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 4178 del 22/02/2007).
Terzo motivo: violazione e falsa applicazione dell’articolo 1363 c.c.; nullita’ per insufficiente o contraddittoria motivazione (articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).
La ricorrente ripropone nuovamente i medesimi argomenti svolti nel precedente motivo di ricorso, lamentando che la Corte d’appello, privilegiando il criterio interpretativo cd. letterale avrebbe violato la norma di cui all’articolo 1363 c.c. che imponeva invece di ricavare il significato delle clausole interpretandole le une per mezzo delle altre, in tal modo pervenendo a riconoscere il diritto all’indennizzo della societa’ assicurata.
Il motivo e’ inammissibile per le medesime ragioni gia’ esposte nell’esame del precedente secondo motivo. La critica, peraltro, e’ affidata alla riproduzione di una serie di massime giurisprudenziali che non si pongono affatto in contrasto con gli enunciati in diritto della sentenza impugnata, atteso che il Giudice di appello ha espressamente richiamato l’articolo 1363 c.c. quale criterio ermeneutico da adottare nel caso di specie, laddove ha affermato che il senso letterale delle parole utilizzate deve verificarsi “alla luce dell’intero contesto in quanto “per senso letterale delle parole va intesa tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone” (Cassazione civile, sez. III 06/05/2015 n. 9006)….” (in motivazione, pag. 5-6), ed ha poi in concreto desunto l’ambito oggettivo del rischio assicurato proprio dalla interpretazione sistematica delle due clausole delle CGA.
La asserita violazione del criterio ermeneutico viene sviluppata secondo lo stesso modulo gia’ prospettato della omessa considerazione di altre disposizioni di polizza che, come in precedenza rilevato, non assumono in alcun modo carattere dirimente, venendo quindi anche in relazione al motivo in esame a tradursi la censura in una mera, inammissibile, contrapposizione del risultato interpretativo prospettato dalla ricorrente rispetto a quello raggiunto invece dal Giudice di appello.
Priva di qualsiasi supporto argomentativo e’ poi la censura di “error fatti” peraltro declamata in rubrica secondo una tipologia del vizio di legittimita’ non piu’ corrispondente al paradigma normativo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come riformato dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54 conv. in L. n. 134 del 2012.
Quarto motivo: violazione e falsa applicazione degli articoli 1366 e 1369 c.c.; nullita’ per insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).
Il motivo che reitera gli stessi argomenti svolti nei precedenti motivi, riproducendo massime giurisprudenziali e parte della motivazione della sentenza di prime cure (favorevole all’assicurata) e’ inammissibile, in quanto:
individua l’errore commesso dalla Corte d’appello nella mancata applicazione dei criteri ermeneutici della buona fede e della funzione economico-sociale del contratto inteso come tipo e come risultato programmato che le parti hanno inteso perseguire non fornisce alcuna critica specifica alla interpretzine della clausola fornita dalla Corte d’appello, limitandosi alla riproduzione dei medesimi contenuti e disposizioni di polizza gia’ illustrate nei precedenti motivi di ricorso, omettendo di indicare il modo o gli elementi testuali od extratestuali, non considerati dal Giudice di merito, ed attraverso i quali si sarebbe creato un legittimo affidamento della societa’ assicurata, al momento della stipula della polizza od anche in corso di esecuzione del contratto, su di una specifica interpretazione di una determinata clausola contrattuale (articolo 1366 c.c.), ed omettendo di indicare la espressione polisemica contenuta nella polizza ed in relazione alla quale si impone la scelta di significato piu’ consona alla attuazione del programma negoziale predisposto dalle parti (articolo 1369 c.c.).
Pertanto, se e’ pur dato registrare che alcuni precedenti di questa Corte hanno evidenziato la necessita’ che la operazione ermeneutica dei contratti debba tener conto, nella opzione tra alternative interpretative tutte possibili, del regolamento di interessi che attraverso il contratto le parti hanno inteso realizzare, dovendo avvalersi il Giudice a tal fine del criterio previsto dall’articolo 1369 c.c. (cfr. Corte cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 23701 del 22/11/2016; id. Sez. 2 -, Sentenza n. 7927 del 28/03/2017; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 17718 del 06/07/2018), e’ pur vero che nel caso concreto sottoposto all’esame della Corte in quei precedenti si palesava la oscurita’ od incertezza semantica del contenuto testuale dell’accordo -resa tale anche a causa di elementi interferenti extratestuali- che rendeva insufficiente ed inappagante il criterio cd. letterale nella ricerca della volonta’ comune dei contraenti (nel caso esaminato da Cass. n. 7927/2017, in tema di garanzia nella vendita, si e’ ritenuto che la inequivoca dichiarazione contrattuale volta ad assicurare l’uso di un posto auto, ingenerasse un legittimo affidamento nella parte acquirente, non interferendo nella esatta ricostruzione della volonta’ negoziale la circostanza che quest’ultimo aveva potuto acquisire informazioni in ordine alla delibera condominiale con la quale tale posto veniva sottratto a quell’uso: in sostanza la oscurita’ del testo contrattuale determinata dalla condotta extratestuale dell’acquirente e’ stata risolta – in base alla funzione causale del negozio – privilegiando il significato espresso dalla lettera del testo contrattuale).
