maltrattamenti-violenza

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 15 luglio 2014, n. 31121

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AGRO’ Antonio S. – Presidente
Dott. LEO Guglielmo – rel. Consigliere
Dott. VILLONI Orlando – Consigliere
Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere
Dott. APRILE Ercole – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 2412 del 7/11/2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta in pubblica udienza dal consigliere Guglielmo Leo;
udite le conclusioni del Procuratore generale, in persona del sostituto Dott. Vincenzo Geraci, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udite le conclusioni del Difensore della parte civile (OMISSIS), avv. (OMISSIS) in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), che conclude per il rigetto del ricorso;
udite le conclusioni del Difensore di (OMISSIS), avv. (OMISSIS) in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), che insiste per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. E’ impugnata la sentenza del 7/11/2012 con la quale la Corte d’appello di Bologna ha parzialmente riformato la sentenza resa dal Tribunale di Forli’ il 19/11/2010.
1.1. Con il provvedimento di primo grado (OMISSIS) era stato dichiarato colpevole di diversi reati tra i quali, anzitutto (capo a), un delitto aggravato di maltrattamenti, commesso attraverso ripetuti episodi di percosse, lesioni personali, ingiurie ed altre vessazioni, tali da costringere la vittima, cioe’ la sua convivente (OMISSIS), ad allontanarsi ripetutamente dal luogo della comune abitazione. In esito ad uno di tali episodi, secondo il capo b) dell’imputazione, (OMISSIS) aveva raggiunto la donna presso un locale notturno ove lavorava, in compagnia di due agenti della Polizia di Stato con cui intratteneva rapporti di amicizia. Con il concorso dei due agenti, che si erano qualificati cosi’ da tranquillizzare il personale del locale, l’odierno ricorrente, sempre stando all’imputazione, aveva costretto la (OMISSIS) a salire sulla sua auto per fare ritorno nel luogo della precedente convivenza, cosi’ da privarla della liberta’ personale. A (OMISSIS), infine, erano contestati fatti di molestie, minacce e violenza privata nei confronti di amici della (OMISSIS), responsabili dal suo punto di vista di avere offerto sostegno alla persona offesa (capo c, relativamente a (OMISSIS), e capo d, con riguardo a (OMISSIS)).
Il Giudice di prime cure aveva condannato (OMISSIS) ed i due agenti di polizia sopra citati, limitandosi ad escludere il reato di lesioni dalla contestazione sub a) (previa riqualificazione del fatto in termini di percosse) e rifiutando in particolare, quanto all’odierno ricorrente, il riconoscimento di attenuanti generiche.
1.2. La Corte territoriale, investita dall’appello di tutti gli imputati, ha escluso la sussistenza del fatto di sequestro contestato al capo b), cosi’ prosciogliendo completamente gli agenti della Polizia di Stato, oltre che l’odierno ricorrente in relazione al delitto in questione. Ha inoltre riconosciuto l’estinzione per prescrizione del reato contravvenzionale di cui al capo d) (articolo 660 c.p.).
1.3. Con ampia motivazione, il Giudice d’appello ha considerato attendibile la deposizione dibattimentale della (OMISSIS) quanto all’andamento della sua lunga e travagliata relazione con (OMISSIS). Ha invece escluso, anche in applicazione del principio di frazionabilita’ delle dichiarazioni di segno accusatorio, che le dichiarazioni della donna provassero oltre ogni ragionevole dubbio che, nella notte in cui era stata prelevata presso il locale notturno sito nel (OMISSIS) e ricondotta a (OMISSIS), ella avesse subito una costrizione fisica o morale tale da integrare la privazione di liberta’ sanzionata dall’articolo 605 c.p..
In relazione al delitto di maltrattamenti, ed apprezzando argomenti difensivi ripresi anche con l’odierno ricorso, la Corte ha negato che l’instaurazione del penoso regime di vita configurato dall’articolo 572 c.p., resti esclusa quando il gruppo familiare viva anche momenti di serenita’ o quando, come nella specie, la persona offesa dal reato abbia tratto un significativo giovamento, anche economico, dalla propria relazione familiare.
