Delitto di cui all’art. 612 cod. pen.

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 17 maggio 2019, n. 21684.

La massima estrapolata:

Ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 612 cod. pen., che costituisce reato di pericolo, la minaccia va valutata con criterio medio ed in relazione alle concrete circostanze del fatto, sicchè non è necessario che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito, essendo sufficiente che la condotta dell’agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale della vittima, il cui eventuale atteggiamento minaccioso o provocatorio non influisce sulla sussistenza del reato, potendo eventualmente sostanziare una circostanza che ne diminuisca la gravità, come tale esterna alla fattispecie.

Sentenza 17 maggio 2019, n. 21684

Data udienza 12 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GALLO Domenico – Presidente

Dott. DI PAOLA Sergio – rel. Consigliere

Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere

Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere

Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 11/04/2018 della Corte d’appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Sergio Di Paola;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Aniello Roberto che ha concluso chiedendo concedersi ad entrambi gli imputati la non menzione; rigettarsi nel resto i ricorsi;
Udito l’Avv. (OMISSIS) nell’interesse delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibili i ricorsi depositando conclusioni scritte e nota spese.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Milano, con sentenza in data 11/04/2018, parzialmente riformando la sentenza pronunciata dal Tribunale di Como, in data 01/07/2015, nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), assolveva gli imputati dai delitti di ingiuria e di atti persecutori, confermando la condanna dei predetti in relazione ai reati di minaccia, lesioni e danneggiamento, rispettivamente contestati.
2. Propongono ricorso per cassazione le difese degli imputati.
3.1.1. Nell’interesse di (OMISSIS), la difesa deduce con un primo articolato motivo di ricorso la violazione di legge, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera B), in relazione agli articoli 521, 522 e 517 c.p.p., relativamente alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dell’esposizione alla pubblica fede della cosa danneggiata; la sentenza aveva ritenuto che nella descrizione del fatto oggetto di imputazione fosse contenuta la contestazione della circostanza aggravante dell’articolo 635 c.p., comma 2, n. 1, mentre il tenore dell’imputazione non riportava alcuna descrizione della condizione della cosa, se non il generico riferimento all’essere la vettura parcheggiata.
3.1.2. Conseguentemente, il ricorrente deduce la violazione di legge, in riferimento all’articolo 635 c.p., comma 2, n. 1, in relazione all’articolo 625 c.p., n. 7, e vizio di motivazione, per l’affermata sussistenza della circostanza aggravante dell’esposizione del bene alla pubblica fede; la sentenza aveva affermato che il veicolo danneggiato era esposto alla pubblica fede, in quanto parcheggiato, senza pero’ specificare ne’ il luogo ove il veicolo era parcheggiato, ne’ le condizioni del luogo, trattandosi di un’area privata pertinente all’edificio, ove si trovavano le abitazioni dell’imputato e della persona offesa, e circondato da una recinzione.
3.1.3. Infine, sempre in relazione al medesimo motivo, si deduce la violazione di legge ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera B), in relazione all’articolo 635 c.p., per avere omesso la sentenza di dichiarare l’intervenuta depenalizzazione del fatto contestato, per effetto delle modifiche introdotte dal Decreto Legislativo n. 7 del 2016, o comunque l’improcedibilita’ dell’azione penale per difetto di querela, atteso che dagli atti risultava che al momento della commissione del fatto la vettura non era di proprieta’ di (OMISSIS) e di (OMISSIS), che avevano sporto la querela, bensi’ della societa’ (OMISSIS) s.n.c.
3.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera B) e E), la violazione di legge, in relazione all’articolo 612 c.p. e vizio di motivazione, in riferimento all’affermazione di responsabilita’ per il delitto di minaccia, mancando la prova della idoneita’ minatoria delle frasi rivolte dall’imputato alla persona offesa, considerato anche il clima di conflittualita’ e reciproca aggressione esistente tra le famiglie degli imputati e delle persone offese. Il teste che aveva ascoltato il tenore delle minacce e le stesse persone offese avevano riferito di minacce rivolte singolarmente alle persone offese, mentre la contestazione riportava il contenuto delle minacce, che risultavano dirette ad entrambe le persone offese; comunque, non vi era prova che nella concitazione dell’episodio le asserite minacce fossero state percepite dalle persone offese; era indimostrata l’effettiva capacita’ delle minacce di arrecare timore, atteso il permanente stato di reciproca conflittualita’ tra l’imputato e la figlia (OMISSIS), d’un lato, e le persone offese, dall’altro, come attestavano precedenti giudizi penali svolti dinanzi ad altre autorita’.
