Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 30 luglio 2015, n. 33765

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AGRO’ Antonio S. – Presidente

Dott. MOGINI Stefano – Consigliere

Dott. VILLONI Orlando – Consigliere

Dott. CAPOZZI Angelo – rel. Consigliere

Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 9476/2013 GIP TRIBUNALE di VENEZIA, del 28/11/2014;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELO CAPOZZI;

lette le conclusioni del PG Dott. Eugenio Selvaggi, che ha chiesto il rigetto del ricorso, salvo rimettersi alla Corte quanto alla dedotta prescrizione di parte della condotta.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 28.11.2014 il G.I.P. del Tribunale di Venezia ha applicato a (OMISSIS), ai sensi dell’articolo 444 c.p.p. e ss., la pena concordata tra le parti in relazione ai reati a lui ascritti di cui ai capi 5), 6) e 8) (articoli 81 cpv., 110, 319 e 321 c.p.) del procedimento originariamente con n. 12236/12 NR nonche’ al capo 20) (articolo 323 c.p., commi 1 e 2, articolo 81 c.p., comma 2, articolo 110 c.p.) di quello n. 3677/12, disponendo contestualmente la confisca del denaro, dei beni, ed ogni altra utilita’ di cui l’imputato risulti titolare anche per interposta persona fino alla concorrenza di euro 2.000.000,00 quale prezzo dei reati previsti dall’articolo 319 c.p..

2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo dei difensori, con due distinti atti di ricorso.

3. Con atto a firma dell’avv. (OMISSIS) si deduce:

3.1. Violazione ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera b), in relazione alla qualificazione dei fatti nell’ambito della fattispecie di cui all’articolo 319 c.p., in assenza di collegamento tra le dazioni di denaro al (OMISSIS) con uno specifico atto di ufficio del medesimo essendo, invece, le prime destinate al fine di poter contare – alla bisogna – sul predetto Assessore. Ne’ potendo, ovviamente, rientrare nel novello articolo 318 c.p., successivo a tutti i fatti per i quali si procede o, almeno, per quelli anteriori alla entrata in vigore della Legge n. 190 del 2012.

3.2. Violazione ed erronea applicazione dell’articolo 319 c.p., e articolo 129 c.p.p.; carenza e contraddittorieta’ della motivazione sul punto. La sentenza ometterebbe totalmente di motivare sia in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi dei reati di corruzione contestati agli imputati come pure rivelerebbe evidenti contraddizioni a proposito ed alla loro riferibilita’ al ricorrente. Quanto al primo aspetto, il rinvio per relationem alla ordinanza applicativa della misura cautelare emessa dal GIP di Venezia il 31.5.2014 e’ censurabile in quanto esprime la rinuncia ad una autonoma doverosa valutazione e motivazione da parte del Giudice e non tenendo conto dei rilievi formulati dalla difesa. Ne’ tale censurabile lacuna puo’ ritenersi superata dai successivi riferimenti alle attivita’ intercettive e dalla menzione di talune dichiarazioni che prescinde dal loro contenuto e dalle censure difensive circa la loro inaffidabilita’ ed inconcludenza. Inoltre, nessuna motivata indicazione degli atti di ufficio (o contrari ai doveri di ufficio) e del nesso sinallagmatico tra dazioni e atti si rinviene nella sentenza, essendo – a fronte dell’addebito correlato alla carica di assessore a partire dal 2005 – gli unici atti individuati i pareri della commissione di salvaguardia gia’ presieduta da (OMISSIS) e della commissione VIA la cui ultima decisione intervenne il 28 gennaio 2005. Dal che ne sarebbe dovuto discendere una pronunzia liberatoria ai sensi dell’articolo 129 c.p.p..

3.3. Violazione ed erronea applicazione degli articoli 318, 319 e 157 c.p. e ss., e articolo 129 c.p.p.; carenza di motivazione sul punto. I fatti commessi fino al 31 maggio/4 giugno 2008 dovevano essere dichiarati estinti per intervenuta prescrizione, essendo il primo atto interruttivo costituito dalla ordinanza di custodia cautelare che ha attinto il ricorrente (emessa il 31.5.2014, eseguita il 4.6.2014).

