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Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 30 luglio 2014, n. 33835

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MILO Nicola – Presidente
Dott. DI STEFANO P. – rel. Consigliere
Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere
Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere
Dott. PATERNO’ RADDUSA Benedett – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI SASSARI;
Nei confronti di
(OMISSIS) n. (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 267/2009 del 7/2/20013 della CORTE DI APPELLO DI CAGLIARI SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERLUIGI DI STEFANO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. VITO D’AMBROSIO che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio perche’ il fatto non sussiste.
 

CONSIDERATO IN FATTO

 
Il procuratore generale della Repubblica presso la sezione distaccata di Corte di Appello di Sassari propone ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello di Sassari che il 7 febbraio 2013 confermava la condanna di (OMISSIS) per aver coltivato piante di canapa indiana, deducendo con primo motivo la illegittimita’ costituzionale della norma penale applicata e con secondo motivo la insussistenza in concreto di un fatto punibile attesa la inoffensivita’ della condotta, in presenza di quantita’ trascurabili di sostanza stupefacente destinata all’esclusivo uso personale. Chiede quindi l’annullamento di tale sentenza.
 

RITENUTO IN DIRITTO

 
Il ricorso e’ fondato.
Il primo motivo e’ superato in quanto attiene alla questione di costituzionalita’ superata dalla recente decisione della Corte Costituzionale (sentenza 32/2014) che ha annullato la disposizione che unificava il trattamento sanzionatorio per i vari tipi di droga.
E’ fondato il secondo motivo che pone la questione della sussistenza nel caso concreto di una effettiva “offensivita’” della “coltivazione” di canapa indiana realizzata dall’imputato; si tratta di questione assorbente rispetto alla comunque necessaria revisione del trattamento sanzionatorio (essendo applicabili le meno gravi sanzioni della normativa precedente al 2006), poiche’ ne consegue l’esclusione della sussistenza del reato per il quale era stata disposta condanna.
Puo’ qui darsi per nota la giurisprudenza di questa Corte che, a Sezioni Unite, ha affermato che la coltivazione di piante destinate alla produzione di stupefacente e’ una condotta sempre punibile in quanto esclusa, dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 75 e 73, dall’ambito della detenzione finalizzata all’uso personale, sanzionata solo in via amministrativa.
Rispetto ad una tale interpretazione che, cosi’ come formulata, risulta indubbiamente rigida laddove si ritenga comportare anche la punibilita’ della produzione di minima sostanza per conclamato uso personale, va considerato il tema della offensivita’ in concreto.
Prima di affrontare l’argomento piu’ in dettaglio, puo’ rammentarsi in estrema sintesi che, proprio nel contesto della riconosciuta punibilita’ di qualsiasi tipo di coltivazione senza distinzione tra una coltivazione “in senso economico” ed una coltivazione “casalinga”, il tema della offensivita’ si e’ posto ed e’ stato utilizzato in vario modo:
– innanzitutto si e’ considerato se possa ritenersi offensiva una condotta di coltivazione prima che si sia realizzato il prodotto con capacita’ drogante. Al riguardo e’ stato affermato che, attesa la espressa previsione della “coltivazione” quale attivita’ in tema di stupefacenti per la quale la legge formula un espresso divieto, tale divieto non possa che riguardare la coltivazione del dato tipo di pianta in ogni sua fase, realizzandosi la condotta ancor prima che la pianta arrivi a maturazione e produca la sostanza drogante, purche’, ovviamente sia idonea alla effettiva produzione (Ai fini della punibilita’ della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, l’offensivita’ della condotta consiste nella sua idoneita’ a produrre la sostanza per il consumo, attese la formulazione delle norme e la “ratio” della disciplina, anche comunitaria, in materia, sicche’ non rileva la quantita’ di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, ma la conformita’ della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalita’ di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente (Fattispecie in cui e’ stata affermata l’idoneita’ offensiva della condotta di coltivazione in considerazione della qualita’ dei prodotti gia’ ricavati dalla stessa piantagione). (Sez. 6, n. 22459 del 15/03/2013 – dep. 24/05/2013, Cangemi, Rv. 255732).
