Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 6 marzo 2017, n. 10940

Al sindaco, imputato di induzione indebita, non può essere comminata la sanzione interdittiva della sospensione dall’esercizio dell’ufficio perché la misura non si applica agli uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI penale

sentenza 6 marzo 2017, n. 10940

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IPPOLITO Francesco – Presidente

Dott. TRONCI Andrea – Consigliere

Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere

Dott. GIORDANO Emilia Anna – Consigliere

Dott. D’ARCANGELO Fabriz – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la ordinanza del 29/09/2016 del Tribunale di Bari;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Fabrizio D’Arcangelo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. CANEVELLI Paolo, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della ordinanza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza impugnata il Tribunale del riesame di Bari ha accolto parzialmente l’appello interposto dal Pubblico Ministero del Tribunale di Foggia e, previa riqualificazione delle originarie contestazioni di concussione in tentata induzione indebita ed in violenza privata, ha applicato nei confronti di (OMISSIS) la misura interdittiva della sospensione dall’esercizio dell’ufficio di sindaco del Comune di (OMISSIS) in relazione al delitto di cui agli articoli 56 e 319 quater c.p..

2. Il difensore del (OMISSIS) ricorre avverso tale ordinanza e, con unico motivo, deduce la violazione di legge, essendo stata la predetta misura interdittiva applicata in un caso espressamente vietato dalla legge e, segnatamente, dall’articolo 289 c.p.p., comma 3.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere accolto in quanto fondato.

2. L’articolo 289 c.p.p., comma 3, sancisce che la misura interdittiva della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio “non si applica agli uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare”.

Tale previsione ricalca, nella formulazione letterale, quella introdotta nell’articolo 140 c.p., comma 3, dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, articolo 124, che escludeva l’applicazione provvisoria della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici agli uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare.

Nel disegno originario del legislatore, pertanto, tale pena accessoria non poteva essere adottata in via provvisoria nei confronti dei senatori, dei deputati dei consiglieri provinciali e regionali, con esclusione invece di quelle cariche derivate indirettamente dal voto popolare come quelle di sindaco, presidente di giunta regionale o provinciale.

La regola, che peraltro in precedenza aveva trovato un riconoscimento anche nella giurisprudenza della Corte costituzionale (C. Cost., 10.12.1981, n. 183, e C. Cost., 25.3.1982, n. 58, pronunce entrambe rese con riferimento alla sospensione provvisoria disposta ex articolo 140 c.p., nei confronti di membri della Assemblea regionale siciliana), secondo la interpretazione unanime, evidenzia una duplice e concorrente ratio; da un lato, il legislatore ha, infatti, avvertito la necessita’ di evitare possibili strumentalizzazioni, per fini politici, dell’intervento giudiziario cautelare, dall’altro ha inteso tutelare la volonta’ popolare quale si manifesta nelle funzioni elettive degli uffici promananti direttamente dalla volonta’ politica dei cittadini.

Tale previsione di seguito e’ stata abrogata dal Decreto Legislativo 28 luglio 1989, n. 271, articolo 217, comma 1, per effetto dell’abolizione dell’istituto della applicazione provvisoria delle pene accessorie, ma trasfusa nell’articolo 289 c.p.p., comma 3, nel contesto della disciplina dedicata dal codice di rito alle misure interdittive.

La norma ha, invero, suscitato profonde perplessita’ nella dottrina, in quanto introduce una sorta di “immunita’” o di “esenzione” dalla misura interdittiva proprio in un settore, quale quello dei delitti contro la pubblica amministrazione, nel quale tale misura potrebbe elettivamente esplicare la propria efficacia.

Si e’, inoltre, stigmatizzata la incoerenza di un sistema che ammette nei confronti dei titolari di uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare forme di restrizione della liberta’ personale anche detentive, e che, sotto altro profilo, avalla un regime di assoluta immunita’ dai provvedimenti interdittivi.

Il delicato bilanciamento tra rispetto della volonta’ legislativa e tutela del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e’ espresso dalla giurisprudenza di legittimita’ nella ricorrente affermazione secondo la quale il divieto della misura interdittiva della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio nel caso di uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare deve essere interpretato restrittivamente e non puo’ fondare un’interpretazione che renda incompatibile (e quindi non applicabile) alcuna misura cautelare personale che si risolva nel determinare effetti equivalenti (ex plurimis: Sez. 6, n. 20405 del 15/04/2014, Scialfa, Rv. 259684).

Tale disposizione non puo’, infatti, essere interpretata, pena la violazione del principio di uguaglianza, come una sorta di salvacondotto cautelare (Sez. 6, n. 44896 del 22/10/2013, Franceschi, Rv. 257272).

Ad onta delle censure formulate dalla dottrina, la previsione dell’articolo 289 c.p.p., comma 3, e’, tuttavia, rimasta ferma nel disegno legislativo, pur a fronte dell’ampliamento del ricorso alle misure interdittive operato dalla L. 6 novembre 2012, n. 190, al fine del contrasto ai delitti contro la pubblica amministrazione.

Anche in seguito alla revisione della disciplina della misure interdittive, operata dalla L. 16 aprile 2015, n. 47, al fine di valorizzare compiutamente il principio del minimo sacrificio necessario (C. Cost. sent. 22 luglio 2005, n. 299) e della custodia cautelare in carcere quale extrema ratio, la norma e’ rimasta immodificata dal legislatore.

3. Nella ordinanza impugnata il Tribunale del riesame di Bari, dopo aver delibato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari in relazione alle condotte contestate al (OMISSIS), ha ritenuto sufficiente applicare una misura interdittiva a fronte di quella coercitiva richiesta dal pubblico ministero.

Al fine di adeguare la misura coercitiva alla intensita’ delle esigenze cautelari ravvisate nel caso di specie ha, tuttavia, inopinatamente applicato la sospensione del (OMISSIS) dall’ufficio di sindaco del Comune di (OMISSIS), ritenendo le condotte delittuose poste in essere indissolubilmente legate all’esercizio di tale funzione.

Tale statuizione si pone, tuttavia, in radicale ed insanabile contrasto con il contenuto precettivo dell’articolo 289 c.p.p., comma 3, atteso che la L. 25 marzo 1993, n. 81, prevede per i comuni, anche aventi popolazione inferiore a 15.000 abitanti, l’elezione diretta del sindaco.

La ratio che informa tale divieto di applicazione della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio ricorre, peraltro, non solo con riferimento al momento genetico della adozione della misura interdittiva, ma anche nelle ipotesi in cui la misura interdittiva venga adottata in sostituzione di altra misura coercitiva precedentemente adottata.

Lo stesso tenore testuale della norma, nella propria assolutezza, non consente, peraltro, di operare distinzioni di efficacia del precetto fondate sul momento processuale nel quale l’applicazione di tale misura interviene.

4. Alla stregua di tali rilievi deve essere disposto l’annullamento senza rinvio della ordinanza impugnata e, di conseguenza, della misura interdittiva applicata nei confronti del ricorrente.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata

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