3.4. Violazione ed erronea applicazione degli articoli 110 e 323 c.p., e articolo 129 c.p.p.; carenza e contraddittorieta’ della motivazione sul punto, essendo stato affermato in relazione al capo 20) il concorso del (OMISSIS) nel comportamento illegittimo altrui sulla base di una “copertura politica” che non individua ne’ una condotta ne’ una efficienza causale rispetto al fatto tipico. Inoltre, non risulterebbe specificata quale norma di legge sia stata violata, pur necessaria ai fini della configurabilita’ del reato in questione.

3.5. Violazione dell’articolo 322 ter c.p.p., nonche’ articolo 157 c.p., e articolo 129 c.p.p.; carenza e contraddittorieta’ della motivazione sul punto. Il profitto stimato e’ frutto di una valutazione dichiaratamente sommaria ed approssimativa, che gia’ vizia la motivazione della sentenza. Inoltre, il Giudice non ha considerato che gran parte dei reati sono estinti per prescrizione, dei quali non puo’ tenersi conto ai fini della determinazione dell’importo da sottoporre a confisca per equivalente.

4. Con atto a firma dell’avv. (OMISSIS) si deduce:

4.1. Violazione dell’articolo 444 c.p.p., comma 2, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti ai sensi dell’articolo 319 c.p.. Il richiamo del Giudice alla sentenza della Corte di cassazione del 25.9.2014 sostanzia una motivazione apparente rispetto all’obbligo di controllo demandatogli dall’ordinamento circa la correttezza della imputazione rispetto ai fatti ai quali si riferisce, non essendo stati individuati gli atti ai quali l’esercizio delle funzioni del (OMISSIS) si riferivano ed ai quali le dazioni di denaro erano correlate. Donde il (OMISSIS) sarebbe responsabile solo secondo il novellato articolo 318 c.p., successivo ai fatti per i quali si procede. In ogni caso, il (OMISSIS) – quale assessore della Regione Veneto – non avrebbe esercitato alcuna funzione o poteri ascrivibili ad un assessore in favore del (OMISSIS) e l’ultimo atto amministrativo collegiale reso dalla Regione vento nell’ambito della progettazione del MOSE risale al 28.1.2005, quando il ricorrente non era ancora assessore, e risultando tutte le altre determinazioni in ordine al progetto assunte dalle amministrazioni dello Stato, a livello centrale. Cosicche’ le pretese dazioni, al piu’, integrerebbero altre fattispecie di reato e, piu’ precisamente, a quelle di finanziamento illecito.

4.2. Violazione dell’articolo 444 c.p.p. e ss., articoli 125 e 129 c.p.p., e articolo 533 c.p.p., comma 1; vizio della motivazione per contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione sotto il profilo dell’assenza dei presupposti di proscioglimento ai sensi dell’articolo 129 c.p.p., con particolare riferimento al capo 5) della imputazione. Il rinvio per relationem alle precedenti decisioni in sede cautelare sarebbe fallace in quanto non terrebbe conto delle ulteriori allegazioni dell’accusa e della difesa, del tutto ignorate dal Giudice, non considerando che diverso e’ lo standard probatorio richiesto in sede cautelare rispetto a quello che puo’ fondare una pronuncia di responsabilita’.

4.3. Violazione degli articolo 125 e 546 c.p.p., e articolo 192 c.p.p., comma 3, vizio della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita’ del ricorrente al di la’ di ogni ragionevole dubbio. Travisamento delle fonti di prova con riferimento alle dichiarazioni accusatorie di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), la cui attendibilita’ e’ sorretta da censurabili motivazioni in diritto, laddove non illogica e contraddittoria, quando non carente rispetto ai rilievi difensivi. Inoltre, insussistenti sarebbero i riscontri esterni individualizzanti.

4.4. Violazione dell’articolo 323 c.p., in relazione all’articolo 444 c.p.p., comma 2; mancanza, contraddittorieta’ ovvero manifesta illogicita’ della motivazione delle fonti di prova.