3.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione della legge penale e vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera B) e E), in relazione all’articolo 131 bis c.p.; la Corte d’appello aveva completamente omesso di considerare l’applicabilita’ ai fatti contestati della causa di non punibilita’ ex articolo 131 bis c.p..
3.4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione della legge penale e vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera B) e E), in relazione all’articolo 62 bis c.p., per avere la Corte omesso di motivare il diniego della prevalenza delle riconosciute circostanze attenuanti generiche sulle contestate aggravanti.
3.5. Con il quinto motivo di ricorso si deduce la violazione della legge penale e vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera B) e E), in relazione all’articolo 175 c.p.; pur in presenza di specifico motivo di impugnazione, la Corte d’appello aveva omesso di motivare sul mancato riconoscimento del beneficio richiesto.
3.6. Con il sesto motivo di ricorso si deduce la violazione della legge penale e vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera B) e E), in relazione all’articolo 539 c.p.p.; la sentenza, pur avendo ridimensionato le voci di risarcimento riconosciute in favore delle parti civili, aveva erroneamente determinato l’ammontare del danno risarcibile per le spese occorrenti per le riparazioni del veicolo, considerata la dimostrata titolarita’ della vettura in capo alla societa’ (OMISSIS)
4.1. Nell’interesse di (OMISSIS), la difesa deduce con il primo motivo di ricorso, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera B) e E), la violazione di legge in relazione all’articolo 612 c.p. e vizio di motivazione, contestando sia l’attribuzione della condotta di minacce di cui al capo B) all’imputata, sia l’effettiva valenza intimidatoria delle minacce descritte, atteso il reciproco e costante rapporto di conflittualita’ tra gli imputati e la famiglia delle persone offese; inoltre, la frase riportata nella contestazione non era stata attribuita all’imputata da nessuno dei testi, comprese le persone offese; in ogni caso, l’atteggiamento conflittuale e la reciprocita’ delle iniziative aggressive e ingiuriose portavano ad escludere che le frasi avessero raggiunto l’effetto di intimorire le persone offese.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione di legge, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera B), in relazione all’articolo 612 c.p., articoli 336 e 337 c.p.p., difettando nel corpo della querela sporta nei confronti dell’imputata l’indicazione della frase che aveva poi costituito oggetto dell’imputazione.
4.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione della legge penale e vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera B) e E), in relazione all’articolo 582 c.p.; la sentenza aveva fondato il giudizio di responsabilita’ sulle dichiarazioni dell’imputata mentre le dichiarazioni delle stesse persone offese avevano evidenziato come le lesioni fossero derivate dall’intervento posto in essere dalla (OMISSIS) per dividere l’imputata dal marito della testimone, riportando in quel contesto accidentalmente le lesioni.
4.4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione della legge penale e vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera B) e E), in relazione all’articolo 131 bis c.p.; la Corte d’appello aveva completamente omesso di considerare l’applicabilita’ ai fatti contestati della causa di non punibilita’ ex articolo 131 bis c.p..
4.5. Con il quinto motivo di ricorso si deduce la violazione della legge penale e vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera B) e E), in relazione all’articolo 175 c.p.; pur in presenza di specifico motivo di impugnazione, la Corte d’appello aveva omesso di motivare sul mancato riconoscimento del beneficio richiesto.
4.6. Con il sesto motivo di ricorso si deduce la violazione della legge penale e vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera B) e E), in relazione all’articolo 539 c.p.p.; la sentenza doveva essere annullata in riferimento alla quantificazione della provvisionale operata dalla Corte d’appello, in misura evidentemente eccessiva alla luce della contestata sussistenza delle condotte di reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Entrambi i ricorsi sono parzialmente fondati, per le ragioni di seguito esposte.