In relazione al trattamento sanzionatorio, il rifiuto delle richieste attenuanti generiche e’ stato confermato per l’assenza di segnali di resipiscenza (ivi compreso il risarcimento del danno) ed in forza di un grave precedente, per quanto remoto. Proprio il lungo tempo trascorso dai fatti relativi, per altro, ha indotto la Corte ad escludere in concreto l’effetto aggravante della contestata recidiva.
In punto di quantificazione della pena, con ampio riferimento ai criteri indicati all’articolo 133 c.p., e’ stata irrogata la reclusione per un anno e otto mesi quanto al delitto di maltrattamenti, con aumento complessivo (ma dettagliato) di quattro mesi per i delitti contestati ai capi c) e d).
2. La Difesa del (OMISSIS) ha proposto ricorso prospettando diversi vizi della sentenza impugnata.
2.1. Con un primo e comprensivo motivo di ricorso – proposto a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), – il ricorrente denuncia illogicita’ della motivazione, poiche’ la comprovata e continuata erogazione di benefici economici e morali in favore della persona offesa sarebbe stata intesa quale conferma della volonta’ di assoggettarla, e non quale sintomo di inattendibilita’ della prospettazione compiuta dalla donna quanto ai pretesi maltrattamenti, non riscontrati del resto da alcun elemento (referti medici, testimonianze indipendenti). Vi sarebbe solo prova di litigi episodici, come tali inidonei ad integrare la fattispecie contestata.
La motivazione sarebbe carente quando alla conferma della condanna per i reati in danno di (OMISSIS) e (OMISSIS), testi sospetti in quanto vicini alla (OMISSIS).
Illogica sarebbe la motivazione spesa per il diniego delle attenuanti generiche: l’asprezza della battaglia processuale sarebbe stata il frutto delle dichiarazioni menzognere della (OMISSIS) e dei suoi amici, puntualmente disattese dalla Corte con il proscioglimento per il delitto di sequestro di persona.
2.2. Con un secondo motivo – proposto in base all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) – si denunziano vizi di motivazione e violazione della legge penale sostanziale con riguardo alla ritenuta integrazione della fattispecie di cui all’articolo 572 c.p..
L’imputato, sposato con altra donna, non avrebbe inteso convivere con la (OMISSIS), ma le avrebbe semplicemente fornito un alloggio ove incontrarla con riservatezza e tranquillita’.
2.3. Con un terzo motivo – articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) ed e), – si denunziano vizi di motivazione e violazione della legge processuale penale, in rapporto all’articolo 192 c.p.p..
La testimonianza della persona offesa, che sia anche costituita parte civile, non avrebbe lo stesso grado di attendibilita’ di una dichiarazione proveniente da soggetto disinteressato, e nel caso di specie le pretese economiche della (OMISSIS) sarebbero sempre state ingenti. Quanto al principio della valutazione frazionata, lo stesso non potrebbe operare in presenza di una falsita’ conclamata e macroscopica delle dichiarazioni disattese dal giudice, tale da pregiudicare la complessiva attendibilita’ della testimone. Il che sarebbe nel caso di specie, dato il fallimento della grave accusa di sequestro.
3. Nell’imminenza dell’udienza il Difensore della parte civile ha prodotto una memoria, dichiaratamente volta ad ottenere una “conferma” della sentenza impugnata.
Le articolate dichiarazioni della persona offesa, ripercorse nella memoria, documenterebbero appieno il carattere sistematico delle prevaricazioni subite dalla donna, ed avrebbero trovato riscontro nelle deposizioni dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS). A parere della parte, la Corte territoriale avrebbe dovuto considerare affidabile anche la narrazione del sequestro di persona gia’ contestato al capo b), del resto confermata dalle deposizioni (OMISSIS) e (OMISSIS), oltreche’ da alcune circostanze riferite dagli ufficiali di polizia giudiziaria che avevano eseguito le indagini immediatamente successive al sequestro.
In ogni caso, andrebbe disattesa la tesi difensiva secondo cui la (OMISSIS) e (OMISSIS) non avrebbero mai costituito un nucleo familiare: i due avevano invece convissuto a lungo, ed in nulla rileverebbe, per altro verso, il dato di alcune fasi di relativa tranquillita’ del rapporto o quello della generosa elargizione di provvidenze economiche da parte dell’agente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato, e deve dunque disporsene il rigetto. Da tale decisione consegue la necessaria condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Non puo’ invece provvedersi alla liquidazione delle spese sostenute dalla parte civile nella presente fase di legittimita’ del giudizio, perche’ a tale riguardo non e’ stata presentata alcuna dettagliata richiesta, e non e’ ammissibile, come invece pare ritenere la parte affidandosi alla “giusta valutazione” di questa Corte, una sorta di liquidazione equitativa, che prescinda dalla rappresentazione del lavoro professionale prestato e delle spese sottostanti, a carattere forfettario e non (ad esempio, Sez. 3, Sentenza n. 557 del 10/02/1999, rv. 213551).
