Suprema Corte di Cassazione
sezione V
sentenza 8 gennaio 2016, n. 451
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 23/07/2013 il giudice di pace di Firenze ha condannato, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di euro 800,00 di multa G.M.G., avendola ritenuta responsabile del reato di ingiuria nei confronti dell’avvocato D.C., alle cui richieste di pagamento, erano seguite una serie di email, nella quale la G. aveva, tra l’altro, scritto “È scandaloso, il suo comportamento. Dove vuole arrivare?… Si vergogni ad insistere”.
2. Nell’interesse dell’imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo si lamentano violazione di legge e vizi motivazionali, quanto all’elemento oggettivo dei reato, rilevando che le espressioni contestate, rispettose del limite della continenza, lungi dall’essere ingiuriose, esprimevano semplicemente una critica all’operato del difensore, nell’ambito del rapporto professionale.
2.2. Con il secondo motivo, si lamentano violazione di legge e vizi motivazionali, quanto all’elemento soggettivo del reato, sottolineando l’assenza di prova della finalità ingiuriosa perseguita.
2.3. Con il terzo motivo, si lamenta mancanza di motivazione con riguardo alla riferibilità all’imputata dell’email del 02/11/2008.
2.4. Con il quarto motivo, si lamenta, infine, l’illegalità della pena, dal momento che, esclusa la configurabilità della circostanza aggravante di cui al terzo comma dell’art. 594 cod. pen., la pena irrogata eccedeva l’importo di 516 euro di multa, prevista dal primo comma dello stesso articolo.
Considerato in diritto
1. II primo, assorbente motivo è fondato.
Ed invero, in tema di ingiuria, la nozione di onore è relativa alle qualità che concorrono a determinare il valore di un determinato individuo, mentre quella di decoro si riferisce al rispetto o al riguardo di cui ciascuno, in quanto essere umano, è comunque degno (Sez. 5, n. 34599 del 04/07/2008 – dep. 03/09/2008, Camozzi, Rv. 241346).
Deve, inoltre, ribadirsi che è principio di pacifica acquisizione giurisprudenziale che, ai fini dei l’apprezzamento della valenza lesiva di determinate espressioni, le stesse debbano essere contestualizzate, ossia rapportate al contesto spaziotemporale nel quale siano state pronunciate, tenuto altresì conto dello standard di sensibilità sociale dei tempo (v., ad es., Sez. 5, n. 10420 del 15/11/2007 – dep. 06/03/2008, Riccardi, Rv. 239109).
Proprio nel contesto del rapporto professionale, va apprezzata la portata delle frasi adoperate, che, si ripete, senza trascendere in gratuiti attacchi alla persona dell’interlocutore, manifestano solo il dissenso rispetto alla richiesta avanzata dal difensore per il pagamento del proprio compenso.
Ne discende che la sentenza va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste, con conseguente assorbimento dei restanti motivi di ricorso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.
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