Poi, sulla scia di quanto affermato da questa Corte a Sezioni Unite laddove e’ stato ritenuto che la coltivazione sia un comportamento sempre vietato, senza doversene distinguere la possibile finalita’ quanto alla successiva distribuzione del prodotto, si e’ affermato che la offensivita’ in concreto manchi quando il prodotto finale non abbia alcuna capacita’ drogante (ipotesi che, in realta’, potrebbe essere anche risolta con riferimento alla non realizzazione della fattispecie tipica che e’ quella di una pianta con un adeguato contenuto di principio drogante): Ai fini della punibilita’ della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, spetta al giudice verificare in concreto l’offensivita della condotta ovvero l’idoneita’ della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile. (Conforme, Sez. U. 24 aprile 2008, Valletta, non massimata). (Vedi Corte cost. n. 360 del 1995 e n. 296 del 1996). (Sez. U, n. 28605 del 24/04/2008 – dep. 10/07/2008, Di Salvia, Rv. 239921). Tesi ribadita, con affermazione che invero sembra negare la fondatezza di quanto si dira’ oltre, da Sez. 4, n. 43184 del 20/09/2013 – dep. 22/10/2013, Carioti e altro, Rv. 258095 “Pertanto, e conclusivamente, la condotta e’ inoffensiva soltanto se essa e’ priva della concreta attitudine ad esercitare, anche in misura assai limitata, minima, l’effetto psicotropo evocato dal gia’ richiamato Decreto del Presidente della Repubblica, articolo 14. Esulano, quindi, dalla sfera dell’illecito solo le condotte afferenti a quantitativi di stupefacente talmente tenui, quanto alla presenza del principio attivo, da non poter indurre, neppure in misura trascurabile, la modificazione dell’assetto neuropsichico dell’utilizzatore; per converso, anche dosi inferiori a quella media singola ben possono configurare il delitto in esame (Sez. 4, n. 21814 del 12/05/2010, Renna, Rv. 247478).
Ed ancora, altra giurisprudenza ha considerato il carattere di offensivita’ in concreto con maggiore attenzione alla ragione per la quale e’ affermato la sanzionabilita’ “comunque” della coltivazione, individuando il non infrequente caso in cui, pur realizzata la condotta tipica, che comprende anche la produzione di una pur minima sostanza con efficacia psicotropa, il carattere ridotto della coltivazione non consenta di ritenere raggiunta la soglia di offesa in concreto del bene tutelato La coltivazione domestica di una piantina di canapa indiana contenente principio attivo pari a mg. 16, posta in un piccolo vaso sul terrazzo di casa, costituisce condotta inoffensiva “ex” articolo 49 c.p., che non integra il reato di cui all’articolo 73 d.P.R. n. 309 del 1990. (Sez. 4, n. 25674 del 17/02/2011
– dep. 28/06/2011, P.G. in proc. Marino, Rv. 250721) (in motivazione:…..3. Cio’ detto e venendo al caso di specie, e’ da ritenere che il giudice di merito abbia fatto buon governo dei principi illustrati, laddove ha riconosciuto a fronte delle oggettive circostanze del fatto e della modestia dell’attivita’ posta in essere (coltivazione domestica di una piantina posta in un piccolo lo vaso sul terrazzo di casa, contenete un principio attivo di mg. 16), una condotta del tutto inoffensiva dei beni giuridici tutelati dalla norma incriminatrice).
Nel caso posto con il ricorso del PG, interessa considerare l’applicabilita’ e la rilevanza ai fini della decisione del tema della offensivita’ come prospettato da tale ultima decisione.
Si deve quindi considerare come operi nel nostro ordinamento il principio di offensivita’, tema sul quale si e’ piu’ volte pronunciata la Corte Costituzionale.
