Criterio distintivo tra consumazione e tentativo

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 1 marzo 2019, n. 8829.

La massima estrapolata:

Il criterio distintivo tra consumazione e tentativo risiede nella circostanza che l’imputato consegua, anche se per breve tempo, la piena, autonoma ed effettiva disponibilita’ della refurtiva, di guisa che risponde di furto consumato e non semplicemente tentato chi, dopo essersi impossessato della refurtiva, non si sia ancora allontanato dal luogo della sottrazione e abbia esercitato sulla cosa un potere del tutto momentaneo, essendo stato costretto ad abbandonarla subito dopo il fatto per il pronto intervento dell’avente diritto o della polizia.
Ai fini della configurazione dell’autonoma disponibilita’ della cosa, che segna il momento acquisitivo a cui l’impossessamento e’ funzionale, non rileva il dato temporale ex se, essendo sufficiente che l’agente abbia conseguito anche solo momentaneamente l’esclusiva signoria di fatto sul bene, assumendo, invece, decisivo rilievo la effettiva concretizzazione del rischio di definitiva dispersione, anche se questa non si sia, di fatto, realizzata per l’intervento di fattori causali successivi ed autonomi. In altri termini, l’agente acquisisce l’autonoma disponibilita’ della cosa sottratta – e la fattispecie si realizza in forma consumata – solo quando il soggetto passivo del reato ne perda, correlativamente, la detenzione, anche mediata attraverso forme indirette di vigilanza e custodia.
Ai fini della ravvisabilita’ del tentativo, occorre, dunque, che il complesso delle cautele adottate dal soggetto passivo del reato consenta un contestuale intervento impeditivo che, di fatto, precluda all’agente l’esercizio di autonomi poteri dispositivi sulla cosa, escludendo ex ante il pericolo di definitiva dispersione del bene sottratto.
Integra il reato di furto nella forma consumata la condotta di colui che, subito dopo l’impossessamento, venga inseguito e bloccato dalla polizia giudiziaria che lo aveva osservato a distanza, in quanto il criterio distintivo tra consumazione e tentativo risiede nella circostanza che l’imputato consegua, anche se per breve tempo, la piena, autonoma ed effettiva disponibilita’ della refurtiva, in quanto l’osservazione a distanza da parte degli agenti non assume rilevanza ai fini della configurabilita’ del reato nella forma tentata poiche’ tale “studio” non solo non avviene ad opera della persona offesa, ma neppure impedisce il conseguimento dell’autonomo possesso della res, prima dell’arresto in flagranza

Sentenza 1 marzo 2019, n. 8829

Data udienza 23 gennaio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Francesca – Presidente

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere

Dott. TUDINO A. – rel. Consigliere

Dott. BORRELLI Paola – Consigliere

Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 06/07/2018 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRINA TUDINO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore OLGA MIGNOLO,
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto.
udito il difensore.

RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza del 6 luglio 2018, la Corte d’appello di Milano ha confermato la decisione del tribunale in sede del 16 ottobre 2017, con la quale e’ stata affermata la responsabilita’ penale di (OMISSIS) in ordine al reato di furto aggravato, consumato e tentato, in continuazione.
La responsabilita’ dell’imputato – arrestato in flagranza – per l’impossessamento di una maglia sportiva rinvenuta sulla sua persona, oltre che per il tentativo di sottrazione di altri capi d’abbigliamento sportivo abbandonati nel negozio dopo l’interveto dell’addetto, e’ stata confermata alla stregua degli elementi probatori acquisiti in dibattimento, costituiti dagli esiti dell’attivita’ di osservazione e controllo della PG, che avevano consentito di identificare ed intercettare l’imputato che, dopo essersi dato alla fuga dal negozio, si trovava in altro esercizio commerciale del medesimo centro.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato, per mezzo del difensore, avv. (OMISSIS), articolando tre censure.
2.1 Con il primo motivo, articolato ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera b) deduce inosservanza o errata applicazione della legge penale in riferimento alla qualificazione giuridica del fatto sub 2), in assenza dell’impossessamento del bene per essersi tutta l’azione comunque svolta sotto la costanza vigilanza della persona offesa e della PG.
2.2. Con il secondo motivo, articolato ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera e) deduce vizio della motivazione in riferimento al trattamento sanzionatorio.
2.3. Con il terzo motivo, articolato ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera b) deduce mancata valutazione del motivo d’appello concernente il diniego della concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.

CONDIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ infondato.
2. Non sussiste l’erronea applicazione della legge penale nella qualificazione giuridica del fatto, censurata con il primo motivo di ricorso.
2.1 La corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi che individuano il momento di consumazione del delitto di furto, in quanto “il criterio distintivo tra consumazione e tentativo risiede nella circostanza che l’imputato consegua, anche se per breve tempo, la piena, autonoma ed effettiva disponibilita’ della refurtiva” (Sez. V, n. 26749 del 11/04/2016, Ouerghi, Rv. 267266), di guisa che “risponde di furto consumato e non semplicemente tentato chi, dopo essersi impossessato della refurtiva, non si sia ancora allontanato dal luogo della sottrazione e abbia esercitato sulla cosa un potere del tutto momentaneo, essendo stato costretto ad abbandonarla subito dopo il fatto per il pronto intervento dell’avente diritto o della polizia” (Sez. V, n. 7704 del 05/05/1993, Gallo, Rv. 194483).
2.2 Ai fini della configurazione dell’autonoma disponibilita’ della cosa, che segna il momento acquisitivo a cui l’impossessamento e’ funzionale, non rileva il dato temporale ex se, essendo sufficiente che l’agente abbia conseguito anche solo momentaneamente l’esclusiva signoria di fatto sul bene, assumendo, invece, decisivo rilievo la effettiva concretizzazione del rischio di definitiva dispersione, anche se questa non si sia, di fatto, realizzata per l’intervento di fattori causali successivi ed autonomi. In altri termini, l’agente acquisisce l’autonoma disponibilita’ della cosa sottratta – e la fattispecie si realizza in forma consumata – solo quando il soggetto passivo del reato ne perda, correlativamente, la detenzione, anche mediata attraverso forme indirette di vigilanza e custodia.
2.3 In tale prospettiva, assumono rilevanza le cautele predisposte al fine di minimizzare l’incidenza dei fattori di rischio che, con riferimento al concreto assetto delle misure di vigilanza e controllo rispetto all’adozione di immediate iniziative contenitive, possono di fatto escludere il conseguimento, da parte dell’agente, di una signoria autonoma sul bene, cristallizzando la condotta nella fase del tentativo.
2.4 Secondo siffatto paradigma si declinano i criteri ermeneutici enucleati dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui “In caso di furto in supermercato, il monitoraggio della azione furtiva in essere, esercitato mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce ovvero attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei dipendenti addetti alla sorveglianza ovvero delle forze dell’ordine presenti nel locale ed il conseguente intervento difensivo “in continenti”, impediscono la consumazione del delitto di furto che resta allo stadio del tentativo, non avendo l’agente conseguito, neppure momentaneamente, l’autonoma ed effettiva disponibilita’ della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo” (Sez. U, Sentenza n. 52117de1 17/07/2014, PG in proc. Prevete, Rv. 261186, N. 398 del 1992, N. 3642 del 1999 Rv. 213315, N. 7042 del 2010 Rv. 249835, N. 11592 del 2010 Rv. 246893, N. 21937 del 2010 Rv. 247410). Ai fini della ravvisabilita’ del tentativo, occorre, dunque, che il complesso delle cautele adottate dal soggetto passivo del reato consenta un contestuale intervento impeditivo che, di fatto, precluda all’agente l’esercizio di autonomi poteri dispositivi sulla cosa, escludendo ex ante il pericolo di definitiva dispersione del bene sottratto.
2.5. In riferimento al monitoraggio dell’azione da parte delle forze dell’ordine, secondo il costante avviso della giurisprudenza di legittimita’, integra il reato di furto nella forma consumata la condotta di colui che, subito dopo l’impossessamento, venga inseguito e bloccato dalla polizia giudiziaria che lo aveva osservato a distanza, in quanto il criterio distintivo tra consumazione e tentativo risiede nella circostanza che l’imputato consegua, anche se per breve tempo, la piena, autonoma ed effettiva disponibilita’ della refurtiva, in quanto l’osservazione a distanza da parte degli agenti non assume rilevanza ai fini della configurabilita’ del reato nella forma tentata poiche’ tale “studio” non solo non avviene ad opera della persona offesa, ma neppure impedisce il conseguimento dell’autonomo possesso della res, prima dell’arresto in flagranza (Sez. 5, Rv. 267266, cit.).