2.1. Il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse dell’imputato (OMISSIS) e’ fondato.
Il nucleo delle censure articolate con il motivo e’ rappresentato dalla critica rivolta alla sentenza d’appello, per avere ritenuto contestata e sussistente la circostanza aggravante dell’esposizione alla pubblica fede della vettura oggetto del delitto di danneggiamento. Lamenta il ricorrente l’assenza di indicazione specifica, nel corpo dell’imputazione, delle condizioni del bene danneggiato da cui dovrebbe discendere la sussistenza della circostanza aggravante, essendo inidonea a tale scopo la mera collocazione del veicolo, descritto come “regolarmente parcheggiato”.
In ordine alle caratteristiche che devono ricorrere affinche’ un bene debba considerarsi esposto alla pubblica fede, va ricordato che, in relazione al contenuto della circostanza aggravante di cui all’articolo 625 c.p., comma 2, n. 7, richiamato dall’articolo 635 c.p., comma 2, e’ stato affermato che “integra il reato di furto aggravato dall’esposizione alla pubblica fede della cosa la condotta di chi sottragga un’autovettura parcheggiata in luogo privato liberamente accessibile, atteso che la natura, privata o pubblica, del luogo di esposizione del bene e’ irrilevante ai fini della configurabilita’ della citata aggravante” (Sez. 4, n. 21285 del 08/05/2009, Bortolameolli, Rv. 243513), dovendosi considerare che “in tema di furto, la circostanza aggravante della esposizione alla pubblica fede e’ configurabile anche quando la cosa si trova in luogo privato, ma aperto al pubblico o comunque facilmente accessibile, ovvero in un cortile di casa di abitazione in diretta comunicazione con una pubblica via ovvero in parcheggio privato non custodito” (Sez. 2, n. 8798 del 17/01/1991, Crisafulli, Rv. 188119; Sez. 5, n. 3041 del 27/11/1986, dep. 1987, Di Benedetto, Rv. 175322). Da tale premessa discende la decisivita’, per l’accertamento della caratteristica dell’esposizione dalla pubblica fede, della situazione di impossibilita’, per il titolare del diritto di proprieta’ sulla cosa oggetto dell’azione delittuosa, di esercitare una vigilanza continua sul bene.
Per tale ragione, d’un lato e’ stato affermato che non puo’ ritenersi sufficiente la recinzione di un’area privata ove sia collocata la cosa oggetto dell’azione delittuosa, per escludere la circostanza aggravante (“In tema di furto, e’ configurabile l’aggravante della esposizione alla pubblica fede dei beni anche quando l’area in cui si trovano e’ recintata, nel caso in cui, per la particolare modalita’ di accesso, essa risulti priva di vigilanza continua”: Sez. 5, n. 51098 del 21/09/2017, Scaturro, Rv. 271602).
Per altro verso, la collocazione e le caratteristiche dell’area in cui il bene si trovi (come nel caso sottoposto all’esame dei giudici di merito, nelle immediate vicinanze dell’abitazione, con la predisposizione di una recinzione e di un cancello) potrebbe rendere evidentemente possibile la vigilanza continua sui beni (autovetture) ivi custoditi; con la conseguenza di ritenere insussistente l’aggravante di cui si discute.
La verifica di tale circostanze risulta del tutto omessa dalla sentenza impugnata, che si e’ limitata a considerare la circostanza dell’essere la vettura danneggiata “regolarmente parcheggiata”, senza dare conto di altri elementi valutativi utili per accertare la condizione di esposizione alla pubblica fede.