4.5. Violazione dell’articolo 322 ter c.p.p., mancanza, contraddittorieta’ ovvero manifesta illogicita’ della motivazione in ordine alla quantificazione del valore dei beni confiscati. Non si comprenderebbe attraverso quale ragionamento il Giudice sia pervenuto alla quantificazione dell’importo del profitto, ne’ su quali beni la misura sia da eseguire, al di la’ dell’importo sul conto corrente sequestrato. La prospettiva secondo la quale la confisca sarebbe destinata a beni dei quali il ricorrente acquisira’ la disponibilita’ disattende il parametro della pertinenzialita’ al reato del profitto. Rimarrebbe, infine, vaga ed incerta l’effettivita’ applicativa della misura, apparendo una sorta di delega in bianco al soggetto che dovra’ eseguirla.

5. Con requisitoria scritta il P.G. ha chiesto il rigetto del ricorso in relazione alle questioni relative alla qualificazione giuridica dei fatti, richiamando la conclusione della vicenda cautelare. Si e’ rimesso alla Corte quanto alla questione relativa alla prescrizione di parte della condotta contestata con ogni conseguenza in punto di determinazione del quantum soggetto a confisca.

6. I difensori del ricorrente con memoria depositata il 13.7.2015 replicano alla requisitoria del P.G. osservando che nessuna considerazione ha avuto la proposizione del quinto motivo di entrambi i ricorsi relativo alla violazione dell’articolo 322 ter c.p., e al difetto di motivazione in ordine alla quantificazione del valore sul quale operare la confisca che si atteggerebbe, nella specie, come misura applicabile anche a beni futuri dei quali il ricorrente venisse a maturare la disponibilita’ e ben oltre quello sottoposto a sequestro, in violazione dell’obbligo di analitica indicazione dei beni da sottoporre a confisca.

7. Con successivo atto depositato il 16.7.2015 lo stesso ricorrente dichiara di rinunciare ai primi quattro motivi di entrambi gli atti di ricorso, insistendo in ordine al solo rispettivo quinto motivo relativo alla violazione ed erronea applicazione dell’articolo 322 ter c.p..

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ infondato.

1. I primi quattro motivi di ciascuno dei due distinti atti di ricorso sono inammissibili per la intervenuta rinuncia ai medesimi da parte del ricorrente.

2. Il quinto motivo di entrambi gli atti di ricorso e’ infondato.

3. Si verte, nella specie, sulla confisca ex articolo 322 ter c.p., avente ad oggetto denaro, beni ed altre utilita’ fino alla concorrenza dell’importo di 2.000.000,00 di euro pari al prezzo del reato di cui all’articolo 319 c.p..

4. Quanto al denaro si tratta di confisca diretta. Come ha chiarito la recentissima sentenza emessa da S.U. n. 31617/2015, Lucci “qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme di cui il soggetto abbia comunque la disponibilita’ deve essere qualificata come confisca diretta: in tal caso, tenuto conto della particolare natura del bene, non occorre la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della confisca e il reato”. Le S.U. hanno chiarito che, ove il profitto o il prezzo del reato sia rappresentato da una somma di denaro, questa, non soltanto si confonde automaticamente con le altre disponibilita’ economiche dell’autore del fatto, ma perde – per il fatto stesso di essere ormai divenuta una appartenenza del reo – qualsiasi connotato di autonomia quanto alla identificabilita’ fisica, Non avrebbe – secondo il massimo consesso di legittimita’ – alcuna ragion d’essere – ne’ sul piano economico ne’ su quello giuridico – la necessita’ di accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell’illecito sia stata spesa, occultata o investita: cio’ che rileva e’ che la disponibilita’ monetarie del percipiente siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell’interesse del reo.

