Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 9 maggio 2016, n. 19106.

Il reato di occultamento o distruzione delle scritture contabili a carico dell’amministratore di una società si può desumere dalle verifiche effettuate presso i fornitori.

cassazione 7

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 9 maggio 2016, n. 19106

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMORESANO Silvio – Presidente

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere

Dott. GAI Emanuela – rel. Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);

2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 12/01/2015 della Corte d’appello di Venezia;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Emanuela Gai;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. FILIPPI Paola, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 12 gennaio 2015, la Corte d’appello di Venezia ha confermato la sentenza del Tribunale di Belluno che – per quanto qui di interesse – aveva condannato (OMISSIS) e (OMISSIS) in ordine al reato di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 10, in relazione alla distruzione o occultamento di tutte le fatture emesse dalla societa’ (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) sas di (OMISSIS) (capo C) e quelle emesse nei confronti di (OMISSIS) sas di (OMISSIS) (capo D). Fatti commessi nel (OMISSIS) (capo C) e negli anni (OMISSIS) (capo D).

2. Avverso la sentenza hanno presentato ricorsi (OMISSIS) e (OMISSIS), personalmente, e ne hanno chiesto l’annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

2.1. Il ricorrente (OMISSIS) deduce, con due motivi, la violazione di legge penale e il vizio di motivazione di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione alla configurazione dell’elemento oggettivo del reato, per aver la corte territoriale ritenuto erroneamente e illogicamente la sussistenza della condotta materiale, senza la prova dell’esistenza del documento contabile che si assume distrutto, non potendo essa essere ritenuta sussistente nel caso di mera mancata istituzione e tenuta delle scritture contabili che determina l’impossibilita’ della ricostruzione del volume di affari.

2.2. Il ricorrente (OMISSIS) deduce, con il primo motivo, la nullita’ della sentenza conseguente alla nullita’ della notifica dell’avviso ex articolo 415 bis c.p.p. e di tutti gli atti successivi, avendo il ricorrente avuto notizia del procedimento solo in data 22 agosto 2014, al momento della notifica dell’avviso del decreto di fissazione del dibattimento in appello.

Con il secondo motivo deduce la violazione della legge processuale di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) in relazione agli articoli 8 e 9 c.p.p. stante l’incompetenza territoriale del Tribunale di Belluno, in favore del Tribunale di Perugia o Napoli.

Con il terzo motivo deduce il vizio di motivazione di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) in relazione alla mancanza, contraddittorieta’, illogicita’ della motivazione sulla affermazione della responsabilita’ penale avendo la Corte d’appello omesso di considerare che il reale gestore e amministratore di fatto era il coimputato (OMISSIS) a cui devono ascriversi le condotte illecite e, dunque per aver illogicamente affermato la responsabilita’ penale del ricorrente, amministratore di diritto della societa’, al quale non si puo’ ascrivere il reato commesso dal (OMISSIS).

Con il quarto motivo deduce il vizio di motivazione in ordine alla dosimetria della pena, ben superiore al limite minino edittale, senza alcuna motivazione e al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che i ricorsi siano dichiarati inammissibili.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Preliminarmente deve darsi atto che e’ pervenuta, in cancelleria, certificazione medica a firma dott. (OMISSIS), per il ricorrente (OMISSIS) affetto da “lombalgia acuta” con prognosi di giorni 5. Peraltro, va ricordato che nel giudizio di legittimita’ non e’ prevista la partecipazione personale delle parti ed il rapporto processuale si costituisce validamente con la regolare notifica dell’avviso di udienza al difensore abilitato al patrocinio avanti le giurisdizioni superiori e dunque non riveste alcun rilievo il personale impedimento dell’imputato (Sez. 5. n. 11621 del 23/01/2012, P.G. in proc. Grimaldi, Rv. 252471).

5. Nel merito entrambi i ricorsi, per ragioni diverse e collegate ai motivi rispettivamente dedotti, sono manifestante infondati.