2. Va respinto in primo luogo l’addebito, mosso alla motivazione della sentenza impugnata, d’una giustificazione carente o contraddittoria a proposito degli elementi che escluderebbero la sussistenza del fatto di maltrattamenti.
Non esiste alcuna regola di esperienza che rappresenti una incompatibilita’ logica tra condotte vessatorie e generosita’ di condotta quanto alle esigenze economiche dei componenti di un nucleo familiare. Si trattasse o non del mezzo attraverso il quale (OMISSIS) tratteneva la (OMISSIS) presso di se’, la volonta’ lesiva tipicamente riconducibile alla fattispecie contestata non e’ quella di provocare sofferenza in qualunque possibile modo alla vittima, quanto piuttosto la consapevolezza di porre in essere con regolarita’ comportamenti prevaricatori, cosi’ da imporre un penoso regime di vita al familiare. Del resto, nella specie, la ricostruzione accolta dai Giudici del merito attribuisce ad una gelosia ossessiva il comportamento del (OMISSIS), ed e’ chiaro come non vi sia alcuna incompatibilita’ logica, appunto, tra sentimenti del genere e disponibilita’ a farsi carico dei bisogni e dei desideri dell’interlocutore.
Il ricorrente contesta poi, non ordinatamente, la decisione di accordare credito ai testimoni d’accusa per i reati minori, e quella di confermare il diniego del riconoscimento di attenuanti generiche. Si tratta all’evidenza di rilievi in fatto, oltreche’ generici: la Corte territoriale ha motivato il proprio convincimento su entrambi i versanti, con argomenti congrui e ragionevoli, di talche’ la verifica della Corte di legittimita’ deve arrestarsi senza l’impropria adozione di ragionamenti probatori alternativi.
Altrettanto va detto, per finire sul punto, con riguardo alla pretesa carenza del connotato di abitualita’ della condotta. Correttamente i Giudici dell’appello, ricostruito il fatto, hanno applicato il principio per il quale la fattispecie di maltrattamenti non e’ esclusa dalla intermittenza tra periodi di aperta patologia della relazione familiare e periodi di maggiore equilibrio, sempre che la loro reiterazione sia tale da determinare, con continuita’, uno stabile stato di sofferenza della relazione familiare. Il dolo, corrispondentemente, non e’ integrato solo quando l’agente abbia programmato una serie continua di prevaricazioni, essendo sufficiente che l’agente si renda conto di provocare una protratta condizione di disagio della vittima, quale effetto della propria persistente attivita’ vessatoria (tra le molte, Sez. 6, Sentenza n. 16836 del 18/02/2010, rv. 246915; Sez. 6, Sentenza n. 25183 del 19/06/2012, rv. 253042).
3. Neppure e’ fondato il rilievo per il quale, essendo (OMISSIS) sposato con persona diversa dalla (OMISSIS), e non essendo regolari i suoi pernottamenti presso l’abitazione che lui stesso aveva approntato in favore della donna, mancherebbe un elemento tipico della fattispecie, cioe’ la qualita’ “familiare” della relazione fra i due protagonisti della vicenda.
Anche in questo caso, i Giudici di merito si sono ispirati ad un corretto principio di diritto. Da tempo la giurisprudenza ha chiarito che la norma di cui all’articolo 572 c.p., non riguarda solo i nuclei familiari costruiti sul matrimonio, ma qualunque relazione che, per la consuetudine e la qualita’ dei rapporti creati all’interno di un gruppo di persone, implichi l’insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tradizionalmente propri del nucleo familiare. E’ infatti in contesti del genere che sorge la primaria esigenza di tutela assicurata dalla norma incriminatrice, cioe’ quella di evitare che dai vincoli familiari nascano minorate capacita’ di difesa a fronte di sistematici atteggiamenti prevaricatori assunti da un componente del gruppo: evitare cioe’ che la relazione costituisca al tempo stesso l’occasione e la “vittima” di assetti patologici nei rapporti interpersonali piu’ stretti.
