Ai fini della distinzione tra il reato di furto consumato e quello tentato

Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 12 ottobre 2018, n. 46409.

La massima estrapolata:

Ai fini della distinzione tra il reato di furto consumato e quello tentato, non ha rilevanza ne’ il criterio spaziale, attinente allo spostamento del bene in luogo diverso da quello della sua apprensione, ne’ il criterio temporale, attinente alla durata e alla stabilita’ della detenzione dell’oggetto da parte del responsabile del reato, sicche’ e’ sufficiente, ai fini della consumazione, la sottrazione della cosa alla disponibilita’ del detentore e la correlativa acquisizione del possesso da parte dell’agente, anche per un breve lasso di tempo e nello stesso luogo della sottrazione. Solo allorche’ l’agente non abbia conseguito, neppure momentaneamente, l’autonoma ed effettiva disponibilita’ della cosa, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo, come nel caso in cui venga esercitato un continuo monitoraggio dell’azione furtiva in essere, mediante appositi apparati di videosorveglianza, all’interno di un esercizio commerciale, l’iter criminis rimane allo stadio del tentativo. Quest’ultima e’ l’ipotesi ravvisabile nel caso in esame, poiche’ risulta dalla motivazione della sentenza impugnata che l’intero svolgimento dell’azione delittuosa venne rilevato dalle telecamere di sorveglianza. E infatti, come poc’anzi rilevato, il giudice a quo da’ atto di come dal filmato sia dato osservare il momento in cui l’imputato prese gli occhiali, si colloco’ dietro l’espositore, rimosse la placca antitaccheggio, si avvio’ verso le casse e le supero’. Ne deriva che e’ stato esercitato un monitoraggio, senza soluzione di continuita’, su tutte le fasi in cui si snodo’ l’azione criminosa, onde sono ravvisabili gli estremi del tentativo e non quelli del reato consumato.

Sentenza 12 ottobre 2018, n. 46409

Data udienza 22 giugno 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IZZO Fausto – Presidente

Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere

Dott. DI SALVO Emanue – Rel. Consigliere

Dott. SERRAO Eugenia – Consigliere

Dott. BRUNO Mariarosari – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 03/02/2017 della CORTE APPELLO di PALERMO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Di Salvo Emanuele;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. Lignola Ferdinando che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS) ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale, in riforma della pronuncia di primo grado, con cui era stato dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato perche’, esclusa l’aggravante di cui all’articolo 625 c.p., n. 2, l’azione penale era improcedibile per mancanza di querela, e’ stata affermata la penale responsabilita’ dell’imputato in ordine al reato di furto di un paio di occhiali da sole, sottratti, dopo aver asportato la placca antitaccheggio e superato le casse, da un espositore di un centro commerciale.
2. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’aggravante della violenza sulle cose, che correttamente era stata esclusa dal giudice di primo grado, in quanto dalla visione del filmato estrapolato dalla videocamera di sorveglianza, posta all’interno dell’esercizio commerciale, si evince chiaramente l’assenza di qualsiasi attivita’ di rimozione della placca antitaccheggio.
2.1. La querela e’ poi invalida, in quanto sporta da un semplice impiegato del negozio, del tutto sprovvisto di poteri di legale rappresentanza e percio’ non abilitato all’esercizio del diritto di querela. E la mancanza della volonta’ di querelare risulta altresi’ confermata dall’assenza di qualunque successivo atto da parte del proprietario del negozio in questione. La dichiarazione dell’impiegato del negozio manca altresi’ di tutti i requisiti formali per essere qualificata come querela, trattandosi, al piu’, di una mera denuncia.
2.2. Erroneamente e’ stata ravvisata l’ipotesi consumata in luogo di quella tentata, in quanto il reo e’ sempre rimasto all’interno del centro commerciale e nelle immediate vicinanze del punto vendita ove si e’ verificato il fatto.
2.3. Erroneamente non e’ stata riconosciuta l’attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 4, trattandosi del furto di un semplice paio di occhiali da sole, del valore di poche decine di euro.
2.4. Illegittimamente non e’ stata ravvisata l’ipotesi del ravvedimento operoso, nonostante l’imputato abbia restituito l’oggetto del furto del tutto spontaneamente, ben prima dell’intervento della polizia giudiziaria, e abbia poi reso confessione dei fatti.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso e’ infondato. Il giudice a quo ha evidenziato che dall’analisi del video registrato dalle telecamere di sicurezza del centro commerciale si nota chiaramente l’imputato posizionarsi, guardingo, dietro l’espositore, con gli occhiali in mano, avendo evidentemente scorto la telecamera di sorveglianza, per poi venir fuori, indossandoli ed avviandosi, tranquillamente, verso le casse, che quindi vennero da lui superate senza alcun problema proprio perche’ agli occhiali era stata asportata la placca antitaccheggio, apposta a tutte le lenti dell’espositore. Si nota, infatti, anche se non chiaramente – specifica la Corte territoriale -un movimento repentino del braccio dell’imputato, che sembrerebbe essere proprio quello effettuato per rimuovere la placca. Trattasi di una motivazione precisa, fondata su specifiche risultanze processuali, del tutto idonea a illustrare l’itinerario concettuale esperito dal giudice di merito e percio’ immeritevole di censura.
2. Le considerazioni di cui sopra elidono la necessita’ di esaminare il secondo motivo di ricorso, inerente all’invalidita’ della querela, atteso che il ricorrere dell’aggravante della violenza sulle cose rende il reato di furto perseguibile d’ufficio.
3. La doglianza formulata con il terzo motivo di ricorso e’ fondata. Ai fini della distinzione tra il reato di furto consumato e quello tentato, non ha rilevanza ne’ il criterio spaziale, attinente allo spostamento del bene in luogo diverso da quello della sua apprensione, ne’ il criterio temporale, attinente alla durata e alla stabilita’ della detenzione dell’oggetto da parte del responsabile del reato, sicche’ e’ sufficiente, ai fini della consumazione, la sottrazione della cosa alla disponibilita’ del detentore e la correlativa acquisizione del possesso da parte dell’agente, anche per un breve lasso di tempo e nello stesso luogo della sottrazione (Cass., Sez. 5, n. 7047 del 27-11-2008, Rv. 242963; Sez. 4, 17-2-1996, Burrascano, Rv. 205199; Sez. 4. 15-3-1995, Ominelli, Rv. 201870). Solo allorche’ l’agente non abbia conseguito, neppure momentaneamente, l’autonoma ed effettiva disponibilita’ della cosa, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo, come nel caso in cui venga esercitato un continuo monitoraggio dell’azione furtiva in essere, mediante appositi apparati di videosorveglianza, all’interno di un esercizio commerciale, l’iter criminis rimane allo stadio del tentativo (Sez. U., n. 52117 del 17-7-2014, Prevete, Rv. 261186). Quest’ultima e’ l’ipotesi ravvisabile nel caso in esame, poiche’ risulta dalla motivazione della sentenza impugnata che l’intero svolgimento dell’azione delittuosa venne rilevato dalle telecamere di sorveglianza. E infatti, come poc’anzi rilevato, il giudice a quo da’ atto di come dal filmato sia dato osservare il momento in cui l’imputato prese gli occhiali, si colloco’ dietro l’espositore, rimosse la placca antitaccheggio, si avvio’ verso le casse e le supero’. Ne deriva che e’ stato esercitato un monitoraggio, senza soluzione di continuita’, su tutte le fasi in cui si snodo’ l’azione criminosa, onde sono ravvisabili gli estremi del tentativo e non quelli del reato consumato.
4. Cio’ determina la necessita’ di un pronunciamento rescindente ma non impone il rinvio al giudice di merito, potendo la pena essere rideterminata anche in questa sede, ai sensi dell’articolo 620 c.p.p., lettera I), sulla base delle statuizioni emesse dal giudice di merito. La Corte d’appello ha preso le mosse da una pena-base di anni uno di reclusione ed Euro 120,00 di multa, per il reato consumato, onde puo’ pervenirsi, ex articolo 56 c.p., ad una pena di mesi 6 di reclusione ed Euro 50,00 di multa. Tale pena va aumentata della meta’ per la recidiva specifica ed infraquinquennale contestata, addivenendosi ad una pena di mesi 9 di reclusione ed Euro 75,00 di multa. Va, infine, applicata la diminuente del rito, onde la pena finale e’ di mesi 6 di reclusione ed Euro 50,00 di multa.
4. Privo di fondamento e’ anche il quarto motivo di ricorso. Il giudice a quo ha infatti evidenziato che trattasi di un paio di occhiali di marca Ray Ban, di costo non particolarmente tenue: motivazione esente da vizi logico-giuridici.
5. Non puo’ essere accolto nemmeno l’ultimo motivo di ricorso. Il giudice a quo ha, infatti, correttamente evidenziato come esuli l’ipotesi del ravvedimento operoso laddove il reo, sorpreso, come nel caso in esame, con la refurtiva in mano, sia costretto a restituirla.
6. La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio, limitatamente alla qualificazione giuridica in termini di reato consumato, e, ritenuta l’ipotesi del tentativo, la pena va rideterminata in mesi sei di reclusione ed Euro 50,00 di multa. Il ricorso va rigettato nel resto.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla qualificazione giuridica in termini di reato consumato e, ritenuta l’ipotesi del tentativo, ridetermina la pena in mesi sei di reclusione ed Euro 50,00 di multa. Rigetta nel resto il ricorso.