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Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 24 febbraio 2015, n. 8316

Considerato in fatto

1. R.F. è stata condannata in primo (Tribunale di Milano, 25.2.2013) e secondo grado (Corte d’appello di Milano, 31.3.2014) per reato ex artt. 81 e 316-ter c.p.. Secondo la condotta contestata, nelle dichiarazioni 14.9.2005 e 27.9.2006 aveva dichiarato di essere in possesso dei requisiti di legge e del regolamento, in particolare non percependo per l’anno solare di riferimento redditi superiori a 10.500,00 Euro, così ricevendo una borsa di studio dall’Università di (omissis) nei due anni accademici per la complessiva somma di Euro 19.637,00. La consumazione era contestata fino alla percezione dell’ultimo rateo della borsa di studio, che la sentenza d’appello indica essere avvenuta nel novembre del 2007. La sentenza di primo grado sul punto della consumazione indica il maggio 2007 e il maggio 2008 date, invece, della presentazione delle due dichiarazioni con i redditi effettivamente percepiti.
Spiegano i Giudici del merito che secondo il regolamento pertinente la dichiarazione si riferiva all’indicazione sul reddito futuro e che lo stesso, per il caso che le indicazioni presuntive si fossero rivelate non fondate nel senso del successivo percepimento di reddito maggiore nell’anno di riferimento, prescriveva la restituzione delle somme. La R. , che pur aveva percepito reddito maggiore, comprovato nella dichiarazione dei redditi presentata nel maggio 2007 (e poi in quella del maggio 2008), nulla aveva restituito, continuando anzi a ritirare gli ultimi ratei.
In particolare la Corte d’appello richiamava l’insegnamento della sentenza delle Sezioni unite di questa Corte n. 7535/2011 (sulla sussunzione nell’art. 316-ter anche delle prestazioni prettamente assistenziali), rilevava essere indiscusso che i redditi della R. non le consentissero di fruire della borsa di studio, argomentava la sussistenza dell’elemento psicologico in relazione all’evidenza dei dati (tra l’altro la percezione degli ultimi ratei essendo successiva appunto alla dichiarazione dei redditi che attestava la mancanza del diritto) ed alla personalità dell’imputata (dottore di ricerca in scienze giuridiche).
2. Il ricorso avverso la sentenza d’appello enuncia quattro motivi:
-1. vizi alternativi della motivazione del momento di consumazione del reato e improcedibilità per intervenuta prescrizione: la Corte d’appello non avrebbe risposto specificamente alla doglianza prospettata nei motivi della prima impugnazione sul punto, secondo la ricorrente dovendosi la consumazione fermare, nel caso di conferma della qualificazione giuridica originariamente ascritta, nei mesi di novembre del 2006 e del 2007 (epoche di percezione degli ultimi ratei delle borse di studio relative ai due anni accademici);
-2. erronea applicazione della legge penale e mancata assoluzione perché il fatto o non sussiste o non è previsto dalla legge come reato: l’insegnamento delle Sezioni unite richiamato dalla Corte d’appello non sarebbe pertinente al caso, non rientrando le borse di studio nella nozione di prestazione assistenziali in quanto finalizzate a fronte dello svolgimento di attività di studio e lavorativa ed i relativi finanziamenti proveniendo anche da privati;
-3. vizi alternativi della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato ex art. 316-ter c.p.: pacifica la non inveridicità delle dichiarazioni originarie (che si risolvevano in una mera previsione) la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto dell’influenza sulla consapevolezza dell’interessata del trascorrere del tempo tra la previsione e la constatazione del dato effettivo, comunque non motivando sul punto;
-4. Erronea qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell’art. 316-ter c.p. anziché dell’art. 640-bis c.p., non essendo riconducibile alla prima fattispecie la mancata successiva comunicazione del superamento del reddito; ma dall’ipotesi ex art. 640-bis c.p. sarebbe mancata l’opportunità di una concreta difesa in fatto.

Ragioni della decisione

3. Il ricorso è parzialmente fondato nei termini che seguono.
Il processo risente dell’inadeguatezza del capo di imputazione al fatto: come hanno spiegato i Giudici del merito, il meccanismo delle due borse di studio prevedeva una sorta di anticipazione sulla base della previsione del reddito futuro (anche ovviamente in relazione alle condizioni di reddito presenti al momento della domanda relativa): quando veniva a compimento il periodo di futuro riferimento (condivisibilmente individuato nel momento della presentazione della dichiarazione annuale dei redditi), se il “borsista” aveva superato il reddito massimo consentito doveva restituire il percepito. La R. per entrambi gli anni di riferimento ha ottenuto un reddito superiore al massimo consentito, continuando a percepire gli ultimi ratei, fino ai mesi di novembre, e non restituendo alcunché, finché anni dopo l’Università si è attivata per le dovute restituzioni.
Su questa situazione di fatto, non discussa, l’imputata ha svolto ogni difesa fin dal primo giudizio.
3.1 Osserva preliminarmente la Corte che, non risultando cause di sospensione della prescrizione e risultando corretta la individuazione del mese di novembre (corrispondente alla percezione dell’ultimo rateo) il momento finale della consumazione (quantomeno relativa ai mesi dal maggio, data di conoscenza adeguata dei redditi ottenuti e quindi dell’obbligo non solo di restituire il percepito ma specialmente di non incassare e trattenere i ratei successivi), la porzione di condotta relativa all’anno accademico 2005-2006 è prescritta.
Ciò determina il corrispondente annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza e, per l’effetto, l’eliminazione della porzione di pena afferente la continuazione, che si evince dalla sentenza di primo grado essere quantificata in quindici giorni.
3.2 Quanto al periodo relativo all’anno accademico 2006-2007, infatti, il ricorso è infondato.
Il primo motivo è infondato perché la prescrizione decorre dal percepimento dell’ultimo rateo (novembre 2007) nella piena consapevolezza della sua illegittimità.
Il secondo motivo è infondato innanzitutto perché correttamente i Giudici del merito hanno ritenuto che anche una borsa di studio universitaria correlata a limiti di reddito costituisca “erogazione” ai sensi dell’art. 316-ter c.p., in quanto “contributo” che si risolve nel “conferimento di un apporto” (in denaro o agevolazioni con rilevanza economica) “per il raggiungimento di una finalità pubblicamente rilevante”. Nella fattispecie è indubbia la pertinenza della finalità di superare possibili limiti correlati alle condizioni economiche per agevolare lo studio anche a livello universitario e post-universitario al principio fondamentale affermato dal capoverso dell’art. 3 Cost.. In secondo luogo perché la deduzione relativa alla natura privata dei finanziamenti erogati è prospettata in termini del tutto generici, a fronte del dato notorio dell’origine dell’Università di (omissis) (dallo sdoppiamento dell’Università statale di Milano) e dell’essere il suo bilancio per gran parte basato su trasferimenti dello Stato.
Il terzo motivo è inammissibile perché del tutto generico, in quanto la ricorrente non si confronta con la specifica motivazione che i Giudici d’appello hanno dedicato al punto della decisione relativo alla sussistenza dell’elemento psicologico, e in definitiva diverso da quelli consentiti, risolvendosi in censura di precluso merito.
Il quarto motivo è infondato: come ricordato, la struttura della fattispecie concreta per cui è processo è quella di una dazione anticipata e provvisoria con l’assunzione dell’obbligo di eventuale restituzione, sicché la mancata comunicazione del superamento del reddito, la prosecuzione della percezione e la stessa mancata restituzione del percepito non sono elementi esterni alla fattispecie, idonee ad indurre in errore l’Amministrazione nelle sue determinazioni, bensì condotte sussumibili con immediatezza nell’”omissione di informazioni dovute” espressamente considerata dall’art. 316-ter.
Il ricorso va pertanto rigettato nel resto.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione limitatamente ai ratei di borsa di studio percepiti nell’anno accademico 2005/2006 ed elimina la relativa pena di giorni 15 di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso.

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