Cio’ detto, sembra chiaro come la fattispecie non esiga affatto il carattere monogamico del vincolo sentimentale posto a fondamento della relazione, e neppure una continuita’ di convivenza, intesa quale coabitazione. E’ necessario piuttosto, ed unicamente, che detta relazione presenti intensita’ e caratteristiche tali da generare un rapporto stabile di affidamento e solidarieta’. Questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare, per limitarsi ad uno dei precedenti di piu’ stretta pertinenza alla situazione in esame, che “il delitto di maltrattamenti in famiglia e’ configurabile anche in danno di una persona legata all’autore della condotta da una relazione sentimentale, che abbia comportato un’assidua frequentazione della di lei abitazione, trattandosi di un rapporto abituale tale da far sorgere sentimenti di umana solidarieta’ e doveri di assistenza morale e materiale” (Sez. 5, Sentenza n. 24688 del 17/03/2010, rv. 248312).
Nel caso di specie la Corte territoriale ha accertato un rapporto di “convivenza” durato due anni, nel quale assume speciale rilievo, ai fini che interessano, l’identificazione della casa abitata stabilmente dalla (OMISSIS) (e, per quanto si comprende, completamente sostenuta dal (OMISSIS)) ed istituita come luogo di svolgimento del rapporto di coppia, il quale poi si concretava in coabitazione, nel senso piu’ pieno del termine, ogni volta che fosse possibile, e comunque si identificava come la principale relazione affettiva tra i due protagonisti della vicenda.
Per le ragioni anzidette, una tale situazione di fatto, che i Giudici del merito hanno identificato secondo le proprie prerogative e con adeguata motivazione, puo’ essere legittimamente ricondotta alla fattispecie incriminatrice.
4. Da ultimo, la pretesa violazione dei criteri di valutazione della prova, a norma dell’articolo 192 c.p.p..
Si tratta all’evidenza del tentativo di sollecitare, attraverso la soglia della violazione di legge, l’adesione ad un ragionamento probatorio diverso da quello condotto dal Giudice del merito.
In realta’ la giurisprudenza ha chiarito come, anche quando vi sia stata costituzione di parte civile, la testimonianza della persona offesa non sia soggetta ai criteri di valutazione espressamente fissati per la chiamata di correo. Si puo’ convenire, tuttavia, che l’interesse della parte ad una soluzione favorevole per interessi di natura patrimoniale deve indurre un controllo particolarmente attento sulla coerenza e l’attendibilita’ delle sue dichiarazioni, nell’esercizio del quale puo’ rendersi necessaria anche la ricerca di conferme esterne (ad esempio, Sez. 1, Sentenza n. 29372 del 24/06/2010, rv. 248016).
Sennonche’ tale operazione, nella specie, e’ stata puntualmente compiuta dalla Corte territoriale. La svalutazione del racconto della (OMISSIS) sull’episodio del (OMISSIS) – piu’ che altro riferita alla intensita’ ed alla continuita’ della coercizione esercitata dal (OMISSIS) e dai due uomini che lo accompagnavano (resta chiaro che la donna non ha inventato l’episodio di sana pianta) – ha indotto ad una considerazione frazionata dei contenuti narrativi della testimonianza, con una verifica della coerenza interna del racconto concernente l’ordinario menage della coppia (non a caso disciolta da tempo al momento del presunto sequestro), e degli specifici riscontri in proposito raccolti. Un racconto del resto non radicalmente contrastato nella prospettiva della difesa, che ha preferito discuterne, come si e’ visto, la continuita’ o la connotazione. D’altra parte, le dichiarazioni confermative di (OMISSIS) e (OMISSIS) in ordine al penoso regime di vita che il ricorrente aveva imposto alla (OMISSIS) non possono essere liquidate, specie nel ruolo loro proprio di mere conferme del narrato della vittima, sul generico rilievo che si tratterebbe di testi “di parte”.
Ancora una volta, una valutazione in fatto spettante al Giudice del merito, e non sindacabile da questa Corte se non nel profilo, positivamente verificato, della congruenza e completezza della motivazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *