Le condotte di inadempimento di cui all’art. 12-sexies legge 1 dicembre 1970 n. 898 costituiscono un unico reato permanente, la cui consumazione termina con l’adempimento integrale dell’obbligo ovvero con la data di deliberazione della sentenza di primo grado, quando dal giudizio emerga espressamente che li l’omissione si è protratta anche dopo l’emissione del decreto di citazione a giudizio
Suprema Corte di Cassazione
sezione VI penale
sentenza 7 ottobre 2016, n. 42543
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAOLONI Giacomo – Presidente
Dott. TRONCI Andrea – Consigliere
Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere
Dott. GIORDANO Emilia Anna – rel. Consigliere
Dott. SCALIA Laura – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), n. a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 22/1/2015 della Corte di appello di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emilia Anna Giordano;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. FRATICELLI Mario, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio per prescrizione udito per la parte civile il difensore, avv. (OMISSIS), che ha chiesto la conferma della sentenza;
udito il difensore dell’imputato, avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Palermo, con la sentenza indicata in epigrafe, in parziale riforma di quella del Tribunale di Marsala del 2 maggio 2013, riqualificato il fatto come delitto p. e p. dalla L. n. 898 del 1970, articolo 12 sexies, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) in ordine al reato ascrittogli limitatamente alle condotte poste in essere in data anteriore al 2 novembre 2005 e, per l’effetto, ha rideterminato la pena in quella di giorni venticinque di reclusione. Ha confermato la condanna al risarcimento del danno, da liquidare in separato giudizio, in favore della parte civile (OMISSIS) e liquidato le spese processuali del grado di appello nell’importo di Euro novecento, oltre accessori come per legge.
2.L’imputato propone ricorso per cassazione, con motivi, qui sintetizzati ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., sottoscritti dal difensore con il quali denuncia:
2.1. vizio di violazione di legge e vizio di motivazione per la ritenuta sussistenza del reato come ritenuto e mancato riconoscimento della causa di giustificazione allegata per la impossibilita’ dell’imputato di versare l’assegno di mantenimento all’ex coniuge omettendo di valutare le specifiche circostanze allegate e, cioe’, avere cessato l’attivita’ economica di rivendita di bombole fin dal gennaio 2005 ed essere percettore di una pensione dell’importo di 400,00 Euro mensili, utilizzati interamente per il pagamento di un prestito concesso dalla Banca di Credito Cooperativo del Belice;
2.2 vizio di violazione di legge, in relazione all’articolo 157 c.p., per il mancato rilievo della intervenuta prescrizione del reato sia perche’ la consumazione del reato indicata nella contestazione, senza indicazione della natura permanente della condotta, si fermava a quella del 23 giugno 2003 e nessuna ulteriore contestazione vi era stata in dibattimento sia perche’ al momento della sentenza di primo grado (2 maggio 2013) era ampiamente decorso il termine di prescrizione sia perche’, infine, il termine di prescrizione andava computato su quello ordinario (anni sei) e non anni sette e mesi sei poiche’ nessun ulteriore atto interruttivo era sopravvenuto alla emissione del decreto di citazione a giudizio del 9 marzo 2006;
2.3 violazione di legge in relazione all’articolo 597 c.p.p., e articolo 14 §5 del Patto internazionale dei diritti civili e politici e del 7 Protocollo CEDU per omesso esame del terzo motivo di appello concernente la mancata applicazione della sola pena edittale in relazione al reato di cui all’articolo 570 c.p., comma 1;
2.4 vio(azione di legge, in relazione all’articolo 125 c.p.p., comma 3, e articolo 541 c.p.p., per la mancata indicazione dei criteri di quantificazione delle spese liquidate alla parte civile sia in primo grado che all’esito del giudizio di appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non merita accoglimento.
