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Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 19 maggio 2014, n. 20526

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IPPOLITO Francesco – Presidente
Dott. LEO Guglielmo – Consigliere
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere
Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere
Dott. DE AMICIS Gaetano – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 86/2013 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del 15/04/2014;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. DE AMICIS GAETANO;
sentite le conclusioni del PG Dott. CEDRANGOLO Oscar, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS), quale sostituto processuale DELL’Avv. (OMISSIS), che hanno concluso per l’accoglimento dei motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 15 aprile 2014 la Corte d’appello di Bologna ha rifiutato, ai sensi della Legge n. 69 del 2005, articolo 18, lettera r), la consegna del cittadino italiano (OMISSIS) all’Autorita’ giudiziaria rumena, richiesta con mandato di arresto europeo emesso in data 13 maggio 2013, disponendo in conformita’ al diritto interno l’esecuzione della pena di cinque anni di detenzione, inflittagli con sentenza di condanna emessa il 2 novembre 2012 dal Tribunale di Focsani e confermata dalla Corte d’appello di Galati con sentenza del 10 maggio 2013, in relazione ad un procedimento penale per reati di truffa ai danni della Comunita’ europea, commessi fino all'(OMISSIS).

Con la medesima pronuncia, inoltre, la Corte d’appello di Bologna ha dichiarato la pena condonata nella misura di anni tre di reclusione, riconoscendo il beneficio dell’indulto concesso con Legge n. 241 del 2006.

2. Avverso la su indicata sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori di fiducia del (OMISSIS), deducendo tre motivi di doglianza, il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente illustrato.

2.1. Violazione di legge e mancanza di motivazione con riferimento alla Legge n. 69 del 2005, articolo 18, lettera g), avendo la Corte d’appello omesso di motivare sulle violazioni dei diritti fondamentali eccepite nelle memorie difensive e deducibili dalle sentenze di condanna emesse dalle autorita’ rumene, violazioni riguardanti i principi dell’equo processo, della difesa in giudizio e dell’uguaglianza delle armi, e consistite nel rifiuto di esaminare, in contraddittorio con il P.M. rumeno, la documentazione ufficiale contestata in causa e di ammettere una testimonianza decisiva che avrebbe potuto scagionare il ricorrente.

2.2. Violazione di legge con riferimento alla Legge n. 69 del 2005, articolo 6, commi 3, 5 e 6, per quel che inerisce al mancato respingimento della richiesta di consegna per omessa allegazione al m.a.e. della copia della sentenza di condanna a pena detentiva della Corte d’appello di Galati del 10 maggio 2013, vale a dire in assenza del titolo esecutivo attestante la condanna e la sua irrevocabilita’.

2.3. Violazione di legge con riferimento alla Legge n. 69 del 2005, articolo 18, lettera n), non avendo la Corte d’appello correttamente motivato la riscontrata circostanza per cui i fatti oggetto del m.a.e. non solo “potevano essere”, ma sono stati giudicati in Italia, ed in relazione ad essi gia’ si era verificata la prescrizione del reato secondo la legge italiana, anteriormente all’irrevocabilita’ della sentenza di condanna rumena ed all’emissione del m.a.e..

Larga parte delle condotte addebitate al (OMISSIS), infatti, sono state certamente realizzate in Italia, e per esse e’ stato in effetti avviato un procedimento penale dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Mantova in relazione ai reati di cui agli articoli 416 e 640 bis c.p., tanto che dall’autorita’ giudiziaria italiana veniva richiesta una commissione rogatoria internazionale all’autorita’ giudiziaria elvetica in data 21 ottobre 2008, in cui si faceva espressamente riferimento ad attivita’ di indagine svolte dalla Commissione europea/Olaf su presunte frodi relative alla realizzazione di impianti vinicoli in Romania finanziati dal fondo comunitario “(OMISSIS)”, ossia ai medesimi fatti oggetto della sentenza emessa dall’A.G. rumena. I reati oggetto del procedimento pendente dinanzi alle autorita’ italiane, da considerarsi consumati con l’ultima erogazione del 18 ottobre 2004, risultavano gia’ prescritti in data 18 ottobre 2010, ovvero in data 18 aprile 2012, ossia in epoca antecedente non solo l’emissione del m.a.e. (13 maggio 2013), ma la stessa pronunzia delle sentenze di condanna rumene del 2 novembre 2012 e del 10 maggio 2013.

Erroneo, in definitiva, deve ritenersi il riferimento, operato nell’impugnata pronunzia, alla consolidata giurisprudenza di legittimita’ formatasi in materia di estradizione riguardo alla ipotesi prevista dalla Legge n. 300 del 1963, articolo 10, poiche’, in caso contrario, la ritenuta applicabilita’ della Legge n. 69 del 2005, articolo 18, lettera n), ai soli casi di m.a.e. processuali non si sottrarrebbe alla censura di illegittimita’ costituzionale per palese violazione del principio di cui all’articolo 3 Cost..

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Inammissibile, in quanto genericamente formulato, deve ritenersi il primo motivo di doglianza, che omette di articolare precise censure in merito alle argomentazioni al riguardo espresse nell’impugnata pronunzia, che ha rigettato, con congrua ed esaustiva motivazione, la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea ex articolo 267 T.F.U.E., mostrando di aver esaminato, sulla base di plausibili ragioni giustificative, tutte le deduzioni ed i rilievi difensivi, con riferimento ad ipotizzate violazioni dei diritti di difesa nell’ambito del processo estero, al preteso diritto del destinatario di un m.a.e. di introdurre un ricorso sospensivo dinanzi all’Autorita’ giudiziaria dello Stato di esecuzione, ed alla pretesa necessita’ che quest’ultima disponga di una copia autentica della sentenza definitiva tradotta.

Profili, questi, espressamente esaminati e risolti nella motivazione dell’impugnato provvedimento, senza che il ricorrente vi abbia opposto specifici ed argomentati rilievi in senso contrario.

Sul punto, peraltro, occorre considerare, in linea generale, le implicazioni riconnesse al consolidato insegnamento giurisprudenziale di questa Suprema Corte, secondo cui, in tema di mandato di arresto europeo, non e’ richiesto, ai fini della decisione sulla consegna, che l’ordinamento dello Stato emittente presenti le stesse garanzie dell’ordinamento italiano in tema di “giusto processo”, ma e’ necessario che esso rispetti i relativi principi garantiti dalle Carte sovranazionali, ed in particolare dall’articolo 6 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo, cui si richiama l’articolo 111 Cost. (Sez. 6, n. 4528 del 27/01/2012, dep. 02/02/2012, Rv. 251959).

E’ noto, del resto, che esula dai poteri conferiti al giudice nazionale qualsiasi valutazione in ordine all’adeguatezza del materiale indiziario posto alla base del provvedimento cautelare e degli elementi di prova addotti a discarico dal ricorrente, i quali trovano la loro normale sede di prospettazione e disamina dinanzi all’autorita’ giudiziaria dello Stato di emissione (Sez. 6, n. 16362 del 16/04/2008, dep. 19/04/2008, Rv. 239649).

4. Manifestamente infondato deve altresi’ ritenersi il secondo motivo di ricorso, avendo la Corte territoriale gia’ posto in rilievo l’irrilevanza della questione, per essere stata disposta ed ottenuta l’acquisizione delle sentenze di primo e secondo grado all’origine del m.a.e., entrambe tradotte in lingua italiana.

Costituisce, del resto, frutto di un pacifico insegnamento giurisprudenziale l’affermazione del principio secondo cui deve ritenersi legittima la decisione di consegna in forza di un m.a.e. esecutivo anche nell’ipotesi in cui non sia stata allegata o acquisita in via integrativa la copia della sentenza di condanna a pena detentiva che ha dato luogo alla richiesta, qualora la documentazione in atti contenga tutti gli elementi conoscitivi necessari e sufficienti per la decisione stessa (da ultimo, Sez. F., n. 33389 del 13/08/2009, dep. 14/08/2009, Rv. 244754; Sez. 6, n. 15223 del 03/04/2009, dep. 08/04/2009, Rv. 243081).

5. Fondata, di contro, deve ritenersi, sia pure per ragioni solo in parte coincidenti con quelle in ricorso illustrate, la terza doglianza difensiva, ove si consideri, sulla base di quanto emerso dal m.a.e. e dalla relativa documentazione trasmessa dallo Stato emittente, oltre che dagli elementi di prova documentale al riguardo allegati dalla difesa, che i reati oggetto della sentenza di condanna alla base del m.a.e. riguardano condotte di truffa in danno dell’Unione europea (ex articolo 640 bis c.p.), dal ricorrente poste in essere quale rappresentante legale di una societa’ rumena, in occasione della realizzazione di uno stabilimento di vinificazione in Romania (frodi consistite nella presentazione di falsa documentazione, attraverso cui e’ stata richiesta ed ottenuta l’erogazione di fondi comunitari del programma “(OMISSIS)”, per il complessivo ammontare di euro 995.096, corrisposto in tre rate, sino alla data del 18 ottobre 2004).