2.6. Nel caso in esame, correttamente il giudice di merito ha ritenuto configurata la concreta fattispecie nella forma consumata. Nonostante il monitoraggio dell’azione antigiuridica, realizzato attraverso la predisposizione di un servizio di osservazione e controllo – che, di fatto, ha consentito l’arresto in flagranza – l’imputato ha potuto completare l’impossessamento della maglia sportiva, indossandola, e raggiungendo altro negozio del medesimo centro nel quale veniva identificato.
La mera presenza del dispositivo di monitoraggio, in assenza di ulteriori misure di custodia immediatamente attivabili con funzione impeditiva, non ha, dunque, neutralizzato il pericolo di illecita apprensione del bene, ma ne ha solo agevolato la constatazione.
Osserva in proposito il Collegio che non e’ giuridicamente condivisibile la tesi secondo cui la predisposizione di un servizio di osservazione osti alla configurabilita’ del reato in forma consumata in quanto, in simile evenienza, all’agente sarebbe impedito il definitivo impossessamento della res furtiva, con conseguente configurabilita’ della sola fattispecie tentata. La circostanza che l’impossessamento della refurtiva in danno della vittima sia avvenuto sotto i’l controllo della medesima non esclude la consumazione del reato nei casi in cui le Forze dell’ordine siano intervenute soltanto dopo il conseguimento – anche se soltanto per un breve lasso di tempo – del possesso della refurtiva da parte dell’agente. Il reato si consuma, infatti, nel momento e nel luogo in cui si verificano l’ingiusto profitto e l’altrui danno patrimoniale, senza che assuma rilievo il consolidamento di tali eventi nel tempo, concretizzandosi la lesione del bene giuridico protetto con l’autonoma disponibilita’ della refurtiva da parte dell’agente, e il correlativo spossessamento del legittimo detentore, prescindendo da qualsiasi criterio spazio- temporale (Sez. 5, n. 48880 del 17/09/2018, Rv. 274016; in tema di estorsione Sez. 2, n. 1619 del 12/12/2012, Rv. 254450; n. 27601 del 19/06/2009, Rv. 244671).
E di siffatta ricostruzione il giudice di merito ha dato analiticamente conto in motivazione, conferendo al fatto la conseguente valutazione giuridica secondo un percorso giustificativo corretto e completo, che si sottrae a censure nella presenta sede di legittimita’.
3. E’, invece, generica la censura articolata nel secondo motivo di ricorso in riferimento al trattamento sanzionatorio.
3.1. “In tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non e’ necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, se il parametro valutativo e’ desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena” (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949, Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197, N. 1571 del 1986 Rv. 171948, N. 36245 del 2009 Rv. 245596, N. 21294 del 2013 Rv. 256197, N. 24213 del 2013 Rv. 255825, N. 27959 del 2013 Rv. 258356, N. 28852 del 2013 Rv. 256464, N. 46412 del 2015 Rv. 265283).
3.2. Anche sotto tale profilo, in presenza della irrogazione della pena complessiva di anni uno, mesi sei e giorni venti di reclusione ed Euro 721 di multa, ritenuta la continuazione ed applicata la diminuente per la scelta del rito (pena per il reato piu’ grave inferiore alla media edittale), la corte territoriale ha giustificato la decisione secondo un percorso argomentativo logico e articolato attraverso cadenze plausibili, al quale il ricorrente non contrappone elementi invece travisati o sottovalutati, con conseguente insindacabilita’ nella presente sede di legittimita’.
4. Non coglie nel segno la doglianza illustrata nel terzo motivo di ricorso.
4.1. Il ricorrente lamenta violazione degli articoli 163 e 164 c.p., sotto forma di preterizione del motivo d’appello contenente la censura inerente la mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena omettendo di indicare quali parametri normativi sarebbero stati violati, svolgendo, invece, sostanzialmente la doglianza sub specie di vizio della motivazione.
4.2. Nella delineata prospettiva, le valutazioni svolte nella sentenza riguardo il profilo dell’imputato esplicano la formulazione di una prognosi negativa del pericolo di recidiva, ostativa alla concessione del beneficio, di guisa che la relativa questione, peraltro genericamente formulata con l’atto di appello, deve ritenersi implicitamente disattesa (V. Sez. 2, n. 18742 del 06/04/2018, Gadaleta, Rv. 272991).
La censura e’, pertanto, generica.
5. Al rigetto del ricorso consegue, ex articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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