5. La confisca per equivalente di cui all’articolo 322 ter c.p., comma 1, – applicata nella specie in relazione ai beni ed altre utilita’ – e’ una misura sanzionatoria – alternativa alla confisca diretta del profitto del reato – che consente, in relazione alla condanna per il reato di cui all’articolo 319 c.p., l’ablazione, in danno del colpevole, di beni di cui lo stesso ha la disponibilita’, per un valore corrispondente a detto profitto, ove i beni che costituiscono tale profitto non siano direttamente confiscabili, dovendosi evitare che il pubblico agente possa indebitamente avvantaggiarsi delle difficolta’ che l’autorita’ dovesse incontrare nell’individuare i beni che, costituenti il profitto o il prezzo del reato, sarebbero destinati alla confisca diretta.

6. Costituisce jus receptum che la confisca obbligatoria prevista dall’articolo 322 ter c.p., anche “per equivalente”, ossia anche nei confronti di beni dei quali il reo ha la disponibilita’ per un valore corrispondente al prezzo o al profitto del reato, non necessita di alcuna dimostrazione sul nesso di pertinenzialita’ tra delitto e cose da confiscare, essendo sufficiente la perpetrazione del reato (Sez. 6, n. 7250 del 19/01/2005, Nocco, Rv. 231604). Come e’ stato autorevolissimamente osservato da S.U. n. 31617/2015, Lucci, la natura strutturalmente sanzionatoria della confisca di valore deriva dal fatto “che e’ l’imputato che viene ad essere direttamente colpito nelle sue disponibilita’ economiche (e non la cosa in quanto derivante dal reato) e cio’ proprio perche’ autore dell’illecito, restando il collegamento tra la confisca, da un lato, ed il prezzo o profitto del reato, dall’altro, misurato solo da un meccanismo di equivalenza economica” e detta natura esclude qualsiasi nesso di pertinenzialita’ col reato, “rappresentandone soltanto la conseguenza sanzionatoria: ne’ piu’ ne’ meno, dunque, della pena applicata con la sentenza di condanna”.

7. Ebbene, gia’ in relazione al sequestro preventivo prodromico alla confisca in esame e’ orientamento consolidato quello secondo il quale il giudice che emette il provvedimento ablativo e’ tenuto soltanto ad indicare l’importo complessivo da sequestrare, mentre l’individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del loro valore al “quantum” indicato nel sequestro e’ riservata alla fase esecutiva demandata al pubblico ministero (Sez. 3, n. 10567 del 12/07/2012, Falchero’, Rv. 254918; Sez. 3, n. 37848 del 07/05/2014, Chidichimo, Rv. 260148; Sez. 3, Sentenza n. 12580 del 25/02/2010, Baruffa, Rv. 246444 ; Sez. 2, n. 6974 del 27/01/2010, Liguori, Rv. 246478), essendosi spiegato nella citata sentenza n. 10567 del 12/07/2012 che la necessita’ di una specifica indicazione troverebbe la sua giustificazione nell’esistenza di un rapporto strumentale fra il bene da sequestrare, come profitto o prezzo dell’attivita’ criminosa, e il reato. Invece, proprio perche’ la confisca per equivalente non ha natura di misura di sicurezza patrimoniale, non e’ necessaria, ai fini del sequestro preventivo funzionale alla confisca, la sussistenza di un rapporto di pertinenzialita’ fra la res e il reato; difatti la confisca per equivalente non ricade direttamente sui beni costituenti il profitto del reato, ma ha per oggetto il controvalore di essi; nei casi in cui non sia possibile agire direttamente sui beni costituenti il profitto o il prezzo del reato, a causa del loro mancato reperimento, e’ consentito, attraverso il trasferimento del vincolo dall’oggetto diretto all’equivalente, di apprendere utilita’ patrimoniali di valore corrispondente, di cui il reo abbia la disponibilita’. Ed, infine, va aggiunto che le Sezioni unite hanno recentemente chiarito che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente puo’ essere disposto anche quando l’impossibilita’ del reperimento dei beni, costituenti il profitto del reato, sia transitoria e reversibile, purche’ sussistente al momento della richiesta e dell’adozione della misura, non essendo necessaria la loro preventiva ricerca generalizzata (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258648).

