In tema di somministrazione di energia elettrica

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 21 maggio 2019, n. 13605.

La massima estrapolata:

In tema di somministrazione di energia elettrica, la manomissione del contatore od il consumo abusivo di energia da parte di terzi con addebito all’utente possono dare luogo alle seguenti diverse ipotesi incidenti sul riparto dell’onere della prova dei consumi e dei corrispondenti importi dei corrispettivi. Ipotesi A: si esclude una manomissione del contatore, ma i consumi registrati vengono contestati dall’utente, in quanto ritenuti non riferibili ai consumi effettivi, ipotizzando quindi o un malfunzionamento del contatore o attività illecite di terzi inerenti al consumo di energia. In tale ipotesi, il contatore, quale strumento deputato alla misurazione dei consumi, è stato accettato consensualmente dai contraenti come meccanismo di contabilizzazione, di fronte alla pretesa creditoria è l’utente che deve dimostrare che l’inadempimento non è a lui imputabile, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ. Considerato, tuttavia, che le disfunzioni dello strumento dipendono da guasti per lo più occulti e che comunque comportano verifiche tecniche non eseguibili dal debitore sprovvisto delle necessarie competenze, applicando il principio di vicinanza della prova, la disciplina del riparto dell’”onus probandi” va così regolata: l’utente deve contestare il malfunzionamento dello strumento, richiedendone la verifica, dimostrando quali consumi di energia ha effettuato nel periodo (avuto riguardo al dato statistico di consumo “normalmente” rilevato nelle precedenti bollette e corrispondente a determinati impieghi di energia derivanti dalle specifiche attività svolte – secondo la tipologia di soggetto: impresa, famiglia, persona singola –, ove dimostrabili equivalenti anche nel periodo in contestazione); il gestore è tenuto invece a dimostrare che il contatore è regolarmente funzionante. L’utente – se il contatore risulta regolarmente funzionante – deve dimostrare non soltanto che il consumo di energia è imputabile a terzi (provando ad esempio la propria prolungata assenza dal luogo in cui è ubicata la utenza) e si è verificato “invito domino” ma altresì che l’impiego abusivo di energia da parte di terzi non è stato agevolato da condotte negligenti, imputabili all’utente, nell’adozione di idonee misure di controllo intese ad impedire, mediante l’uso della comune diligenza, la condotta illecita dei terzi: il debitore deve cioè provare che nessun altro aveva libero accesso al luogo in cui era installata la utenza e dunque deve essere dimostrato che l’uso abusivo della utenza è avvenuto per forza maggiore o caso fortuito (es. persone si introducono furtivamente nella fabbrica chiusa durante il periodo feriale, facendo uso dell’impianto elettrico). Ipotesi B: l’apparecchio-contatore risulta manomesso, ma la alterazione dell’apparecchio è avvenuta ad opera di terzi all’insaputa dell’utente. L’utente è incolpevole, in quanto la alterazione è stata effettuata da soggetti che, ad esempio, si sono inseriti abusivamente sulla derivazione così illecitamente sottraendo energia che veniva poi contabilizzata a carico dell’utente registrando consumi maggiori di quelli dallo stesso effettivamente sostenuti. Pertanto l’utente che contesti l’anomalia dei consumi registrati ritenuta eccessiva – in difetto di prova evidente della alterazione dello strumento – deve sempre dimostrare la sproporzione manifesta del consumo rilevato rispetto a quello effettivamente sostenuto, ma altresì deve provare l’attività illecita del terzo (dimostrando le stesse circostanze sopraindicate, ovvero di avere adottato ogni possibile cautela, ovvero di avere diligentemente vigilato affinché intrusioni di terzi non potessero alterare il normale funzionamento del contatore (in difetto di tale prova, l’utilizzo, anche se abusivo, dell’utenza con manomissione del contatore collocato, ad esempio, in una abitazione, da parte di soggetti autorizzati ad accedervi determina egualmente l’imputazione di tali consumi al titolare della utenza. Ipotesi C: la alterazione dell’apparecchio–contatore è riferibile a condotta illecita dolosa dell’utente (integrante reato di truffa). In tal caso, la minore