locazione bis

La massima

In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, disciplinata dalla legge sull’equo canone, la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza contrattuale, per il mancato esercizio da parte del locatore, della facoltà di diniego della rinnovazione stessa (artt. 28 e 29 della legge 27 luglio 1978, n. 392) costituisce un effetto automatico che scaturisce direttamente dalla legge, e non da una manifestazione di volontà negoziale. Ne consegue che, in caso di pignoramento dell’immobile e di successivo fallimento del locatore, tale rinnovazione non necessita dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, prevista dal secondo comma dell’art. 560 cod. proc. civ.

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE

SENTENZA 16 maggio 2013, n. 11830

Svolgimento del processo

La srl Pro Genia intimò sfratto per morosità, ai sensi dell’art. 658 c.p.c, alla srl G. and G. Service, al fine di ottenere il rilascio dell’immobile da quest’ultima condotto in locazione, con contestuale citazione per la convalida.

Evidenziò di avere acquistato, con contratto di cessione del 19.7.2005, i diritti derivanti dal contratto di locazione dell’immobile sito in (omissis) , dato in conduzione dalla srl Pro.Cen.Co. all’intimata srl G. and G. Service che si era resa morosa, nel pagamento dei canoni, per il complessivo importo di Euro 46.110,50.

L’intimata si oppose alla convalida eccependo la carenza di legittimazione attiva dell’intimante e l’inesistenza del diritto della stessa a percepire i canoni di locazione, per essere stati gli stessi pignorati con atto antecedente al contratto di cessione.

Il tribunale di Latina, in accoglimento della domanda, dichiarò la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento della conduttrice srl G. and G. Service.

A diversa conclusione pervenne la Corte d’Appello che, con sentenza del 24.3.2010, in riforma della sentenza di primo grado, rigettò la ” domanda di sfratto per morosità proposta dalla S.r.L. Pro Genia nei confronti della S.r.L. G. and G. Service, e la domanda di pagamento dei canoni insoluti”.

Ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi la srl Pro Genia.

L’intimata non ha svolto attività difensiva.

Fissata la trattazione del ricorso per l’udienza del 12.4.2012, la Terza Sezione civile della Corte ha emesso ordinanza interlocutoria (n. 7826), depositata il 17.5.2012, di rimessione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione della causa alle sezioni unite.

Il Primo Presidente ha provveduto in tal senso.

 

Motivi della decisione

1. La questione di diritto posta dall’ordinanza di rimessione.

La Terza Sezione civile della Corte di Cassazione, chiamata a decidere l’impugnazione proposta dalla società Pro Genia srl, ha rimesso gli atti al primo presidente per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite della Corte per la composizione del contrasto, sottoponendo la seguente questione di diritto:

Se, in caso di pignoramento dell’immobile e di successivo fallimento del locatore, operi, quale effetto ex lege, la rinnovazione tacita di cui agli artt. 28 e 29 della legge n. 392 del 1978, e se poi la stessa rinnovazione tacita necessiti, o meno, dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione ex art. 560, secondo comma, c.p.c..

Sottolinea l’ordinanza interlocutoria che la giurisprudenza della Corte di cassazione si era espressa in senso favorevole alla necessità dell’autorizzazione, con orientamento costante da Cass. 2576/1970 a Cass. 1639/1999, fino alla pronuncia della stessa terza sezione civile n. 10498 del 2009, che aveva affermato l’opposto principio secondo cui, in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, disciplinata dalla legge sull’equo canone, la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza contrattuale, per il mancato esercizio da parte del locatore, della facoltà di diniego della rinnovazione stessa, costituisce un effetto automatico scaturente direttamente dalla legge, e non da una manifestazione di volontà negoziale. A quest’ultima impostazione conseguirebbe che, in caso di pignoramento dell’immobile e di successivo fallimento del locatore, la rinnovazione non necessiterebbe dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, prevista dall’art. 560, secondo comma, c.p.c..

2. I precedenti alla base del contrasto.

Nella giurisprudenza della Corte di legittimità hanno affermato la necessità dell’autorizzazione del giudice, ai sensi dell’art. 560, secondo comma, c.p.c., per la rinnovazione tacita della locazione avente ad oggetto l’immobile pignorato (o sottoposto a sequestro giudiziario), sull’assunto che essa integri un nuovo negozio giuridico bilaterale, Cass. 5.12.1970 n. 2576; Cass. 4.9.1998 n. 8800; Cass. 25.2.1999 n. 1639; Cass. 30.10.2002 n. 15297; Cass. 13.12.2007 n. 26238.

