cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza 4 febbraio 2014, n. 2370

Svolgimento del processo e motivi della decisione

E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione:
«1. Con sentenza n. 318/2009 il Giudice di pace di Vibo Valentia ha dichiarato il difetto di giurisdizione relativamente alla domanda proposta da A.G. nei confronti di Equitalia E.T.R. s.p.a. intesa a far dichiarare l’illegittimità del provvedimento di fermo amministrativo notificatole in data 30.03.2007; ha, quindi, rigettato la domanda di risarcimento danni in ragione di € 1.000,00, proposta dall’attrice sul fondamento dell’illegittimità del fermo, ritenendola improponibile.
1.1. Con sentenza n. 642/2011 il Tribunale di Vibo Valentia ha rigettato l’appello della G., confermando il rigetto della domanda risarcitoria, sia pure con diversa motivazione.
2. Avverso detta decisione ha proposto ricorso per cassazione A.G. formulando due motivi.
Equitalia E.T.R. s.p.a. ha resistito con controricorso.
3. Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ., in quanto, al limite dell’inammissibilità per la sua genericità, appare, comunque, destinato ad essere rigettato.
4. Con i motivi di ricorso si denuncia: a) violazione degli artt. 2043, 1223, 2059, 832, 834 cod. civ. e 2, 32, 42 Cost. (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.); b) omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.).
4.1. I suddetti motivi appaiono manifestamente infondati, alla luce del duplice ordine di considerazioni svolte dal Tribunale, laddove evidenzia – quanto al danno materiale – che l’attrice, odierna ricorrente «non ha fornito alcuna prova e neppure allegato di avere risentito pregiudizi di carattere patrimoniale, in termini di danno emergente o di mancato guadagno» e – quanto al danno non patrimoniale – la “non meritevolezza” di tutela del danno da stress dalla stessa G. allegato.
4.2. La decisione impugnata – lungi dall’incorrere nelle violazioni di legge e nel vizio motivazionale, assertivamente dedotti da parte ricorrente – ha deciso le questioni di diritto all’esame in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui:
l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 cod. civ., espressione del più generale potere di cui all’art. 115 cod. proc. civ., dà luogo, non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto, caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, che, pertanto, da un lato, è subordinato alla condizione che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare, dall’altro non ricomprende anche l’accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità materiale del danno, nè esonera la parte stessa dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre, affinché l’apprezzamento equitativo sia per quanto possibile, ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili nell’iter della determinazione dell’equivalente pecuniario del danno (Cass. 7 giugno 2007, n. 13288);
l’art. 2059 cod. civ. costituisce principio informatore del diritto, da leggersi – non già come disciplina di un’autonoma fattispecie di illecito, produttiva di danno non patrimoniale, distinta da quella di cui all’art. 2043 c.c. – bensì come norma che regola i limiti e le condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali (intesa come categoria omnicomprensiva, all’interno della quale non è possibile individuare, se non con funzione meramente descrittiva, ulteriori sottocategorie), sul presupposto dell’esistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito richiesti dall’art. 2043 c.c., e cioè: la condotta illecita, l’ingiusta lesione di interessi tutelati dall’ordinamento, il nesso causale tra la prima e la seconda, la sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare dell’interesse leso; in tale prospettiva la peculiarità del danno non patrimoniale va individuata nella sua tipicità, avuto riguardo alla natura dell’art. 2059 cit., quale norma di rinvio ai casi previsti dalla legge (e, quindi, ai fatti costituenti reato o agli altri fatti illeciti riconosciuti dal legislatore ordinario produttivi di tale tipo di danno) ovvero ai diritti costituzionali inviolabili, presieduti dalla tutela minima risarcitoria, con la precisazione in quest’ultimo caso, che la rilevanza costituzionale deve riguardare l’interesse leso e non il pregiudizio conseguenzialmente sofferto e che la risarcibilità del pregiudizio non patrimoniale presuppone, altresì, che la lesione sia grave (e, cioè, superi la soglia minima di tollerabilità, imposto dai doveri di solidarietà sociale) e che il danno non sia futile (vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi o sia addirittura meramente immaginario) (cfr. SS.UU. nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 in data 11 novembre 2008).
4.3. Parte ricorrente lamenta che il giudice a quo non abbia tenuto conto che l’illegittimo fermo amministrativo aveva prodotto la lesione di due diritti costituzionalmente protetti, quali il diritto alla proprietà e alla salute. Senonchè, da un lato, non allega (tantomeno dimostra) di avere offerto in sede di merito elementi idonei ad apprezzare, sia pure con una valutazione equitativa, il danno patrimoniale asseritamente subito e, dall’altro, descrive il danno non patrimoniale, in termini insuscettibili di essere monetizzati, siccome inquadrabili in quegli sconvolgimenti quotidianità «consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro di insoddisfazione» (c.d. bagatellari) ritenuti dalle SS.UU. non meritevoli di tutela risarcitoria (pag. 34 della sentenza n. 26972/2008).
5. La decisione impugnata resiste, in definitiva, alle critiche formulate da parte ricorrente».
A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto esposti nella relazione.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 140/2012, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in € 1.000,00 (di cui € 200,00 per esborsi) oltre accessori come per legge.

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