Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|21 gennaio 2025| n. 1470.
Da reintegra a equivalente emendatio e non domanda nuova
Massima: A fronte della domanda di reintegrazione in forma specifica già proposta, non costituisce mutatio ma mera emendatio libelli la richiesta di risarcimento del danno per equivalente monetario; al contrario, costituisce domanda nuova, non proponibile in sede di precisazione delle conclusioni, quella di reintegrazione in forma specifica formulata nel corso del giudizio, in luogo della richieta di risarcimento del danno per equivalente proposta con l’originario atto di citazione.
Ordinanza|21 gennaio 2025| n. 1470. Da reintegra a equivalente emendatio e non domanda nuova
Integrale
Tag/parola chiave: Procedimento civile – Domanda giudiziale – Nuova domanda richiesta di risarcimento per equivalente – Mutatio – Esclusione – Richiesta di reintegrazione in forma specifica avanzata nel corso del giudizio – Originaria domanda per equivalente – Domanda nuova – Configurabilità.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta da Oggetto:
Dott. GIUSTI Alberto – Presidente
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere
Dott. MARULLI Marco – Consigliere
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere Rel.
Dott. VAROTTI Luciano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9354/2023 R.G. proposto da
Co.Gi., rappresentata e difesa dagli Avv. Nu.Lu. e Ma.Si., che hanno indicato il seguente indirizzo di posta elettronica certificata: (Omissis);
– ricorrente –
contro
COMUNE DI CAMPOCHIARO, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Sa.Di., che ha indicato il seguente indirizzo di posta elettronica certificata: (Omissis);
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Campobasso n. 58/23, depositata il 13 febbraio 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 ottobre 2024 dal Consigliere Guido Mercolino.
Da reintegra a equivalente emendatio e non domanda nuova
FATTI DI CAUSA
1. Co.Gi., comproprietaria di un terreno e un fabbricato rurale siti in C, località (Omissis), e riportati in Catasto al foglio (Omissis), particelle (Omissis), convenne in giudizio il Comune di Campochiaro, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni cagionati dall’ampliamento della strada comunale (Omissis), avvenuta mediante la realizzazione di una scarpata in pietrisco che aveva invaso parte della proprietà dell’attrice, incluso uno stradello di accesso pedonale al fabbricato, ostruito con alcune piante.
Si costituì il Comune ed eccepì la prescrizione del diritto azionato, contestando l’occupazione e la preesistenza della stradina, e chiedendo il rigetto della domanda.
1.1. Con sentenza del 14 maggio 2018, il Tribunale di Campobasso accolse parzialmente la domanda, condannando il Comune al pagamento della somma di Euro 6.045,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi sulla somma rivalutata, nonché al ripristino dello stato dei luoghi.
2. L’impugnazione proposta dal Comune è stata parzialmente accolta dalla Corte d’Appello di Campobasso, che con sentenza del 13 febbraio 2023 ha revocato la condanna al ripristino dello stato dei luoghi e rideterminato l’importo dovuto in Euro 3.966,00, già comprensivi di rivalutazione monetaria ed interessi all’attualità, oltre interessi legali con decorrenza dalla data della sentenza.
Premesso che l’attrice risultava pacificamente comproprietaria per un terzo del fondo occupato, la Corte ha ritenuto che ella fosse titolare di un autonomo diritto al ristoro del pregiudizio subìto, nei limiti della quota di sua proprietà, senza che ricorresse un’ipotesi di solidarietà attiva, e quindi una situazione di litisconsorzio necessario con gli altri danneggiati.
Rilevato inoltre che né l’atto di citazione, né la memoria di cui all’art. 183, sesto comma, n. 1 cod. proc. civ. contenevano una domanda di condanna al ripristino della stradina, menzionata soltanto nelle note conclusionali dell’attrice, ha escluso che tale domanda potesse ritenersi compresa in quella di risarcimento per equivalente o potesse essere desunta dalle istanze rivolte al Comune prima dell’instaurazione del giudizio: ha ritenuto pertanto che, nel pronunciare la predetta condanna, il Giudice di primo grado fosse incorso in ultrapetizione, escludendo anche la possibilità di sostituire la predetta statuizione con la condanna del Comune al risarcimento per equivalente, in mancanza di appello incidentale o della riproposizione della domanda ai sensi dello art. 346 cod. proc. civ.
