Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 30 novembre 2015, n. 47302

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROTUNDO Vincenzo – Presidente

Dott. MOGINI Stefano – Consigliere

Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere

Dott. BASSI Alessandra – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI REGGIO CALABRIA;

nei confronti di:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

inoltre:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 373/2015 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO CALABRIA, del 18/05/2015;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LAURA SCALIA;

lette/sentite le conclusioni del PG Dott. Orsi Luigi “Annullamento con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria, in accoglimento del ricorso del P.M.; rigetto del ricorso dello (OMISSIS)”.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 17 giugno 2015, il Tribunale di Reggio Calabria -Direzione Distrettuale Antimafia, in parziale accoglimento dell’istanza di riesame proposta da (OMISSIS), ed in riforma dell’ordinanza pronunciata dal Giudice per le indagini preliminari presso il medesimo Tribunale in data 2 marzo 2015, ha sostituito nei confronti del predetto indagato la misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, con prescrizioni.

Il Tribunale del Riesame ha in tal modo confermato a carico dello (OMISSIS) l’esistenza di un grave quadro indiziario di colpevolezza e di una cornice cautelare, quanto al contestatogli reato di procurata inosservanza di pena (articolo 390 cod. pen.), per condotte che, poste in essere dal primo, in concorso, anche all’estero, con altri soggetti, tra i quali (OMISSIS) e (OMISSIS), sono state ritenute esecutive di un medesimo disegno criminoso (articolo 6 c.p., comma 2, articolo 81 c.p., comma 2, articolo 110 c.p., articolo 390 c.p., comma 1, articolo 61 c.p., n. 2; esclusa l’aggravante di cui alla Legge n. 203 del 1991, articolo 7).

1.1. La misura custodiale e’ stata applicata nell’ambito di articolate indagini avviate dalla D.D.A. di Reggio Calabria a carico dello (OMISSIS), in concorso con altri soggetti, per aver il primo prestato aiuto ad (OMISSIS) a sottrarsi all’esecuzione dell’ordine di carcerazione disposto, in data 6 giugno 2013, dalla Procura Generale presso la Corte d’Appello di Reggio Calabria, su sentenza irrevocabile emessa il 18 luglio 2012 dalla Corte di Assise di appello di Reggio Calabria.

La Corte di Assise di appello aveva infatti condannato il (OMISSIS) alla pena di cinque anni di reclusione ed alla misura di sicurezza della liberta’ vigilata di un anno, per il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa.

Si imputano all’indagato condotte finalizzate a preservare, in un progetto di fusione “inversa” di societa’ controllanti e controllate di cui il soggetto aiutato era socio occulto, le capacita’ economiche ed imprenditoriali del (OMISSIS) – in grado, a sua volta, di fornire un determinante e consapevole apporto causale alla “ndrangheta reggina, per sfruttamento del rilevantissimo ruolo imprenditoriale e politico rivestito – ed a costituire le riserve necessarie al mantenimento della latitanza del (OMISSIS) stesso ed alla realizzazione del pianificato trasferimento di quest’ultimo dall’Emirato di Dubai alla Repubblica del Libano, giusta riconoscimento del “diritto di asilo”.

1.2. Lo schema indiziario, definito dagli esiti di un complesso di intercettazioni telefoniche, avrebbe visto lo (OMISSIS) spendersi presso un importante uomo politico libanese, (OMISSIS), – di cui l’indagato aveva sposato la nipote – che avrebbe dovuto garantire il trasferimento del (OMISSIS) dall’Emirato di Dubai alla Repubblica Libanese.

1.3. Le esigenze cautelari sono poi state motivate nell’ordinanza di riesame, in adesione alle valutazioni condotte dal Giudice dell’ordinanza genetica, per gli indici del pericolo d’inquinamento probatorio, di fuga e di reiterazione di analoghe condotte delittuose, rispettivamente:

dalla propensione dell’indagato a veicolare attraverso i “media” informazioni in grado di alterare gli esiti dell’attivita’ investigativa;

dalla condizione residenziale estera dello (OMISSIS) che, mantenendo la propria residenza in Libano, avrebbe reso piu’ agevole, per se’, la possibilita’ di sottrarsi all’esecuzione della misura in Italia;

dalle osservate modalita’ della condotta, di assoluta di incondizionata disponibilita’ ad attuare il disegno criminoso di spostamento del (OMISSIS) e dalla non comune capacita’ di utilizzo, a tal fine, delle proprie relazioni nel campo della politica internazionale;

dal coinvolgimento dell’indagato nella “vicenda (OMISSIS)” che, presentando identiche finalita’ e modalita’ di svolgimento, avrebbe segnalato il carattere non occasionale dell’intervento speso dallo (OMISSIS) in favore del (OMISSIS).

2. Avverso l’indicato provvedimento propongono ricorso per cassazione i difensori di (OMISSIS) ed il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, Direzione Distrettuale Antimafia, affidando i proposti mezzi a motivi che, di seguito, sinteticamente si riportano.

2.1. Con il primo articolato motivo, i difensori dello (OMISSIS) lamentano vizi dell’ordinanza per omissione della motivazione nonche’ per erronea applicazione della legge penale (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) e b)).

Lamentano i ricorrenti che il Tribunale del Riesame non avrebbe valutato, a fronte delle deduzioni difensive, cosi’ incorrendo in vizio del provvedimento per omessa od apparente motivazione, come il ritenuto quadro indiziario di colpevolezza si esaurisse negli esiti di intercettazioni telefoniche espressive, quanto allo (OMISSIS), di un mero impegno inconcludente e come tali non sussumibili nel paradigma normativo di cui all’articolo 390 cod. pen..

Cio’ sarebbe valso, per gli episodi:

a) dell’incontro, anche via Skype, promesso e poi mai intervenuto, tra lo (OMISSIS) e l’avvocato (OMISSIS), persona di assoluta fiducia che avrebbe ricevuto delega dal Ministro della giustizia libanese per occuparsi dell’affare (OMISSIS);

b) della missiva, che, contestata peraltro dalla difesa quanto a sua paternita’, attribuita al Presidente libico, (OMISSIS), ed inviata via fax dallo (OMISSIS) alla segreteria di (OMISSIS), non avrebbe avuto alcuno sviluppo fattivo nella vicenda o, ancora, alcun riferimento nel corso dei contatti tra l’indagato e l’importante uomo politico libanese.

Individua poi la difesa profili di illogicita’ dell’adottata decisione laddove i Giudici del Riesame avrebbero ricondotto: l’indicata inconcludenza della missiva, alle cautele osservate dal Presidente (OMISSIS) per evitare di essere coinvolto nella vicenda;l’utilizzo, per l’inoltro del fax, di utenza telefonica in uso ad esercizio commerciale sito nei pressi dell’ abitazione dello (OMISSIS), ad un esercizio di cautela da parte dell’indagato.

2.2. Con il secondo motivo, fa difesa dell’indagato lamenta vizi del provvedimento da omessa motivazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e)) laddove la gravata ordinanza non si sarebbe fatta carico di esaminare la configurabilita’, nella condotta attribuita all’indagato, di un mero accordo con (OMISSIS), non punibile ai sensi dell’articolo 115 c.p., comma 1.

2.3. Con il terzo motivo, i difensori dello (OMISSIS) fanno valere vizi da violazione di legge nonche’ da apparente ed illogica motivazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e)), nella parte in cui il provvedimento impugnato avrebbe valutato le esigenze cautelari:

a) valorizzando, quanto al ravvisato pericolo di inquinamento probatorio, la propensione dell’indagato a veicolare, attraverso il ricorso ai “media”, informazioni in grado di alterare gli esiti dell’attivita’ investigativa, non spiegando, cosi’, i Giudici del Riesame, se non per una motivazione apparente, in che modo potesse compromettere la genuinita’ delle fonti di prova il fatto che lo (OMISSIS) avesse fornito una propria versione dei fatti alla stampa;

b) attribuendo rilievo, quanto alla configurabilita’ del pericolo di fuga, al post-fatto rappresentato dalla volontaria sottrazione da parte dell’indagato – che si sarebbe trattenuto presso la propria residenza estera – all’esecuzione della misura cautelare circostanza che, come tale, avrebbe dovuto, al piu’, comportare un aggravamento della misura e non costituire, se non ipotizzandone una illogica retroattivita’, il fondamento della misura stessa;

c) evidenziando quanto ai requisiti, introdotti dalla novella n. 47 del 2015, di concretezza, attualita’ e rilevanza del pericolo di reiterazione criminosa, l’esclusiva gravita’ del fatto per cui si procede, senza verificare il ricorso di ulteriori elementi, comunque non individuabili nel presunto coinvolgimento dell’indagato nella “vicenda (OMISSIS)”, antecedente ai fatti di specie ed oggetto di informativa di P.G. redatta in distinto procedimento, all’interno del quale la difesa non aveva avuto notizia di iscrizione a carico dello (OMISSIS) ed in cui la difesa stessa non aveva potuto esercitare alcun vaglio critico.

3. Con atto depositato in data 24 giugno 2015, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Reggio Calabria, Direzione Distrettuale Antimafia, ha proposto distinto ricorso avverso la medesima ordinanza nella parte in cui questa ha sostituito, in parziale accoglimento dell’istanza di riesame, l’originaria misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari.

L’Ufficio del pubblico Ministero introduce un unico articolato motivo di ricorso, con cui denuncia inosservanza o comunque erronea applicazione della legge penale e carenza e manifesta illogicita’ della motivazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c)), nella parte in cui la gravata ordinanza avrebbe fatto cattivo governo dei principi di adeguatezza e proporzionalita’ gia’ ritenuti nella misura genetica.

Lamenta infatti il ricorrente come il Tribunale della Liberta’ di Reggio Calabria avrebbe introdotto un’ inammissibile interpretazione dell’istituto di cui all’articolo 275 c.p.p., comma 2-bis, secondo periodo, in favore di soggetto latitante, stabilmente dimorante all’estero, e che si sottrae volontariamente all’esecuzione del titolo custodiale.

Richiamando giurisprudenza della Suprema Corte, il ricorrente deduce l’inammissibilita’ della valutazione operata dal Tribunale del Riesame in favore di una misura meno afflittiva:

a) ai sensi dell’articolo 275, comma 2-bis, secondo periodo, cit., trattandosi di valutazione effettuata in una fase del giudizio successiva rispetto a quella di prima applicazione ed in cui, come tale, verrebbero in considerazione stime di merito sull'”adeguatezza” della misura, previste dall’articolo 299 c.p.p., non coperte, come tali, dall’automatismo richiamato dall’articolo 275, comma 2-bis, cit., destinato invece a valere solo nella fase di prima applicazione della misura;

b) ai sensi dell’articolo 275 c.p.p., comma 2-bis, terzo periodo, ultima parte, nella dedotta sostanziale equiparazione, tra stato di latitanza dell’indagato – espressivo della mancanza di volonta’ del primo di far rientro spontaneo in Italia – e giudizio di inidoneita’ del domicilio presso il quale disporre la misura custodiale meno afflittiva, giudizio preclusivo, per espressa previsione di legge, di ogni prognosi diretta a contenere la pena detentiva da irrogarsi come non superiore ai tre anni e, quindi, di ogni derivata non applicabilita’ della misura custodiale inframuraria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo, la difesa dell’indagato denuncia per vizio di motivazione e violazione di legge, l’ordinanza del Tribunale del Riesame nel sussumere, con motivazione carente per omesso vaglio delle relative doglianze, la piattaforma indiziaria ritenuta come integrata a carico dello (OMISSIS) nella fattispecie normativa della “Procurata inosservanza di pena” (articolo 390 cod. pen.).

Deduce la difesa dell’indagato come gli esiti degli accertamenti svolti, e quindi, per lo piu’, i contenuti delle intercettazioni telefoniche captate sull’utenza dello (OMISSIS), denuncino null’altro che l’impegno profuso dall’indagato per consentire il trasferimento del (OMISSIS) dall’Emirato di Dubai alla Repubblica del Libano.

Difetterebbe cosi’ della struttura del contestato reato l’integrazione di un aiuto rilevante e punibile ai sensi dell’articolo 390 cod. pen. e, quindi, l’idoneita’ della condotta concretamente tenuta dal prevenuto ad aiutare l’onorevole (OMISSIS) a sottrarsi all’esecuzione della pena irrogata nei suoi confronti.

Non vi sarebbe, in particolare, alcun riscontro di un concreto intervento nell’articolata vicenda del Presidente (OMISSIS), unico soggetto in grado di agevolare il trasferimento del (OMISSIS) in Libano.

1.1. Il motivo e’ infondato nella sua duplice riportata declinazione della carenza di motivazione e della violazione di legge.

1.2. Appaiono infatti sorrette da logica e congruita’ le motivazioni spese nell’ordinanza oggetto di ricorso sulla “concludenza” dell’aiuto prestato dallo (OMISSIS) al (OMISSIS) nel programmato trasferimento di quest’ultimo da Dubai alla Repubblica libanese.

Le contestazioni portate dalla difesa al difetto di “concludenza”, che avrebbe avuto l’apporto dell’indagato (OMISSIS), con riguardo:

a) sia alla circostanza del promesso incontro tra (OMISSIS) – coindagato, protagonista della vicenda articolatasi intorno al trasferimento dell’onorevole (OMISSIS) – e l’avvocato (OMISSIS), indicato dallo (OMISSIS) come destinatario di delega del Ministro della giustizia libanese a trattare l'”affare (OMISSIS)”;

b) sia alla vicenda dell’inoltro via fax della lettera di rassicurazioni ed impegno indirizzata dal Presidente (OMISSIS) allo (OMISSIS);

non valgono ad individuare omissioni o contraddizioni della motivazione.

I Giudici del Riesame, secondo ragionamento corretto in punto di logica, e come tale non censurabile in questa sede, sottraggono rilievo al mancato incontro dello (OMISSIS) con l’avvocato (OMISSIS), leggendo il dato insieme alla sopravvenuta vicenda della missiva e, quindi, del subentrato contatto diretto, nel frattempo curato dallo (OMISSIS), tra lo (OMISSIS) ed il Presidente (OMISSIS).

Quanto poi alla vicenda della lettera del Presidente libanese – i cui contenuti erano diretti a rassicurare lo (OMISSIS) sugli esiti della vicenda (OMISSIS) in territorio libanese – l’inconcludenza della stessa, dedotta dalla difesa per la contestata leggibilita’ della firma e l’espressa “perplessita’” sulla paternita’, risultano, nella loro genericita’, assorbite dalle congrue considerazioni svolte dal Tribunale.

In sede di riesame, il Tribunale riscontra esistenza e provenienza della missiva dalle dichiarazioni rese dai coindagati (OMISSIS), (OMISSIS) e ancora in ragione degli esiti delle perquisizioni disposte, all’esito dell’arresto di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nel cui contesto la lettera venne rinvenuta.

Sorretta da piena ragionevolezza, l’ordinanza di riesame, contrasta poi validamente in punto di logica l’inidoneita’, dedotta ancora dalla difesa, della missiva alla realizzazione del trasferimento.

La mancanza evidenziata dai ricorrenti di ogni sicurezza quanto al prescelto mezzo di inoltro della lettera (via fax dallo (OMISSIS)) e di menzione alcuna della missiva nei contatti telefonici captati tra lo (OMISSIS) ed il Presidente (OMISSIS), rinviene nella motivazione del Riesame ragionevole riconduzione ad una situazione di voluta cautela – da individuarsi, rileva congruamente il Tribunale, nel carattere non diretto dell’iniziativa e, quindi, nel silenzio seguito alla stessa – dettata, nell’indicato contesto, dalla delicata e rilevante posizione dell’uomo politico libanese.