contabilizzazione dei consumi registrati determina al gestore un danno risarcibile consistente nel valore dell’energia consumata e nel mancato utile: si tratterà solo di individuare il criterio di liquidazione del “quantum” in relazione al prezzo contrattuale o invece ad altri valori di mercato, ma, in ogni caso, la prova dell’ammontare del danno deve essere data dalla società fornitrice anche in base ad elementi presuntivi, quali calcoli statistici sulla entità dei consumi storici od anche specificando i criteri metodologici che vengono seguiti nel settore per stimare consumi presunti, legati alla qualità, dimensioni, tipo di attività, volume di fatturato ecc. dell’utente 

Ordinanza 21 maggio 2019, n. 13605

Data udienza 26 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 25316-2017 proposto da:
(OMISSIS) SAS, in persona del legale rappresentante pro tempore, (OMISSIS), quale socio illimitatamente responsabile della societa’ (OMISSIS). SAS, elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) SPA, in persona del proprio PRESIDENTE del C.d.A. e legale rappresentante Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALESSANDRO MALLADRA 31 presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura speciale in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3455/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 24/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/02/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS) s.a.s. e (OMISSIS), in proprio, quale socio illimitatamente responsabile, risultavano soccombenti in entrambi i gradi del giudizio avente ad oggetto opposizione al decreto ingiuntivo emesso a favore di (OMISSIS) s.p.a. per il pagamento di corrispettivi fatturati relativi alla fornitura di energia elettrica nel periodo 2009-2010 (fattura (OMISSIS)).
La Corte d’appello rigettava le impugnazioni proposte dai debitori in quanto, incontestata la manomissione del contatore relativo alla utenza della societa’, ed in difetto di specifiche critiche o contestazioni mosse dalla societa’ rifornita al procedimento ed alle modalita’ tecniche di contabilizzazione dei consumi presunti seguiti da (OMISSIS) s.p.a. – impresa di distributrice – in conformita’ alla Delib. n. 200 del 1999 dell’Autorita’ per l’Energia Elettrica e per il Gas, riteneva raggiunta la prova dell’importo dovuto, rendendosi superflua la ammissione delle prove orali e della richiesta c.t.u..
(OMISSIS) s.a.s. e (OMISSIS) hanno impugnato la sentenza di appello con un unico ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, illustrati anche da memoria depositata ex articolo 380 bis.1 c.p.c..
Resiste con controricorso (OMISSIS) s.p.a..

RAGIONI DELLA DECISIONE

Primo motivo: violazione dell’articolo 2697 c.c. e articoli 115 e 116 c.p.c., nonche’ “contraddittoria od omessa motivazione su un punto controverso per il giudizio”.
I ricorrenti sostengono che la Corte distrettuale ha applicato illegittimamente la regola del riparto probatorio, riconoscendo efficacia probatoria alla fattura emessa dal rivenditore (OMISSIS) solo perche’ corrispondente nei dati e negli importi al ricalcolo dei consumi presunti effettuato dalla societa’ di distribuzione (OMISSIS), senza considerare che tali conteggi erano stati disposti sul presupposto di una asserita e mai dimostrata manomissione del contatore.
Secondo motivo: violazione dell’articolo 112 c.p.c.; mancanza di motivazione ex articolo 132 c.p.c.; vizio di motivazione per omessa esame di fatto decisivo; violazione dell’articolo 26976 c.c. e degli articoli 635 e 645 c.p.c..
I ricorrenti precisano di voler impugnare la sentenza perche’ incorsa “in un vizio di motivazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5”. Deducono nuovamente che la Corte distrettuale ha attribuito illegittimamente valore probatorio assoluto alla fattura, emessa sulla base di misurazione eseguite dal rivenditore (OMISSIS) senza alcun contraddittorio, atteso che la fattura e’ documento di provenienza della stesa parte, in quanto formato unilateralmente e, se idoneo a consentire la emissione del provvedimento monitorio, ove contestato, non assume alcuna valenza probatoria nel successivo giudizio a cognizione ordinaria introdotto con l’atto di opposizione.
Terzo motivo: violazione dell’articolo 645 c.p.c..
