Cassazione 13

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI

SENTENZA 28 ottobre 2015, n. 43467

Ritenuto in fatto

Con sentenza del 12.11.2014 la Corte di appello di Lecce, a seguito di gravame interposto dall’imputato P.G. avverso la sentenza emessa il 27.1.2012 dal locale Tribunale, in riforma della decisione ha rideterminato la pena inflitta al predetto, giudicato responsabile dei reati di infedele patrocinio ai danni della assistita A.S. (capo A) e diffamazione continuata ai danni dell’avv. L.C. (capo B).

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato che, a mezzo del difensore, deduce:

2.1. Violazione di legge, travisamento dei fatto e vizio della motivazione. La affermazione di responsabilità del ricorrente in ordine al reato di cui all’art. 380 cod. pen. risulterebbe frutto di uno stravolgimento della stessa ipotesi di accusa che ha ipotizzato un nocumento economico ai danni della rappresentata S. A.L. laddove la sentenza ha, invece, ritenuto sufficiente il danno «morale» consistito nella esposizione della stessa rappresentata al giudizio di rivalsa da parte della Compagnia assicuratrice per le somme che, già in via transattiva, aveva corrisposto al P.. In ogni caso, da un lato, alcun danno economico vi era stato per la S. con conseguente insussistenza del fatto che tale tipo di danno necessariamente presuppone; dall’altro, nessuno poteva essercene per la manleva rilasciata dal P. alla S. per ogni eventuale conseguenza di quel giudizio di rivalsa. Del resto solo il P., al quale le somme erano state corrisposte, poteva essere citato in giudizio dalla assicurazione ed irrilevante sarebbe che la citazione fosse stata fatta nei confronti della S., in quanto mancante di legittimazione passiva. Infine, se il nocumento era da individuare nella citazione si sarebbe dovuto conseguentemente individuare il relativo decorso della prescrizione. Quanto al reato di diffamazione si deduce la carenza dell’elemento psicologico ben potendo il ricorrente aver comunicato all’avv. C. in altra occasione la avvenuta transazione, nonchè l’omessa risposta della Corte sulla dedotta mancanza dell’elemento psicologico. Infine, si deduce l’omessa pronuncia sulla subordinata richiesta di concessione delle circostanze attenuanti.

2.2.    E’ pervenuto verbale di remissione di querela del 6.10.2015 dichiarata da C. L. ed accettata dal P..

Considerato in diritto

II ricorso è fondato in ordine alla ipotesi di cui all’art. 380 cod. pen., mentre va dichiarata l’estinzione del reato di diffamazione per l’intervenuta remissione di querela.

II delitto di cui all’art. 380 comma primo cod. pen. (patrocinio infedele) è un reato che richiede per il suo perfezionamento, in primo luogo, una condotta del patrocinatore irrispettosa dei doveri professionali stabiliti per fini di giustizia a tutela della parte assistita ed, in secondo luogo, un evento che implichi un nocumento agli interessi di quest’ultimo, inteso questo non necessariamente in senso civilistico di danno patrimoniale, ma anche nel senso di mancato conseguimento dei beni giuridici o dei benefici di ordine anche solo morale che alla stessa parte sarebbero potuti derivare dal corretto e leale esercizio del patrocinio legale. D’altro canto la condotta illecita può consistere anche nell’occultamento di notizie o nella comunicazione di notizie false e fuorvianti nel corso del processo; a sua volta l’evento può essere rappresentato anche dal mancato conseguimento di vantaggi formanti oggetto di decisione assunte dal Giudice nelle fasi intermedie o incidentali di una procedura (Sez. 6, n. 2689 del 19/12/1995, Forti, Rv. 204509); ancora, il delitto di patrocinio infedele di cui all’art. 380 cod. pen. ha natura di reato plurioffensivo in quanto, oltre a ledere l’amministrazione della giustizia e il regolare funzionamento dell’attività giudiziaria, che impone di rispettare i principi minimi di correttezza e lealtà, richiede la realizzazione di un evento implicante un nocumento concreto agli interessi della parte processuale difesa dal patrocinatore che si rende inadempiente ai suoi doveri professionali (Sez. 6, n. 45059 del 28/01/2014, Rampellotto e altri, Rv. 260506); infine, ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di infedele patrocinio non è necessaria la specifica volontà dell’agente di nuocere alla parte assistita (Sez. 6, n. 42913 del 19/11/2010, Sperandii, Rv. 248826).

Nella specie, in relazione alla ipotesi di patrocinio infedele, la Corte di merito ha individuato il comportamento professionalmente scorretto del ricorrente nell’autonoma decisione di proseguire il giudizio nonostante fosse intervenuta transazione con la società assicuratrice con la contestuale rinuncia all’azione civile esercitata ed il nocumento cagionato alla parte rappresentata nell’aver esposto la predetta alle conseguenze negative, anche solo morali, del giudizio di rivalsa da parte della compagnia assicuratrice.

Osserva la Corte che, quanto alla condotta infedele, essa non attiene alle ragioni dell’assistita essendo – invece – diretta al perseguimento dell’ulteriore pagamento al ricorrente imputato delle spese legali, avendole conseguite già una volta in sede transattiva. Quanto al paventato nocumento alla parte assistita, va osservato che non solo non individua la perdita di beni apprezzabili anche solo sotto il profilo morale da parte della S., ma questa solo erroneamente è stata esposta alla pretesa di rimborso delle spese legali pagate per la seconda volta dalla Compagnia assicuratrice, trattandosi di spese legali attribuite direttamente al difensore distrattario, come riconosciuto dalla sentenza di appello del Tribunale di Lecce n. 2297 del 9.7.2012 prodotta nel giudizio di appello, che ha negato la legittimazione passiva della S. rispetto alla domanda formulata dalla società assicuratrice.

Pertanto, né sotto il profilo oggettivo né quello soggettivo è ravvisabile il reato contestato al ricorrente e la sentenza va sul punto annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

Del pari va annullata senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al reato di diffamazione per la sopravvenuta remissione di querela, accettata dall’imputato, alla quale consegue l’estinzione dei predetto reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in ordine al capo A) perché il fatto non sussiste ed in ordine al capo B) perché il reato di diffamazione è estinto per remissione di querela.

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