2. Infondato e’ il primo motivo di ricorso. La Corte d’Appello, in vero, ha esaminato la giustificazione fornita dall’imputato ed ha espresso una risposta esaustiva alle obiezioni sviluppate dalla difesa con i motivi di gravame ritenendo, sulla base della corretta interpretazione degli elementi probatori e della corretta applicazione delle regole della logica, di escludere che le difficolta’ economiche allegate (la cessazione dell’attivita’ economica svolta ed il perdurante stato di disoccupazione) sia stata tale da configurare una situazione di assoluta e incolpevole incapacita’ economica, e, pertanto, idonea ad integrare una causa di forza maggiore che aveva incolpevolmente precluso all’imputato l’assolvimento dell’obbligo al quale era tenuto in forza della sentenza di divorzio. Del tutto generica e’ l’affermazione del ricorrente secondo la quale lo status di pensionato (con un assegno mensile di 400,00 Euro) fosse incompatibile con lo svolgimento di attivita’ lavorativa preclusa solo da patologie altamente invalidanti.
3. La Corte palermitana ha correttamente applicato i principi interpretativi, reiteratamente affermati da questa Corte Suprema, in ordine ai limiti temporali e fattuali dell’influenza, in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare ma applicabili anche alla fattispecie in esame, della condizione di impossibilita’ economica dell’obbligato la quale puo’ assumere rilievo ai fini di escludere l’antigiuridicita’ della condotta (o almeno l’integrazione dei profili soggettivi del reato), soltanto se essa si estenda a tutto il periodo di tempo nel quale si sono reiterate le inadempienze e se consista in una situazione incolpevole di indisponibilita’ di introiti. Pacifica e’ l’affermazione secondo cui la responsabilita’ per omessa prestazione dei mezzi di sussistenza non e’ esclusa dall’incapacita’ di adempiere, ogniqualvolta questa sia dovuta, anche solo parzialmente, a colpa dell’agente, (Sez. 6, 3 marzo 2011, n. 11696, F.; Sez. 5, 22 aprile 2004, n. 36450, Communara).
4. Infondato e’ altresi’ il secondo motivo di ricorso.
Nella contestazione riportata nella sentenza di appello si indica la data della consumazione con decorrenza dal 23 giugno 2003, contestazione sussumibile in quella di cd. contestazione aperta che, in fattispecie di reato permanente quale quello in esame, deve intendersi cristallizzata alla data della pronuncia della sentenza di primo grado, che blocca l’accertamento del reato ove non risulti sopraggiunto l’adempimento (principio pacifico; da ultimo Sez. 6, n. 5423 del 20/01/2015, B. Rv. 262064). Poiche’ la data della sentenza di primo grado e’ quella del 2 maggio 2013, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata e nel ricorso, deve farsi applicazione della nuova disposizione di cui all’articolo 157 c.p., entrato in vigore nel dicembre 2005, ben oltre il termine di consumazione del reato, norma che colloca in sei anni il termine minimo di prescrizione, non superato nell’intervallo tra la pronuncia di primo grado e la sentenza d’appello, ed in sette anni e mezzo complessivi, non ancora decorsi alla data odierna, il termine massimo.
5. Ritiene, il Collegio che l’affermazione in diritto dei giudici di appello, secondo la quale il reato di cui alla L. n. 898 del 1970, articolo 12 sexies, non ha natura di reato permanente ma di condotta istantanea (con conseguente declaratoria di prescrizione delle condotte di inadempimento intervenute fino al 2 novembre 2005) non puo’ essere condivisa.
Pacifica nella giurisprudenza di questa Corte e’ l’affermazione secondo cui il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare di cui all’articolo 570 c.p., comma 2, n. 2, e’ reato permanente, che non puo’ essere scomposto in una pluralita’ di reati omogenei, essendo unico ed identico il bene leso nel corso della durata dell’omissione con la conseguenza che le cause di estinzione del reato operano non in relazione alle singole violazioni, ma solo al cessare della permanenza, che si verifica o con l’adempimento dell’obbligo eluso o, in difetto, con la pronuncia della sentenza di primo grado (Sez. 6, n. 45462 del 20/10/2015, D’A., Rv. 265452). Tale conclusione e’ stata confermata con riguardo alle condotte di inadempimento degli obblighi di natura economica previsti dall’articolo 3 legge 8 febbraio 2006, n. 54 (Sez. 6, sentenza n. 5423 del 20/01/2015, B., Rv. 262064) e deve ora essere ribadita anche con riguardo alla plurime condotte di inadempimento degli obblighi previste dalla L. 1 dicembre 1970, n. 898, articolo 12 sexies.