8. Nel richiamato alveo ermeneutico e sul versante della confisca alla quale il sequestro e’ finalizzato, e’ stato affermato – in fattispecie analoga a quella in esame – che il giudice della cognizione, nei limiti del valore corrispondente al profitto del reato, puo’ disporre il provvedimento ablatorio anche in mancanza di un precedente provvedimento cautelare di sequestro e senza necessita’ di individuare i beni da apprendere, potendo il destinatario ricorrere al giudice dell’esecuzione qualora si ritenga pregiudicato dai criteri adottati dal P.M. nella selezione dei cespiti da confiscare (Sez. 5, n. 9738 del 02/12/2014, Giallombardo, Rv. 262893; conf. Sez. 3, n. 20776 del 06/03/2014, Hong, Rv. 259661; Sez. 3, n. 17066 del 04/02/2013, Volpe e altri, Rv. 255113).

9. Pertanto, nel definire il perimetro patrimoniale all’interno del quale deve essere soddisfatto il debito sanzionatorio – che non puo’ essere vanificato dalla momentanea incapienza del debitore – va affermato il principio di diritto secondo il quale “in tema di confisca per equivalente non e’ necessaria la specifica individuazione dei beni oggetto di ablazione. Accertato il profitto o il prezzo del reato per il quale essa e’ consentita, la confisca potra’ avere ad oggetto non solo beni gia’ individuati nella disponibilita’ dell’imputato, ma anche quelli che in detta disponibilita’ si rinvengano o comunque entrino successivamente al provvedimento di confisca, fino alla concorrenza dell’importo determinato”. Ogni questione che dovesse sorgere, all’atto della apprensione dei beni (ivi compresi i frutti derivanti da essi), sulla disponibilita’ di essi in capo all’imputato o sul rispetto del limite costituito dall’importo individuato come prezzo o profitto, sara’ demandata alla cognizione del giudice dell’esecuzione.

10. Nella specie, la sentenza ha individuato il prezzo dei reati di corruzione commessi dal (OMISSIS), condotta protrattasi per nove anni, secondo le indicazioni provenienti dal (OMISSIS) e (OMISSIS), nella dazione al predetto pari a duecentomila euro per anno, oltre a quelle anche prossime al milione di euro (dichiarazioni d (OMISSIS)), ovvero cessioni ed acquisti in plusvalenza di quote di societa’. E – sul rilievo che il sequestro disposto in corso di indagini era stato limitato al vincolo di soli 1.500,00 euro rinvenuti sul conto corrente dell’imputato – ha stimato in via prudenziale l’importo del prezzo del reato di corruzione in euro due milioni, disponendo – fino alla concorrenza di tale importo – la confisca del denaro, beni ed ogni altra utilita’ di cui l’imputato risulti titolare anche per interposta persona sino alla concorrenza di detto importo.

11. Quanto all’importo al quale e’ commisurata la confisca, la doglianza e’ generica rispetto alla motivazione – priva di vizi logici e giuridici – in ordine alle utilita’ illecite percepite nel tempo dal ricorrente ed alla conseguente determinazione del prezzo del reato.

12. Quanto alla dedotta prescrizione di parte delle condotte, il ricorso non tiene conto delle indicazioni provenienti dalla sentenza n. 49226 del 25.9.2014 emessa da questa Corte nella vicenda cautelare che ha riguardato il ricorrente in relazione alle medesime vicende oggetto di giudizio – puntualmente richiamata nella sentenza impugnata in relazione ai capi 5), 6) e 8). Nella specie, si tratta di un unico reato corruttivo permanente avente ad oggetto lo stabile asservimento delle funzioni pubbliche svolte dal ricorrente e che comprende tutti i pagamenti illeciti intervenuti nel corso del tempo e fino al febbraio 2013. Pertanto, manifestamente infondata e’ la doglianza in esame.

13. Quanto, infine, all’oggetto del provvedimento di confisca tanto per il denaro confiscato in via diretta che per i beni ed alle utilita’ confiscati per equivalente, in base alle regulae juris richiamate, nessuna censura merita la assenza di precedente corrispondente sequestro e la mancata specifica individuazione, fermi restando il legame di disponibilita’ in capo all’imputato ed il limite della concorrenza dell’importo individuato che costituiscono il parametro di legittimita’ del disposto vincolo.

14. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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