Cassazione 3

Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza 25 febbraio 2015, n. 8530

Ritenuto in fatto

Con sentenza in data 7 novembre 2013 nei confronti di C.F., imputato in ordine al reato di furto aggravato, la Corte di appello di Reggio Calabria, in riforma della sentenza emessa in data 19 dicembre 2007 dal Tribunale di Locri-sezione monocratica di Siderno, appellata dal C., esclusa l’aggravante di cui all’art.61 n.5 c.p., rideterminava la pena inflitta in anni tre di reclusione ed euro 750,00 di multa; confermava nel resto l’impugnata sentenza.
Avverso tale sentenza il C. proponeva ricorso per Cassazione a mezzo del suo difensore, e concludeva chiedendo l’annullamento con rinvio per una differente quantificazione della pena.
Il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
1) Violazione della legge penale in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti di cui ai numeri 4 e 6 dell’art. 62 cod. pen.. Riteneva il difensore, quanto all’attenuante della speciale tenuità del danno cagionato alla persona offesa, che la stessa doveva essere riconosciuta all’imputato dal momento che egli in data 12.05.2004 aveva restituito la telecamera in perfette condizioni. Secondo la difesa il riferimento al valore del bene fatto in sentenza avrebbe potuto essere decisivo solo in caso di perimento definitivo del bene, o per mancato recupero o per inservibilità di quello restituito. La tenuità del danno dovrebbe quindi essere ravvisata a causa del pregiudizio minimo limitato al ridotto lasso di tempo in cui la persona offesa è rimasta priva del bene.
Quanto alla mancata concessione dell’attenuante di cui all’art.62 n.6 c.p., secondo la difesa, i giudici della Corte territoriale erroneamente ne avevano ritenuto la insussistenza sulla base del fatto che la condotta collaborativa del C. sarebbe stata indotta soltanto dalla imminente perquisizione, “non evidenziando un sincero e genuino ravvedimento”. Invece la disposizione di cui sopra fa riferimento alla riparazione del danno mediante il risanamento ovvero, quando sia possibile, mediante la restituzione delle cose. Nella fattispecie di cui è processo, pertanto, secondo il difensore, l’attenuante in questione doveva essere concessa dal momento che l’imputato, prima del giudizio, aveva restituito la telecamera in maniera spontanea, come era stato riferito dai testi Sepe e Verducci. Tale attenuante avrebbe natura oggettiva, come potrebbe dedursi dalla norma stessa che, richiedendo l’integralità del risarcimento, mette in secondo piano il momento psicologico della resipiscenza.

Considerato in diritto

Il proposto ricorso è infondato.
Quanto alla mancata concessione della circostanza attenuante di cui all’articolo 62 n.4 c.p., si osserva che i giudici della Corte territoriale, che hanno anche citato pertinente giurisprudenza di questa Corte sul punto, hanno spiegato in maniera logica le ragioni per cui non è stato possibile concedere all’imputato l’attenuante della speciale tenuità del danno patrimoniale cagionato alla persona offesa. Hanno infatti rilevato che, ai fini della configurabilità della stessa, si devono valutare, oltre al valore economico del bene, anche gli ulteriori effetti pregiudizievoli cagionati alla persona offesa dalla condotta delittuosa e hanno evidenziato la grave lesione del rapporto fiduciario determinata dalla condotta delittuosa nella fattispecie che ci occupa (trattasi infatti di furto compiuto da un agente all’interno del proprio Commissariato), circostanza che non consentiva la concessione dell’attenuante in oggetto. Anche con riferimento alla mancata concessione dell’attenuante della riparazione del danno prevista dall’art.62 n.6 c.p. i giudici della Corte territoriale ne hanno spiegato le ragioni con congrua e adeguata motivazione. In particolare hanno evidenziato la non integralità del risarcimento e la circostanza che si era trattato di una restituzione “provocata”. Quanto al primo punto si osserva infatti che la telecamera era stata restituita priva del numero di matricola, che l’imputato aveva provveduto ad asportare, al chiaro fine di renderne più difficile l’identificazione, anche se la stessa aveva potuto avvenire sulla base degli altri dati che
corrispondevano. Quanto al secondo punto, la sentenza impugnata ha evidenziato che il C. aveva consegnato la telecamera soltanto allorquando aveva saputo che stava per essere effettuata una perquisizione da parte degli agenti di P.S. presso la sua abitazione, sita in Roccella Ionica, perquisizione che avrebbe evidentemente portato al rinvenimento della stessa.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

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