1.3. Ogni ulteriore contestazione portata in ricorso alla concludenza dell’aiuto prestato dallo (OMISSIS) (varrebbe in tal senso quanto evidenziato dalla difesa sui dubbi espressi, nel corso di una conversazione telefonica captata, dallo (OMISSIS) in ordine alla buona fede dello (OMISSIS)) resta poi assorbita, nel proprio rilievo, dalla stessa costruzione della fattispecie di reato ascritta.

Per quest’ultimo profilo viene in considerazione l’ulteriore sindacato condotto dalla difesa dell’indagato, in ragione del raccolto quadro indiziario, quanto all’integrazione stessa del reato contestato.

Costituisce giurisprudenza costante di questa Corte l’affermazione per la quale, la condotta dell’agente nel delitto di procurata inosservanza di pena (articolo 390 cod. pen.) “concorre con il condannato e deve tradursi in un aiuto idoneo a conseguire l’effetto di sottrarre taluno all’esecuzione della pena” (Sez. 6, n. 33424 del 22/05/2009, Ferraro e altro; Sez. 2, n. 3613 del 20/12/2005, Corradino; Sez. 6, n. 9936 del 15/01/2003, Pipitone).

L’idoneita’, richiamata nel riportato principio, dell’aiuto ad eludere in modo specifico l’esecuzione della pena va apprezzata in ragione di un giudizio da condursi “ex ante”, giudizio non influenzato, quindi, come tale, dagli esiti che siano poi in concreto derivati dall’aiuto medesimo.

Il riferimento, invero, contenuto nella giurisprudenza di questa Corte al carattere “specifico” e “diretto” che l’aiuto deve rivestire per integrare l’elemento obiettivo del reato di procurata inosservanza di pena (articolo 390 cod. pen.) vale a sostenere l’indicata conclusione.

Il reato e’ stato infatti escluso da questa Corte laddove l’agente non svolga “alcuna specifica attivita’ di copertura del latitante” (Sez. 6, n. 9936, cit.), risultando, in tal modo, la condotta dal primo osservata, connotata da diversa o equivoca direzione, non in grado di attuare, come tale, un oggettivo collegamento “sul piano causale, con l’interesse del soggetto aiutato a sottrarsi all’esecuzione della pena” (Sez. 6, n. 27722 del 05/03/2013, Mormina ed altro).

L’operata confluenza del dato obiettivo costituito dalla condotta osservata dall’agente con l’elemento, di natura soggettiva, rappresentato dall’interesse del soggetto aiutato a sottrarsi all’esecuzione della pena, vale ad evidenziare come la fattispecie criminosa rimanga integrata nel rispetto della struttura propria dei reati di pericolo.

Il reato di procurata inosservanza di pena si consuma quindi, prima ancora che si registri della condotta di aiuto quel riscontro fattuale rappresentato dalla procurata inosservanza della pena, secondo quella che e’ la struttura propria dei reati di evento.

Nell’indicata cornice di struttura, potranno piuttosto aversi esiti intermedi della condotta dell’agente, destinati, come tali, a saggiare dell’aiuto congruenza ed idoneita’.

Il Tribunale ha dato applicazione all’indicato principio ed ha ritenuto integrato il reato contestato, valorizzando le condotte di aiuto di cui ha congruamente apprezzato l’idoneita’ a conseguire il risultato della sottrazione all’esecuzione della pena.

Il ricorso e’, pertanto, sul punto, infondato.

2. Il secondo motivo di ricorso e’ del pari infondato e comunque assorbito in ragione dei sopra richiamati principi, diretti a dare governo e contenuto alla struttura stessa del contestato reato.

La struttura di pericolo del reato, di cui da conto il Tribunale con motivazione logica ed immune da censure, consente di qualificare come incongruo ed irrilevante ogni pure dedotto inquadramento dei contatti intercorsi tra lo (OMISSIS) e (OMISSIS), contatti diretti ad attuare il trasferimento del (OMISSIS) in Libano, nella figura dell’accordo non punibile di cui all’articolo 115 c.p., comma 1.

3. Il terzo motivo e’ infondato.

Il Tribunale della Liberta’ con motivazione compiuta ed ampiamente sorretta da logica, e come tale non sindacabile in questa sede, ha ritenuto l’esistenza di tutte le esigenze cautelari previste e disciplinate dall’articolo 274 cod. proc. pen., esigenze apprezzate anche in ragione dei requisiti di “concretezza” ed “attualita’” richiamati dalla novella n. 47 del 2015.

Il Tribunale ha dato compiuta risposta ai motivi di riesame in quella sede fatti valere dall’indagato, e riproposti come motivi di ricorso dinanzi a questa Corte, congruamente evidenziando:

a) dei contenuti intercettati, la finalita’ di alterazione degli esiti dell’attivita’ investigativa e non il mero esercizio del diritto di difesa;

b) della condizione residenziale estera dell’indagato, l’integrazione del pericolo di fuga, rispetto al quale il titolo custodiale diviene essenziale strumento di attuazione dell’estradizione in Italia, e non un improprio post-fatto irrilevante, come dedotto dalla difesa;

c) delle modalita’ della condotta, l’integrazione del pericolo di reiterazione criminosa, per richiamo ai rilevanti caratteri, della disponibilita’ dimostrata nella realizzazione del reato, della capacita’ di utilizzo delle importanti relazioni personali, della non occasionalita’, nella non congruita’ del motivo di ricorso rispetto alla specificita’ e puntualita’ degli argomenti addotti dal Tribunale.

Il ricorso proposto da (OMISSIS) va pertanto, conclusivamente, rigettato.

4. Il ricorso proposto dalla Procuratore della Repubblica presso il Tribunale distrettuale di Reggio Calabria avverso il provvedimento emesso in sede di riesame, nella parte in cui il Tribunale ha sostituito l’originaria misura inframuraria con quella degli arresti domiciliari in favore di soggetto latitante, stabilmente dimorante all’estero e che si sottrae volontariamente all’esecuzione del titolo custodiale, e’ fondato nei termini e per le precisazioni che seguono.

4.1. La pubblica Accusa deduce l’illegittimita’ della prognosi svolta dal tribunale del riesame sulla entita’ della pena detentiva irrogata all’esito del giudizio e sul contenimento della stessa nella misura non superiore ai tre anni (articolo 275 c.p.p., comma 2-bis, secondo periodo), in quanto effettuata in una fase del giudizio successiva rispetto a quella di prima applicazione.

La deduzione e’ infondata.

Il principio richiamato dal ricorrente ha invero trovato puntuale affermazione in un recente pronunciamento di questa Corte per il quale, per l’appunto, “in materia di misure cautelari personali, il limite di tre anni di pena detentiva necessario per l’applicazione della custodia in carcere, previsto dall’articolo 275 c.p.p., comma 2 bis, come novellato dal Decreto Legge 26 giugno 2014, n. 92, nel testo anteriore alle modificazioni introdotte dalla legge di conversione 11 agosto 2014, n. 117, deve essere oggetto di valutazione prognostica solo al momento di applicazione della misura” (Sez. Sez. 6, n. 1798 del 16/12/2014, Ila).

Nel medesimo contesto, questa Corte ha ancora avuto modo di precisare che, superata l’indicata fase, e quindi nel corso della protrazione della misura stessa, l’indicato meccanismo non trovi piu’ applicazione, valendo piuttosto il contenimento della pena detentiva irrogata ad assumere “rilievo non in termini di automatismo, ma solo ai fini del giudizio di perdurante adeguatezza del provvedimento coercitivo, a norma dell’articolo 299, cod. proc. pen.” (Sez. n. 1798, cit.).

Tuttavia, erroneamente il ricorrente qualifica la fase del procedimento cautelare in cui e’ intervenuto il giudizio prognostico del Tribunale del riesame – e, per lo stesso, l’operata sostituzione della misura -, quale fase successiva a quella di prima applicazione.

Per il giudizio di riesame si e’ ancora infatti nella fase di prima valutazione della misura, costituendo oggetto del giudizio l’ordinanza genetica ed i profili di fondatezza/infondatezza del quadro indiziario e di recidivanza dall’ordinanza stessa apprezzati.

4.2. Osserva questa Corte come non sia del pari congruo e concludente, l’ulteriore profilo del motivo di ricorso formulato dalla pubblica Accusa, nella parte in cui si argomenta, per lo stesso, dalla sostanziale equiparazione (ai sensi dell’articolo 275 c.p.p., comma 2-bis, terzo periodo, ultima parte) tra stato di latitanza dell’indagato -espressivo della mancanza di volonta’ del primo di far rientro spontaneo in Italia – e giudizio di inidoneita’ del domicilio presso il quale disporre la misura custodiale meno afflittiva.

Le categorie richiamate, operanti su distinti e differenti piani, l’uno soggettivo (cosi’ per la volonta’ del reo di sottrarsi alla pena), e l’altro obiettivo (cosi’ per l’inidoneita’ del domicilio legittimante, come tale, la scelta custodiale piu’ restrittiva), non possono assimilarsi per gli effetti: la diversita’ del dato presupposto appare distonica rispetto alle volute identiche conseguenze.

4.3. Piuttosto, valendo il proposto motivo a denunciare del provvedimento del Tribunale del Riesame profili d’illegittimita’ relativi ad una carenza di motivazione cosi’ grave da tradursi in una violazione della legge, rileva questa Corte come il provvedimento impugnato vada annullato, per le ragioni che seguono.

Il Tribunale della Liberta’, nell’esercizio del potere discrezionale riconosciuto dalla legge al Giudice allorche’ questi sia chiamato ad applicare la pena, anche in via di prognosi e nei limiti di continenza della stessa per il meccanismo riservato al Giudice della cautela (articolo 275 c.p.p., comma 2-bis, secondo periodo), non ha invero osservato i piu’ generali canoni fissati dalla legge (articolo 133 cod. pen.).

La motivazione spesa dai Giudici del Riesame e’ carente invero nella parte in cui attua una prognosi sul trattamento sanzionatorio al fine di escludere che la pena da irrogarsi (per la fattispecie contestata, di cui all’articolo 390 cod. pen.) attinga il limite di cinque anni, previsto dalla cornice edittale.

Il Tribunale del Riesame argomenta infatti dallo stato di incensuratezza dello (OMISSIS) ed della mancata contestazioni di aggravanti, senza provvedere, pertanto, a definire la pena in relazione a tutti gli indici sintomatici della gravita’ del reato e della capacita’ a delinquere, come compiutamente declinati secondo previsione di norma (articolo 133 c.p., comma 1 e 2).

5. In accoglimento del ricorso proposto dal Pubblico Ministero, l’impugnata ordinanza va pertanto annullata, con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di Reggio Calabria, che provvedere ad attenersi al presente principio di diritto: “il Giudice della cautela, chiamato ad esprimersi, ai sensi dell’articolo 275 c.p.p., comma 2-bis, secondo periodo, in via prognostica, sulla pena detentiva da irrogarsi all’esito del giudizio al fine di escludere l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere ove la pena risulti contenuta nella misura non superiore ai tre anni, deve condurre il proprio sindacato discrezionale, tenendo conto di tutti gli indici sintomatici della gravita’ del reato e della capacita’ a delinquere previsti dall’articolo 133 cod. pen.”.

P.Q.M.

in accoglimento del ricorso dei P.M., annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria.

Rigetta il ricorso dello (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali.

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