Il motivo reitera gli stessi argomenti del precedente, deducendo i ricorrenti che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo la posizione di diritto sostanziale delle parti e’ invertita, sicche’ era il creditore (OMISSIS) s.p.a. a dover fornire prova dei fatti costituivi della pretesa e cio’ non poteva ritenersi assolto mediante la produzione in giudizio della sola fattura che non costituiva idonea prova documentale in presenza della contestazione degli effettivi consumi da parte di (OMISSIS), non essendo sufficiente ad integrare la “non contestazione” dei fatti rappresentati in fattura il mero silenzio.
I tre motivi possono essere esaminati congiuntamente vertendo tutti sulla critica alla medesima statuizione della sentenza impugnata concernente la individuazione della prova posta a fondamento della decisione.
Occorre premettere, in via generale, che la manomissione del contatore od il consumo abusivo di energia da parte di terzi con addebito all’utente ignaro possono dare luogo alle seguenti diverse ipotesi incidenti sul riparto dell’onere della prova dei consumi e dei corrispondenti importi dei corrispettivi.
A-) Si esclude una manomissione del contatore, ma i consumi registrati vengono contestati dall’utente, in quanto ritenuti non riferibili ai consumi effettivi, ipotizzando quindi o un malfunzionamento del contatore o attivita’ illecite di terzi inerenti il consumo di energia.
Il contatore quale strumento deputato alla misurazione dei consumi, e’ stato accettato consensualmente dai contraenti come meccanismo di contabilizzazione, di fronte alla pretesa creditoria e’ l’utente che deve dimostrare che l’inadempimento non e’ a lui imputabile, ai sensi dell’articolo 1218 c.c.. Considerato, tuttavia, che le disfunzioni dello strumento dipendono da guasti per lo piu’ occulti e che comunque comportano verifiche tecniche non eseguibili dal debitore sprovvisto delle necessarie competenze, applicando il principio di vicinanza della prova, la disciplina del riparto dell'”onus probandi” va cosi’ regolata:
– L’utente deve contestare il malfunzionamento dello strumento, richiedendone la verifica, dimostrando quali consumi di energia ha effettuato nel periodo (avuto riguardo al dato statistico di consumo “normalmente” rilevato nelle precedenti bollette e corrispondente a determinati impieghi di energia derivanti dalle specifiche attivita’ svolte secondo la tipologia di soggetto: impresa, famiglia, persona singola-, ove dimostrabili equivalenti anche nel periodo in contestazione); il gestore e’ tenuto invece a dimostrare che il contatore e’ regolarmente funzionante.
– L’utente – se il contatore risulta regolarmente funzionante – deve dimostrare non soltanto che il consumo di energia e’ imputabile a terzi (provando ad esempio la propria prolungata assenza dal luogo in cui e’ ubicata la utenza) e si e’ verificato “invito domino” ma altresi’ che l’impiego abusivo di energia da parte di terzi non e’ stato agevolato da condotte negligenti, imputabili all’utente, nell’adozione di idonee misure di controllo intese ad impedire, mediante l’uso della comune diligenza, la condotta illecita dei terzi: il debitore deve cioe’ provare che nessun altro aveva libero accesso al luogo in cui era installata la utenza e dunque deve essere dimostrato che l’uso abusivo della utenza e’ avvenuto per forza maggiore o caso fortuito (es. persone si introducono furtivamente nella fabbrica chiusa durante il periodo feriale, facendo uso dell’impianto elettrico).
B -) l’apparecchio-contatore risulta manomesso, ma la alterazione dell’apparecchio e’ avvenuta ad opera di terzi all’insaputa dell’utente.
L’utente e’ incolpevole, in quanto la alterazione e’ stata effettuata da soggetti che, ad esempio, si sono inseriti abusivamente sulla derivazione cosi’ illecitamente sottraendo energia che veniva poi contabilizzata a carico dell’utente registrando consumi maggiori di quelli dallo stesso effettivamente sostenuti. Pertanto l’utente che contesti l’anomalia dei consumi registrati ritenuta eccessiva -in difetto di prova evidente della alterazione dello strumento- deve sempre dimostrare la sproporzione manifesta del consumo rilevato rispetto a quello effettivamente sostenuto, ma altresi’ deve provare la attivita’ illecita del terzo (dimostrando le stesse circostanze indicate sub lettera B) ovvero di avere adottato ogni possibile cautela, ovvero di avere diligentemente vigilato affinche’ intrusioni di terzi non potessero alterare il normale funzionamento del contatore (in difetto di tale prova, l’utilizzo, anche se abusivo, della utenza con manomissione del contatore collocato, ad esempio, in una abitazione, da parte di soggetti autorizzati ad accedervi determina egualmente l’imputazione di tali consumi al titolare della utenza).
