Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza 26 ottobre 2015, n. 21721
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Presidente
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere
Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere
Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 23068-2013 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2910/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA del 21/03/2013, depositata il 29/04/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/05/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSANA MANCINO;
uditi gli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) difensori del ricorrente che si riportano agli scritti;
udito l’Avvocato (OMISSIS) difensore della controricorrente che si riporta agli scritti.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il Tribunale di Roma dichiarava l’inefficacia della cessione da (OMISSIS) S.p.A. a (OMISSIS) s.p.a. del ramo d’azienda cui era addetto l’attuale ricorrente e condannava la cedente a ripristinare il rapporto di lavoro.
2. (OMISSIS) S.p.A. non ottemperava all’ordine di ripristinare il rapporto di lavoro malgrado la formale offerta della prestazione ed il lavoratore, che continuava a lavorare per la societa’ cessionaria, chiedeva ed otteneva, dal Tribunale di Roma, decreto ingiuntivo con il quale si intimava a (OMISSIS) il pagamento delle retribuzioni maturate.
3. L’opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo veniva rigettata dal Tribunale di Roma.
4. La Corte d’appello di Roma ha accolto il gravame svolto dalla societa’.
5. Ad avviso della Corte territoriale le conseguenze della condotta della (OMISSIS) s.p.a., pur illegittima (per non aver provveduto al ripristino della funzionalita’ del rapporto benche’ a tanto sollecitata), non rilevava, in difetto della prestazione, sul piano retributivo ma sul solo piano risarcitorio, con conseguente eccepibilita’ o rilevabilita’ dell’aliunde perceptum, nel caso in esame di entita’ tale da elidere completamente il danno subito per effetto della perdita della retribuzione.
6. Il lavoratore ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, affidato a due motivi.
7. (OMISSIS) s.p.a. ha resistito con controricorso.
8. Le parti hanno depositato memorie ex articolo 378 c.p.c..
9. Il ricorrente deduce violazione degli articoli 1206, 1207, 1217, 1256 e 1453 c.c., per avere la Corte territoriale escluso, nella fattispecie, il diritto alla retribuzione in conseguenza dell’omesso ripristino della funzionalita’ del rapporto e riconosciuto solo il diritto ad ottenere il risarcimento del danno, con detrazione dell’aliunde perceptum; violazione dell’articolo 2094 c.c. per aver ritenuto l’erogazione del trattamento economico anche in caso di mancata prestazione, un’eccezione prevista esclusivamente dalla legge o dal contratto.
10. I motivi del ricorso, esaminati congiuntamente per la loro connessione logica, sono qualificabili come manifestamente infondati, tenuto conto della giurisprudenza di questa Corte formatasi con riferimento alla medesima vicenda delle cessioni ritenute illegittime di rami d’azienda da parte della (OMISSIS) (v., fra le altre, Cass. 7281/2015).
11. La questione degli effetti della dichiarazione di nullita’ della cessione di ramo d’azienda e’ stata affrontata da questa Corte nella sentenza n. 19740 del 2008, cui occorre dare continuita’, che ha ritenuto che l’obbligazione del cedente che non proceda al ripristino del rapporto di lavoro deve essere qualificata come risarcimento del danno, con la conseguente detraibilita’ dell’aliunde perceptum.
12. Costituisce infatti un principio che si e’ andato consolidando nell’elaborazione di questa Corte quello secondo il quale il contratto di lavoro e’ un contratto a prestazioni corrispettive nel quale l’erogazione del trattamento economico in mancanza di lavoro costituisce un’eccezione, che deve essere oggetto di un’espressa previsione di legge o di contratto, cio’ che avviene ad esempio nei casi del riposo settimanale (articolo 2108 cod. civ.) e delle ferie annuali (articolo 2109 cod. civ.).
13. In difetto di un’espressa previsione in tal senso, la mancanza della prestazione lavorativa da’ luogo anche nel contratto di lavoro ad una scissione tra sinallagma genetico (che ha riguardo al rapporto di corrispettivita’ esistente tra le reciproche obbligazioni dedotte in contratto) e sinallagma funzionale (che lega invece le prestazioni intese come adempimento delle obbligazioni dedotte) che esclude il diritto alla retribuzione – corrispettivo e determina, a carico del datore di lavoro che ne e’ responsabile, l’obbligo di risarcire i danni, eventualmente commisurati alle mancate retribuzioni.
14. Proprio perche’ si tratta di un risarcimento del danno – ed in assenza di una disciplina specifica per la determinazione del suo ammontare – soccorrono i normali criteri fissati per i contratti in genere, con la conseguenza che dev’essere detratto l’aliud perceptum che il lavoratore puo’ aver conseguito svolgendo una qualsivoglia attivita’ lucrativa.
15. Tali principi sono stati affermati da questa Corte in relazione a fattispecie che, seppure diverse da quella che ci occupa, sono a questa pienamente assimilabili sotto il profilo esaminato, quali gli intervalli non lavorati nel caso di successione di una pluralita’ di contratti a termine, nei quali l’apposizione della clausola sia stata ritenuta illegittima (Cass. S.U. n. 2334 del 5 marzo 1991, Sez. L, n. 9464 del 21/04/2009), la dichiarazione di nullita’ del licenziamento orale (Cass. Sez. U, n. 508 del 27/07/1999), la dichiarazione di nullita’ del termine apposto al contratto di lavoro con accertamento della giuridica continuita’ dello stesso (Cass. Sez. Legge n. 4677 del 2006, Sez. L, n. 15515 del 02/07/2009), l’accertamento della nullita’ di clausola del contratto collettivo prevedente l’automatica cessazione del rapporto di lavoro al raggiungimento della massima anzianita’ contributiva con conseguente accertamento della continuita’ giuridica del rapporto di lavoro (Sez. U, n. 12194 del 13/08/2002 e successive conformi tra cui ex multis Sez. L, n. 11758del 01/08/2003, Sez. L, n. 13871 del 14/06/2007, Sez. Legge n. 14387 del 2000).
16. La qualificazione in termini risarcitori delle erogazioni patrimoniali a carico del datore di lavoro come conseguenza dell’obbligo di ripristino del posto di lavoro illegittimamente perduto risulta peraltro influenzata, in maniera decisiva, dalle modifiche introdotte dalla Legge n. 108 del 1990, articolo 1 alla Legge n. 300 del 1970, articolo 18 che ha unificato quanto dovuto per i periodi anteriore e posteriore alla sentenza che dispone la reintegrazione sotto il comune denominatore dell’obbligo risarcitorio (cosi’ Cass. Sez. L, Sentenza n. 4943 del 01/04/2003 e successive plurime conformi tra cui v. Sez. L, n. 16037 del 17/08/2004, Sez. L, n. 26627 del 13/12/2006), con la conseguente detraibilita’ dell’aliunde perceptum.
17. Tale principio di diritto e’ stato ribadito con specifico riferimento a fattispecie identiche a quella oggi in esame (nel caso di cessione di ramo d’azienda da parte della (OMISSIS) ritenuto inefficace, ma con pagamento delle retribuzioni da parte del cessionario) in numerosi precedenti di questa Corte (cfr. Cass. nn. 19490, 16095, 19228 del 2014 e numerosissime altre).
18. A quanto detto consegue che nel caso in esame, pacifico essendo che i lavoratori hanno continuato a prestare l’attivita’ lavorativa alle dipendenze della cessionaria, venendone retribuiti, a loro incombeva l’onere (che non risulta essere stato assolto) di dedurre e dimostrare i danni sofferti, tra i quali l’inferiorita’ di quanto ricevuto rispetto alla retribuzione che sarebbe loro spettata alle dipendenze della societa’ cedente (cosi’ Cass. 8514/2015).
19. Risulta, pertanto, immune da censure la sentenza impugnata che si e’ conformata ai principi esposti.
20. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
21. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla Legge 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiche’ l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non e’ collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (cosi’ Cass. Sez. Un. n. 22035/2014).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ che si liquidano in euro 100,00 per esborsi, nonche’ in euro 2.000,00 per compensi, oltre accessori come per legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
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