Ha, invece, ritenuto superflua l’autorizzazione giudiziale ex art. 560, secondo comma, c.p.c., costituendo la rinnovazione tacita alla prima scadenza un effetto automatico, scaturente direttamente dalla legge, e non da una manifestazione di volontà negoziale Cass. 7.5.2009 n. 10498.

L’automaticità di quest’effetto legale escluderebbe, pertanto, l’applicabilità del disposto dell’art. 560 c.p.c..

In questa prospettiva, la sentenza negava di porsi in contrasto coi precedenti qui richiamati poiché relativi, questi ultimi, o a contratti di locazione antecedenti all’entrata in vigore della legge sull’equo canone o a rapporti pervenuti a scadenza successiva alla prima.

L’ordinanza di questa Corte 2.11.2011 n. 22711 ha poi, enunciato il seguente principio di diritto:

In difetto di valida eccezione di inopponibilità del contratto di locazione abitativo anteriore al pignoramento, ai sensi dell’art. 2923, terzo comma, cod. civ., l’aggiudicatario è tenuto a riconoscerlo fino alla prima scadenza contrattuale successiva, alla quale però non si opera – in difetto di autorizzazione del giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 560 cod. proc. civ. – alcuna rinnovazione; e spetta all’aggiudicatario, da tale scadenza e fino all’effettivo rilascio, in mancanza di valide allegazioni sulla sussistenza di un danno maggiore, una somma pari al canone“.

Con il che il Collegio riteneva di aderire alla prevalente giurisprudenza, ritenendo inconferente il “diverso caso della rinnovazione automatica alla prima scadenza”, esaminato da Cass. 7.5.2009 n. 10498 “, solo in apparenza contrario.

3. L’esame della questione.

L’art. 560, secondo comma, c.p.c. prevede il divieto, per il debitore e per il terzo nominato custode, di dare in locazione l’immobile pignorato in difetto dell’autorizzazione da parte del giudice dell’esecuzione.

Ai sensi dell’art. 676, terzo comma, cod. proc. civ., la locazione di un bene sottoposto a sequestro giudiziario necessita, egualmente, dell’autorizzazione del giudice.

In forza dell’art. 104-bis L. Fall., analoga disciplina vige nel fallimento per le locazioni di immobili compresi nella massa attiva, che il curatore non può stipulare senza autorizzazione del giudice delegato.

L’art. 2923 c.c., infine, dispone che le locazioni consentite da chi ha subito l’espropriazione sono opponibili all’acquirente se hanno data certa anteriore al pignoramento, salvo che, trattandosi di beni mobili, l’acquirente ne abbia conseguito il possesso in buona fede; le locazioni immobiliari eccedenti i nove anni, che non sono state trascritte anteriormente al pignoramento, non sono opponibili all’acquirente, se non nei limiti di un novennio dall’inizio della locazione; in ogni caso, l’acquirente non è tenuto a rispettare la locazione qualora il prezzo convenuto sia inferiore di un terzo al giusto prezzo o a quello risultante da precedenti locazioni; se la locazione non ha data certa, ma la detenzione del conduttore è anteriore al pignoramento della cosa locata, l’acquirente non è tenuto a rispettare la locazione che per la durata corrispondente a quella stabilita per le locazioni a tempo indeterminato; se nel contratto di locazione è convenuto che esso possa risolversi in caso di alienazione, l’acquirente può intimare licenza al conduttore secondo le disposizioni dell’articolo 1603 c.c..

La giurisprudenza ha, al riguardo, chiarito che le due previsioni dell’art. 2923, primo comma, c.c. e dell’art. 560, secondo comma, c.p.c. operano in rapporto di reciproca esclusione, perché la prima riguarda le locazioni risalenti a data certa anteriore al pignoramento (o alla sentenza dichiarativa di fallimento), mentre la seconda è, per definizione, relativa a locazioni poste in essere dopo l’instaurazione del processo esecutivo individuale o concorsuale.

In sostanza, la disciplina sostanziale dell’opponibilità della locazione viene esclusivamente dettata dall’art. 2923 c.c., mentre l’art. 560 c.p.c. si riferisce, piuttosto, ad una modalità di esercizio della custodia del bene, ma a fini soltanto processuali e, quindi con effetti limitati, anche temporalmente, al processo esecutivo.

L’art. 2923 c.c., quindi, si riferisce alle “locazioni consentite da chi ha subito l’espropriazione”, vale a dire concluse dal debitore esecutato (o dal fallito) in quanto tale, e risolve il problema di natura sostanziale dell’opponibilità di tali locazioni all’acquirente in base al criterio dell’anteriorità rispetto al pignoramento (o al fallimento).

Nell’art. 560, secondo comma, c.p.c, invece, la figura del debitore è rilevante perché quest’ultimo è investito della funzione di custodia ed, in questo più ristretto ambito, s’inquadra il tema, di natura processuale, relativo alla gestione del bene nel processo esecutivo.