6. Quanto al ricorso di (OMISSIS), rileva il Collegio, la manifesta infondatezza del primo motivo con cui deduce la nullita’ della sentenza in ragione della ritenuta nullita’ assoluta, insanabile e rilevabile d’ufficio, della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini all’imputato e di tutti gli altri atti conseguenti che hanno determinato la mancata conoscenza del procedimento a suo carico fino alla notificazione del decreto di citazione a giudizio in appello avvenuta in data 22 agosto 2014.

In primo luogo rileva il Collegio che la nullita’ conseguente all’omessa notifica dell’avviso di conclusione delle indagini all’imputato non integra una nullita’ assoluta e insanabile, in quanto non riguarda la citazione dell’imputato stesso (Sez. 1, n. 475 del 02/12/2008 P.M. in proc. Barcellona, Rv. 242075). Va ancora detto che sulla natura e conseguente deducibilita’ e sanatoria della nullita’ della notifica dell’avviso ex articolo 415 bis c.p.p. si registrano, nella giurisprudenza di legittimita’, due orientamenti. Secondo un primo orientamento la nullita’ del decreto che dispone il giudizio per l’omessa notifica all’imputato dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari e’ di natura relativa e, pertanto, deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine di cui all’articolo 491 cod. proc. pen., subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti (Sez, 5, n. 34515 del 04/07/2014, Grujo, Rv. 264272; Sez. 5, n. 44825 del 14/05/2014, Restucci, Rv. 262104; Sez. 2, n. 35420 dell’11/06/2010, Sica, Rv. 248302); in altre pronunce la nullita’ conseguente all’omesso avviso di conclusione delle indagini preliminari, e’ ritenuta a regime intermedio, e, pertanto, deve essere eccepita o rilevata d’ufficio prima della deliberazione della sentenza di primo grado (Sez. 5, n. 21875 del 20/03/2014, Di Giovanni, Rv. 262821; Sez. 6, n. 45581 del 24/10/2013, Lanza, Rv. 257807). Peraltro, deve rilevarsi che la soluzione del caso concreto, all’esame della Corte, e’ risolta in fatto, cosi’ da non richiedere un intervento risolutore della Corte nella sua massima espressione. Dagli atti del fascicolo a cui ha accesso la Corte, e in presenza di una deduzione priva di allegazione (il ricorrente si limita ad asserire la mancata conoscenza degli atti a partire dall’avviso ex articolo 415 c.p.p.), non risulta che l’imputato abbia eccepito la nullita’ dell’avviso ex articolo 415 c.p.p.; non l’ha eccepita nel corso del giudizio di primo grado, non risulta eccepita nei motivi di appello, e dunque non puo’ essere eccepita nel ricorso per cassazione (Sez. 6, n. 19674 del 30/03/2004, Seminario Roncal, Rv. 228337). Per il resto la doglianza circa la “mancata conoscenza” e’ generica e comunque infondata poiche’ risulta correttamente notificato il decreto che dispone il giudizio, con il rito degli irreperibili a seguito di decreto di irreperibilita’ del G.I.P., e nel dibattimento e’ stato correttamente dichiarato contumace, infine, ha dichiarato di aver ricevuto l’avviso della citazione per il giudizio d’appello.

7. Inammissibile e’ il secondo motivo. L’eccezione di incompetenza territoriale non dedotta, come nel caso in esame, nel giudizio di primo grado entro i termini di cui all’articolo 491 c.p.p. non puo’ essere devoluta per la prima volta nel giudizio in cassazione (Sez. 3, n. 7821 del 14/06/1985, Rv 170276).

8. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la contraddittorieta’ della motivazione in punto affermazione della responsabilita’ penale del medesimo ricorrente, nella sua qualita’ di amministratore di diritto della (OMISSIS) s.a.s., avendo dato atto i giudici del merito, della circostanza che la societa’ era amministrata di fatto da (OMISSIS). Il motivo e’ manifestamente infondato. La Corte d’appello ha correttamente ritenuto responsabile il (OMISSIS) nella sua qualita’ di amministratore di diritto della (OMISSIS) s.a.s, non potendo questa essere esclusa dalla presenza di un amministratore di fatto nella gestione societaria, il quale risponde come autore principale, mentre l’amministratore di diritto, quale mero prestanome, e’ responsabile a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento ai sensi dell’articolo 40 c.p., comma 2 e articolo 2932 c.c. (Sez. 3, n. 38780 del 14/05/2015, Biffi, Rv. 264971). Peraltro deve rilevarsi che il ricorrente non ha dedotto alcuna situazione di impossibilita’ di ingerenza per essere egli un mero prestanome, deduzione di rilievo sull’elemento soggettivo del reato che non risulta cosi’ contestato.

