Corte_de_cassazione_di_Roma

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 31 marzo 2015, n. 13799

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAOLONI Giacomo – Presidente

Dott. LEO Guglielmo – Consigliere

Dott. CITTERIO Carlo – rel. Consigliere

Dott. VILLONI Orlando – Consigliere

Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

P.C.R. (OMISSIS) S.P.A.;

nei confronti di:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

inoltre:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 3688/2011 CORTE APPELLO di CATANIA, del 29/11/2013;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/01/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. CARLO CITTERIO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. E. Selvaggi, che ha concluso per rigetto ricorso (OMISSIS) e ACR al giudice civile competente per valore per ric. (OMISSIS);

Udito, per la parte civile, l’Avv. (OMISSIS) si associa con il P.G.;

Udito il difensore Avv. (OMISSIS) per il Min. Giustizia per il rigetto di entrambi i ricorsi.

CONSIDERATO IN FATTO

1. (OMISSIS), gia’ dirigente Unep presso la sezione distaccata di (OMISSIS) del Tribunale di Catania, era imputata per vari reati di peculato continuato (per essersi appropriata di titoli di credito ed effetti cambiari consegnatile per il protesto, di somme riscosse presso il locale ufficio postale a titolo di emolumenti di alcuni dipendenti, di somme trattenute su altri stipendi corrispondenti all’irpef da versare, di diritti su atti propri dell’ufficio, di somme da restituire agli utenti), nonche’ di truffa aggravata e falso (con la formazione di falsi modelli di pagamento per spese postali mai sostenute, incassati), condotte in atto fino a gennaio e febbraio 2008.

In primo grado l’imputata e’ stata condannata dal Tribunale di Catania il 20.5.2011 alla pena di sette anni e quattro mesi di reclusione, con le pertinenti sanzioni accessorie, nonche’ al risarcimento dei danni in favore del solo Ministero della giustizia: La Corte d’appello di Catania, confermando la precedente deliberazione, le ha altresi’ applicato la pena accessoria ex articolo 32-quinquies c.p. e l’ha condannata anche al risarcimento del danno in favore della parte civile (OMISSIS) spa, con liquidazione rimessa al Giudice civile e rifusione delle spese di difesa sostenute nel grado. I Giudici d’appello hanno invece confermato la reiezione della domanda risarcitoria proposta dalla parte civile (OMISSIS) nei confronti del Ministero della Giustizia.

2. Due i ricorsi.

2.1 L’imputata a mezzo del difensore enuncia sette motivi:

– 1. Violazione degli articoli 190 e 495 c.p.p., articoli 24 e 111 Cost., perche’ il Tribunale avrebbe chiuso l’istruttoria senza sentire i testi a discarico e senza alcun provvedimento di revoca;

– 2. Violazione degli articoli 468 e 507 c.p.p., articoli 24 e 111 Cost., in relazione alle modalita’ con cui il Tribunale avrebbe proceduto all’ammissione di testi ex articolo 507 c.p.p., subito dopo l’esame dei testi d’accusa e pur a fronte di dati emergenti dalle ispezioni ministeriali e quindi gia’ noti alla parte pubblica;

– 3. Violazione di legge per la mancata assunzione di prove orali decisive e per mancata riapertura del dibattimento in appello per assunzione di perizia contabile, perche’ i testi indicati dalla difesa avrebbero potuto fornire una diversa lettura dei fatti, coerente alle prospettazioni difensive, mentre le dichiarazioni dell’ispettore (OMISSIS) avrebbero dato conto di un’attivita’ svolta senza alcun contraddittorio con l’interessata e la perizia sarebbe stata necessaria nell’insufficienza del quadro documentale invece valorizzato dalla Corte etnea;

– 4. Violazione di legge per nullita’ assoluta dell’udienza del 20.11.2013, sussistendo il legittimo impedimento dell’imputato per una “ricaduta importante” della malattia cronica recidivante del figlio pur maggiorenne;

– 5. Violazione di legge e vizi della motivazione in relazione alla valutazione delle prove per tutti i capi di imputazione;

– 6. “insufficienza” della motivazione sul trattamento sanzionatorio;

– 7. Carenza di motivazione in relazione al risarcimento dei danni in favore della parte civile Ministero della Giustizia, perche’ la “superficialita’” dell’esame svolto dagli ispettori ministeriali non ne avrebbe consentito l’invece intervenuta liquidazione definitiva, anche per la mancata esecuzione della richiesta perizia contabile.

2.2 La parte civile (OMISSIS) spa enuncia tre motivi:

– 1. mancanza di motivazione in ordine alla non liquidazione anche delle spese di difesa sostenute nel primo grado;

– 2. mancanza di motivazione in relazione alla richiesta di integrale risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale del responsabile civile Ministero della Giustizia in solido con l’imputata: il solo assunto della Corte catanese sul punto, secondo cui la (OMISSIS) avrebbe agito per finalita’ di carattere personale in contrasto con quelle pubbliche della propria funzione, sarebbe assertivo, per il mancato confronto con la tesi della parte privata in ordine al rilievo da dare alla mancata vigilanza degli organi interni all’amministrazione in relazione alle modalita’ di adempimento di condotte istituzionali, accertata indiscutibilmente dall’esito delle ispezioni e causalmente determinante, in violazione di obblighi specifici e non di un generico onere di vigilanza quanto alle procedure afferenti i protesti; il ricorso richiama sul punto le puntuali argomentazioni gia’ svolte nei motivi d’appello (in particolare p. 13) lamentando l’assenza di alcuna risposta della Corte etnea;

– 3. assenza di motivazione in ordine alla mancata prova dell’entita’ del danno subito dalla parte civile come premessa per la richiesta e negata provvisionale, in relazione alle deposizioni dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS) sul punto ed alle ignorate argomentazioni svolte nei motivi d’appello (p. 10 ss.).

2.2.1 La Parte civile ha prodotto successiva memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso dell’imputata deve essere dichiarato inammissibile. Conseguente e’ la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000, equa al caso, in favore della cassa delle ammende.

Il primo ed il secondo motivo sono al tempo stesso nuovi (le questioni non risultando specificamente poste nei motivi d’appello: v. anche p. 2 sent. app.) e generici (essendo dedotti in termini del tutto assertivi, anche in ordine alla loro specifica rilevanza determinante, tenuto conto delle concrete motivazioni dei due Giudici del merito sul punto delle singole responsabilita’ per i vari reati ascritti).

Il terzo motivo e’ inammissibile perche’ al tempo stesso generico (in quanto non si confronta con la specifica risposta della Corte distrettuale, p. 9-11) e diverso da quelli consentiti (risolvendosi in sollecitazione a diverso apprezzamento di merito).

Il quarto motivo e’ generico: a fronte di specifica motivazione della Corte d’appello sul punto, la ricorrente non ne evidenzia vizi logici intrinseci proponendo precluse censure di merito.

Il quinto motivo e’ generico e diverso da quelli consentiti: in definitiva la ricorrente propone censure di merito alle argomentazioni della sentenza di primo grado sui diversi capi di imputazione.

Il sesto motivo e’ diverso da quelli consentiti (l'”insufficienza” non rientrando tra i tassativi vizi per i quali solo e’ permesso il ricorso, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera E).

Il settimo motivo e’ generico (come del resto il corrispondente originario motivo d’appello, come evidenziato nella motivazione di secondo grado) e si risolve in assertive censure di merito, a fronte di motivazione specifica della Corte etnea (P-12).

4. Quanto al ricorso della parte civile (OMISSIS) s.p.a., il primo motivo e’ fondato: in effetti la Corte d’appello accogliendo parzialmente la sua impugnazione ha provveduto alla liquidazione delle spese di difesa per il solo secondo grado, non pure, come doveroso, per quelle del primo. Sul punto si impone annullamento con rinvio nei termini di cui al dispositivo.

5. Anche il secondo motivo e’ fondato, nei limiti che seguono.

La Corte etnea ha respinto la richiesta di condanna del responsabile civile Ministero della Giustizia richiamando il recente insegnamento di questa Corte, secondo cui “in tema di responsabilita’ della Pubblica amministrazione per fatto illecito del dipendente non e’ sufficiente la sola contestualita’ tra condotta criminosa e lo svolgimento delle mansioni affidate… Perche’ resti integro il rapporto organico fonte della diretta responsabilita’ della Pubblica amministrazione occorre altresi’, indefettibilmente, che il comportamento del reo possa dirsi in linea con le finalita’ proprie dell’Ente. La responsabilita’ dell’ente deve in coerenza ritenersi sussistente la dove il comportamento nocivo del dipendente – ancorche’ deviato per violazione di norme regolamentari o per eccesso di potere – risulti finalizzato al raggiungimento dei fini istituzionali, rimanendo in tal senso insensibile il rapporto organico all’azione illecita con il conseguente coerente coinvolgimento dell’ente nell’obbligo risarcitorio in presenza di una preesistente immedesimazione. Se, invece, l’illecito si concreta nel perseguimento di finalita’ personali dell’agente, di fatto sostituite a quelle della Pubblica Amministrazione e in contrasto con queste ultime, viene meno il rapporto di immedesimazione organica e quest’ultima rimarra’ esente da ogni responsabilita’ civile” (Sez.6 sent. 26285/13).