C -) La alterazione dell’apparecchio-contatore e’ riferibile a condotta illecita dolosa dell’utente (integrante reato di truffa).
In tal caso la minore contabilizzazione dei consumi registrati determina al gestore un danno risarcibile consistente nel valore dell’energia consumata e nel mancato utile: si trattera’ allora solo di individuare il criterio di liquidazione del “quantum” in relazione al prezzo contrattuale o invece ad altri valori di mercato, ma, in ogni caso, la prova dell’ammontare del danno deve essere data dalla societa’ fornitrice anche in base ad elementi presuntivi, quali calcoli statistici sulla entita’ dei consumi storici od anche specificando i criteri metodologici che vengono seguiti nel settore per stimare consumi presunti, legati alla qualita’, dimensioni, tipo di attivita’, volume di fatturato ecc. dell’utente.
Tanto premesso, osserva il Collegio che la sentenza del Giudice di appello si sviluppa secondo i seguenti argomenti:
La circostanza della manomissione del contatore (e dunque della inattendibilita’ dei consumi dallo stesso registrati) non e’ stata contestata da (OMISSIS) che, nella fase stragiudiziale, sebbene sollecitata con la missiva trasmessa da (OMISSIS) in data 4.3.2011, con la quale veniva notiziata della necessita’ di rettificare il calcolo dei consumi, non aveva inteso inviare alcuna “documentata osservazione”; e nella fase giudiziale non aveva formulato “specifiche contestazioni in ordine alle procedure di calcolo di natura presuntiva poste in essere da (OMISSIS) s.p.a.”, limitandosi a chiedere, sull’incontestata circostanza dell’avvenuta manomissione del contatore, l’espletamento di una c.t.u., da ritenersi irrilevante in quanto concernente i consumi di utenze relative ad altri punti vendita della societa’ rifornita.
Gli importi fatturati a conguaglio, potevano ritenersi provati per presunzione sulla scorta: a) della qualita’ di soggetto terzo, rispetto al rapporto di somministrazione dedotto in causa, di (OMISSIS) s.p.a., che aveva compiuto il ricalcolo sulla base dei criteri di verifica a tale societa’ demandati dalla delibera della Autorita’ indipendente di settore; b) della piena corrispondenza dei dati indicati nella fattura a conguaglio con quelli verificati da (OMISSIS).
Orbene il punto controverso attiene al presupposto di fatto della manomissione del contatore, al quale e’ ricollegata l’attivita’ di ricontabilizzazione dei consumi presunti compiuta da (OMISSIS) s.p.a., atteso che l’affermazione della sentenza di appello secondo cui la societa’ (OMISSIS) non aveva presentato osservazioni alla procedura seguita per il ricalcolo da (OMISSIS) e non aveva formulato contestazioni ne’ in sede stragiudiziale, ne’ in sede giudiziale al “fatto” manomissivo del misuratore, lamentando soltanto che non era ad essa imputabile tale condotta illecita, risulta contrastata dalla mera allegazione dei ricorrenti secondo cui tale fatto era stato invece contestato, avendo la societa’ allegato nelle difese svolte nei gradi di merito che non era mai stata fornita alcuna prova di tale manomissione (cfr. ricorso pag. 3, 8 e 9), tuttavia senza indicare in quale atto del giudizio di merito, fosse contenuta la contestazione in questione, difettando pertanto i motivi di ricorso in esame del necessario requisito prescritto a pena di inammissibilita’ dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 che richiede la specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonche’ dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito, trattandosi di adempimento indispensabile per consentire a questa Corte il riscontro documentale dell’errore denunciato (cfr. Corte cass. Sez. U, Ordinanza n. 7161 del 25/03/2010; id. Sez. U, Sentenza n. 22726 del 03/11/2011; id. Sez. 5, Sentenza n. 23575 del 18/11/2015; id. Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 27475 del 20/11/2017; id. Sez. 1 -, Sentenza n. 5478 del 07/03/2018).