Innanzitutto e’ rilevante la sentenza 360/1995 in quanto affrontava il tema di offensivita’ in astratto/offensivita’ in concreto proprio considerando il tema del diverso trattamento tra mera detenzione e coltivazione di piante stupefacenti. Tale sentenza difatti indica anche quale sia, valutato sotto il profilo della offensivita’, l’ambito del pericolo presunto del reato di coltivazione di stupefacenti, in tale modo individuando indirettamente l’ambito in cui, si vedra’, puo’ valutarsi la assenza di offensivita’ della condotta del (OMISSIS).
in sintesi, secondo la sentenza 360/1995:
– La scelta normativa di distinguere fra detenzione e coltivazione e’ collegata ad un atteggiamento meno rigoroso nei confronti del consumo degli stupefacenti, attivita’ che viene valutata in termini di illiceita’ ma in modo ben diverso rispetto alla attivita’ di distribuzione di stupefacente a terzi.
– Per tale ragione quelle condotte che risultino immediatamente e direttamente collegate all’uso di stupefacenti, quale e’ la detenzione della sostanza da parte del medesimo consumatore che intende utilizzarla, non possono che avere il medesimo trattamento del consumo (applicazione della sola sanzione amministrativa di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 75).
– Tale situazione non ricorre, invece, nel caso della coltivazione che, in termini generali, nella prospettiva del legislatore, non ha affatto tale immediato collegamento con l’uso personale in quanto, in assenza di un vincolo diretto ed immediato con il consumo, ha a che fare con le diverse fasi della produzione ed approvvigionamento di droga.
– La differenza e’ ancora piu’ evidente se si tiene conto che la detenzione ha per sua natura un oggetto determinato e controllabile sotto il punto di vista della quantita’, cosa che invece non ricorre nel caso della produzione sia per la indeterminatezza del quantitativo da produrre sia per trattarsi di condotta con capacita’ di ulteriore diffusione atteso, appunto, che si tratta di coltivazione.
– In tale differenza si rileva il pieno rispetto del principio di offensivita’ in astratto nella formulazione della norma da parte del legislatore, essendovi un giustificato diverso giudizio di disvalore per la previsione della sanzione penale in qualsiasi caso di coltivazione. Infatti cio’ che viene sanzionato non e’ il consumo ma la creazione di nuova disponibilita’ di droga e di condizioni per la ulteriore diffusione dello stupefacente in ragione dell’aumento delle occasioni di vendita a terzi dovuto all’accrescimento dei quantitativi da coltivare. Questo rende del tutto ragionevole la previsione diversificata.
– In tale stesso contesto, pero’, la Corte Costituzionale, pur considerando che il principio di offensivita’ e’ certamente rispettato sotto il profilo della tecnica normativa, ragione questa per cui tale disciplina supera il vaglio di costituzionalita’, pone al di fuori il profilo della offensivita’ specifica della singola condotta: ovvero spettera’ al giudice distinguere l’ipotesi in cui la condotta in concreto non abbia alcuna attitudine alla messa in pericolo del bene tutelato.
– Da qui la affermazione che la assenza di capacita’ drogante della sostanza coltivata rende di per se’ inoffensivo il reato nel caso concreto ed il rilievo che spetta al legislatore individuare una nozione di coltivazione che funga da discrimine tra condotte sanzionate penalmente e non.
Sono rilevanti al fine in esame altre affermazioni della Corte Costituzionale in tema di offensivita’ in concreto, indicative di come la stessa vada verificata nell’ambito della ipotesi di condotta che, pur pienamente conforme al tipo, non e’ in alcun modo in grado di ledere l’interesse tutelato.
