Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 30 gennaio 2017, n. 4464

Condannato per esercizio arbitrario delle proprie ragioni l’accomandatario di una Sas che sostituisce la serratura dell’ufficio per non far entrare l’accomandante

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI penale

sentenza 30 gennaio 2017, n. 4464

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROTUNDO Vincenzo – Presidente

Dott. COSTANZO Angelo – Consigliere

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere

Dott. DE AMICIS Gaetano – rel. Consigliere

Dott. CORBO Antonio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 03/11/2015 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/12/2016, la relazione svolta dal Consigliere Dr. GAETANO DE AMICIS;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. CANEVELLI PAOLO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 3 novembre 2015 la Corte d’appello di Caltanissetta ha confermato la decisione di primo grado, appellata da (OMISSIS), che la condannava alla pena di Euro 200,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile (OMISSIS), per il reato di cui all’articolo 392 c.p., commesso in (OMISSIS) per avere, al fine di estromettere il socio accomandante, ossia (OMISSIS), dalla s.a.s. (OMISSIS), sostituito i cilindretti delle serrature delle porte d’ingresso, cosi’ impedendole l’accesso ai locali dell’agenzia di viaggi.

2. Avverso la su indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputata, che ha dedotto cinque motivi di doglianza.

2.1. Con il primo motivo si deducono violazioni di legge in relazione agli articoli 2318 e 2320 c.c. e articolo 392 c.p., sul rilievo che la Corte d’appello, dopo aver escluso in punto di fatto il possesso dell’azienda da parte della (OMISSIS), ha erroneamente ritenuto che la sostituzione dei cilindretti, mero atto gestionale dell’imprenditore, costituisse una forma di arbitraria sostituzione del privato al Giudice: nel caso di specie, infatti, e’ emerso che la gestione della societa’ ed ogni altro potere decisionale erano rimessi alla (OMISSIS), mentre la (OMISSIS) non aveva alcun possesso dell’azienda e la sua presenza in loco era giustificata dalla mera sussistenza di un rapporto di lavoro, con la conseguenza che il socio accomandatario, venuta meno la fiducia a seguito del rifiuto di contribuire alle perdite sociali in proporzione alla quota posseduta, non doveva rivolgersi al Giudice per rimodulare l’organizzazione dell’attivita’, inibendo all’accomandante il libero accesso ai locali. L’imputata, esercitando un suo diritto, non ha dunque inciso sulle prerogative della (OMISSIS) quale socia accomandante, ma solo sul suo rapporto di collaborazione, che e’ stato diversamente regolato, poiche’ quest’ultima avrebbe potuto essere presente nell’agenzia solo assieme alla prima.

2,2. Con il secondo motivo si deducono violazioni di legge e vizi della motivazione riguardo alla mancata esclusione della sussistenza dell’elemento oggettivo del reato sotto il diverso profilo dell’analisi della natura della societa’ in accomandita semplice, dove l’accomandante non e’ presente in azienda e ha un mero potere di controllo e vigilanza, senza poter compiere alcun atto di gestione imprenditoriale, con la conseguenza che l’atto di revoca fiduciaria dell’accesso all’agenzia non presentava alcun aspetto di arbitrarieta’, ma costituiva atto di esercizio di un diritto, senza comprimere alcun potere dell’accomandante.

2.3. Con il terzo motivo si deducono violazioni di legge e vizi della motivazione per non avere la Corte distrettuale tenuto conto del fatto, accertato gia’ in primo grado, che la (OMISSIS), anche dopo la sostituzione dei cilindretti delle serrature in data (OMISSIS), aveva continuato a recarsi presso l’agenzia, con il conseguente difetto di ogni impedimento all’accesso.

2.4. Con il quarto motivo si censurano vizi di contraddittorieta’ della motivazione in punto di elemento soggettivo, atteso che l’imputata, come dimostrato anche dal comportamento successivo della persona offesa, non aveva intenzione di estrometterla dalla sua posizione di socio accomandante o di impedirle l’accesso in agenzia, ma solo di assicurarsi che nessuno, in sua assenza, potesse utilizzare in modo incontrollato i beni sociali.

2.5. Con il quinto motivo, infine, si deducono violazioni di legge riguardo alle statuizioni civili di condanna.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ infondato e va rigettato per le ragioni di seguito indicate.

2. Nel condividere il significato complessivo del quadro probatorio posto in risalto nella conforme pronuncia di primo grado, i cui passaggi motivazionali vengono ad integrarsi con quelli delineati nella sentenza d’appello, si da costituire un corpo argomentativo uniforme e privo di lacune, la Corte distrettuale ha congruamente ed esaustivamente vagliato l’intero quadro probatorio, confutando con argomenti logicamente illustrati le obiezioni sollevate dalla difesa ed offrendo piena ragione giustificativa del giudizio di penale responsabilita’, la’ dove ha posto in rilievo, segnatamente: a) che nella societa’ in accomandita semplice avente ad oggetto l’esercizio di un’attivita’ di viaggi, costituita fra (OMISSIS) e (OMISSIS), la prima aveva assunto la veste di socio accomandatario, mentre la seconda era socio accomandante con assunzione di responsabilita’ limitata alla sua quota di partecipazione, pari al 50%; b) che la gestione dell’attivita’ e i poteri decisionali erano rimessi al socio accomandatario, anche per quel che atteneva ai rapporti con i “tour-operators”; c) che, incrinatosi il rapporto fra le parti anche a seguito di una richiesta di denaro dalla (OMISSIS) avanzata quale contributo per estinguere i debiti societari, l’imputata cambio’ la serratura della porta d’ingresso ai locali dell’agenzia dicendo alla (OMISSIS) che non avrebbe piu’ dovuto accedervi; d) che la stessa imputata ha ammesso che la sua condotta e’ stata determinata dal venir meno della solidarieta’ sociale e della fiducia riposta nell’altra parte.