Per gli stessi fatti oggetto della sentenza di condanna rumena posta alla base del m.a.e., in parte realizzati anche sul territorio italiano, risulta aver proceduto la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Mantova, che ha formulato, come posto in evidenza dalla stessa Corte d’appello, una richiesta di archiviazione per “prescrizione ed insufficienza di elementi indiziari necessari per sostenere l’accusa in dibattimento”. Tali fatti di reato, invero, erano da ritenere consumati con l’ultima erogazione avvenuta il 18 ottobre 2004, e per essi, pertanto, risultava gia’ decorso il relativo termine prescrizionale in data 18 aprile 2012 – tenuto conto del piu’ ampio termine di prescrizione a norma del combinato disposto di cui agli articoli 157, 158 e 161 c.p. – ossia in epoca antecedente non solo rispetto alla data di emissione del m.a.e. (13 maggio 2013), ma anche rispetto alla data di pronuncia delle su menzionate sentenze di condanna da parte delle Autorita’ giudiziarie rumene (rispettivamente, il 2 novembre 2012 ed il 10 maggio 2013).

Ne discende che la Corte d’appello avrebbe dovuto ravvisare la presenza dello specifico motivo ostativo delineato nella Legge n. 69 del 2005, articolo 18, comma 1, lettera n), cosi’ come interpretato dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 28995 del 20/07/2010, dep. 22/07/2010, Rv. 247832), secondo cui, in tema di mandato di arresto europeo, ai fini della valutazione del motivo di rifiuto della consegna basato sull’intervenuta prescrizione del reato o della pena, deve ritenersi decisivo, a norma della disposizione or ora menzionata, il momento di emissione del mandato di arresto europeo, dovendo la Corte d’appello rifiutare, pertanto, la consegna se a tale data i fatti per i quali il provvedimento e’ stato emesso presentino i due requisiti ivi indicati, ossia di essere giudicabili in Italia e di essere gia’ prescritti, senza che rilevi la prescrizione eventualmente maturata dopo l’emissione del mandato.

Si e’ in tal senso specificato, infatti, che la disciplina contenuta nell’articolo 9 c.p., in merito alla punibilita’ dei delitti comuni commessi all’estero dal cittadino italiano, e’ derogata, per gli Stati membri dell’U.E., dall’intero micro – sistema introdotto dalla Legge 22 aprile 2005, n. 69, le cui pertinenti disposizioni prevedono e segnano i limiti di efficacia della potesta’ punitiva dello Stato membro di emissione del mandato. Ne consegue che, con riferimento al su indicato motivo ostativo, una volta intervenuto il mandato di arresto europeo, cessa la possibile giurisdizione italiana sul delitto compiuto dal cittadino all’estero e si interrompe il periodo valutabile ai fini della prescrizione (Sez. 6, n. 15004 del 08/04/2008, dep. 10/04/2008, Rv. 239426).

Sulla base di un’attenta lettura del disposto di cui alla Legge n. 69 del 2005, articolo 18, comma 1, lettera n), (“La Corte di Appello rifiuta la consegna …se i fatti per i quali il mandato di arresto e’ stato emesso potevano essere giudicati in Italia e si sia gia’ verificata la prescrizione del reato o della pena”), questa Suprema Corte ha ritenuto decisivo, ai fini della valutazione della prescrizione, il momento di emissione del mandato di arresto europeo: quel che rileva, dunque, ai fini del rifiuto della consegna, e’ che alla data del mandato di arresto europeo, come verificatosi nel caso in esame, i fatti per il quali il provvedimento e’ stato emesso presentino i due concorrenti requisiti ivi espressamente previsti, e cioe’ quello (dal legislatore formulato in termini generali) di essere giudicabili in Italia e quello (specificamente articolato per il reato o, in alternativa, per la pena) di essere gia’ prescritti.

Al riguardo, invero, deve rilevarsi come la Corte d’appello, contrariamente a quanto evidenziato in ricorso, abbia correttamente richiamato gli effetti della tradizionale linea di demarcazione in questa Sede tracciata, nell’ambito dell’affine materia estradizionale, fra la consegna di natura processuale e quella di natura esecutiva (da ultimo, v. Sez. 6, n. 45051 del 20/12/2010, dep. 23/12/2010, Rv. 249218; v., inoltre, Sez. 6, n. 42905 del 15/11/2011, dep. 21/11/2011).

Da tale premessa, tuttavia, essa ha automaticamente tratto la conclusione che, versandosi in un’ipotesi di mandato esecutivo, non la prescrizione del reato, ma solo quella della pena, cosi’ come regolata nello Stato di esecuzione, avrebbe potuto rilevare ai fini considerati. Epilogo decisorio, questo, la cui finale statuizione, secondo quel che si e’ avuto modo di osservare poc’anzi, non tiene conto di tutte le implicazioni riconnesse alla formulazione letterale del su citato testo normativo, il cui contenuto imponeva di riconoscere la presenza di quella condizione ostativa poiche’ gli stessi fatti di reato oggetto del m.a.e., non solo astrattamente “giudicabili” in Italia, ma addirittura valutati nel merito dalla competente Autorita’ giudiziaria del nostro Paese (arg. ex articolo 4, n. 3, della Decisione quadro 2002/584/GAI; Corte giust. U.E., 10 marzo 2005, Miraglia, C-469/03) e nel territorio italiano almeno in parte realizzati, risultavano gia’ prescritti ancor prima che si manifestasse il limite di rilevanza temporale oggettivamente riconnesso alla formulazione della richiesta di consegna, senza che alcuna concreta incidenza potesse ormai assumere il rilievo incentrato sulla connotazione in senso processuale o esecutivo del mandato.

6. Invero, la condizione di giudicabilita’ interna dei fatti oggetto del m.a.e., cosi’ come delineata dalla lettera n) del su menzionato articolo 18, e’ stata dal legislatore formulata in termini generali ed onnicomprensivi, potenzialmente idonei, dunque, ad accogliere nel perimetro della sua vasta area semantica il verificarsi di entrambe le alternative legate alla intervenuta decorrenza dei termini di prescrizione del reato o della pena, secondo un modulo definitorio che risulta essere tuttora incentrato, fatto salvo il su indicato limite di rilevanza temporale fissato dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte, sugli effetti della tradizionale linea di demarcazione tra la consegna di tipo processuale e quella di tipo esecutivo (arg. Legge n. 69 del 2005, ex articolo 1, comma 2, e articolo 1, par. 1, della Decisione quadro 20027584/GAI del 13 giugno 2002).

Una distinzione, quest’ultima, la cui ratio, pur nella perdurante attualita’ delle implicazioni riconnesse all’applicazione del consolidato insegnamento giurisprudenziale da questa Suprema Corte elaborato, in tema di prescrizione, con riguardo alle affini procedure estradizionali (v. le pronunzie da ultimo citate), deve opportunamente declinarsi all’interno dei nuovi meccanismi di funzionamento e secondo le finalita’ proprie della nuova procedura di consegna basata sull’istituto del mandato di arresto europeo.

Entro tale prospettiva, l’assetto normativo emergente dal nuovo sistema di consegna non solo tende a valorizzare la legislazione del Paese richiesto (in cio’ differenziandosi dal disposto di cui all’articolo 10 della Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957, secondo cui l’estradizione non puo’ accordarsi se l’azione penale o la pena siano prescritte “secondo la legislazione della parte richiedente o della parte richiesta”), ma impone la ricerca di una soluzione ermeneutica necessariamente orientata in conformita’ con la corrispondente previsione (solo in parte sovrapponibile) contenuta nell’articolo 4, n. 4, della Decisione quadro su menzionata – che invece consente di rifiutare l’esecuzione del m.a.e. “se l’azione penale o la pena e’ caduta in prescrizione secondo la legislazione dello Stato membro di esecuzione e i fatti rientrano nella competenza di tale Stato membro in virtu’ del proprio diritto penale” – e con la stessa regola poco prima delineata dall’articolo 4, n. 3, della su citata Decisione quadro, che contempla un ulteriore motivo ostativo quando, fra l’altro, le autorita’ giudiziarie dello Stato membro di esecuzione hanno deciso di non esercitare l’azione penale per il reato oggetto del m.a.e. oppure di porvi fine.

Nel sistema, dunque, si introducono, in tal modo, possibili correttivi a tutte quelle evenienze, in concreto riconducibili al rischio di un’eventuale duplicazione dei procedimenti, ovvero produttive di irragionevoli disparita’ di trattamento dovute alla diversita’ dei tempi di svolgimento e definizione del procedimento estero, in cui la prescrizione del reato si sia ormai gia’ verificata per gli stessi fatti, secondo l’ordinamento interno, ancor prima dell’esecutivita’ di una sentenza Pronunziata dalle Autorita’ giudiziarie dello Stato di emissione.

7. Sulla base delle su esposte considerazioni, conclusivamente, l’impugnata sentenza deve essere annullata senza rinvio.

La Cancelleria curera’ l’espletamento degli incombenti prescritti dalla Legge n. 69 del 2005, articolo 22, comma 5.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata. Manda alla Cancelleria per gli adempienti di cui alla Legge n. 69 del 2005, articolo 22, comma 5.

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