CASSAZIONE

La massima

1. La mediazione civile e commerciale di cui al d.lgs. 28/2010 può trovare applicazione anche con riguardo alle controversie relative alla domanda di equa riparazione in quanto vertenti su diritti patrimoniali e disponibili e, quindi, possibili oggetto di transazioni e conciliazioni.

2. Anche se la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 5 primo comma del D.Lgs. n. 28 del 2010, di cui alla sentenza del 6 dicembre 2012 n. 272 della Corte Costituzionale ha escluso la obbligatorietà della mediazione in ogni controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili e se la mediazione non costituisce più condizione di proponibilità della domanda, resta fermo l’effetto della istanza di mediazione d’interruzione della prescrizione e di impedimento per una sola volta della decadenza dal diritto di agire per equa riparazione, essendo rimasta ferma l’applicazione del sesto comma dell’art. 5 del D. Lgs. n. 28 del 2010, che non è stato dichiarato in contrasto con la carta costituzionale ed è coerente agli intenti deflattivi del contenzioso giudiziario della disciplina legale della mediazione stessa.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE

SENTENZA 22 luglio 2013, n.17781

Ritenuto in fatto

Con ricorso notificato al Ministero della Giustizia il 28 dicembre 2011 – 3 gennaio 2012, N..A. chiede la cassazione del decreto della Corte d’appello di Brescia del 7 giugno 2011, che ha ritenuto inammissibile la sua domanda di equa riparazione per la durata irragionevole di un processo proposta oltre il termine di sei mesi dalla data in cui la decisione che aveva concluso la causa in cui s’era verificata la violazione della durata ragionevole, era divenuta definitiva (art. 4 della L. 24 marzo 2001 n. 89).
L’attrice deduce di avere proposto opposizione a una delibera condominale di riparto di spese poste a suo carico per Euro 600,00, con citazione del 28 dicembre 1999 dinanzi al Tribunale di Milano e che tale causa è stata definita da sentenza della Corte di cassazione del 19 marzo 2010 n. 6710. Per tale processo durato oltre dieci anni, l’A. ha convenuto il Ministero della giustizia dinanzi alla Corte d’appello di Brescia in unico grado con ricorso depositato il 10 febbraio 2011, deducendo di non essere decaduta dall’azione di equo indennizzo per avere iniziato una procedura di mediazione (art. 5, comma sesto, del D. Lgs. 4 marzo 2010 n. 28) nell’ottobre 2010, cioè nel semestre dalla definizione del processo presupposto calcolato con gli ulteriori quarantasei giorni di sospensione del periodo feriale.
L’istanza di mediazione negativamente conclusa il 22 dicembre 2010, per non essere il Ministero comparso in tale data dinanzi all’organismo di conciliazione, ad avviso della ricorrente, aveva impedito la decadenza dal diritto di chiedere l’equo indennizzo, costituendo un atto il cui compimento per la norma da ultimo citata del Decreto Legislativo sulla mediazione, impediva la decadenza di cui all’art. 4 della L. n. 89 del 2001.
L’Avvocatura dello Stato, costituitasi dinanzi alla Corte d’appello di Brescia in unico grado, ha eccepito la tardività del ricorso, perché proposto oltre sei mesi dopo la sentenza che aveva concluso definitivamente il processo di durata eccessiva e la Corte adita, con decreto del 25 maggio – 7 giugno 2011, ha accolto tale eccezione, ritenendo decaduta l’A. dall’azione, perché, ai sensi dell’art. 2 del D. Lgs. n. 28 del 2010, potevano essere oggetto di mediazione le sole controversie su diritti disponibili, mentre la procedura di mediazione era inapplicabile alla azione a tutela del diritto fondamentale e indisponibile a un giusto processo, che non poteva essere oggetto di conciliazione.
La Corte di appello ha ritenuto inapplicabile al caso l’art. 5, ultimo comma, del D. Lgs. n. 28 del 2010, per non potere essere oggetto di mediazione la controversia sul diritto indisponibile al giusto processo, per cui la domanda di equa riparazione del 10 febbraio 2011, proposta oltre sei mesi dopo il provvedimento definitivo che aveva chiuso il processo durato eccessivamente, s’è dichiarata inammissibile. Per la cassazione di tale decreto della Corte d’appello di Brescia del 7 giugno 2011, ricorre l’A. , con cinque motivi, che denunciano l’errore logico-giuridico dei giudici di merito, per non avere rilevato la differenza tra il diritto fondamentale e indisponibile al giusto processo di durata ragionevole non soggetto a decadenza e quello, di natura patrimoniale e disponibile, all’indennizzo, chiedendo a questa Corte una pronuncia sulla domanda di quest’ultimo ai sensi dell’art. 384 c.p.c..
Il Ministero della giustizia contrasta le avverse richieste con controricorso notificato il 9 febbraio 2012 a mezzo p.e.c.; con ordinanza interlocutoria del 24 luglio 2012 n. 12938, la seconda sezione civile di questa Corte ha rimesso gli atti al primo presidente per l’assegnazione eventuale alle sezioni unite ai sensi dell’art. 374 c.p.c..
La sezione semplice ha ritenuto di particolare importanza la questione “se il contenzioso civile nascente dalla violazione del termine ragionevole di durata del processo rientri o meno nel campo d’applicazione della mediazione finalizzata alla conciliazione”, essendo “indisponibile” il diritto al termine ragionevole di durata del processo.
L’ordinanza n. 12938/2012 indica le ragioni a favore della soluzione positiva della questione per essere di natura patrimoniale e disponibile il diritto alla riparazione monetaria del danno subito a causa della durata eccessiva del processo, sul quale si è riconosciuta alla P.A. la facoltà di predisporre mezzi stragiudiziali di soddisfazione e il legislatore è intervenuto per porre limiti alla misura dell’indennizzo, modificando la legge n. 89 del 2001 con l’art. 55 del D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012 n. 124, ratione temporis inapplicabile al caso.
Invece milita in senso contrario alla natura disponibile del diritto al giusto processo, secondo l’ordinanza che precede, la riserva giudiziaria per l’accertamento della durata del processo e la qualifica di essa come “irragionevole”, dato che la normativa interna della legge di delega (art. 60 L. 18 giugno 2009 n. 69) deve adeguarsi a quella comunitaria.
Quest’ultima dichiara inapplicabile la mediazione alla materia fiscale, doganale e amministrativa oltre che a quella della “responsabilità dello Stato per atti o omissioni nell’esercizio di poteri pubblici (acta iure imperii” (art. 1, comma 2, Direttiva 2008/52/CE del Parlamento e del Consiglio del 21 maggio 2008).
L’ordinanza della seconda sezione sottolinea che la mediazione, per come è strutturata, non consente la comunicazione di quanto concordato tra le parti per conciliare la controversia al Procuratore generale della Corte dei conti e ai titolari dell’azione disciplinare per quanto di rispettiva competenza, come imposto invece per il decreto che accoglie la domanda di equa riparazione (cfr. art. 5 della L. n. 89/2001).
L’applicazione della mediazione nell’azione di equo indennizzo da ritardo irragionevole, sembra inoltre poco credibile, perché lo stesso legislatore ha soppresso la fase precontenziosa con scopi transattivi di tale azione, di cui all’art. 1 del D.L. 11 settembre 2002 n. 201, in sede di conversione con la legge 14 novembre 2002 n. 259.
Infine la ordinanza della seconda sezione che precede indica come rilevante nella fattispecie anche la questione se il termine di sei mesi dell’art. 4 della legge n. 89 del 2001 possa ritenersi soggetto o meno, alla sospensione feriale dei termini processuali.
L’A. ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. per illustrare il suo ricorso.