Non inficiata, quindi, da errore la statuizione della sentenza impugnata secondo cui il “fatto manomissivo” del contatore – se pure in difetto di prove della imputabilita’ a condotta dei debitori – non risultava contestato da (OMISSIS) s.a.s., non essendo quindi controversa la inattendibilita’ dei dati registrati dal contatore manomesso, l’ambito di esame delle censure formulate con i primi tre motivi di ricorso viene, pertanto, ad essere delimitato all’asserito illegittimo riconoscimento, nel giudizio di opposizione a cognizione ordinaria, della efficacia probatoria piena alla fattura emessa dal gestore (OMISSIS).
La censura e’ infondata.
La Corte distrettuale e’ infatti pervenuta a ritenere presuntivamente provati i consumi ed il relativo credito vantato dal gestore, sulla scorta di elementi indiziari convergenti quali: 1-la assenza di specifica critica rivolta al metodo di contabilizzazione del consumo necessariamente presunto (non essendo possibile fornire -una volta accertata la manomissione dello strumento di misurazione consensualmente scelto dai contraenti per la registrazione dei consumi- una distinta prova dell’esatto dato numerico delle unita’ di energia prelevate dall’utente finale) applicato da (OMISSIS) s.p.a. per la rettifica del dato inattendibile risultante dal contatore manomesso; 2-la terzieta’, rispetto al rapporto contrattuale di somministrazione, di (OMISSIS) s.p.a. quale soggetto deputato a tale verifica, in conformita’ alla Delib. 28 dicembre 1999, n. 200 dell’AEEG: elementi inducenti entrambi a conferire alla operazione tecnica di ricalcolo carattere di sufficiente affidamento ai fini della determinazione, in assenza di elementi contrari offerti dai debitori, del “normale fabbisogno” della societa’ somministrata (articolo 1560 c.c., comma 1).
In alcuna violazione dell’articolo 116 c.p.c. e dell’articolo 2607 c.c. e’ pertanto incorso il Giudice di appello, non avendo affatto attribuito valore di piena prova legale alla fattura, ne’ tanto meno avendo riconosciuto ad un documento formato unilateralmente capacita’ ex se dimostrativa del fatto in esso rappresentato, ma avendo invece fatto ricorso allo schema legale della presunzione semplice (praesumptio hominis) per fondare la prova dei fatti costituivi della pretesa fatta valere da (OMISSIS) s.p.a., gravando sulla somministrata “l’onere di provare che l’eccessivita’ dei consumi e’ dovuta a fattori esterni al suo controllo e che non avrebbe potuto evitare con una diligente custodia dell’impianto ovvero di aver diligentemente vigilato affinche’ eventuali intrusioni di terzi non potessero alterare il normale funzionamento del misuratore ovvero determinare un incremento dei consumi” (cfr. Corte cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 23699 del 22/11/2016, in motivazione).
Inammissibili, in parte, ed infondati i primi tre motivi, viene quindi in rilievo l’esame del quarto e del quinto motivo, esaminabili congiuntamente in quanto diretti a contestare le statuizioni della sentenza impugnata rivolte a negare accesso alle richieste istruttorie dei debitori.
Quarto motivo, Quinto motivo: violazione degli articoli 180, 183 e 184 c.p.c., violazione del principio del contraddittorio (in relazione, rispettivamente, alla mancata ammissione dei mezzi istruttori e della istanza per ordine di esibizione nei confronti di (OMISSIS), nonche’ per omesso espletamento della c.t.u. contabile).
I ricorrenti deducono la illegittimita’ delle statuizioni del primo e secondo Giudice che hanno negato accesso alle prove dedotte.
Il quarto motivo e’ manifestamente inammissibile.
L’intera esposizione del motivo e’ incentrata sul provvedimento istruttorio emesso il 10.12.2013 dal Tribunale – confermato dal Giudice di appello con motivazione per relationem – con il quale non veniva ammesso: 1 – l’interrogatorio formale del rappresentante legale di (OMISSIS) s.p.a. essendo “da escludere una diretta conoscenza dello stesso dei fatti per cui e’ causa”; 2 – la prova per testi essendo i capitoli, in parte irrilevanti, in parte concernenti fatti gia’ documentalmente provati; 3-l’ordine di esibizione “della documentazione indicata in memoria in quanto le fatture di trasporto emesse da (OMISSIS) suppliscono alla prova chiesta”.
Orbene indipendentemente dalla individuazione non precipua delle norme di diritto asseritamente violate la censura non risponde ai requisiti minimi di ammissibilita’ ex articolo 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, in quanto la omessa trascrizione dei capitoli di prova orale e di interrogatorio formale preclude a questa Corte ogni verifica in ordine al requisito di “decisivita’” della prova non ammessa, dovendo ribadirsi il principio di diritto secondo cui qualora con il ricorso per cassazione siano denunciati la mancata ammissione di mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti, il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente i mezzi istruttori, trascrivendo le circostanze che costituiscono oggetto di prova, nonche’ di dimostrare sia l’esistenza di un nesso eziologico tra l’omesso accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice, sia che la pronuncia, senza quell’errore, sarebbe stata diversa, cosi’ da consentire al giudice di legittimita’ un controllo sulla decisivita’ delle prove. (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 1875 del 30/01/2006; id. Sez. 1, Sentenza n. 4178 del 22/02/2007; id. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 23194 del 04/10/2017).
Solo “ad abundantiam” puo’ aggiungersi inoltre che la censura e’ del tutto priva di apparato critico in relazione alla ratio decidendi, poiche’ nulla controdeduce alle ragioni, sopra indicate, che hanno indotto il Giudice di merito a ritenere inammissibili le istanze istruttorie, venendo quindi meno il requisito della dimostrazione da parte del ricorrente della decisivita’ della prova indispensabile a verificare l’errore asseritamente commesso dal Giudice di merito (in particolare nulla viene dedotto circa i fatti ancora da verificare nella fase istruttoria in quanto non risultavano gia’ acquisiti dall'”esistente quadro di carattere documentale offerto dal fascicolo di causa”: sentenza appello in motiv. pag. 5).
Inammissibile e’ del pari il quinto motivo che incorre nella medesima carenza descrittiva del fatto processuale sopra indicata: a fronte infatti di un esplicito rifiuto del Giudice di appello di procedere a consulenza tecnica di ufficio poiche’ “non ancora una volta non oggetto di contestazioni svolte da (OMISSIS)” era da ritenere la coincidenza tra i consumi indicati nelle fatture emesse da (OMISSIS) relative al trasporto di energia effettuato al punto di vendita del gestore (OMISSIS) e quelli riportati nella fattura emessa da quest’ultimo in relazione ai consumi ricalcolati addebitati a (OMISSIS) s.a.s., i ricorrenti avrebbero dovuto infatti quanto meno indicare, trascrivendo il relativo atto processuale nel quale era stata formulata la richiesta ammissiva di c.t.u., se l’oggetto della indagine riguardasse o meno la corrispondenza tra i dati predetti, tenuto conto, da un lato che i documenti di confronto (fatture) risultavano gia’ prodotti in causa, sicche’ non e’ dato comprendere quale fosse l’incarico tecnico – diverso dal mero confronto dei dati risultanti dai predetti documenti – da affidare all’ausiliario (tanto piu’ considerando che, come merge dal brano della ordinanza istruttoria del Tribunale, riportato alla pag. 23 del ricorso, unitamente alle “fatture di trasporto” erano stati depositai anche “gli allegati recanti la ricostruzione dei consumi da parte del trasportatore di rete”), e, dall’altro, che soltanto la specifica descrizione dei quesiti formulati nella richiesta ammissiva avrebbe consentito di verificare se e quale fosse l’eventuale contestazione mossa dai debitori alle risultanze contabili, tale da inficiare la diversa conclusione sulla condotta “non contestativa” cui era pervenuta la Corte territoriale.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato ed i ricorrenti vanno condannati alla rifusione delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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