L’accoglimento del motivo di ricorso impone, pertanto, l’annullamento con rinvio della sentenza per nuova valutazione circa la sussistenza della circostanza aggravante (decisivo, altresi’, per l’eventuale giudizio sulla persistente rilevanza penale del fatto, diversamente non previsto dalla legge come reato ai sensi dell’attuale formazione dell’articolo 635 c.p.); inoltre, tale statuizione comporta l’assorbimento dell’ulteriore profilo afferente il dedotto difetto di querela, cosi’ come del quarto motivo di ricorso, poiche’ l’accertamento della sussistenza della circostanza aggravante costituisce condizione preliminare per la valutazione dell’eventuale giudizio di bilanciamento con le riconosciute attenuanti generiche, ovvero dell’incidenza delle medesime circostanze attenuanti sulla determinazione della pena.
2.2. Il secondo motivo del ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS) e’ inammissibile, perche’ non consentito in quanto fondato solo su differenti valutazioni in fatto degli elementi di prova raccolti, oltre che manifestamente infondato.
Il ricorrente, infatti, censura la motivazione ritenendo sia che non vi sia corrispondenza tra il tenore dell’imputazione – che riferiva di minacce rivolte al plurale alle persone offese (“vi ammazzo”) – e il risultato delle prove che aveva dato atto della pronuncia di frasi al singolare (“ti ammazzo”), peraltro in contesti fisici non esattamente specificati (taluni testi parlavano di minacce proferite mentre l’imputato avrebbe preso a calci la porta dell’abitazione delle vittime, altri do minacce contestuali al danneggiamento della vettura). Si tratta di valutazioni in fatto che, peraltro, non elidono il dato incontestabile del ripetuto uso di frasi dall’inequivoco tenore minaccioso, di certo percepite dalle vittime che furono in grado di riferirle nell’istruttoria. Ne’ risulta ammissibile la censura diretta a denunciare l’omessa considerazione del clima di elevata e reciproca conflittualita’, che avrebbe privato di portata intimidatoria le minacce attribuite all’imputato; ancora una volta si tratta di giudizi valutativi che non possono formare oggetto do critica in sede di legittimita’, oltre ad essere caratterizzati da evidente illogicita’, atteso che l’ipotetico dato della reciproca conflittualita’ – rilevante in altri contesti e ad altri fini, quale quello dell’esclusione di differenti fattispecie di reato quale quella di cui all’articolo 612 bis c.p., come argomentato dalla stessa sentenza impugnata – non esclude necessariamente che i destinatari di frasi e atteggiamenti minacciosi non percepiscano il contenuto minatorio delle espressioni loro rivolte, per il solo fatto che siano in grado di reagire a quelle minacce. E’ noto, sin dalle piu’ risalenti pronunce di legittimita’ (Sez. 5, n. 1479 del 13/01/1972, Meucci, Rv. 120443), che ” sulla sussistenza del delitto di minaccia non influisce alcuno eventuale atteggiamento minaccioso e provocatorio del soggetto passivo, che eventualmente puo’ sostanziare una circostanza, che diminuisca la gravita’ del reato, esterna percio’ alla fattispecie: come nessuna rilevanza ha il turbamento piu’ o meno intenso provato dalla persona offesa, che potrebbe anche non impressionarsi affatto non per la inidoneita’ dell’azione, ma perche’ dotato di sufficiente coraggio”; si tratta infatti di reato di pericolo, rispetto al quale la minaccia va valutata con criterio medio ed in relazione alle concrete circostanze del fatto (Sez. 5, n. 644 del 06/11/2013, dep. 2014, B, Rv. 257951), sicche’ non e’ necessario che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito (Sez. 4, n. 8264 del 02/09/1985, Giannini, Rv. 170482), essendo semplicemente sufficiente che la condotta posta in essere dall’agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla liberta’ morale del soggetto passivo (Sez. 1, n. 44128 del 03/05/2016, Nino, Rv. 268289; Sez. 5, n. 46528 del 02/12/2008, Parlato, Rv. 242604).
La circostanza, non contestata, che le minacce riguardavano il pericolo di “essere ammazzati” attesta da se’ il contenuto minatorio, obiettivamente sussistente nelle frasi utilizzate dal ricorrente.