Motivi della decisione

1. Il ricorso dell’A. deduce in primo luogo l’errore del decreto della Corte d’appello di Brescia che ha dichiarato inammissibile la domanda di equa riparazione della ricorrente, per essere decaduta dal diritto di agire, avendo la stessa domandato l’equo indennizzo da irragionevole durata del processo oltre il termine di sei mesi dal momento in cui è divenuta definitiva la decisione che ha concluso il procedimento nel quale ella assumeva essersi avuta la durata irragionevole per la quale era chiesta la riparazione (art. 4 della L. 24 marzo 2001 n. 89).

La A. nega di avere violato il termine che precede di proponibilità della domanda, in ragione dell’art. 5, sesto comma, del D.Lgs. 4 marzo 2010 n. 28, avendo comunicato al Ministero la sua domanda di mediazione del 28 ottobre 2010, da qualificare intervenuta nei sei mesi dalla data del 19 marzo 2010 in cui era stato definito il processo di durata eccessiva con sentenza della Corte di Cassazione.

Ad avviso della ricorrente, il semestre dalla data di chiusura del processo in cui si è verificata la violazione della durata irragionevole va calcolato computando pure i quarantasei giorni del periodo feriale, per cui l’istanza di mediazione del 28 ottobre 2010, conclusa da processo verbale negativo di conciliazione del 22 dicembre 2010, aveva impedito la decadenza, decorrendo da tale ultima data un altro semestre nel quale l’azione poteva essere proposta come accaduto nel caso con ricorso depositato il 10 febbraio 2011.

Poiché il giudizio in cui si assume dall’attrice il ritardo irragionevole è terminato il 19 marzo 2010, il termine semestrale da computarsi con i quarantasei giorni della sospensione feriale, scadeva il 4 novembre 2010 e l’istanza di mediazione della A. dell’ottobre era tempestiva.