La locazione conclusa dal custode o dal curatore del fallimento, destinata a non superare i limiti temporali propri della procedura e ad esaurirsi, pertanto, con la vendita forzata, è, per la sua peculiare natura, sottratta ai vincoli di durata posti dalla legge n. 431/1998 e dalla legge n. 392/1978.

Inoltre, la locazione di un bene sottoposto a pignoramento o a sequestro giudiziario, conclusa senza premunirsi dell’autorizzazione del giudice, a norma dell’art. 560, secondo comma, c.p.c., non è invalida, ma soltanto inopponibile ai creditori e all’assegnatario (Cass. 14.7.2009 n. 16375; Cass. 13.7.1999 n. 7422; Cass. 10.10.1994 n. 8267).

Diversamente, il sistema di norme imperative in tema di durata e di rinnovazione delle locazioni amplia i suoi effetti fino a ricomprendervi anche l’acquirente in executivis, quando si tratti di locazione avente data certa anteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento (o al pignoramento);

e ciò perché l’acquirente subentra in tutte le componenti convenzionali e legali che costituiscono il contenuto del rapporto locativo (S.U. 20.1.1994 n. 459; Cass. 28.9.2010 n. 20341; v. anche Cass. 15.3.1990 n.2119).

Corollario di quanto si è fin qui detto è che la rinnovazione tacita della locazione abitativa o commerciale dell’immobile pignorato, alle scadenze successive alla prima, debba essere autorizzata dal giudice, per effetto dell’art. 560, secondo comma, c.p.c..

Il rinnovo tacito non alla prima scadenza è conseguenza di una nuova manifestazione negoziale proveniente dal locatore e dal conduttore.

Ne deriva che, qualora il pignoramento sopravvenga prima della scadenza del termine (di sei, dodici o diciotto mesi, ex artt. 2 e 5, L. n. 431/1998 e 28, L. n. 392/1978) per dare disdetta, ed il giudice dell’esecuzione non autorizzi il custode a rinnovare la locazione, il conduttore rimane privo di valido titolo di detenzione del bene, senza che il custode stesso debba comunicare alcuna disdetta; e ciò, perché l’estinzione del rapporto si produce ex se in sintonia con la funzione pubblicistica dell’amministrazione dei beni pignorati.

La questione controversa è se identica conclusione – vale a dire sussistenza di una nuova manifestazione negoziale, e conseguente necessità di autorizzazione del giudice dell’esecuzione -sia predicabile quando la rinnovazione tacita della locazione abitativa o commerciale intervenga alla prima scadenza, per non ricorrere alcuno dei motivi tassativi che la legge reputa meritevoli al sopravvenire del primo quadriennio, sessennio o novennio di rapporto.

4. Rinnovazione alla prima scadenza e nuovo contratto.

Ragioni di priorità logica e di coerenza argomentativa inducono a prendere l’abbrivo dall’esame della norma dell’art. 1597 c.c., secondo la quale si verifica la rinnovazione tacita della locazione nell’ipotesi in cui il conduttore rimane ed è lasciato, pur dopo la scadenza del termine contrattuale o legale, nella detenzione della cosa locata.

Secondo un’interpretazione condivisa, il semplice fatto della permanenza del conduttore nell’immobile, però, non vale a realizzare la fattispecie della rinnovazione, essendo necessario un concorde comportamento di entrambe le parti, dal quale desumere la loro implicita, ma inequivoca, volontà di mantenere in vita il rapporto locativo (da ultimo Cass. ord. 23.6.2011 n. 13886).

Nell’ipotesi di rinnovazione tacita del contratto di locazione, sempre ai sensi dell’art. 1597 c.c., la nuova locazione è regolata dalle stesse condizioni della precedente, ma la sua durata è quella stabilita per le locazioni a tempo indeterminato; ciò, in virtù del rinvio all’art. 1574 c.c..

La rinnovazione si differenzia, poi, dalla novazione della locazione, che presuppone il mutamento dell’oggetto o del titolo della prestazione, a norma dell’art. 1230 c.c., e deve essere connotata dall’inequivoca manifestazione dell’intento novativo delle parti, nonché dal loro comune interesse all’effetto estintivo e costitutivo.

Animus e causa novandi sono requisiti, ovviamente, estranei alla rinnovazione tacita della locazione, la quale si concreta nella conclusione di un nuovo contratto, e non nella semplice proroga di quello originario, mentre le sole garanzie prestate da terzi non si estendono alle obbligazioni derivanti dal contratto rinnovato (art. 1598 c.c.).

Il sistema differisce con riferimento alle locazioni di immobili nei quali siano esercitate le attività indicate nel primo e secondo comma dell’art. 27, L. n. 392/1978, o che siano adibiti ad uso abitativo.

In questi casi, si applica l’istituto speciale della rinnovazione dettato dall’art. 28, L. n. 392/1978, e dall’art. 2, L. n. 431/1998, secondo cui il contratto si rinnova tacitamente di sei anni in sei anni (o di nove anni in nove anni per le locazioni di immobili adibiti ad attività alberghiere e assimilate ai sensi dell’art. 1786 c.c.), ovvero per un periodo di quattro anni. La rinnovazione è impedita dalla disdetta del locatore, da comunicarsi al conduttore almeno sei, dodici o diciotto mesi prima della scadenza.

Aggiunge testualmente il secondo comma dell’art. 28: Alla prima scadenza contrattuale, rispettivamente di sei o di nove anni, il locatore può esercitare la facoltà di diniego della rinnovazione soltanto per i motivi di cui all’art. 29 con le modalità e i termini ivi previsti. Analogamente, l’art. 3, L. n. 431/1998 dispone: Alla prima scadenza dei contratti stipulati ai sensi del comma 1 dell’articolo 2 e alla prima scadenza dei contratti stipulati ai sensi del comma 3 del medesimo articolo, il locatore può avvalersi della facoltà di diniego del rinnovo del contratto, dandone comunicazione al conduttore con preavviso di almeno sei mesi, per i seguenti motivi…

Il nodo da sciogliere, in questa prospettiva, è se il rapporto che s’instaura dopo la rinnovazione tacita alla scadenza del sessennio (o novennio) delle locazioni commerciali e dei quattro (o tre) anni delle locazioni abitative dia luogo, quale effetto di quella rinnovazione, ad un nuovo contratto, concluso per facta concludentia, ovvero ad un nuovo titolo negoziale, che, sostituendo il vecchio contratto, provochi la nascita di un nuovo rapporto, per il quale si ripresenti, quindi, l’esigenza di un’autorizzazione del giudice ai sensi dell’art. 560, secondo comma, c.c.. Il punto è oggetto di controverse soluzioni sottolineandosi, peraltro, che in sede giurisprudenziale è stato affermato che, sia la rinnovazione tacita del contratto di locazione, sia la novazione dello stesso, darebbero luogo ad un altro, distinto rapporto.

Con la fondamentale differenza, però, che mentre dalla rinnovazione tacita deriverebbe una locazione, certamente nuova, ma di contenuto identico a quella precedentemente in vigore, diversamente, la novazione darebbe vita ad un rapporto diverso da quello cessato, le cui clausole non potrebbero, perciò, intendersi riportate nel nuovo rapporto se non espressamente richiamate (Cass. 11.6.1983 n.4028).

5. La decisione di questa Suprema Corte.

Va affermato il seguente principio di diritto:

In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, disciplinata dalla legge sull’equo canone, la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza contrattuale, per il mancato esercizio da parte del locatore, della facoltà di diniego della rinnovazione stessa (artt. 28 e 29 della legge 27 luglio 1978, n. 392) costituisce un effetto automatico che scaturisce direttamente dalla legge, e non da una manifestazione di volontà negoziale. Ne consegue che, in caso di pignoramento dell’immobile e di successivo fallimento del locatore, tale rinnovazione non necessita dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, prevista dal secondo comma dell’art. 560 cod. proc. civ..

Con ciò le Sezioni Unite ritengono che si debba dare continuità al principio affermato da Cass. 7.5.2009 n. 10498.

Queste le ragioni.

La legge sull’equo canone costituisce un microsistema autonomo rispetto al sistema generale sulle locazioni disciplinato dal codice civile e consente l’integrazione delle disposizioni normative di quest’ultimo soltanto quando la materia non sia specificamente disciplinata.

La stessa legge, all’art. 28, prevede che per le locazioni di immobili adibiti alle attività indicate nei commi primo e secondo dell’art. 27 il contratto si rinnova tacitamente… di nove anni in nove anni; tale rinnovazione non ha luogo se sopravviene disdetta… Alla prima scadenza contrattuale… il locatore può esercitare la facoltà di diniego della rinnovazione soltanto per i motivi di cui all’art. 29…”.

Specificando la norma le ipotesi nella stessa ricomprese.

Un tale assetto normativo conduce a considerare la rinnovazione tacita del contratto, alla prima scadenza quale fattispecie speciale ed autonoma rispetto alla rinnovazione tacita del contratto di cui all’art. 1597 c.c., il quale fa riferimento alla fine della locazione per lo spirare del termine di cui al precedente art. 1596 c.c..