3.1. Il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS) e’ fondato.
La sentenza non ha fornito risposta alle censure che puntualmente avevano indicato nelle dichiarazioni delle persone offese elementi che riconducevano l’uso delle espressioni minacciose non all’imputata, ma al genitore, limitandosi a affermare la sussistenza del fatto di reato. Dal testo della decisione di primo grado, cosi’ come dai documenti allegati dalla ricorrente, risulta in modo chiaro che le uniche minacce rivolte alle persone offese, nel contesto del diverbio avvenuto nella data indicata nell’imputazione, furono quelle rivolte da (OMISSIS); nessuna minaccia e’ stata attribuita, ne’ dai testi nel corso dell’istruttoria, ne’ dalle stesse persone offese nel corpo della querela (acquisita al fascicolo del dibattimento su concorde richiesta delle parti), all’imputata. L’assenza di elementi di prova che possano fondare una diversa ricostruzione dei fatti, alla stregua delle informazioni contenute nelle sentenze di merito, esclude la necessita’ di rinviare gli atti per un nuovo giudizio.
L’accoglimento del motivo di ricorso comporta evidentemente l’assorbimento dell’esame del secondo motivo di ricorso.
3.2. Il terzo motivo del ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS) e’ inammissibile, perche’ manifestamente infondato; le lesioni sono state cagionate nel corso di una colluttazione, durante la quale l’imputata aveva realizzato condotte che erano dirette a colpire e procurare lesioni a (OMISSIS); la circostanza che poi sia intervenuta altra persona (la (OMISSIS)) che ha subito le lesioni per effetto di quelle condotte, non esclude la responsabilita’ dell’imputata (ai sensi dell’articolo 82 cod. pen.). Egualmente inammissibile il motivo nella parte in cui ritiene scriminato il fatto per la reciprocita’ delle offese e delle altre condotte aggressive, per l’evidente irrilevanza in fatto della reciprocita’ di condotte aggressive o minacciose rispetto al dato obiettivo delle lesioni cagionate.
4.1. Quanto ai motivi comuni ad entrambi i ricorsi va osservato quanto segue: il terzo motivo del ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS) e il quarto motivo del ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS) sono entrambi inammissibili, perche’ non consentiti ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 3, non avendo gli appellanti in sede di impugnazione formulato alcuna richiesta di riconoscimento della causa di non punibilita’ ex articolo 131 bis c.p.; pur volendo ritenere che l’astratta applicabilita’ della causa di non punibilita’ era sorta per effetto dell’assoluzione pronunciata in grado di appello dalla piu’ grave imputazione di cui all’articolo 612 bis c.p., il carattere reiterato delle condotte minacciose posta in essere da (OMISSIS) e le modalita’ della condotta tenuta da (OMISSIS) Silvia,e diretta a cagionare le lesioni, escludevano la possibilita’ di ritenere tenue l’offesa da ciascuno recata alle vittime.
4.2. Anche il sesto motivo, proposto con entrambi i ricorsi, e’ inammissibile, perche’ non consentito: e’ affermazione costante della Corte di legittimita’ quella secondo la quale “il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non e’ impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento” (Sez. 2, n. 49016 del 06/11/2014, Patricola, Rv. 261054; nello stesso senso Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, D. G., Rv. 263486; Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, P.C. e G, Rv. 261536), e cio’ in quanto l’assegnazione della provvisionale costituisce provvedimento “per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento”.
I motivi che i ricorrenti hanno svolto per censurare la misura del provvisionale (cosi’ intesa la statuizione della Corte d’appello che ha nuovamente fissato la misura dei danni gia’ liquidati, determinandoli in riferimento alle distinte voci di danno indicate nella motivazione) non sono dunque ammissibili, anche con riferimento alla questione dell’erronea attribuzione della quota di risarcimento del danno a soggetto che non sia titolare del diritto di proprieta’ sulla cosa danneggiata (come dedotto dal ricorrente (OMISSIS)), trattandosi appunto di aspetto che concerne la fondatezza della pretesa risarcitoria, che dovra’ formare oggetto della delibazione del giudice civile chiamato alla liquidazione definitiva del danno.
