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5. I primi due motivi di ricorso – da trattare insieme data la loro intima connessione – non sono da accogliere, per le ragioni di seguito esposte.
6. Va ricordato, in primo luogo, che questa Corte – esaminando la specifica questione della portata e della estensione della previsione dell’articolo 434 c.p.c., nel testo introdotto dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, conv. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 – ha affermato che “la norma, in coerenza con il paradigma generale contestualmente introdotto nell’articolo 342 c.p.c., non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma, in ossequio ad una logica di razionalizzazione delle ragioni dell’impugnazione, impone al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente, sotto il profilo della latitudine devolutiva, il quantum appellatum e di circoscrivere l’ambito del giudizio di gravame, con riferimento non solo agli specifici capi della sentenza del Tribunale, ma anche ai passaggi argomentativi che li sorreggono”. Ha aggiunto la Corte che “sotto il profilo qualitativo, le argomentazioni che vengono formulate devono proporre le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo Giudice ed esplicitare in che senso tali ragioni siano idonee a determinare le modifiche della statuizione censurata chieste dalla parte” (vedi: Cass. 5 febbraio 2015, n. 2143 richiamata da Cass. 16 luglio 2015, n. 14903).
Nella citata pronuncia e’ stato anche rilevato “che, con il motivo di ricorso con il quale si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’articolo 434 c.p.c., si denuncia un vizio che attiene alla corretta applicazione delle norme da cui e’ disciplinato il processo che ha condotto alla decisione dei giudici di merito, vizio che e’ pertanto ricompreso nella previsione dell’articolo 360 c.p.c., n. 4”.
Pertanto, come accade in tutti i casi in cui il vizio della sentenza impugnata discende direttamente dal modo in cui il processo si e’ svolto, ossia dai fatti processuali che quel vizio possono aver procurato, trova applicazione il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte secondo il quale, in caso di denuncia di errores in procedendo del giudice di merito, la Corte di cassazione e’ anche giudice del fatto, inteso come fatto processuale (vedi, fra le tante: Cass. n. 24481 del 2014, Cass. n. 14098 del 2009; Cass. n. 11039 del 2006; Cass. n. 15859 del 2002; Cass. n. 6526 del 2002).
Ove i vizi del processo si sostanzino nel compimento di un’attivita’ deviante rispetto alla regola processuale rigorosamente prescritta dal legislatore, cosi’ come avviene nel caso in cui si tratti di stabilire se sia stato o meno rispettato il modello legale di introduzione del giudizio, con sentenza di queste Sezioni Unite 22 maggio 2012, n. 8077, e’ stato precisato che il giudice di legittimita’ non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicita’ della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma e’ investito del potere-dovere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda.
7. L’applicazione di tali principi al caso di specie va fatta tenendo conto del consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte secondo cui il principio del giusto processo, come introdotto dal novellato articolo 111 Cost., comma 1, impone di discostarsi da interpretazioni ispirate ad un formalismo rigoristico, che risulti funzionale non gia’ alla tutela dell’interesse della parte ma piuttosto a frustrare lo scopo stesso del processo, che e’ quello di consentire che si pervenga ad una decisione di merito (vedi, per tutte: Cass. 1 agosto 2013, n. 18410; Cass. 18 luglio 2011, n. 15721; Cass. 11 febbraio 2009, n. 3362).
Deve altresi’ considerarsi che e’ jus receptum che il vizio di omessa pronuncia e’ configurabile esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, sicche’ non e’ ipotizzabile con riguardo al mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale (vedi, per tutte: Cass. 12 gennaio 2016, n. 321) e non lo e’ neppure con riguardo a questioni rilevabili d’ufficio (quale, nella specie, inammissibilita’ dell’impugnazione) perche’ puo’ riferirsi soltanto a un motivo di appello o una domanda o un’eccezione che solo la parte puo’ proporre e che sia stata proposta o riproposta ritualmente (vedi: Cass. SU 11 gennaio 2008, n. 578; Cass. 6 giugno 2002, n. 8220).
8. Ebbene, dagli atti del processo, risulta in modo chiaro che dopo che l’Universita’ degli Studi di Catania ha dato spontanea esecuzione alla sentenza n. 873/2006 del locale Tribunale, corrispondendo agli attuali ricorrenti non solo le differenze retributive dovute in base al giudicato anche oltre il periodo di tempo coperto dal giudicato stesso (fino al 31 dicembre 2002) ma anche, a regime, il trattamento retributivo pari all’85% di quello corrisposto al ricercatore universitario a tempo definito, adeguato nel tempo Decreto del Presidente della Repubblica n. 382 del 1980, ex articolo 38 – la materia del contendere, in primo grado e in appello, e’ rimasta limitata alla domanda dei lettori di riconoscimento, a decorrere dal 14 gennaio 2004, del trattamento retributivo pari al 100% di quello goduto dal ricercatore universitario a tempo definito, con relativa progressione in forza del Decreto del Presidente della Repubblica n. 382 del 1980, articolo 38 in applicazione dello jus superveniens rappresentato dal Decreto Legge 14 gennaio 2004, n. 2, articolo 1 convertito nella L. 5 marzo 2004, n. 63.
Nel giudizio di appello l’Universita’ ha impugnato la successiva sentenza del Tribunale di Catania n. 2295 del 24 settembre 2013 che ha accolto tale domanda residua, condannando l’Universita’ al pagamento delle relative differenze retributive e al versamento dei corrispondenti contributi previdenziali.
Il thema appellandum era, pertanto, chiaro e ben delimitato e l’ambito del giudizio di gravame era definito in modo non equivoco, con riguardo sia agli specifici capi della sentenza di primo grado contestati sia ai relativi passaggi argomentativi, tanto che gli appellati hanno avuto modo di svolgere appieno le proprie difese, come risulta anche dalla sentenza qui impugnata.
Ne deriva l’insussistenza dei presupposti per la configurabilita’ di una genericita’ dell’atto di appello dell’Universita’, nei termini indicati dalla giurisprudenza di legittimita’ richiamata.
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