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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II

SENTENZA 23 luglio 2013, n.17869

Ritenuto in fatto

Con atto di citazione notificato il 15 dicembre 1994 l’Impresa Costruzioni Strade e Scavi MARZADRO Giovanni e Giorgio s.n.c., M.G. e Gi. proponevano opposizione, dinanzi al Tribunale di Sondrio, avverso il decreto ingiuntivo n. 810 del 28.11.1994 emesso dal Presidente del medesimo ufficio in favore della SONDRIO DIESEL s.r.l. per L. 59.500.000 per mancato pagamento del prezzo di acquisto di autoveicolo, eccependo che l’adempimento dell’obbligazione assunta con la compravendita risultava dalla dichiarazione verbale di vendita rilasciata dal legale rappresentante della venditrice avanti al notaio, trasferimento regolarmente annotato sul foglio complementare del veicolo, vendita per la quale l’asserita creditrice aveva emesso fattura, senza formulare alcuna pretesa per ben due anni. Instaurato il contraddittorio, nella resistenza della società opposta, la quale assumeva che la dichiarazione richiamata dagli opponenti costituiva una mera prassi commerciale, finalizzata a facilitare le operazioni commerciali, il giudice adito, istruita la causa esclusivamente a mezzo delle produzioni documentali delle parti, in accoglimento dell’opposizione, revocava il decreto ingiuntivo e per l’effetto respingeva la domanda di pagamento avanzata dall’opposta.
In virtù di rituale appello interposto dalla SONDRIO DIESEL s.r.l., la quale lamentava che il giudice di prime cure avesse ritenuto erroneamente inammissibili ex artt. 2726 e 2722 c.c. le istanze istruttorie avanzate dall’appellante dirette a provare che per l’autocarro Fiat Astra non era stato corrisposto il relativo prezzo, la Corte di appello di Milano, nella resistenza degli appellati, accoglieva l’appello e per l’effetto, in riforma della decisione di primo grado, respingeva l’opposizione, con conferma del decreto ingiuntivo n. 810 del 28.11.1994.
A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale evidenziava che il divieto stabilito dall’art. 2722 c.c. non operava in riferimento alla quietanza, in quanto quest’ultima costituiva atto contenente dichiarazione unilaterale, mentre la limitazione della prova invocata operava con riferimento ai documenti formati con l’intervento di entrambe le parti.
Aggiungeva che parte opponente non aveva fornito alcun specifico elemento di prova in relazione al dedotto pagamento, né l’intervenuto pagamento risultava documentato in modo attendibile dalla certificazione notarile del 3.6.2004, relativa a due operazioni annotate in data 15.6.1993 sul libro giornale dell’acquirente di pari importo, di L. 59.500.000, che sarebbero intervenute prima con la Sondrio Diesel e poi con la Cogeval s.p.a., estranea al contenzioso.
Di converso dalla testimonianza resa dalla sig.ra C. , dipendente della s.r.l. appellante con mansioni amministrative nell’ufficio contabilità, risultava il mancato pagamento della fattura nei confronti dell’acquirente, nonostante i solleciti effettuati e per tale ragione – a fronte di detta situazione probatoria – non poteva essere dato valore alla certificazione notarile, sia per incompletezza, sia per la mancata produzione della documentazione bancaria inerente le modalità di versamento di rilevanti importi.
Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Milano hanno proposto ricorso per cassazione l’Impresa Costruzioni Strade e Scavi MARZADRO Giovanni e Giorgio s.n.c., M.G. e Gi. , articolato su sette motivi, al quale ha resistito la SONDRIO DIESEL s.r.l., con controricorso.
I ricorrenti hanno depositato anche memoria illustrativa.

Motivi della decisione

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione ed errata applicazione degli artt. 1324, 2722 e 2726 c.c. per avere la corte di merito ammesso prove testimoniali su circostanze contrarie a quietanza, con ciò in insanabile contrato con gli artt. 1324 e 2726 c.c. che estendono alla quietanza i limiti di ammissibilità della prova per testi. Il motivo conclude ponendo il seguente quesito di diritto: ‘in base al disposto degli artt. 1324 e 2726 c.c. il divieto di prova testimoniale stabilito dall’art. 2722 c.c. si estende anche alla quietanza rilasciata da venditore di autoveicolo nella dichiarazione verbale di vendita con sottoscrizione autenticata da notaio?’.

Con il secondo motivo viene denunciata la violazione ed errata applicazione degli artt. 244 e 345 c.p.c. per avere il giudice del gravame ammesso prove testimoniali articolate in specifici e separati capitoli solo con l’atto introduttivo del giudizio di appello, afferendo la prova irritualmente chiesta in primo grado a fatti e circostanze esattamente identiche a quelle indicate nei capito dedotti in primo grado. Il motivo culmina nel seguente quesito: “in base agli artt. 244 e 345 c.p.c. (vecchio rito) sono ammissibili mezzi di prova testimoniale indicati per la prima volta in grado di appello vertenti su circostanze identiche a quelle oggetto di mezzi di prova testimoniale già dedotti in primo grado e ritenuti non ammissibili dal giudice di prime cure in quanto non dedotti in articoli separati ex art. 244, comma 1, c.p.c.?’.

Con il terzo motivo viene censurata la medesima circostanza di cui al secondo motivo, sotto il profilo del vizio di omessa motivazione, per non essere stata esaminata la questione dal giudice del gravame.

Con il quarto motivo viene denunciata la violazione ed erronea applicazione degli artt. 345, comma 2, (vecchio rito) e 92 c.p.c. per avere il giudice del gravame condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali per entrambi i gradi del giudizio, nonostante i mezzi di prova indicati avrebbero dovuto essere dedotti sin dal primo grado. Il motivo pone il seguente quesito: ‘In base all’art. 345, comma 2, c.p.c.(nel testo anteriore alla novella di cui alla legge n. 353 del 1990) in caso di ammissione di mezzi di prova in grado di appello, che avrebbero potuto essere indicati in primo grado, devono essere applicate per le spese del giudizio di appello le disposizione di cui all’art. 92 c.p.c. in materi di compensazione delle stesse?’.

Con i motivi quinto, sesto e settimo viene denunciata insufficiente ed illogica motivazione circa la sussistenza di anomale e non credibili prassi commerciali in materia di vendita di veicoli, la rilevanza ex art. 2710 c.c. dell’estratto notarile prodotto in appello dall’Impresa MARZADRO e la attendibilità della teste indotta da parte opposta.

Occorre rilevare che il primo mezzo, logicamente pregiudiziale ed assorbente rispetto all’esame nel merito del ricorso, pone la annosa questione dell’ambito di applicazione del divieto stabilito dal combinato disposto degli artt. 2722 e 2726 c.c., in particolare sottolinea la esigenza di stabilire se il divieto di prova testimoniale si estenda anche alla quietanza rilasciata dal venditore di autoveicolo con dichiarazione sottoscritta ed autenticata da notaio, con tutte le conseguenze quanto al regime probatorio in riferimento a dedotti fatti anteriori o contestuali contrari al contenuto della quietanza ovvero alla simulazione della quietanza medesima. Infatti la decisione impugnata si fonda sulla ritenuta simulazione relativa della dichiarazione unilaterale, contenente quietanza, e sull’accertamento del mancato versamento del prezzo pattuito basati sulle risultanze della prova testimoniale (teste C. ), nonché su elementi presuntivi, quali le prassi commerciali.

In proposito va rilevato che questa Corte ha avuto già occasione di precisare, con pronuncia a Sezioni Unite (la n. 6877 del 13 maggio 2002), che la questione della ammissibilità della prova per testimoni della simulazione della quietanza va risolta in coerenza con la disposizione dell’art. 1417 c.c., secondo cui la prova della simulazione dedotta da una delle parti per l’accertamento del negozio dissimulato lecito incontra gli stessi limiti stabiliti dall’art. 2722 c.c. per la prova testimoniale. Infatti essendo costituito l’oggetto della prova non dal contratto, ma dall’accordo simulatorio, ossia dallo strumento attuativo della simulazione, nel caso di specie la quietanza, ‘la sua dimostrazione può essere data dalle parti con la produzione in giudizio del documento che lo racchiude e non con deposizioni testimoniali, stante l’espresso divieto sancito dall’art. 2722 c.c.’.

Alla stregua di tale orientamento numerose pronunce (Cass. 27 marzo 2003 n. 4527; Cass. 8 giugno 2012 n. 9297) hanno osservato che l’art. 2726 c.c., estendendo il divieto – sancito dall’art. 2722 c.c. – di provare con testimoni patti aggiunti o contrari al contenuto del documento contrattuale, esclude che con tale mezzo istruttorio possa dimostrarsi l’esistenza di un accordo simulatorio concluso al fine di negare l’esistenza giuridica della quietanza, nei confronti della quale esso si configura come uno di quei patti, anteriori o contestuali al documento, vietati in virtù del combinato disposto dei menzionati artt. 2722 e 2726 c.c..

La Corte perviene alle medesime conclusioni con riferimento alla fattura “quietanzata”, contenente ‘la non equivoca attestazione dell’adempimento dell’obbligazione proveniente dal creditore a mezzo dell’annotazione pagato o altra equivalente apposta sulla fattura, che riveli sia l’ammontare della somma pagata sia il titolo per il quale il pagamento è avvenuto, sottoscritta dal soggetto da cui essa proviene’ (Cass. 31 luglio 2006 n. 17454). In tale ipotesi la fattura quietanzata ha valore di scrittura privata, con tutte le conseguenze connesse sotto il profilo del regime probatorio.

Ma le ragioni addotte a sostegno di questo orientamento non sono sempre le stesse.

Più di recente (Cass. 7 settembre 2007 n. 18882; Cass. 28 giugno 2010 n. 15380) questa Corte ha avuto modo di ribadire l’esistenza del divieto di prova testimoniale o anche per presunzioni al fine di dimostrare la simulazione assoluta della quietanza, precisando che la quietanza costituisce atto unilaterale di riconoscimento del pagamento, che integra, tra le parti, confessione stragiudiziale, in quanto proveniente dal creditore e rivolta al debitore, e come tale fa piena prova della corresponsione di una specifica somma di denaro per un determinato titolo, con la conseguenza che l’esistenza del fatto estintivo (pagamento) da essa attestato può essere contestata soltanto mediante la prova degli stessi fatti (errore di fatto o violenza) richiesti dall’art. 2732 c.c., per privare di efficacia la confessione, essendo irrilevanti il dolo e la simulazione.

Parte della giurisprudenza, inoltre, ha tentato la via di coniugare entrambe le argomentazioni (così Cass. 23 gennaio 2007 n. 1389), incentrando il divieto nell’ambito della natura simulatoria della quietanza di pagamento, ma riconoscendo pacificamente alla stessa valore di confessione stragiudiziale. Da ciò si è fatto conseguire, oltre al divieto di prove per testi ex art. 2726 c.c., che la quietanza contenuta in un atto pubblico può essere ritenuta falsa soltanto in caso di errore di fatto o violenza, irrilevanti il dolo e la simulazione (v. Cass. 22 febbraio 2006 n. 3921).

A prescindere dal rilevare che l’applicazione di questi principi non è stata sempre univoca nella giurisprudenza di legittimità (v. di contrario avviso Cass. 29 maggio 2003 n. 8649, secondo cui il divieto stabilito dall’art. 2722 c.c. di provare per testi patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento si riferisce al documento contrattuale, ossia formato con l’intervento di entrambe le parti e racchiudente una convenzione, cosicché esso non opera in riferimento alla quietanza, in quanto quest’ultima costituisce atto contenente una dichiarazione unilaterale; in tal senso anche Cass. 20 marzo 2006 n. 6109; in posizione non difforme Cass. 17 febbraio 2004 n. 2996), il problema di non poco conto che si intreccia con i diversi argomenti posti a fondamento della soluzione negativa all’ammissibilità della prova per testi rispetto alla quietanza attiene alla più generale questione della natura della quietanza ed al regime di efficacia probatoria ad essa collegato, se alla simulazione o all’atto avente natura confessoria, ambiti nei quale – per quanto sopra esposto – la quietanza viene spesso ricondotta. In altri termini, se ricondotta la fattispecie alla simulazione, la caducazione dell’atto potrebbe avvenire esclusivamente a mente degli artt. 1414 (fra le parti, salvo la prova diretta a far valere l’illiceità dell’accordo dissimulato) e 1417 (rispetto ai creditori o ai terzi) c.c, mentre in dipendenza della natura di confessione stragiudiziale della quietanza si possono far valere i limiti di impugnativa stabiliti dall’art. 2732 c.c.. Infatti alla questione della qualificazione, rilevante su di un piano classificatorio e descrittivo, si collega quella immediatamente conseguente sul piano logico della individuazione delle prove che possono essere richieste dalle parti ed ammesse dal giudice per l’accertamento della non veridicità della quietanza.

È evidente l’interesse alla soluzione della problematica, trattandosi di affermazione di principio del divieto di prova testimoniale nella quietanza, la cui generalizzazione comporta implicazioni che ribalterebbero, in relazione ad un’ampia pluralità di fattispecie (oltre che nella specie, stante la peculiarità ed il tenore delle prove assunte), il dualismo giurisprudenziale ormai consolidato, rivestendo per l’appunto tale questione, oltre ad un significato su di un piano classificatorio e sistematico, risvolti circa l’apprezzamento delle deduzioni delle parti in un’ottica di assolvimento dell’onere probatorio ovvero di acquisizione dei medesimi mezzi di prova (es. l’interrogatorio formale della parte) e laddove vi sia un principio di prova, essendo le risposte tali da rendere soltanto verosimile la simulazione, la possibilità di rendere ammissibile la prova testimoniale in deroga al normale divieto (v. Cass. 17 dicembre 1969 n. 3999).

Il carattere di questione di particolare importanza fa ravvisare al collegio l’opportunità della trasmissione degli atti al Primo Presidente affinché valuti l’eventualità di rimettere la causa alle Sezioni Unite ove condivida l’esigenza di una risposta nomofilattica al più alto livello sulla questione.

P.Q.M.

La Corte, rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

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