5. Il quinto motivo dei ricorsi proposti nell’interesse degli imputati e’, invece, fondato; la stessa sentenza da’ atto che con l’impugnazione proposta dagli odierni ricorrenti era stata richiesta la concessione del beneficio della non menzione dell’eventuale condanna, in ragione delle condizioni soggettive degli imputati; la sentenza ha completamente omesso di valutare il motivo, incorrendo nel vizio dedotto atteso l’obbligo del giudice investito della richiesta ex articolo 175 c.p. di motivare le ragioni che ostano alla concessione del beneficio richiesto (“Nel caso in cui l’imputato abbia chiesto con specifico motivo d’appello la non menzione della condanna inflittagli dal giudice di primo grado ed il giudice d’appello non abbia preso in considerazione tale richiesta, omettendo qualsiasi pronuncia sul punto, la sentenza impugnata deve essere annullata in parte con rinvio”: Sez. 3, n. 31349 del 09/03/2017, Diop, Rv. 270639).
6. In ragione delle statuizioni che precedono, la sentenza impugnata deve essere annullata, nei confronti del ricorrente (OMISSIS), limitatamente al giudizio sulla sussistenza dell’aggravante di cui all’articolo 635 c.p., comma 2, in relazione all’imputazione di cui al capo D), e all’omessa pronuncia in ordine alla richiesta concessione del beneficio della non menzione; il giudice del rinvio procedera’ a nuovo giudizio su tali punti (esaminando in particolare, per cio’ che attiene il profilo dell’ipotizzata circostanza aggravante, attraverso le prove acquisite, per la conformazione dei luoghi in cui era parcheggiata la vettura della persona offesa, per l’esistenza di ostacoli al libero accesso nell’area ove veniva parcheggiata la vettura, per la vicinanza dell’area a luoghi abitati e in quelli ove la persona offesa svolgeva la propria attivita’ professionale, se sussisteva o no la possibilita’ di esercitare una costante vigilanza sul veicolo). Il giudice del rinvio regolera’, altresi’, le spese sostenute dalla parte civile in questo grado all’esito della definizione del giudizio di rinvio.
7. La sentenza va, inoltre, annullata senza rinvio, nei confronti dell’imputata (OMISSIS), limitatamente al delitto di cui all’articolo 612 c.p. contestato al capo B). Per cio’ che attiene il profilo sanzionatorio, la Corte puo’ procedere ai sensi dell’articolo 620 c.p.p., lettera L) direttamente a determinare la pena da infliggere, conseguentemente, all’imputata (avendo il giudice del merito individuato l’aumento dovuto a titolo di continuazione per il reato satellite di cui all’articolo 612 c.p.), cosi’ come a verificare la meritevolezza del beneficio della non menzione, sulla base degli elementi emergenti dalla sentenza di secondo grado, avuto riguardo all’incensuratezza dell’imputata ed alla prognosi favorevole gia’ formulata con il riconoscimento della sospensione condizionale della pena, circostanze che consentono di riconoscere all’imputata il detto beneficio (nello stesso senso v. Sez. 5, n. 25625 del 25/02/2016, Candido, Rv. 267217).
Pertanto, va eliminata la pena di Euro 100 di multa corrispondente a quella determinata per il delitto di cui all’articolo 612 c.p., dalla pena inflitta con la sentenza impugnata, concedendo all’imputata il beneficio della non menzione.
In ragione del contenuto della pronuncia di annullamento, l’imputata deve altresi’ essere condannata alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla costituita parte civile (OMISSIS) nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente al reato di cui all’articolo 612 c.p. ed elimina la relativa pena di Euro 100 di multa.
Concede alla medesima il beneficio della non menzione.
Condanna (OMISSIS) alla rifusione delle spese nei confronti della parte civile (OMISSIS) che liquida in Euro 3510, oltre spese generali nella misura del 15%, CPA e IVA.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente al reato di cui all’articolo 635 c.p. e all’omessa pronuncia in punto di non menzione della condanna, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano per nuovo giudizio sul punto.
Dichiara irrevocabile l’accertamento di responsabilita’ nei confronti di (OMISSIS) in ordine al delitto di cui all’articolo 612 c.p..
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di (OMISSIS).
Spese al definitivo per la parte civile.

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