La Corte di merito ha altresi’ precisato che anche a voler considerare eventuali comportamenti negligenti (per omesso controllo) di altri soggetti appartenenti alla Pubblica amministrazione, una tale responsabilita’ non sarebbe rilevante nel presente processo perche’ “se sussistente, riguarderebbe comunque altre condotte ed altri soggetti, e non la condotta della (OMISSIS)”, condotta che “stante l’orientamento sopra richiamato esclude a priori per cio’ solo la responsabilita’ civile del Ministero della Giustizia”.

5.1 Proprio questa conclusione della Corte di merito segnala i limiti intrinseci dell’orientamento giurisprudenziale cui la stessa ha dichiarato di aderire e che, nei termini assoluti fatti propri dalla Corte etnea, non puo’ essere condiviso. A ben vedere, infatti, poiche’ nessuno scopo o interesse di dolosa violazione di legge, e tantomeno di dolosa commissione di reati che tale tipologia di elemento soggettivo pretendono, potrebbe mai essere, per definizione, riconducibile a finalita’ istituzionale propria della Pubblica amministrazione, questa non dovrebbe (o addirittura potrebbe) mai rispondere dei danni che un proprio appartenente abbia cagionato dolosamente, pur quando abbia agito in un contesto in cui proprio e solo l’adempimento di una mansione pubblica gli abbia permesso di perseguire il proprio intento, ancorche’ personale. Una tale conclusione, nella sua assolutezza, si manifesterebbe contraria alla disciplina costituzionale dell’articolo 28 che da un lato prevede la diretta responsabilita’ di dipendenti e funzionari dello Stato e degli enti pubblici secondo anche le leggi penali, dall’altro prevede la responsabilita’ civile dello Stato e degli enti pubblici “in tali casi”, e quindi senza distinzione tra inosservanza di leggi civili o penali.

5.2 L’esame della giurisprudenza di questa Corte, sia nella sua composizione penale che in quella civile, non pare francamente indicare una risposta che sia dal punto di vista sistematico appagante, e comunque chiara. E cio’ perche’ i concetti di rapporto di immedesimazione organica e di nesso di causalita’ necessaria tra condotta causativa del danno e funzione esercitate dal dipendente si rinvengono a volte utilizzati in alternativa (nel senso che si da rilievo all’uno ma non si parla dell’altro), altre volte richiamati (specialmente il secondo) per dare soluzioni diverse a casistiche apparentemente omogenee. In particolare, si insegna che il “nesso di occasionalita’ necessaria” sussiste tutte le volte che il pubblico dipendente non abbia agito come semplice privato per fini esclusivamente personali o egoistici e del tutto estranei all’Amministrazione, ma abbia tenuto una condotta ricollegabile anche solo indirettamente alle attribuzioni proprie dell’agente (per tutte, Sez. 3 civ. sent. 8306/11 e 29727/11).

Anche la relazione tra i principi posti dall’articolo 28 Cost., articoli 2043 e 2049 cod. civ., quando si discute di responsabilita’ civile della Pubblica Amministrazione per condotta penalmente rilevante di un proprio appartenente, trova a volte spiegazioni e applicazioni di non immediata esaustivita’.

In definitiva il quesito cui rispondere e’ se in un contesto nel quale l’appartenente alla Pubblica Amministrazione approfitta dell’occasione dello svolgimento di una funzione pubblica (che, ecco il punto, costituisce la ragione del contatto con soggetti estranei che altrimenti non avrebbero ragione di entrare in contatto con lui) per tenere una condotta che danneggia i soggetti entrati in contatto con la Pubblica Amministrazione, anche quando tale condotta abbia rilevanza penale e costituisca violazione dei doveri propri risultando in realta’ volta a perseguire interessi solo personali, la Pubblica Amministrazione risponda del danno cagionato ai soggetti estranei, ai sensi degli articoli 2043 e 2049 cod. civ.: cio’, in applicazione del principio posto dall’articolo 28 Cost..

5.3 L’esame dei casi concreti, occasione dell’affermazione del principio di diritto della Cassazione civile, segnala che in realta’ a volte anche il comportamento doloso e volto al beneficio personale e non, neppure in senso lato ed indiretto, dell’Amministrazione e’ stato considerato fonte di responsabilita’ di quest’ultima: Sez. 3 civ. sent. 15930/2002 ha affermato sussistere la responsabilita’ della P.A. in un caso nel quale un sottufficiale dell’esercito, avvalendosi della sua qualita’ di comandante di un distaccamento militare, aveva indotto talune imprese a consegnargli assegni circolari intestati all’Amministrazione – dei cui importi si era appropriato negoziando i titoli in banca – con la falsa prospettazione della opportunita’, per tali imprese, di ottenere appalti per l’esecuzione di operi edili nella sede del distaccamento. Anche Sez. 1 sent. 3612/1979 ha ritenuto sussistere la responsabilita’ della P.A. in un caso di “delittuosa appropriazione di somme” perpetrata da un funzionario attraverso negoziazione di assegno postale poi risultato sprovvisto di fondi, allo scopo di occultare precedente ammanco.

Cio’ che risulta evidente e’ che in tali due casi certamente vi e’ una netta cesura tra volonta’ ed interesse dell’Amministrazione e condotta e finalita’ perseguita dal dipendente.

5.4 Nella giurisprudenza penale di legittimita’, recenti sentenze hanno consapevolmente affermato la sussistenza di responsabilita’ civile della P.A. in casi nei quali si era in presenza di un nesso di occasionalita’ necessaria, perche’ la condotta illecita era stata resa possibile proprio in ragione esclusiva del contesto di adempimento di una specifica mansione pubblica, ancorche’ certamente l’intento perseguito in nessun modo poteva essere ricondotto a finalita’ istituzionale pubblica.

Vanno in proposito richiamate, tra le sentenze oggetto di espressa massimazione, Sez. 3 sentenze n. 33562/03 e 40613/2013. La prima riguarda il caso di abusi sessuali in danno di minori posti in essere da un’insegnante di scuola materna. La seconda riguarda fatti di violenza sessuale consumati da un agente di polizia giudiziaria in danno di persona la cui custodia nelle camere di sicurezza gli era stata affidata.

E’ interessante evidenziare due specifici profili delle motivazioni, cui anche la massimazione da rilievo: nel primo caso la Corte ha evidenziato che la condotta non aveva assunto i caratteri dell’assoluta imprevedibilita’ ed eterogeneita’ rispetto ai compiti istituzionali (i fatti erano stati commessi sotto pretesto di finalita’ attinenti alla sfera dell’igiene sessuale); nel secondo e’ stato dato peculiare rilievo al fatto che la condotta illecita era stata compiuta sfruttando comunque i compiti svolti (ancorche’, ovviamente, l’azione fosse andata del tutto al di la’ delle incombenze attribuite e delle finalita’ per le quali quelle incombenze erano state attribuite).

Va poi richiamata anche Sez. 1 sent. 21195/2011, che ha affermato sussistere la responsabilita’ civile del Ministero della Difesa nel caso di un omicidio volontario commesso sulla terraferma in danno di un cittadino straniero. Nella motivazione la Corte in definitiva ripercorre il ragionamento logico-giuridico dei Giudici del merito, che aveva richiamato l’applicabilita’ dell’articolo 2049 c.c. anche alla P.A., e ne afferma la piena condivisione.

5.5 Nel nostro caso l’imputata, per la porzione di condotte che interessano la parte civile (OMISSIS) spa, ha ricevuto assegni bancari e cambiali per il protesto esclusivamente in relazione alla funzione che svolgeva e che, di fatto, in qualche modo obbligava il soggetto estraneo interessato al protesto ad entrare in contatto con lei, con l’aspettativa di uno svolgimento delle conseguenti incombenze necessarie coerente alle disposizioni di legge. L’impossessamento di titoli e cambiali e’ stato percio’ possibile solo a seguito della funzione esercitata, che ha costituito la premessa in fatto e giuridica della loro ricezione (Legge n. 349 del 1973, articolo 1).

Che lo sviamento del dipendente dai propri doveri funzionali, in un contesto di maneggio di valori e denaro, non possa essere considerato evenienza “di assoluta imprevedibilita’ ed eterogeneita’” puo’ evincersi, sul piano logico, proprio dall’espressa previsione di un sistema di controlli dell’operato del funzionario pubblico, caratterizzato dalla brevita’ e dalla sistematicita’ del loro intervallo (Legge n. 349 del 1973, articolo 11; Decreto del Presidente della Repubblica n. 1229 del 1959, articoli articolo 59 ss., articoli 116 ss.).

5.6 Cio’ premesso, giudica questa Corte che vada affermato il principio di diritto che sussiste la potenziale responsabilita’ civile della Pubblica Amministrazione per le condotte di propri dipendenti che, sfruttando l’adempimento di funzioni pubbliche ad essi espressamente attribuite, ed in esclusiva ragione di un tale adempimento che quindi costituisce l’occasione necessaria e strutturale del contatto, tengano condotte, anche di rilevanza penale e pur volte a perseguire finalita’ esclusivamente personali, che cagionino danni a terzi, ogniqualvolta le condotte che cagionano danno risultino non imprevedibile ed eterogeneo sviluppo di un non corretto esercizio di tali funzioni. La conclusione si impone in ragione dell’assenza di alcuna ragione di ordine costituzionale per escludere la responsabilita’ della Pubblica Amministrazione (cui in definitiva compete la selezione e l’organizzazione delle persone che in concreto svolgono le sue proprie funzioni) per i danni che il non corretto, ma tuttavia non assolutamente imprevedibile ed eterogeneo, esercizio della funzione cagioni a terzi coinvolti nell’esercizio della funzione. Anzi, come e’ stato osservato, il senso dell’introduzione del principio di responsabilita’ della Pubblica Amministrazione per fatto dei propri dipendenti con l’articolo 28 Cost. e’ nella direzione esattamente contraria: piu’ che la mancanza di un principio negativo, vi e’ l’affermazione espressa di un principio positivo.

La traduzione in concreto di tale obbligo, e l’individuazione dei corrispondenti limiti, puo’ trovare soddisfacente soluzione nell’applicazione dell’articolo 2049 cod. civ. e nella pertinente elaborazione giurisprudenziale, tenendo ovviamente conto della disciplina positiva (quanto ad attribuzione di funzioni, limiti, controlli) posta da norme ordinarie e regolamentari (esprimenti la diretta volonta’ del Legislatore e dell’Esecutivo per i diversi settori di intervento e azione della Pubblica Amministrazione). Ne’ il cosiddetto rapporto di immedesimazione organica puo’ costituire un limite a qualsiasi responsabilita’ dell’Amministrazione per fatti compiuti approfittando dello svolgimento della funzione pubblica: quale che sia la ricostruzione teorica privilegiata, ed in particolare qualora si attribuisca l’efficacia della limitazione intrinseca all’immedesimazione ai soli casi di responsabilita’ diretta ex articolo 2043 cod. civ., non vi e’ appunto ragione di non affermare potenzialmente sussistente, nei limiti detti, anche, del tutto indipendente dalla prima e dai presupposti della sua configurabilita’, la responsabilita’ indiretta ex articolo 2049 cod. civ..

Si impone pertanto sul punto l’annullamento con rinvio al Giudice civile che, alla luce dei principi che precedono e delle risultanze istruttorie, valutera’ la sussistenza o meno nel caso concreto delle condizioni per affermare sussistente la responsabilita’ civile della Pubblica Amministrazione, individuare l’eventuale danno subito dalla parte civile, e nel caso di conclusione positiva di tali due primi punti, quantificarlo.

6. Il terzo motivo e’ inammissibile, risolvendosi in censura di merito alla decisione della Corte del merito di assegnare o meno una provvisionale, di natura discrezionale (per tutte Sez. 6 sent. 50746/2014; Sez. 5 sent. 32899/2011).

P.Q.M.

In accoglimento del ricorso della parte civile (OMISSIS) spa annulla la sentenza impugnata e rinvia al Giudice civile competente per valore in grado di appello per nuovo giudizio sui punti della liquidazione delle spese di difesa per il primo grado di giudizio e dell’eventuale responsabilita’ del responsabile civile Ministero della Giustizia. Riserva al Giudice del rinvio anche il provvedimento sulle spese di difesa di questo giudizio di legittimita’. Dichiara inammissibile il ricorso dell’imputata che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.

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