Il reato di resistenza a pubblico ufficiale sufficiente la violenza o la minaccia

Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 12 ottobre 2018, n. 46418.

La massima estrapolata:

L’integrazione del reato di resistenza a pubblico ufficiale non richiede certo che sia impedita, in concreto, la liberta’ di azione dello stesso, essendo sufficiente che si usi violenza o minaccia per opporsi al compimento di un atto di ufficio o di servizio, indipendentemente dall’esito positivo o negativo di tale azione e dall’effettivo verificarsi di un impedimento che ostacoli il compimento degli atti predetti.
In tema di resistenza a pubblico ufficiale, infatti, la condotta penalmente rilevante deve intendersi rappresentata da qualsivoglia attivita’ omissiva o commissiva che si traduca in un atteggiamento, anche talora implicito, purche’ percepibile ex adverso, che impedisca, intralci, valga a compromettere, anche solo parzialmente e temporaneamente la regolarita’ del compimento dell’atto di ufficio o di servizio da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, e cio’ indipendentemente dal fatto che l’atto di ufficio possa comunque essere eseguito

Sentenza 12 ottobre 2018, n. 46418

Data udienza 27 giugno 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IZZO Fausto – Presidente

Dott. TORNESI Daniela – Consigliere

Dott. BELLINI Ugo – Consigliere

Dott. PAVICH Giuseppe – Consigliere

Dott. DAWAN Danie – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 19/12/2016 della CORTE APPELLO di FIRENZE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Dawan Daniela;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa OLGA MIGNOLO che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’;
e’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di FIRENZE in difesa di (OMISSIS), il quale si riporta ai motivi.

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS), a mezzo del difensore, ricorre avverso la sentenza emessa il 19 dicembre 2016 dalla Corte di appello di Firenze che ha confermato la pronuncia del Tribunale di Firenze che lo condannava alla pena, sospesa, di mesi dieci di reclusione per i reati di cui all’articolo 110 c.p., e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, articoli 337, 582, 585 e 576 c.p., in relazione all’articolo 61 c.p., n. 2 e articolo 61 c.p., n. 10.
2. Durante un servizio di pattuglia, verso le ore 20,15, il carabiniere (OMISSIS) procedeva al controllo di un soggetto, poi identificato nell’odierno ricorrente, in compagnia di altri due cittadini (OMISSIS) fuori dell’auto in cui il primo si trovava. Costoro risultavano in possesso di consistenti somme di denaro (circa Euro 10.000,00); l’odierno imputato si dava intanto alla fuga, inseguito dalli altro carabiniere, (OMISSIS) che il (OMISSIS) rinveniva poi a terra dolorante perche’ caduto per il terreno dissestato. Apprendeva da lui allora che il fuggiasco aveva gettato qualcosa. Dopo averlo fermato, trovava sotto una siepe due involucri contenenti circa gr.10 lordi di cocaina ciascuno. Nel tentativo di divincolarsi dalla presa del carabiniere (OMISSIS), il (OMISSIS) gli procurava la frattura di un dito. All’interno di una borsa che l’imputato aveva con se’ veniva rinvenuta la somma di Euro 780,00 in banconote da Euro 20,00, mentre, presso la sua abitazione era trovata l’ulteriore somma di Euro 550,00 che giustificava come provento di attivita’ lavorativa.
3. Il ricorrente si affida a sei motivi nei quali tutti deduce vizio di motivazione. Per quanto riguarda il capo 1), La Corte territoriale ha omesso qualsiasi valutazione riguardo il primo motivo di appello nel quale erano menzionate tutti gli elementi fattuali che deponevano per l’esclusivo uso personale della cocaina. La sentenza impugnata non ha dato conto della fondamentale circostanza rappresentata dalla completa restituzione di tutte le somme sequestrate non solo all’odierno ricorrente ma anche ai diversi soggetti, (OMISSIS) e (OMISSIS), originariamente coindagati e poi prosciolti in udienza preliminare. Detta restituzione rappresenta un palese vulnus logico della motivazione. La sentenza da’ rilievo alla circostanza che, nella perquisizione personale del ricorrente si rinveniva la somma di Euro 760,00 che l’imputato, ad avviso della Corte, avrebbe potuto corrispondere ai venditori quale pagamento della sostanza, senza tuttavia tenere in conto che il (OMISSIS) era venuto in possesso della sostanza il giorno prima dell’arresto. Quanto al capo 2), nelle testimonianze dei due operanti, di cui si riportano alcuni stralci delle trascrizioni, non v’e’ traccia delle condotte addebitate. Non si parla di colpi, calci o pugni ma di un tentativo di fuga che ha provocato la caduta dell’imputato e le lesioni ed escoriazioni riportate dai militari. Infine, in ordine al capo 3), le lesioni non sono dolose essendo emerso che esse sono state dovute alla caduta accidentale degli operanti: anche su questo punto, la Corte di appello di Firenze ha del tutto disatteso le risultanze istruttorie.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile perche’ tutti i motivi proposti comportano valutazioni sui fatti precluse al giudice di legittimita’ e perche’ manifestamente infondato.
2. In particolare, Il ricorso e’ inammissibile, in quanto sostanzialmente orientato a riprodurre un quadro di argomentazioni gia’ esposte in sede di appello – e finanche dinanzi al Giudice di prime cure – che tuttavia risultano ampiamente vagliate e correttamente disattese dalla Corte distrettuale, ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali, imperniata sul presupposto di una valutazione alternativa delle fonti di prova, in tal guisa richiedendo l’esercizio di uno scrutinio improponibile in questa sede di legittimita’, a fronte della linearita’ e della logica conseguenzialita’ che caratterizzano la scansione delle sequenze motivazionali dell’impugnata decisione.
E’ principio non controverso, inoltre, che, nel momento del controllo della motivazione, la Corte di cassazione non e’ tenuta a stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, ne’ a condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilita’ di apprezzamento; se i giudici di merito abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano dato esauriente risposta alle deduzioni delle parti e se, nell’interpretazione delle prove, abbiano esattamente applicato le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle stesse, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.
Il ricorso, dunque, non e’ volto a rilevare mancanze argomentative ed illogicita’ ictu oculi percepibili, bensi’ ad ottenere un non consentito sindacato su scelte valutative compiutamente giustificate dal Giudice di appello, che ha adeguatamente ricostruito il compendio storico-fattuale posto a fondamento del tema d’accusa. In tal senso la Corte territoriale, sulla base di quanto sopra esposto in narrativa, ha proceduto ad un vaglio critico di tutte le deduzioni ed obiezioni mosse dalla difesa, pervenendo alla decisione impugnata attraverso una disamina completa ed approfondita delle risultanze processuali.
Nel condividere il significato complessivo del quadro probatorio posto in risalto nella sentenza del Giudice di prime cure, la cui struttura motivazionale viene a saldarsi perfettamente con quella di secondo grado, si’ da costituire un corpo argomentativo uniforme e privo di lacune, la Corte di merito ha esaminato la contrastante ed inverosimile versione dei fatti narrata dall’imputato ed ha puntualmente disatteso la diversa ricostruzione prospettata nelle deduzioni e nei rilievi sollevati dalla difesa, ponendo in evidenza quanto alla destinazione non all’esclusivo uso personale, segnatamente: l’inverosimiglianza, le varie discrepanze e la contraddittorieta’ della versione resa dallo stesso e dal suo difensore (la sostanza gli sarebbe stata offerta per uso personale da soggetti casualmente incontrati la sera prima in un bar, senza pagamento del prezzo, pari ad Euro 700,00, nell’ottica di una strategia di fidelizzazione di nuovi clienti), il tentativo di sbarazzarsi, nel corso della fuga, dei due involucri contenenti la cocaina, il rinvenimento sulla sua persona della somma di Euro 780,00 in banconote da Euro 20,00 (e presso l’abitazione dell’ulteriore somma di Euro 550,00).
Ne’, ricorda la Corte territoriale, e’ stato in alcun modo documentato che l’imputato sia un consumatore abituale di cocaina con un tale grado di assuefazione da giustificare una scorta personale cosi’ cospicua.
3. Quanto ai motivi sui contestati capi di imputazione 2) e 3), la sentenza impugnata offre – una motivazione altrettanto completa, adeguata, congrua, logica e conforme ai principi di diritto. Richiamando la deposizione del teste (OMISSIS) – il quale riferiva che, mentre lo tratteneva, il (OMISSIS) si divincolava in modo tale da provocare una colluttazione nel corso della quale il (OMISSIS) si fratturava un dito – correttamente afferma che “l’imputato ha agito con violenza anche a costo di cagionare lesioni al carabiniere, come in effetti e’ avvenuto, nel momento in cui a distanza ravvicinata e con veemenza si e’ opposto allo stesso, divincolandosi per sfuggire alla sua presa”.
La Corte di appello ha reputato, con motivazione immune da vizi, sussistente nella condotta del prevenuto il dolo eventuale il quale, come e’ noto, ricorre quando chi agisce si rappresenta come seriamente possibile, sebbene non certa, l’esistenza dei presupposti della condotta, ovvero il verificarsi dell’evento come conseguenza dell’azione e, pur di non rinunciare ad essa, accetta che il fatto possa verificarsi, decidendo di agire comunque (Sez. 2, sent. n. 43348 del 30/09/2014, Mistri, Rv. 260858).
Pienamente integrato risulta altresi’, nella motivazione della Corte di appello di Firenze, il reato di cui all’articolo 337 c.p..
L’impugnata sentenza ha fatto buon governo dei principi piu’ volte stabiliti da questa Suprema Corte, secondo cui l’integrazione del reato di resistenza a pubblico ufficiale non richiede certo che sia impedita, in concreto, la liberta’ di azione dello stesso, essendo sufficiente che si usi violenza o minaccia per opporsi al compimento di un atto di ufficio o di servizio, indipendentemente dall’esito positivo o negativo di tale azione e dall’effettivo verificarsi di un impedimento che ostacoli il compimento degli atti predetti (Sez. 6, sent. n. 3970 del 13/01/2010, Oliva, Rv. 245855).
In tema di resistenza a pubblico ufficiale, infatti, la condotta penalmente rilevante deve intendersi rappresentata da qualsivoglia attivita’ omissiva o commissiva che si traduca in un atteggiamento, anche talora implicito, purche’ percepibile ex adverso, che impedisca, intralci, valga a compromettere, anche solo parzialmente e temporaneamente la regolarita’ del compimento dell’atto di ufficio o di servizio da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, e cio’ indipendentemente dal fatto che l’atto di ufficio possa comunque essere eseguito (Sez. 6, sent. n. 8667 del 28/05/1999, La Delfa, Rv. 214199).
Per quanto su esposto e rappresentato, peraltro, non e’ emersa, ne’ e’ stata in alcun modo comprovata alla luce delle risultanze processuali, alcuna prova di un consapevole travalicamento da parte dei pubblici ufficiali dei limiti e delle modalita’ entro cui le pubbliche funzioni devono essere esercitate (Sez. 6, sent. n.27703 del 15/04/2008, Dallara, Rv. 240881).
Ne discende, conseguentemente, la palese infondatezza anche dei relativi profili di doglianza.
4. In conclusione, la sentenza impugnata ha compiutamente indicato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistenti gli elementi richiesti per la configurazione dei reati oggetto del tema d’accusa, evidenziandone gli aspetti maggiormente significativi. La conclusione cui e’ pervenuta riposa, in definitiva, su un quadro probatorio linearmente rappresentato come completo ed univoco, e come tale in nessun modo censurabile sotto il profilo della congruita’ e della correttezza logico – argomentativa.
In questa sede, invero, a fronte di una corretta ed esaustiva ricostruzione del compendio storico-fattuale oggetto della regiudicanda, non puo’ ritenersi ammessa alcuna incursione nelle risultanze processuali per giungere a diverse ipotesi ricostruttive dei fatti accertati nelle pronunzie dei Giudici di merito, dovendosi la Corte di legittimita’ limitare a ripercorrere l’iter argomentativo ivi tracciato, ed a verificarne la completezza e la insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili, senza alcuna possibilita’ di verifica della rispondenza della motivazione alle correlative acquisizioni processuali.
5. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura di Euro 2000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.