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Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza 24 luglio 2013, n. 17991

Fatto e diritto

In un procedimento di separazione personale tra C.E. e D.G.M., la Corte d’Appello di Napoli, con sentenza in data 25/11/2010, in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale, addebitava la separazione al marito, ponendo a suo carico un assegno di mantenimento per la moglie di €. 500,00 mensili.
Ricorre per cassazione il marito.
Resiste con controricorso la moglie.
Con il primo motivo, il marito censura la sentenza impugnata, la dove essa aveva ritenuto di addebitare a lui la separazione, per aver intrattenuto una relazione extraconiugale con altra donna e mantenuto condotte lesive dell’onore e dell’integrità fisica della consorte. Il ricorrente deduce violazione degli artt. 2697 c.c. e 116 c.p.c.
La Corte territoriale, nel ricostruire i fatti di causa sulla scorta dell’istruttoria svolta, ha ritenuto che, prima ancora di intraprendere una relazione adulterina, il marito aveva dimostrato una disaffezione nei confronti della moglie, tanto da “dividere i letti” e rifiutare di intrattenere con lei rapporti sessuali. In tale contesto, il tradimento sarebbe stato l’epilogo di una crisi coniugale imputabile al marito stesso. Si tratta di una valutazione di merito, non censurabile in questa sede, e ciò tanto più ove si consideri che il ricorrente si è limitato a dedurre violazione di legge, per asserita inosservanza delle previsioni in precedenza richiamate.
Con il secondo motivo, il marito censura la sentenza impugnata nella parte relativa al riconoscimento di un assegno in favore della moglie. Correttamente la Corte territoriale, nell’applicazione dell’art. 156 c.c., ha valorizzato la differenza, fra i redditi dei coniugi, entrambi pensionati, (il C. già giornalista, capo redattore della RAI, la D.G. già dipendente ASL; la pensione del marito notevolmente superiore a quella della moglie) per riconoscere assegno in favore della moglie. Si tratta di valutazione congrua, non censurabile in questa sede di legittimità. Del pari non può essere censurata l’affermazione della Corte territoriale secondo cui il marito, una volta in pensione, ben potrebbe continuare a svolgere quelle collaborazioni professionali che in precedenza aveva intrattenuto, ma che aveva dovuto sospendere per disposizione del suo ex datore di lavoro.
Il ricorso va rigettato in quanto manifestamente infondato.
Le spese seguono, la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in €. 2.100,00, comprensivo di €. 100,00 per esborsi oltre accessori di legge.

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