Il delitto previsto dall’articolo 12 sexies, L. cit., secondo la giurisprudenza di questa Corte, si configura per la semplice omissione di corrispondere all’ex-coniuge l’assegno nella misura disposta dal giudice, prescindendo dalla prova dello stato di bisogno dell’avente diritto e senza necessita’ che tale inadempimento civilistico comporti anche il venir meno dei mezzi di sussistenza per il beneficiario dell’assegno (Sez. 6, n. 3426 del 05/11/2008, dep. 2009, C, Rv. 242680; Sez. 6, n. 11005 del 22/01/2001, Fogliano, Rv. 218616). La norma di cui all’articolo 12 sexies, delinea una precisa e specifica fattispecie integrata dalla violazione di un provvedimento del giudice, configurata come reato omissivo proprio, di carattere formale, essendo individuato il soggetto attivo soltanto in chi e’ tenuto alla prestazione dell’assegno di divorzio e consistendo la condotta nell’inadempimento dell’obbligo economico stabilito dal provvedimento del giudice.
La definizione dell’omissione e la conseguente diretta incriminazione del mero singolo inadempimento, non e’, tuttavia, ex se esaustiva del contenuto della fattispecie incriminatrice e non conduce ad identificare l’inadempimento mensile nel parallelo ed autonomo l’inadempimento civilistico nel caso di continuita’ della condotta illecita avuto riguardo alla fonte ed al contenuto esclusivamente assistenziale dell’assegno divorzile, fondamento e natura ribaditi costantemente nella giurisprudenza penale (cfr. ex multis S.U. n.23866 del 31/1/2013, S., Rv. 255269), e dalla dottrina e giurisprudenza civilistica che ne individuano la fonte nell’articolo 143 c.c., quindi negli obblighi che discendono dal matrimonio, e che, pur attenuati, permangono sia in caso di separazione personale dei coniugi sia in caso di divorzio. La giurisprudenza civile, pur affermando la non coincidenza tra assegno alimentare e assegno di mantenimento, rispetto al quale il primo costituisce un minus (Sez. 1 civ., n. 5381 del 16/06/1997, Rv. 505219), per quanto riguarda l’assegno di divorzio in favore dell’ex-coniuge (L. n. 898 cit., articolo 5) sin dal 1990, ne ha affermato la natura esclusivamente assistenziale dell’assegno, atteso che la sua concessione trova presupposto nell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienza dei medesimi, comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilita’ di cui possa disporre, a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza cioe’ che sia necessario uno stato di bisogno, e rilevando invece l’apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche, le quali devono essere tendenzialmente ripristinate, per ristabilire un certo equilibrio (Sez. U civ., n. 11492 del 29/11/1990, Rv. 469964; Sez. U civ., n. 11490 del 29/11/1990, Rv. 469963; nonche’ giurisprudenza successiva, tra cui, Sez. L., n. 4021 del 23/02/2006, Rv. 587014).
Evidente, dunque, l’affinita’ sistematica e strutturale dell’obbligo in parola con quello gravante sul genitore in relazione al quale la giurisprudenza penale ha affermato il principio secondo cui l’omesso adempimento dell’obbligo di contribuzione economica quale ne sia la fonte, normativa generale (articoli 147, 148 e 155 c.c., e L. n. 54 del 2006, articoli 1, 3 e 4; L. n. 898 del 1970, articoli 5, 6 e 12 sexies; articolo 337 bis c.c.; articolo 570 c.p., comma 2, n. 2) o giudiziale specifica, e in relazione al diverso suo possibile contenuto deve essere considerato nel suo complesso, con la conseguenza che la condotta/fattispecie penalmente rilevante assume natura di reato permanente, la cui consumazione inizia con la prima condotta che determina l’evento proprio delle singole fattispecie incriminatrici e cessa con l’ultima. Evento che, con riguardo al delitto di cui all’articolo 12 sexies, L. n. 898 cit., pure a fronte di un inadempimento civilistico che si consolida mensilmente, non osta a considerare le plurime condotte di singolo inadempimento, ai fini penali, unitariamente, dando vita ad un reato di natura permanente venendo in rilievo, sulla scorta del fondamento e del contenuto dell’unico obbligo assistenziale che grava sull’agente, la continuita’ della condotta illecita fino alla sua cessazione.