9. E’, infine, manifestamente infondata la censura sul trattamento sanzionatorio avendo la corte d’appello confermato la dosimetria della pena irrogata dal giudice di primo grado con richiamo, ai sensi dell’articolo 133 c.p., alla gravita’ dei fatti e alla personalita’ del ricorrente, gravato da una recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale che e’ stata ritenuta dal giudice quale espressione della maggior pericolosita’.

10. Non puo’ essere accolta la richiesta di dichiarazione di prescrizione del reato, avanzata, in via subordinata nelle conclusioni del ricorso non essendo maturata la prescrizione del reato in epoca antecedente alla sentenza impugnata. Infatti, tenuto conto della contestazione mossa al ricorrente di “distruzione o comunque occultamento” e attesa la natura permanente del delitto de quo (Sez. 3, n. 38376 del 09/07/2015 Palermo, Rv. 264676), considerato che il reato contestato al ricorrente (OMISSIS) (capo D) risulta commesso in epoca prossima al 10.3.2006, computata la recidiva ex articolo 99 c.p., comma 4 e le sospensioni, il reato non era prescritto alla data della pronuncia della sentenza al 12/01/2015, prescrivendosi lo stesso al 21 maggio 2016.

11. Il ricorso di (OMISSIS) e’ manifestamente infondato. Con un unico motivo il ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello abbia ritenuto integrato il reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 senza tenere conto della inesistenza di elementi obbiettivi dai quali desumere l’avvenuta dimostrazione dell’esistenza dei documenti contabili il cui occultamento o distruzione forma l’oggetto materiale della contestazione, non potendosi ritenere integrato il reato nel caso di mancata istituzione o tenuta delle scritture contabili in modo da determinare l’impossibilita’ di ricostruzione del volume degli affari.

Deve rilevarsi che, sul tema, questa Corte, con un orientamento piu’ risalente, aveva affermato che condotta idonea ad integrare il reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10, non sarebbe solamente quella volta alla evasione delle imposte dirette o sul valore aggiunto consistente nell’occultare o distruggere le scritture contabili ovvero la documentazione la cui tenuta e’ obbligatoria, ma anche la condotta di chi, al medesimo fine, si limiti ad omettere la tenuta della documentazione contabile, essendo sufficiente per l’integrazione del reato de quo, anche la sola impossibilita’ relativa ovvero una semplice difficolta’ di ricostruzione del volume degli affari e dei redditi, derivante, appunto da detta omissione (Sez. 3, n. 3 n. 28656 del 14 luglio 2009, Pacifico, Rv 244583; Sez. 3, n. 3057 del 14/11/2007 Lanteri, Rv. 238614). A tale orientamento se ne contrappone un altro, piu’ recente, secondo il quale la condotta del reato richiede un comportamento attivo e commissivo di distruzione o occultamento dei documenti contabili la cui istituzione e tenuta e’ obbligatoria per legge (Sez. 3, n. 11643 del 20/03/2015, Sez. 3 n. 11643 del 15/10/2014; Sez. 3, n. 38224 del 28 ottobre 2010). Tale orientamento e’ pienamente condivisibile perche’ fondato sulla chiara lettera della legge e sulla ratio della norma gia’ ricollegata, da questa Corte, alla tutela del bene giuridico rappresentato dall’interesse statale alla trasparenza fiscale del contribuente (Sez. 3, n. 3057 del 14/11/2007, Lanteri, Rv. 238613.