Ebbene nella specie difetta proprio la individuazione da parte della ricorrente dell’elemento semantico che si presenta oggettivamente incerto nella sua portata ed in relazione al quale sarebbe possibile superare il dubbio soltanto ricorrendo al criterio della buona fede o della funzione del contratto, essendo appena il caso di osservare la inconsistenza dell’assioma per cui, vertendo la polizza sulla assicurazione della responsabilita’ civile, il documento contrattuale deve essere interpretato, alla stregua degli articoli 1366 e 1369 c.c., nel senso di avere indotto nella impresa contraente il legittimo affidamento che qualsiasi danno cagionato a terzi nella esecuzione della attivita’ d’impresa dia diritto all’indennizzo di polizza.
Ne’ tale incertezza puo’ desumersi dalle clausole di cui all’articolo 14 e 17 CGA, posto che la interpretazione delle stese fornita dalla Corte d’appello non evidenzia alcuna difficolta’ esegetica: l’articolo 17 prevede in via generale i danni non coperti dalla assicurazione di RC, con eccezione di alcune ipotesi, descritte nell’articoli 14 CGA. Bene puo’ esservi quindi coincidenza tra i danni cagionati a terzi considerati dalle due disposizioni, laddove, come e’ stato puntualmente indicato dalla Corte d’appello, la negazione della previsione di esclusione della garanzia viene affidata dall’articolo 14 CGA alla specifica modalita’ di accadimento o di produzione del danno: l'”incendio della cosa dell’assicurato”.
Non condivisibile e’ poi la tesi difensiva che fonderebbe il diverso risultato interpretativo sulla esigenza di mantenere il coN,stante equilibrio sinallagmatico nel contratto. Ora, a parte la genericissima allegazione che non disvela la ragione per cui la delimitazione del rischio assicurato in relazione a determinati eventi di danno a cose di terzi, verrebbe ad alterare ed in che modo e misura l’originario equilibrio tra le prestazioni contrattuali, vale osservare che l’attivita’ ermeneutica si pone su un piano diverso dalla integrazione legale o giudiziale di eventuali lacune nella determinazione delle prestazioni o degli elementi accessori del contratto, altro essendo la esegesi dell’elemento volitivo comune alle parti ed altro l’inserimento di un elemento funzionale esterno alla volonta’ espressa dalle parti in mancanza del quale non potrebbe darsi attuazione al rapporto. Ed e’ affermazione condivisa dalla dottrina e dalla giurisprudenza quella per cui, attraverso la integrazione, il Giudice non possa, in ogni caso, alterare o travisare il “voluto” confezionato nel negozio, quale prodotto della autonomia privata emergente dalle clausole contrattuali, quando anche tale intervento integrativo risultasse meglio aderente alla struttura del tipo negoziale prescelto o persino funzionale alla ottimizzazione del risultato programmato dalle parti. In relazione a tale aspetto, la questione del pagamento del premio non e’ ex se idonea a veicolare la censura del vizio di legittimita’, posto che – quanto alla violazione della buona fede o della funzione causale del negozio assicurativo – e’ del tutto sfornita di riscontri oggettivi, sia testuali che extratestuali, che consentano di evidenziare l’errore in cui sarebbe incorso il Giudice di appello; e’ poi inammissibile la censura prospettata come vizio di motivazione o meglio come carenza assoluta di motivazione in quanto, anche in relazione al vizio ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la critica viene a fondarsi sull’asserito disequilibrio del sinallagma contrattuale che, la parte ricorrente, ha del tutto omesso di specificare nei suoi elementi circostanziali.
Quinto motivo: violazione e falsa applicazione dell’articolo 1370 c.c. (articolo 360c.p.c., comma 1, n. 3).
Anche tale censura va incontro alla inammissibilita’, in quanto tesa a contrapporre la versione interpretativa soggettiva della parte (che fa propri, riproducendo interamente nel motivo di ricorso la decisione di prime cure, gli argomenti del Tribunale disattesi dalla Corte d’appello, senza procedere ad una puntuale critica delle ragioni addotte dal Giudice di secondo grado) alla diversa soluzione interpretativa – non implausibile – adottata dalla Corte distrettuale. Anche in questo caso la critica difetta di specificita’, atteso che l’applicazione del criterio ermeneutico, residuale, di cui all’articolo 1370 c.c. presuppone che non sia stato possibile conseguire un risultato interpretativo del testo contrattuale mediante l’utilizzo degli altri criteri di interpretazione legale che non hanno dissolto l’ambiguita’ semantica delle clausole contestate. Nella specie la Corte d’appello ha ritenuto di raggiungere un appagante – e non implausibile – risultato esegetico, e dunque correttamente non ha fatto applicazione del criterio sussidiario in questione.
In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e la parte soccombente condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in dispositivo.
Non ritiene il Collegio, avuto riguardo alla alternanza degli esiti dei giudizi nei gradi di merito, di dovere applicare ex officio, come sollecitato dalla parte resistente, la misura sanzionatoria prevista dall’articolo 96 c.p.c., comma 3.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 7.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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