Sentenza Corte Costituzionale 260/2005 (decisione in tema di contravvenzione di cui all’articolo 707 c.p.p.): “….. il principio di offensivita’ opera su due piani, rispettivamente della previsione normativa, sotto forma di precetto rivolto al legislatore di prevedere fattispecie che esprimano in astratto un contenuto lesivo, o comunque la messa in pericolo, di un bene o interesse oggetto della tutela penale (offensivita’ in astratto), e dell’applicazione giurisprudenziale (offensivita’ in concreto), quale criterio interpretativo-applicativo affidato al giudice, tenuto ad accertare che il fatto di reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l’interesse tutelato (v. sentenze numeri 360 del 1995, 263 e 519 del 2000, ove viene appunto definita la duplice sfera di operativita’, in astratto e in concreto, del principio di necessaria offensivita’, quale criterio di conformazione legislativa delle fattispecie incriminatrici e quale canone interpretativo per il giudice)….. Si deve pero’ tenere presente che la particolare configurazione della contravvenzione in esame lascia aperta la possibilita’ che si verifichino casi in cui alla conformita’ del fatto al modello legale non corrisponde l’effettiva messa in pericolo dell’interesse tutelato. Il giudice chiamato a fare applicazione della norma dovra’ pertanto operare uno scrutinio particolarmente rigoroso circa la sussistenza del requisito dell’offensivita’ in concreto, verificando la specifica attitudine funzionale degli strumenti ad aprire o forzare serrature….”.
Sentenza Corte Costituzionale 513/2000 “…… alla lesivita’ in astratto, intesa quale limite alla discrezionalita’ del legislatore nella individuazione di interessi meritevoli di essere tutelati mediante lo strumento penale, suscettibili di essere chiaramente individuati attraverso la formulazione del modello legale della fattispecie incriminatrice, fa riscontro il compito del giudice di accertare in concreto, nel momento applicativo, se il comportamento posto in essere lede effettivamente l’interesse tutelato dalla norma (v. di recente, proprio con riferimento a un reato previsto dal codice penale militare di pace, sentenza n. 263 del 2000, nonche’ sentenza n. 360 del 1995)”.
Risulta particolarmente utile per le conclusioni cui si giungera’, valutare la sentenza 139/2014 della Corte Costituzionale che rispondeva al dubbio di costituzionalita’ sulla assenza di soglia minima di punibilita’ per il reato di omesso versamento di contributi previdenziali. La Corte, con riferimento ad un caso nel quale la perplessita’ del giudice rimettente derivava dal fatto che, pur essendo nel caso di specie certamente realizzato il fatto tipico, risultava eccessiva la sanzione penale per “soli” 24 euro omessi, rammentava come il problema non trovi soluzione nel sindacato della scelta normativa (quindi la offensivita’ in astratto), bensi’ nella valutazione della offensivita’ in concreto:
“Da ultimo, con riferimento all’ordinanza n. 262 del 2013 in cui il rimettente fa presente che il giudizio e’ relativo ad un omesso versamento di 24,00 euro, occorre ricordare che questa Corte ha gia’ precisato che resta precipuo dovere del giudice di merito di apprezzare – alla stregua del generale canone interpretativo offerto dal principio di necessaria offensivita’ della condotta concreta – se essa, avuto riguardo alla ratio della norma incriminatrice, sia, in concreto, palesemente priva di qualsiasi idoneita’ lesiva dei beni giuridici tutelati (sentenza n. 333 del 1991). Il legislatore ben potra’, anche per deflazionare la giustizia penale, intervenire per disciplinare organicamente la materia, fermo restando il rispetto del citato principio di offensivita’ che ha rilievo costituzionale”.
Quindi: l’omissione di pagamento di “soli” 24 euro integra il fatto ma puo’ non essere (giudizio dal quale la Corte ovviamente si astiene) lesivo del bene tutelato. E’ opportuna una revisione della disciplina legislativa, ma la valutazione di sussistenza della offensivita’ in concreto della condotta resta obbligo del giudice atteso che il “principio di offensivita’” ha “rilievo costituzionale”.
Si possono quindi trarre le conclusioni che serviranno poi alla decisione per il singolo caso:
E’ indubbio che il reato di coltivazione venga ritenuto sostanzialmente diverso da quello di mera detenzione dello stupefacente sia nella giurisprudenza costituzionale sopra sintetizzata che nella giurisprudenza di questa Corte:
– la “coltivazione” non puo’ essere direttamente ricollegata all’uso personale ed e’ punita di per se’ in ragione del carattere di aumento della disponibilita’ e della possibilita’ di ulteriore diffusione.
– la detenzione e’ condotta che, invece, e’ strettamente collegata alla successiva destinazione della sostanza ed e’ qualificata da tale destinazione; pertanto e’ punibile solo quando e’ destinata all’uso di terzi mentre, se destinata all’uso personale, ha la sanzione (amministrativa) corrispondente a tale ultima condotta.
Percio’ l’azione tipica della coltivazione si individua senza alcun riguardo all’accertamento della destinazione della sostanza bastando che sia realizzato il pericolo presunto quale sopra specificato. Ma, proprio nella individuazione del compimento della azione tipica nel singolo caso, va applicata la regola di necessaria sussistenza della “offensivita’ in concreto”: ovvero, pur realizzata l’azione tipica, dovra’ escludersi la punibilita’ di quelle condotte che siano in concreto inoffensive. Per il caso in questione, tale condizione ricorre per quelle condotte che dimostrino tale levita’ da essere sostanzialmente irrilevante l’aumento di disponibilita’ di droga e non prospettabile alcuna ulteriore diffusione della sostanza.
Ovvero, a fronte della realizzazione della condotta tipica, che e’ la coltivazione di una pianta conforme al “tipo botanico” e che abbia, se matura, raggiunto la soglia di capacita’ drogante minima, il giudice potra’ e dovra’ valutare se la condotta stessa sia del tutto inidonea alla realizzazione della offensivita’ in concreto.
L’ambito di tale riconoscibile inoffensivita’ e’, ragionevolmente, quello del conclamato uso esclusivamente personale e della minima entita’ della coltivazione tale da escludere la possibile diffusione della sostanza producibile e/o l’ampliamento della coltivazione; l’onere della prova, spettando all’accusa dimostrare la realizzazione del fatto tipico, va ritenuto tendenzialmente a carico dell’imputato anche se e’ probabile che la condizione di inoffensivita’ sia di immediata percezione.
Risulta quindi corretta la valutazione del procuratore generale che ha proposto impugnazione laddove ritiene che tale totale assenza di offensivita’ in concreto ricorre nel caso di specie in cui all’imputato risultava sequestrato “un vaso con due piantine (dell’altezza di 33 cm) di marijuana” la prima “dalla quale potevano ricavarsi circa 750 mg di foglioline, con THC pari all’1,48 %,; pertanto, erano presenti 11 mg di THC (quantitativo inferiore al valore della quantita’ massima detenibile, equivalente a poco meno di Y2 di dose media singola)” e la seconda “…. dalla quale potevano ricavarsi circa 500 mg di foglioline, con THC pari all’1,59%, per cui erano presenti 8 mg di THC (quantitativo inferiore al valore della quantita’ massima detenibile, equivalente a circa 1/3 di dose media singola)”.
Indubbiamente la assoluta inconsistenza della coltivazione in questione fa escludere che in concreto sia stata realizzata la lesione del bene tutelato dalla norma.
Non necessitando ulteriori apprezzamenti di fatto, poiche’ e’ sufficiente quanto accertato e valutato dalla sentenza impugnata per decidere nel senso dell’accoglimento del ricorso con assoluzione dell’imputato ritenendo che il fatto non sussiste (non e’ stato realizzato il fatto con le sue caratteristiche di aggressivita’ del bene giuridico) l’annullamento deve essere pronunciato senza rinvio.
 

P.Q.M.

 
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche’ il fatto non sussiste.

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