La disposizione di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 prevede una doppia alternativa condotta riferita ai documenti contabili (la distruzione e l’occultamento totale o parziale), un dolo specifico di evasione propria o di terzi e un evento costitutivo, rappresentato dalla sopravvenuta impossibilita’ di ricostruire, mediante i documenti i redditi o il volume degli affari al fine dell’imposta sul valore aggiunto. E’ evidente che si tratta di un reato a condotta vincolata commissiva con un evento di danno, rappresentato dalla perdita della funzione descrittiva dell’documentazione contabile. Ne consegue che la condotta del reato de quo non puo’ sostanziarsi in un mero comportamento omissivo ossia il non avere tenuto le scritture in modo tale che sia stato obbiettivamente piu’ difficoltosa ancorche’ non impossibile – la ricostruzione ex aliunde ai fini fiscali della situazione contabile, ma richiede, per l’integrazione della fattispecie penale un quid pluris a contenuto commissivo consistente nell’occultamento ovvero nella distruzione di tali scritture.

12. Nel caso in esame, contrariamente a quanto assume il ricorrente, la Corte territoriale e’ pervenuta all’affermazione della responsabilita’ penale in ordine al delitto di cui all’articolo 10 cit con motivazione logica, aderente al dato probatorio e giuridicamente corretta alla luce dell’interpretazione della norma incriminatrice di cui sopra. La sentenza impugnata da’ rilievo all’accertata circostanza che, nel corso della verifica fiscale effettuata nei confronti della societa’ (OMISSIS), venivano rivenute fatture di vendita di prodotti alimentari alla societa’ “La (OMISSIS) sas di (OMISSIS)” (pag. 2), unitamente ad altra documentazione che ne attestava il rapporto intercorso; i successivi accertamenti svolti presso la societa’ utilizzatrice del ricorrente davano esito negativo quanto all’esibizione della documentazione fiscale (le societa’ erano prive di struttura e non avevano mai presentato dichiarazioni fiscali e non risultava che il (OMISSIS) avesse fornito alla Guardia di Finanza alcuna documento contabile (pag. 7), sicche’ il mancato rinvenimento delle stesse appare essere stato correttamente interpretato dalla Corte territoriale come elemento di prova del loro occultamento o della loro distruzione.

Orbene, correttamente la Corte d’appello ha argomentato la condotta del reato di distruzione o occultamento dei documenti contabili con riferimento alle “fatture passive” di vendita, emesse dalla societa’ (OMISSIS) e rivenute in sede di accertamento fiscale, documenti che, oltre ad essere dimostrativi di un reddito in capo all’emittente, incidono sulla ricostruzione dei redditi del destinatario delle stesse, in quanto rappresentative di costi sostenuti, sicche’ e’ integrata anche la previsione del dolo specifico, atteso che quest’ultimo consiste testualmente nel fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto o di consentire l’evasione a terzi (Sez. 3, n. 15236 del 16/01/2015, Chiarolla, Rv. 263050). Anche con riferimento al dolo specifico la corte ha dato rilievo alla circostanza che il ricorrente gestiva societa’ inattive, prive di sede legale, prive di documentazione contabile, costituite al solo scopo di ricevere merce da immettere sul mercato a costo concorrenziale, grazie all’evasione delle imposte; cosi’ che era dimostrato, sulla base delle stesse argomentazioni, anche l’evento dell’impossibile ricostruzione del volume degli affari stante l’assenza della documentazione contabile.

13. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e’ manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile. Va ricordato che, nella consolidata interpretazione di questa Corte, un ricorso per cassazione inammissibile, per manifesta infondatezza dei motivi o per altra ragione, “non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilita’ di rilevare e dichiarare le cause di non punibilita’ a norma dell’articolo 129 c.p.p.” (Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463, Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv 217266; Sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004, Tricorni) cosicche’ e’ preclusa la dichiarazione di prescrizione del reato maturata al 28 gennaio 2015, dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello del 12 gennaio 2015 (da ultimo Sez. 5, n. 15599 del 19/11/2014, Zagarella, Rv. 263119).

14. Alla dichiarazioni di inammissibilita’ dei ricorsi proposti da (OMISSIS) e (OMISSIS) consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’articolo 616 c.p.p.. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e’ ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, si dispone che i ricorrenti versino ciascuno la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1000 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

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