Il che comporta che la rinnovazione – nel caso in cui il locatore non si trovi nelle condizioni di cui dell’art. 29, secondo comma, o, comunque, pur ricorrendo, non le comunichi al conduttore -, si configura come mero effetto automatico in assenza di disdetta.

Quindi, il secondo periodo di rapporto locatizio, sulla base della disciplina prevista dagli artt. 28 e 29 della legge n. 392/1978 – così come nel sistema che riguarda le locazioni abitative, a norma

degli artt. 2 e 3, L. 9 dicembre 1998, n. 431 -, non presuppone, in alcun modo, un successivo contratto.

Esso deriva, non da un implicito accordo tra i contraenti, ma dal semplice fatto negativo sopravvenuto della mancanza della disdetta.

Ed il contenuto contrattuale, che disciplina il nuovo periodo di rapporto, non presenta alcun specifico elemento di novità.

Restano, infatti, operanti le clausole del contratto originario, quelle relative alla misura del canone e quelle relative alla durata della locazione, in ogni caso, integrate nel minimo dall’art. 28, L. n. 392/1978 e dall’art. 2, L. n. 431/1998.

Diversamente, nelle ipotesi di successive scadenze contrattuali, rispetto alle quali l’esercizio della disdetta, da parte del locatore, è svincolato da qualsiasi presupposto o condizione.

La conclusione cui si è pervenuti – vale a dire che si è presenza di un effetto automatico ex lege – esclude l’applicabilità dell’art. 560 c.p.c..

E ciò perché la norma in questione, vietando al debitore ed al terzo custode di dare in locazione l’immobile pignorato se non sono autorizzati dal giudice delegato” fa esplicitamente riferimento ad un atto negoziale di volontà che, nella specie, non ricorre.

Vanno anche sottolineati ulteriori profili che giustificano, nell’ipotesi in esame, l’inapplicabilità dell’art. 560, secondo comma c.p.c..

Il custode, a fronte del rinnovo ex art. 28, L. n. 392/1978, per l’assoluta tipicità dei motivi legittimanti il diniego, si trova nella posizione di subire il rinnovo automatico, indipendentemente da qualunque autorizzazione ex art. 560 c.p.c..

La speciale disciplina, d’altronde, non è tanto finalizzata a tutelare l’interesse prettamente individuale del conduttore, ponendosi, viceversa, nell’ottica del perseguimento dell’interesse generale dell’economia alla stabilità delle locazioni non abitative.

In tal modo, bypassa l’interesse particolare del conduttore alla continuazione del rapporto locatizio, andando ad incidere su interessi generali di rilevanza sociale e produttiva.

In questa ottica, l’autorizzazione da parte del giudice di cui all’art. 560, secondo comma, c.p.c. è finalizzata ed è in funzione del processo esecutivo, al fine di garantire il buon andamento della procedura, al cui interno si pone la questione della gestione del bene pignorato.

La necessità dell’autorizzazione da parte del giudice dell’esecuzione è, quindi, funzionale all’esercizio della custodia, da parte del soggetto investito di un tale potere processuale che, diversamente, non può locare il bene.

E, sotto questo profilo, ben si coglie la natura dei poteri del giudice che, nell’ambito della procedura che dirige, opera scelte discrezionali in ordine alle modalità di custodia del bene.

Ed in questo ambito, rientra anche l’opportunità di dare in locazione il bene.

Quel che si vuoi dire è che l’autorizzazione del giudice è necessitata quando si tratti di adottare le misure più vantaggiose relative alla gestione temporanea del bene all’interno della procedura esecutiva.

Ma una tale autorizzazione è superflua quando la rinnovazione tacita della locazione ad uso diverso da quello di abitazione alla prima scadenza, di cui agli artt. 28 e 29, L. n. 392/1978, derivi direttamente dalla legge, la quale rende irrilevante la disdetta del locatore, se non giustificata dal ricorrere delle cause specificamente indicate dall’art. 29, quali motivi legittimi di diniego della rinnovazione.

Da ultimo, merita ricordare che la ricostruzione in termini di effetto legale è avallata anche dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 24.7.2007 n. 16321; v. anche cass. 10.6.2005 n. 12323) in tema di contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, conclusi dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali in qualità di conduttori, ai sensi dell’art. 42 L. 27.7.1978 n. 392.

È stata, infatti, affermata l’applicabilità della disciplina dettata dagli artt. 28 e 29 in tema di rinnovazione, che accorda al conduttore una tutela privilegiata in termini di durata del rapporto.

Ribadendo che, a differenza dell’ipotesi regolata dall’art. 1597 c.c., la protrazione del rapporto alla sua prima scadenza, in base alle norme della legge n. 392 del 1978, non costituisce l’effetto di una tacita manifestazione di volontà – successiva alla stipulazione del contratto, e che la legge presume in virtù di un comportamento concludente e, quindi, incompatibile con il principio secondo il quale la volontà della P.A. deve essere necessariamente manifestata in forma scritta -, ma deriva direttamente dalla legge.

Con la conseguente irrilevanza della disdetta, da parte del locatore, quando la stessa non sia basata su una delle giuste cause specificamente indicate dalla legge, quali motivi legittimi di diniego della rinnovazione.

3. L’esame del ricorso.

Alla luce dei principii enunciati va, ora, esaminato il ricorso per cassazione.

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge. Violazione degli artt. 27 e ss. L. 392/1978 nonché dell’art. 560 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.

Contesta l’erroneità della sentenza impugnata, per avere ritenuto necessaria, ai sensi dell’art. 560, secondo comma c.p.c, l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, per il rinnovo del contratto di locazione, applicandosi, invece, nella specie, la norma dell’art. 28 L. n.392 del 1978 per le locazioni ad uso diverso da quello di abitazione, che afferma che il contratto si rinnova automaticamente alla prima scadenza.

Il motivo è fondato per le ragioni che seguono.

La Corte di merito, dopo avere accertato che il contratto di locazione fra la proprietaria dell’immobile e la PRO.CEN.CO srl era stato concluso il 10.5.1996 e che, quindi, la prima scadenza era intervenuta in data 9.5.2002, ha affermato che, essendo intervenuto il pignoramento dello stesso immobile in data 8.4.2002, fosse necessaria l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 560, comma 2, c.p.c, per il rinnovo del contratto.

Ne ha tratto la conseguenza che la PRO GENIA srl, pur subentrata alla PRO.CEN.CO srl nel contratto di sublocazione con la G. & G. srl, non avesse la qualità di locatore – custode, e, quindi, difettasse di legittimazione attiva ad intimare lo sfratto per morosità.

Ma, sulla base dei principi enunciati, la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza, ai sensi degli artt. 27 e 28 L. n. 392 del 1978, per il mancato esercizio, da parte del locatore, della facoltà di diniego della rinnovazione stessa, costituisce un effetto automatico, scaturente direttamente dalla legge, e non da una manifestazione di volontà negoziale.

Ne deriva che l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, come previsto dall’art. 560, comma 2, c.p.c., in questo caso, non era necessaria.

Corollario di quanto affermato è che l’attuale ricorrente era legittimata attiva ad intimare lo sfratto per morosità alla G.& G. srl..

E ciò perché il contratto di locazione concluso il 10.5.1996, si era rinnovato automaticamente alla prima scadenza del 9.5.2002.

Non è, quindi, pertinente il richiamo, contenuto nella sentenza impugnata, al precedente di questa Corte – Cass. 14.7.2009 n. 16375 (pag. 7 della sentenza) – riguardando, questo, il diverso caso in cui ad agire per il pagamento dei canoni di una locazione di un bene pignorato, conclusa senza autorizzazione del giudice dell’esecuzione, era il locatore, proprietario esecutato, in proprio, e non quale custode.

In questo caso, correttamente, la Corte di legittimità ha ritenuto l’attore privo di legittimazione sostanziale e processuale, per appartenere la relativa azione al locatore- custode, e non al locatore proprietario esecutato in proprio.

Diversamente, nella specie, era il sublocatore, estraneo alla procedura esecutiva, a promuovere il giudizio di sfratto per morosità nei confronti del subconduttore, per il mancato pagamento dei canoni relativi al contratto di sublocazione.

Con il secondo motivo si denuncia violazione di legge. Decisione del giudice su eccezione nuova. Art. 360 n. 4 e 5 cpc.. Artt. 112, 115 e 116 c.p.c..

Contesta la ricorrente che l’eccezione di difetto di legittimazione passiva della srl G. & G..

Service, sollevata soltanto nel giudizio di appello, sulla base di documentazione anch’essa prodotta solo in tale giudizio, sia stata presa in esame – in violazione degli artt. 345 e 437 c.p.c. – conducendo la Corte di merito a riformare, sul punto, la sentenza di primo grado che – peraltro – quella questione non aveva neppure esaminata, per non essere stata, in quel giudizio, proposta.

Il motivo è fondato.

Con l’atto di appello la G. & G. srl ha introdotto un’eccezione – quella del suo difetto di legittimazione passiva – che presuppone un accertamento dei fatti; in particolare, quello della posizione di conduttrice a seguito della cessione del contratto ai sensi dell’art. 36 L. n. 392 del 1978, precluso in sede di impugnazione.

L’eccezione avrebbe dovuto essere disattesa dalla Corte di merito per ragioni di rito, le quali -per essere relative a questione rilevabile d’ufficio, che non ha formato oggetto di decisione nei gradi di merito e che, quindi, non è coperta da alcuna preclusione da giudicato interno – devono essere rilevate in questa sede.

La G.& G. srl – come risulta dalla sentenza impugnata – con il terzo motivo di appello ha contestato al primo giudice di non avere affermato il suo difetto di legittimazione passiva in ordine all’intimazione di sfratto “poiché, essendo stata liberata dalle proprie obbligazioni [a seguito di cessione di ramo d’azienda da parte della G. & G. alla srl Gruppo Pandoc che era succeduta anche nel contratto di locazione, dapprima con la Pro.Cen.Co srl, e, quindi, con la Pro. Genia srl, subentrata a quest’ultima, e che non aveva comunicato il subentro ed i relativi acquisti, né alla G.& G. Service srl, né alla srl Gruppo Pandoc], non poteva essere considerata morosa nel pagamento dei canoni, che, per costante giurisprudenza, fanno carico all’ultimo cessionario con esclusione della sua condanna al detto pagamento anche perché non deteneva più l’immobile”.

Ora, questa deduzione, con il motivo di appello, si è concretata nella contestazione della legittimazione passiva in senso sostanziale, per l’introduzione nel processo di un fatto impeditivo della stessa – la mancata qualità di conduttrice a seguito della cessione di ramo di azienda e del relativo contratto di locazione -, in tal modo contestando la legittimazione passiva sotto un profilo nuovo, che era rimasto estraneo al giudizio di primo grado.

Peraltro, il difetto di legittimazione passiva, non solo non era stata contestato in primo grado, ma la stessa intimata, avendo sostenuto – come risulta dagli atti difensivi – di non avere versato i canoni di locazione ritenendoli oggetto di pignoramento, aveva implicitamente riconosciuto la propria legittimazione passiva.

Tale prospettazione, per quanto attiene alla deduzione di un fatto impeditivo della legittimazione passiva sostanziale, si è concretata nella introduzione, nel processo d’appello, di un’eccezione di merito nuova, in violazione dell’art. 437, secondo comma, c.p.c., che, nel rito del lavoro e, quindi, anche in quello locatizio, in forza del richiamo di cui all’art. 447 bis c.p.c., esclude la proponibilità di nuove eccezioni in appello.

Nello stesso tempo, la sostanziale, connessa contestazione della mancanza della qualità di conduttrice, si è concretata, sia pure subordinatamente alla introduzione della nuova eccezione, nello svolgimento di un’attività di contestazione dei fatti rilevanti per la decisione (e particolarmente – come detto – del fatto della insussistenza della posizione di conduttrice per effetto della successione nel contratto locativo ai sensi dell’art. 36 L. n. 392 del 1978) del tutto nuova, in evidente violazione del sistema delle preclusioni anche del potere di contestazione scaturente dagli artt. 415, 416 e 420, primo comma, c.p.c. (v. anche Cass. 13.3.2012 n. 3974; Cass. 9.3.2012 n. 3727; Cass. 3.7.2008 n. 1802).

Ora, la Corte di merito avrebbe dovuto d’ufficio rilevare la novità dell’eccezione e l’inammissibilità della contestazione e, quindi, non avrebbe dovuto esaminare, nel merito, la questione, dovendosi limitare a dichiarare l’inammissibilità del motivo di appello (v. anche Cass. 29.9.2005 n. 19170).

L’errore in cui è incorso il giudice di appello deve essere rilevato d’ufficio in questa sede, poiché la violazione del divieto dello ius novorum in appello, previsto, nel rito del lavoro, dall’art. 437 c.p.c., è rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità (Cass. 28.7.2005 n. 15810; Cass. 2.4.1999 n. 3190; Cass. 17.12.1997 n. 12764; Cass. 18.9.1995 n. 9874).

Ciò perché le preclusioni sono relative a materia non disponibile dalle parti, e diretta a garantire l’ordinato svolgimento del servizio giustizia; alla cui logica, peraltro, è ormai ispirato lo stesso rito ordinario (v. anche Cass. 28.7.2005 n. 15810).

Con il terzo motivo si denuncia violazione di legge. Difetto di motivazione. Art. 360 n. 3 e n. 5 cpc. Art. 115 e 116 cpc. Art. 1455 c.c..

Contesta la ricorrente che la Corte di merito abbia considerato che i canoni di sublocazione dovuti dalla G. & G. Service srl alla Pro.Genia srl dovessero essere considerati frutti civili dei beni pignorati senza darne alcuna motivazione; e ciò “nonostante che il Giudice di primo grado avesse chiarito, nella motivazione della sentenza, che il rapporto tra il subconduttore G. & G. Service S.r.l. ed il sublocatore PRO GENIA S.r.l. fosse del tutto estraneo alle vicende del pignoramento”.