Emerge, altresi’, dalla decisione di primo grado la circostanza, pacifica in punto di fatto e implicitamente data per presupposta dalla impugnata sentenza, che la persona offesa aveva il possesso delle chiavi sia del locale ove si svolgeva l’attivita’ commerciale dell’agenzia di viaggi, sia della cassaforte.

Le ragioni di contrasto maturate all’interno del rapporto societario, dunque, sono state, secondo quanto coerentemente evidenziato dalla Corte d’appello, risolte unilateralmente dall’imputata al fine di impedire alla socia anche solo la possibilita’ di accedere alla sede dell’agenzia, anziche’ ricorrere, come avrebbe dovuto, agli ordinari strumenti di tutela predisposti dal codice civile per accertare e sanzionare gli eventuali inadempimenti degli obblighi nascenti dal rapporto fra le parti costituito.

Le forme, le modalita’ e i tempi di esercizio dei poteri di gestione dell’attivita’ commerciale – pacificamente attribuiti all’accomandataria – concretano un quadro di prerogative che non possono essere confuse o sovrapposte con la possibilita’, altrettanto pacificamente riconosciuta in fatto al socio accomandante (a sua volta titolare del 50% del capitale sociale), di accedere ai locali dell’agenzia per averne lecitamente avuto il possesso in forza della consegna delle chiavi d’ingresso.

La portata del divieto di immistione, che impedisce all’accomandante, ex articolo 2320 c.c., di compiere atti di amministrazione interna ed esterna, tutelando l’interesse dei soci accomandatari a non subire, nell’amministrazione della societa’, la volonta’ degli accomandanti, copre l’indebito esercizio di un’attivita’ gestoria che implichi scelte proprie del titolare dell’impresa, ma non si estende fino a ricomprendere, ex se, in difetto di esplicite previsioni al riguardo contenute nell’atto costitutivo, la possibilita’ di accedere ai locali ove si svolge l’attivita’ oggetto del rapporto societario, quanto meno ai fini dell’esercizio dei diritti inderogabili di informazione, controllo e consultazione ai soci accomandanti riconosciuti dall’articolo 2320 c.c, comma 3.

3. Sulla base delle su esposte considerazioni deve rilevarsi come i Giudici di merito abbiano fatto buon governo del quadro di principii delineato da questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 2888 del 26/11/1985, dep. 1986, Toscano, Rv. 172430; v., inoltre, Sez. 6, n. 25190 del 19/06/2012, Crisafulli, Rv. 253027), secondo cui, ai fini della sussistenza del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose, nella nozione di “violenza” rientra anche il mutamento della loro destinazione, che si verifica quando, con qualsiasi atto o fatto materiale, sia impedita, alterata o modificata la loro utilizzabilita’, come nel caso in cui, sostituendosi la serratura della porta d’ingresso, si sia impedito l’accesso a colui che ne sia il compossessore o codetentore, concretando una simile azione la immutazione della specifica destinazione che la cosa possiede ai fini della particolare utilizzazione cui l’hanno destinata le parti interessate al suo godimento.

Deve inoltre ribadirsi il principio, piu’ volte affermato in questa Sede, secondo cui, ai fini della configurabilita’ dell’elemento psicologico della fattispecie incriminatrice in esame, che richiede, oltre il dolo generico, quello specifico, rappresentato dall’intento di esercitare un preteso diritto (nel caso di specie, come si e’ visto, quello di impedire l’accesso alla sede della comune attivita’ commerciale in conseguenza del preteso venir meno dell’affectio societatis) nel ragionevole convincimento della sua legittimita’, la buona fede del soggetto attivo, lungi dall’essere inconciliabile con il dolo, costituisce un presupposto necessario del reato (Sez. 6, n. 41368 del 28/10/2010, Giustozzi, Rv. 248715).

Irrilevante, infine, deve ritenersi la prospettata circostanza di fatto, successiva al verificarsi dell’evento costitutivo del reato, secondo cui in seguito al cambiamento della serratura l’imputata permise all’accomandante di continuare a lavorare per qualche giorno presso l’agenzia, senza che le nuove chiavi della serratura le venissero consegnate: la realizzazione del delitto di ragion fattasi, in quanto delitto di evento, presuppone il raggiungimento dello scopo perseguito dall’agente (Sez. 5, n. 4456 del 19/12/2007, dep. 2008, Foralosso, Rv. 238347), con la conseguenza che la sua consumazione si verifica solo nel momento in cui l’agente, facendosi ragione da se’ medesimo, realizza la propria pretesa (v. Sez. 1, n. 10100 del 23/01/1974, Bonezzi, Rv. 128868).

4. L’epilogo decisorio cui e’ pervenuta la sentenza impugnata riposa, in definitiva, su un quadro probatorio linearmente rappresentato come completo ed univoco, e come tale in nessun modo censurabile sotto il profilo della congruita’ e dei canoni della correttezza logico-argomentativa.

In questa Sede, invero, a fronte di una corretta ed esaustiva ricostruzione del compendio storico-fattuale oggetto della regiudicanda, non puo’ ritenersi ammessa alcuna incursione nelle risultanze processuali per giungere a diverse ipotesi ricostruttive dei fatti accertati nelle pronunzie dei Giudici di merito, dovendosi la Corte di legittimita’ limitare a ripercorrere l’iter argomentativo ivi tracciato, ed a verificarne la completezza e la insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili, senza alcuna possibilita’ di verifica della rispondenza della motivazione alle correlative acquisizioni processuali.

5. Al rigetto del ricorso consegue, ex articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *