Corte di Cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezioni unite

sentenza 15 giugno 2015, n. 12311

Svolgimento del processo

1. II Procuratore Generale della Corte di cassazione ha promosso l’azione disciplinare nei confronti dei dott. G.S., sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Bari; tale azione disciplinare era basata su distinti capi di incolpazione dei quali quello che ancora rileva nel presente giudizio è il seguente: “illecito disciplinare di cui agli artt. 1 e 2, comma 1, lett. a) e g) del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, perché, nell’esercizio delle funzioni di sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari, mancando ai doveri di diligenza e laboriosità e in violazione inescusabile degli artt. 326, 358, 405 e 407 cod. proc. pen., quale assegnatario del procedimento penale n. 3825/09/44, concernente una denuncia contro ignoti presentata in data 20 giugno 2009 da G.T. per il reato di cui all’art. 326 cod. pen. in relazione alla fuga di notizie sugli atti del procedimento penale noto come “processo escort”, ometteva di svolgere qualsivoglia attività di indagine, fatta eccezione per la delega rilasciata in data 1 luglio 2009 al Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Bari, sulla cui (in)attività ometteva ogni controllo. Quindi, senza aver formalizzato alcun sollecito né aver chiesto la proroga del termine delle indagini preliminari, in data 23 giugno 2011 si limitava a chiedere l’archiviazione degli atti, essenzialmente perché: “la G d F non ha mai risposto alla delega”. Tale condotta ha costituito violazione dei doveri di diligenza e laboriosità nonché, per negligenza inescusabile, di specifiche norme processuali e ha cagionato a G. T. un ingiusto danno consistito nell’aver dovuto attendere un tempo ingiustificatamente lungo e nell’aver dovuto presentare un’opposizione all’archiviazione (art. 408 cod. proc. pen.) al Giudice delle indagini preliminari, il quale l’accoglieva con motivata ordinanza di rigetto (della richiesta di archiviazione) e di indagini coatte del 19 dicembre 2011 “.
2. Con sentenza depositata il 10 luglio 2014 la Sezione Disciplinare dei Consiglio Superiore della Magistratura ha assolto il dott. S. dalla suddetta incolpazione (oltre che da altre incolpazioni che non rilevano nel presente giudizio) “per essere rimasti esclusi gli addebiti”. Ad avviso della Sezione Disciplinare doveva innanzi tutto escludersi che l’inerzia dell’incolpato avesse causato un danno al T. che, in particolare, non rivestiva la qualità di parte dei procedimento; tale osservazione era sufficiente ad escludere la ricorrenza dell’illecito di cui alla lettera a) dei comma 1 dell’art. 2 d.lgs. n. 109 dei 2006; con riferimento alla fattispecie di cui alla lettera g) dell’articolo da ultimo citato, pure richiamata nel capo di incolpazione, osservava che nessuna violazione di legge era stata individuata; nel caso di specie l’organo requirente aveva ritenuto che, una volta conferito una specifica delega alla Guardia di Finanza ed aver sollecitato quest’ultima “per via breve” non ci fosse altro da fare che chiedere l’archiviazione dei procedimento. Siffatta valutazione non poteva essere oggetto di sindacato da parte dell’organo disciplinare. E comunque l’archiviazione era stato il risultato ultimo dei procedimento al quale si era pervenuti anche a seguito dell’opposizione dei T. alla richiesta di archiviazione dell’incolpato e all’ordinanza (di indagine coatta) dei GIP. Ciò costituiva una conferma indiretta del fatto che nessuna mancanza di diligenza poteva essere attribuita all’incolpato.
3. Per la cassazione di tale sentenza il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione ha proposto ricorso a queste Sezioni Unite Civili basato su un unico, e complesso, motivo. Il dott. S. ha depositato memoria.

Motivi della decisione

4. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 1, e dell’art. 2, comma 1, lett. g), d.lgs. n. 109 del 2006, nonché vizio di motivazione, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) e e) cod. proc. pen. e al capo C) dell’incolpazione. Il Procuratore Generale ricorrente ha in particolare sottolineato che la violazione di legge si era concretizzata nell’omissione di qualsiasi attività di indagine – ad eccezione della delega rilasciata in data 1 luglio 2009 al Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Bari, non seguita da alcun sollecito né da una richiesta di proroga del termine delle indagini preliminari – seguita dalla richiesta di archiviazione del procedimento in data 23 giugno 2011 motivata con l’affermazione che la Guardia di Finanza non aveva mai risposto alla delega. Ad avviso dei Procuratore Generale, il giudice del merito aveva errato nel ritenere che le norme del cod. proc. pen. prima ricordate non prevedessero specifici obblighi ma descrivessero unicamente tempi e modalità delle indagini con la conseguenza che non era configurabile nella fattispecie alcuna violazione di legge da parte del] ‘incolpato. In sostanza nel ricorso si censura la tesi di fondo affermata dalla Sezione Disciplinare secondo cui il ritardo del pubblico ministero nelle indagini processuali non può integrare, neanche in via astratta, la violazione di legge e l’illecito di cui alla lett. g) d.lgs. n. 109 dei 2006. Nel caso di specie la Sezione Disciplinare, nel negare in radice la configurabilità dell’illecito di cui sopra, ha omesso di valutare la sussistenza in concreto dei requisiti previsti dalla norma; in primo luogo non ha valutato se le violazioni di legge dovessero essere considerati gravi, con riferimento non solo alla rilevanza dell’errore e al peso della violazione nella vicenda giudiziaria sottostante, ma, in particolare, in riferimento al comportamento dell’incolpato ed alla rilevanza di tale comportamento in termini di disvalore deontologico. La sentenza impugnata non ha inoltre esaminato il requisito della inescusabilità, che deve essere riferito tanto alla negligenza quanto alla ignoranza del magistrato, e neanche il requisito della esigibilità della condotta nell’esercizio delle funzioni di magistrato con riferimento ai parametri di imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo, equilibrio e rispetto della dignità della persona. Nel ricorso si contesta, altresì, sotto il profilo del vizio di motivazione, la conclusione circa la insussistenza dell’illecito contestato.
5. II ricorso, che riguarda unicamente l’incolpazione basata sull’assunto della violazione degli artt. 1 e 2, comma 1, lett. g) dei d.lgs. n. 109 del 2006, deve essere respinto.
6. L’art. 1 del citato d.lgs. stabilisce la regola generale secondo cui il magistrato esercita le funzioni attribuitegli con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio e rispetta la dignità della persona nell’esercizio delle funzioni. L’art. 2, che individua le fattispecie di illecito disciplinare del magistrato nell’esercizio delle sue funzioni, stabilisce alla lettera g) che costituisce illecito disciplinare la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile.
7. Dalla chiara formulazione della norma si evince che, per la sussistenza dell’illecito disciplinare in esame, è necessaria la coesistenza di due specifici presupposti: a) la grave violazione di legge; b) l’inescusabile ignoranza o negligenza che abbia determinato la grave violazione di legge. Ove non sussista la (grave) violazione di legge, è irrilevante, per la configurabilità dell’illecito disciplinare in esame, la circostanza di comportamenti del magistrato determinati da ignoranza o negligenza inescusabile.
8. Ciò posto deve premettersi in fatto che l’incolpazione in esame ha ad oggetto l’aver ingiustificatamente ritardato – per negligenza inescusabile e violazione dei doveri di diligenza e laboriosità – le indagini relative ad una denuncia contro ignoti presentata da G.T. per il reato di cui all’art. 326 cod. pen. (rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio). Tale comportamento comporterebbe, secondo il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, una grave violazione degli artt. 326, 358, 405 e 407 cod. proc. pen.
9. La Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha ritenuto, nella sentenza oggetto dei ricorso in esame, che il comportamento contestato al dott. S., all’epoca dei fatti sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari, non integrasse una violazione di legge.
10.Tale statuizione deve ritenersi del tutto corretta e resiste pertanto alle censure di cui al ricorso.
11. Le norme dei processo penale sopra citate, rispetto alle quali è stato fatto riferimento ai fini della sussistenza dell’allegata violazione di legge, non prevedono, infatti, specifici obblighi, ma, come esattamente affermato nella sentenza impugnata, individuano tempi e modalità di svolgimento delle indagini di competenza del pubblico ministero. Le indicazioni ivi contenute sono riconducibili ad uno spazio di apprezzamento del magistrato sottratto alla valutazione del giudice disciplinare. Ciò appare evidente dalla formulazione degli artt. 326 cod. proc. pen. che si limita a fissare le finalità delle indagini preliminari, e 358 cod. proc. pen. a norma del quale il pubblico ministero “compie ogni attività necessaria ai fini indicati nell’articolo 326 e svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini”. Per quanto riguarda gli altri due articoli citati nel capo di incolpazione – che disciplinano, rispettivamente, l’inizio dell’azione penale, le sue forme e i relativi termini (artt. 405), nonché i termini di durata massima delle indagini preliminari (art. 407) – deve osservarsi che la contestazione di cui al capo di incolpazione in esame non riguarda alcuna violazione dei termini indicati dalle norme citate.
12. Nel ricorso si deduce che la contestata inerzia nello svolgimento dell’attività di indagine dimostrerebbe anche la violazione dei doveri di diligenza e laboriosità di cui all’art. 1 d.lgs. n. 109 dei 2006. Ad avviso dei Collegio, tuttavia, tale violazione non sussiste atteso che, da un lato, non è configurabile, per le ragioni sopra indicate, alcuna violazione di specifiche norme processuali, e, dall’altro, il comportamento contestato rientra nell’ambito di apprezzamento riservato al magistrato inquirente il quale, nel rispetto dei termini, ha prima affidato le indagini al competente nucleo di polizia giudiziaria e poi ha chiesto l’archiviazione degli atti. La condotta oggetto di contestazione è quella di aver omesso ogni controllo sull’attività della polizia giudiziaria e di non aver formalizzato alcun sollecito nei suoi confronti come pure quella di non aver chiesto alcuna proroga dei termine delle indagini preliminari; tale condotta non appare idonea ad integrare la fattispecie della violazione disciplinare contestata in quanto essa, in mancanza di obblighi specifici previsti dalla legge processuale, deve ritenersi compresa nell’ambito della valutazione discrezionale riservata al magistrato inquirente.
13. In relazione alle conclusioni sopra riportate devono considerarsi superate le ulteriori argomentazioni di cui al ricorso concernenti la possibilità di concorso fra gli illeciti di cui alla lett. a) e lett. g) dell’art. 2 d.lgs. n. 109 dei 2006, come pure quelle concernenti la mancata valutazione, da parte della Sezione disciplinare del CSM, della gravità e della inescusabilità della violazione di legge. Né sussiste alcuna violazione dei principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.), atteso che il pubblico ministero si era attivato tempestivamente affidando le indagini alla Guardia di Finanza. Non ricorrono, inoltre, gli estremi del vizio di motivazione atteso che non appare privo di logica il ragionamento, peraltro sviluppato solo ad adiuvandum, come si desume dal testo della stessa sentenza impugnata, secondo cui il fatto che il procedimento era comunque sfociato in un provvedimento di archiviazione, anche dopo l’opposizione del T. alla richiesta di archiviazione da parte del pubblico ministero, dimostrava la sostanziale correttezza della condotta dell’incolpato.
14. II ricorso deve essere in definitiva rigettato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

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