Puo’, quindi, affermarsi il principio di diritto che le condotte di inadempimento di cui alla L. 1 dicembre 1970, n. 898, articolo 12 sexies, costituiscono un unico reato permanente, la cui consumazione termina con l’adempimento integrale dell’obbligo ovvero con la data di deliberazione della sentenza di primo grado, quando dal giudizio emerga espressamente che l’omissione si e’ protratta anche dopo l’emissione del decreto di citazione a giudizio.
Consegue la infondatezza del motivo di ricorso di cui al punto 2.2 del ritenuto in fatto, nella sua complessa articolazione, sebbene la Corte di Cassazione non possa che prendere atto della intervenuta declaratoria di intervenuta prescrizione delle condotte di reati fino al 2 novembre 2005, in mancanza di impugnazione della parte pubblica.
6. Non puo’ trovare accoglimento neppure il terzo motivo di ricorso poiche’ i giudici di appello hanno, sia pure implicitamente, valutato le deduzioni difensive in sede di disposta qualificazione giuridica del fatto e posta la precisazione che la Corte di merito non ha l’obbligo di esaminare, pena la nullita’ della decisione rilevante come vizio di violazione di legge ovvero la sua incompletezza rilevabile come vizio di motivazione, un motivo di appello manifestamente infondato (Sez. 5, n. 27202, dell’11/12/2012 (dep. 2013) Rv. 256314) del genere di quello proposto con il motivo di gravame alla luce dell’univoco inquadramento della fattispecie concreta nella ritenuta fattispecie incriminatrice di cui alla L. n. 898 del 1970, articolo 12 sexies, e della generica formulazione del motivo di ricorso.
7. Non si sottrae alla conclusione di manifesta infondatezza il motivo di ricorso, nella sua duplice articolazione, relativo alla congruita’ delle spese processuali liquidate in favore della parte civile.
Il giudizio sulla congruita’ delle spese liquidate in primo grado espresso dalla Corte di appello assolve all’obbligo di motivazione sul punto anche avuto riguardo alla indeterminatezza della censura sollevata con il ricorso, indeterminatezza che inficia anche il motivo concernente la disposta liquidazione in sede di appello.
Deve, infatti, ritenersi che, allorche’ la richiesta della parte civile sia contenuta nei limiti di una ragionevole opinabilita’ e risulti che il giudice abbia concretamente esercitato il potere di controllo a lui spettante, non sia consentita l’impugnazione per Cassazione della relativa disposizione, sotto il profilo del vizio di motivazione, se l’impugnazione non e’ accompagnata dall’esposizione, sia pure sommaria, delle ragioni di illegittimita’ della liquidazione e non venga addotta la violazione dei limiti tariffari relativi alle attivita’ difensive certamente svolte dal patrono di parte civile. Cio’ in quanto la motivazione della sentenza e’ funzionale, sotto il profilo in esame, all’interesse dell’imputato a formulare i rilievi attinenti alla pertinenza delle voci di spesa, alla loro congruita’ e alla loro documentazione, laddove presentino margini di opinabilita’ e necessitino, per la loro pregnanza, di analitica esposizione. Quando, invece, la liquidazione operata in concreto dal giudice sia tale da coprire certamente le voci di spesa indefettibilmente sostenute dalla parte civile, e sia contenuta nei valori medi di cui alla Tabella allegata al decreto n. 55 del 10 marzo 2014, la motivazione non potrebbe che dare atto del rispetto di tali valori, per cui la sua mancanza non determina quel pregiudizio che costituisce la ragione della ricorribilita’ in Cassazione.
Nel caso di specie, i giudici di appello hanno liquidato, a favore della parte civile costituita, un importo complessivo che coincide con quello minino spettante per le fasi di studio, introduttiva e decisionale del grado di appello, per cui nessun pregiudizio e’ derivato all’imputato dalla mancata esplicitazione delle ragioni della determinazione.
8. Segue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, ammessa a gratuito patrocinio e, pertanto da liquidare in favore dello Stato, spese che, avuto riguardo ai parametri di cui al decreto del 10 marzo 2014, n. 55, si liquida, in misura prossima al minimo, come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa della parte civile, (OMISSIS), che liquida in favore dello Stato in complessivi Euro 1.400,00 oltre il 15% spese generali, IVA e CPA
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