Il motivo è fondato.

Sono dati che emergono dalla sentenza impugnata i seguenti.

La proprietaria dell’immobile in esame concluse con la PRO.CEN.CO srl, in data 10.5.1996, un contratto di locazione ad uso diverso da quello abitativo.

Successivamente, alla data della prima scadenza del 9.5.2002 [data in cui il contratto si era rinnovato per le ragioni esposte con l’esame del primo motivo], la PRO.CEN.CO srl cedette il contratto di locazione alla PRO GENIA srl.

Sulla base del contratto di locazione, la PRO.CEN.CO srl era tenuta a corrispondere i canoni di locazione al proprietario.

Con il pignoramento, il proprietario era stato nominato custode ed, in tale veste, aveva l’obbligo di incassare i canoni, dapprima dovuti dalla PRO.CEN.CO srl e, poi, dalla PRO GENIA srl.

Tale canone di locazione costituiva, sotto il profilo civilistico, i frutti del pignoramento.

Ma, con il pignoramento, nulla aveva a che vedere il canone che la subconduttrice G.& G. Service srl doveva versare alla sublocatrice PRO GENIA srl.

Costoro, infatti, erano soggetti estranei alla procedura esecutiva, sottoposti ai soli obblighi derivanti dal negozio giuridico fra gli stessi concluso.

Alla PRO GENIA srl incombeva l’onere di pagare all’avente diritto – sulla base del contratto di locazione concluso con il proprietario – il suo canone di locazione.

Alla G. & G. Service srl incombeva l’obbligo di pagare il canone di sublocazione in favore della PRO GENIA srl.

E, sulla base del mancato pagamento di tali ultimi canoni, la PRO GENIA srl ha intimato lo sfratto per morosità, chiedendo la risoluzione del contratto di sublocazione.

Erroneamente, la Corte di merito ha, quindi, ritenuto – senza, peraltro, neppure motivare sul punto – che i canoni rappresentassero i frutti del pignoramento, essendo, invece, la procedura esecutiva estranea, e terza, rispetto a tale assetto contrattuale.

 

Il sublocatore ha, quindi, agito, nei confronti del subconduttore sulla base di un proprio ed autonomo titolo contrattuale.

E, sotto questo profilo, nessuna utilità presenta il richiamo all’art. 2912 c.c. – in base al quale il pignoramento si estende anche ai frutti della cosa rappresentati, nella specie, dai canoni di locazione quali frutti civili dell’ immobile – operato dalla Corte di merito, al fine di affermarne l’inesigibilità da parte della Pro Genia srl, per la mancata prova della sua qualità di custode dell’immobile pignorato.

Come già visto, una tale prova era ultronea, perché l’attuale ricorrente fondava la sua richiesta di pagamento dei canoni sul contratto di sublocazione concluso con la G.& G. srl, estraneo alla procedura esecutiva; come tale soggetto alle sue specifiche pattuizioni.

Con il quarto motivo si denuncia violazione di legge. Decisione del giudice ultra petita. Art. 360 n. 4 e 5 cpc. Artt. 112, 115 e 116 c.p.c..

La ricorrente contesta l’erroneità della decisione, per avere pronunciato su di un punto non oggetto del giudizio che aveva avuto, fin dal primo grado, ad oggetto la risoluzione del contratto di sublocazione e non il pagamento dei canoni, “oggetto di diverso procedimento, ormai definito”.

Anche in questo caso, il motivo è fondato.

Non risulta dagli atti – che possono essere esaminati direttamente, in questa sede, per essere denunciato un vizio del procedimento, ai sensi degli artt. 112 e 360 n. 4 c.p.c. (v. anche S.U. 22.5.2012 n. 8077) – che la domanda di pagamento dei canoni sia mai stata formulata dall’odierna ricorrente nel presente giudizio, il cui oggetto era costituito dallo sfratto per morosità e dalla risoluzione del contratto di sublocazione per inadempimento della subconduttrice.

La statuizione di rigetto della “domanda di pagamento dei canoni insoluti”, contenuta nella motivazione della sentenza (pag. 10) e nel dispositivo (pag. 11), costituiscono, pertanto, un’evidente ultrapetizione, per avere la Corte di merito violato il principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato (v. da ultimo Cass. 24.3.2011 n. 6757).

Conclusivamente, il ricorso è accolto.

La sentenza è cassata, e la causa è rinviata alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Le spese sono rimesse al giudice del rinvio.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando a sezioni unite, accoglie il ricorso. Cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

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