La Corte ha poi rilevato che né l’attrice né il Giudice di primo grado avevano affermato l’esistenza di un procedimento espropriativo, precisando che nella memoria di cui all’art. 183, sesto comma, n. 1 cod. proc. civ. l’attrice si era limitata a richiamare un procedimento avviato negli anni ’80 e mai perfezionatosi, nonché ad accennare all’istituto dell’acquisizione sanante, al solo scopo di evidenziare il superamento del concetto di occupazione acquisitiva: ha concluso pertanto che il Tribunale aveva correttamente escluso l’avvenuto trasferimento della proprietà in favore dell’Amministrazione, ritenendo inconferente anche il riferimento alla competenza della Corte d’Appello in materia di determinazione dell’indennizzo per l’acquisizione sanante. Ha escluso che il risarcimento fosse stato riconosciuto per l’interclusione del fondo, rilevando invece che il Tribunale aveva accertato l’intervenuta modificazione dello stato dei luoghi, per effetto dei lavori effettuati sulla strada comunale (Omissis), e ritenendo condivisibile l’affermazione del c.t.u. nominato nel corso del giudizio, secondo cui l’area occupata corrispondeva alla scarpata resasi necessaria per il nuovo assetto della strada.
Ha confermato inoltre l’inammissibilità dell’eccezione di prescrizione sollevata dal Comune, per effetto della tardiva costituzione dello stesso, osservando, relativamente al valore del fondo occupato, che quest’ultimo era stato stimato in base al valore di mercato del suolo, e ritenendo inapplicabili i criteri di cui all’art. 42-bis del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Ha ritenuto invece fondate le censure riguardanti le modalità di calcolo della rivalutazione monetaria e degl’interessi legali, rilevando che, in quanto fondata sui valori di mercato correnti nel mese di novembre 2017, la liquidazione del danno non era suscettibile di ulteriore rivalutazione con decorrenza dalla data dell’occupazione, mentre gl’interessi compensativi erano dovuti sulla somma devalutata alla data di consumazione dell’illecito, progressivamente incrementata sulla base degl’indici Istat.
3. Avverso la predetta sentenza la Co.Gi. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un solo motivo, illustrato anche con memoria. Il Comune ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.
Da reintegra a equivalente emendatio e non domanda nuova
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, va disattesa l’eccezione d’inammissibilità del controricorso, sollevata dalla difesa della ricorrente nella memoria di cui all’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., in relazione al difetto di sottoscrizione della procura speciale da parte del Sindaco di Campochiaro e dell’autenticazione della stessa da parte del difensore del Comune, nonché dell’indicazione della relativa data.
La procura, rilasciata in forma telematica, reca infatti la firma digitale del Sindaco, accompagnata dalla formula “è autentica” e dalla firma digitale del difensore, mentre il rilascio in data successiva al deposito della sentenza impugnata ed anteriore alla notifica del controricorso è comprovato, in assenza dell’indicazione della data di sottoscrizione, dall’indicazione degli estremi della sentenza impugnata nel corpo dell’atto e dalla notificazione di quest’ultimo unitamente al controricorso.
2. Con l’unico motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e degli artt. 2043 e 2058 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto che, nel condannare il Comune al ripristino dello stato dei luoghi, il Giudice di primo grado fosse incorso in ultrapetizione. Premesso di aver chiesto inizialmente l’accertamento della responsabilità del Comune per l’occupazione illegittima, con la condanna al risarcimento del danno cagionato dalla mancata utilizzazione dell’area occupata, ed in particolare del fabbricato su di essa insistente, sostiene di aver formulato, in sede di precisazione delle conclusioni, una richiesta di ripristino dello stato dei luoghi, senza proporre alcuna domanda di risarcimento per equivalente. Aggiunge che la predetta richiesta non comportava una modificazione della causa petendi e del petitum, trovando fondamento nella stessa vicenda sostanziale e potendo il risarcimento consistere anche nel riconoscimento della somma necessaria per il ripristino dello stato dei luoghi. Afferma infine che, avuto riguardo alla natura assoluta dei diritti reali, la tutela degli stessi mediante la reintegrazione in forma specifica non è soggetta al limite di cui all’art. 2058, secondo comma, cod. civ., a meno che lo stesso danneggiato non chieda il risarcimento per equivalente.
2.1. Il motivo è infondato.
È infatti pacifico che nell’atto di citazione e nella memoria di cui all’art. 183, sesto comma, n. 1 cod. proc. civ., la ricorrente si era limitata a chiedere il risarcimento del danno subìto per l’ostruzione della stradina di accesso pedonale al fabbricato di cui è proprietaria, senza proporre la domanda di ripristino del passaggio, che era stata avanzata per la prima volta nelle note conclusionali depositate dal suo difensore, e ribadita all’udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado.
Correttamente, pertanto, la sentenza impugnata ha ritenuto inammissibile tale domanda, in applicazione del principio costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, mentre la richiesta di risarcimento del danno per equivalente non comporta un mutamento (mutatio), ma una mera modificazione (emendatio) della domanda rispetto a quella di reintegrazione in forma specifica precedentemente avanzata (cfr. Cass., Sez. II, 16/05/2017, n. 12168; Cass., Sez. III, 20/10/2014, n. 22223), costituisce invece domanda nuova, non proponibile per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni, quella di reintegrazione in forma specifica avanzata nel corso del giudizio, in luogo della domanda di risarcimento del danno per equivalente contenuta nell’originario atto di citazione (cfr. Cass., Sez. III, 21/ 05/2004, n. 9709; Cass., Sez. I, 21/06/2000, n. 8424; Cass., Sez. II, 5/03/ 1988, n. 2300). L’enunciazione di tale principio trae origine dall’osservazione che il risarcimento del danno per equivalente, rappresentando una reintegrazione del patrimonio che si realizza mediante l’attribuzione di una somma di danaro pari al valore della cosa perduta o danneggiata, si atteggia come la forma, per così dire, tipica di ristoro del pregiudizio subito dal danneggiato, laddove il risarcimento in forma specifica, essendo diretto al conseguimento dell’eadem res, tende a realizzare una forma di ristoro del medesimo pregiudizio più ampia, e di regola più onerosa per il debitore, giacché l’oggetto della pretesa azionata non è costituito da una somma di danaro, ma dal conseguimento, da parte del danneggiato, di una cosa del tutto analoga, nella sua specificità ed integrità, a quella perduta o danneggiata (cfr. Cass., Sez. III, 16/06/2005, n. 12964; Cass., Sez. II, 16/01/1997, n. 380): per tale ragione, configurandosi il risarcimento per equivalente come un minus rispetto al risarcimento in forma specifica, e dovendosi quindi ritenere la relativa richiesta implicita nella domanda di reintegrazione, si afferma anche che, mentre non incorre in ultrapetizione il giudice che, a fronte della domanda di reintegrazione in forma specifica, disponga d’ufficio una diversa e meno invasiva modalità di risarcimento del danno, il vizio in questione risulta invece integrato nella diversa ipotesi in cui sia stato richiesto il risarcimento per equivalente e il giudice abbia disposto il risarcimento in forma specifica (cfr. Cass., Sez. III, 17/08/2023, n. 24737; Cass., Sez. II, 30/04/2021, n. 11438; 8/01/2013, n. 259).
Da reintegra a equivalente emendatio e non domanda nuova
È pur vero che, come sostiene la difesa della ricorrente, la giurisprudenza più recente tende ad attenuare il rigore del divieto d’introdurre domande nuove, attraverso il riconoscimento dell’ammissibilità di una modificazione della domanda che riguardi anche uno o entrambi gli elementi costitutivi della stessa (petitum e causa petendi), a condizione che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che per ciò solo si determini una compromissione delle facoltà difensive della controparte, ovvero un allungamento dei tempi processuali (cfr. Cass., Sez. Un., 15/06/2015, n. 12310; Cass., Sez. II, 6/09/2024, n. 23975; Cass., Sez. III, 2/11/2023, n. 30455): tale modificazione non è tuttavia consentita al di fuori di qualsiasi limite temporale, fino all’assegnazione della causa in decisione, potendo aver luogo, al più tardi, con la memoria di cui all’art. 183, sesto comma, n. 1 cod. proc. civ., il cui deposito, entro il termine appositamente fissato dal giudice, costituisce l’ultimo momento utile per la modificazione o la precisazione delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte dalle parti (cfr. Cass., Sez. Un., 13/09/2018, n. 22404; Cass., Sez. III, 9/02/2021, n. 3127; Cass., Sez. VI, 3/12/2020, n. 27620).
Non merita poi consenso il richiamo della difesa del ricorrente al principio, anch’esso enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, ove la controversia abbia ad oggetto la violazione di diritti reali, come nel caso in esame, la domanda di reintegrazione in forma specifica non incontra il limite stabilito dall’art. 2058, secondo comma, cod. civ., il quale, prevedendo che, ove tale forma di tutela risulti eccessivamente onerosa per il debitore, il risarcimento possa aver luogo solo per equivalente, impone al giudice di scegliere la reintegrazione in forma specifica, ogni qualvolta la stessa sia materialmente possibile (cfr. Cass., Sez. Un., 20/05/2016, n. 10499; Cass., Sez. II, 20/01/2017, n. 1607; Cass., Sez. I, 23/08/2012, n. 14609). Tale principio, che ha la sua ragion d’essere nel carattere assoluto dei diritti reali, la cui tutela esige la rimozione del fatto lesivo, postula infatti che il proprietario del bene abbia fatto ricorso alla tutela reale, mediante la proposizione della domanda di restituzione o di riduzione in pristino (cfr. Cass., Sez. II, 23/09/ 2020, n. 19942; 17/02/2012, n. 2359; 1/08/2003, n. 11744), e non può quindi trovare applicazione qualora, come nella specie, sia stato lo stesso proprietario ad optare per la tutela risarcitoria, chiedendo il riconoscimento dell’equivalente del bene perduto o danneggiato.
3. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
Da reintegra a equivalente emendatio e non domanda nuova
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 9 ottobre 2024.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2025.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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