Dall’attestato del 22 dicembre 2010, rilasciato dall’organismo di conciliazione forense di Milano, risulta che, in data 28 ottobre 2010, vi era stato il deposito della domanda di mediazione comunicata via fax al Ministero della Giustizia ai sensi dell’art. 16 del D. Lgs. n. 28 del 2010 e spedita per posta al Ministero presso l’Avvocatura dello Stato di Brescia e presso la sua sede in Roma.

Tale documento prova, ad avviso della ricorrente, la mancata violazione del termine di decadenza dell’art. 4 del D. Lgs. n. 89 del 2001, essendosi avuta una sua tempestiva richiesta di mediazione nel termine semestrale, sospeso nel periodo feriale ai sensi dell’art. 1 della L. 7 ottobre 1969 n. 742. Nel ricorso si deduce l’esistenza in atti di un attestato che in data 21 dicembre 2010 era mancata la comparizione del Ministero della Giustizia, nel procedimento di mediazione iniziato il 28 ottobre precedente nei sei mesi dalla definizione del processo, in cui s’era irragionevolmente ritardata la conclusione, con conseguente esito negativo del tentativo di conciliazione verbalizzato nell’atto citato del dicembre 2010, tempestivamente prodotto dalla ricorrente.

Solo dalla data di comunicazione dell’esito negativo della tentata conciliazione del 21 dicembre 2010 seguita alla domanda di conciliazione del 28 ottobre nel periodo di sei mesi dall’esito del processo di durata irragionevole terminato il 19 marzo di quell’anno, calcolato peraltro in sette mesi e sedici giorni, per essere compreso in esso anche il periodo feriale di quarantasei giorni, poteva decorrere un secondo semestre per conciliare la causa.

Da detta data del 28 dicembre 2010 decorreva il nuovo termine semestrale di proponibilità della domanda di equo indennizzo, che, per la ricorrente, era tempestiva e ammissibile, perché proposta il 10 febbraio 2011 nei sei mesi dall’esito negativo della domanda di mediazione.

Le questioni poste dal ricorso sono molteplici e risultano analiticamente indicate nell’ordinanza che ha sollecitato la trattazione di esse dalle sezioni unite.

2.1. Pregiudiziale sul piano logico è il problema della natura del termine di sei mesi, di cui all’art. 4 della legge 24 marzo 2001 n. 89, dal provvedimento che chiude la causa che ha violato la durata ragionevole del processo, oltre il quale non è più proponibile l’azione di equa riparazione da ritardo irragionevole del processo.

Il legislatore precisa che tale termine di proponibilità è ‘a pena di decadenza’ (artt. 2964 e ss. c.c), per cui, ai sensi dell’art. 2969 c.c., nella materia delle azioni a tutela del diritto indisponibile alla durata ragionevole del processo, il giudice deve rilevare di ufficio l’improponibilità della domanda proposta oltre il termine di legge.

La natura processuale della decadenza che precede comporta che il periodo di sei mesi dalla definizione del processo durato per tempo irragionevole, oltre il quale l’azione è preclusa, deve computarsi tenendo conto della sospensione del periodo feriale di cui all’art. 1 della L. 7 ottobre 1969 n. 742 (così Cass. 11 marzo 2009 n. 5895 e 29 gennaio 2010 n. 2153), come accade per ogni altro termine analogo (Cass. 28 settembre 2012 n. 16549 e 17 novembre 2010 n. 29227).

2.2. Sempre in via preliminare il ricorso dell’A. deve esaminarsi per la parte in cui censura la Corte d’appello di Brescia, per avere ritenuto che la natura indisponibile del diritto alla durata ragionevole del processo, fosse ostativa alla applicazione della mediazione(che è applicabile solo ai diritti disponibili (art. 2 D.Lgs. n. 28 del 2010).

La corte di merito sembra confondere il diritto indisponibile alla durata ragionevole del processo con quello patrimoniale e disponibile all’equa riparazione della violazione del diritto fondamentale che precede, che è unico oggetto dell’azione di merito della ricorrente.

Ritiene questa Corte, in risposta all’apposito quesito posto dall’ordinanza della sezione semplice che, alle controversie relative alla domanda di equa riparazione, in quanto vertenti su diritti patrimoniali e disponibili ai sensi dell’art. 2, primo comma, del D.Lgs. n. 28 del 2010, può applicarsi la disciplina della mediazione che comunque come meglio sarà precisato, non costituisce più condizione di proponibilità delle azioni giudiziarie di cui al primo comma dell’art. 5 del D. Lgs. 4 marzo 2010 n. 28, dichiarato incostituzionale con sentenza del giudice della legge del 6 dicembre 2012 n. 272, che ha lasciato vigente il sesto comma della norma.

Tale ultimo comma parifica la domanda di mediazione per la conciliazione sul diritto controverso alla ‘domanda giudiziale’ di tutela di tale situazione soggettiva ai fini della prescrizione, stabilendo che l’istanza di mediazione, come accade per ogni domanda giudiziale ai sensi degli artt. 2943, primo e secondo comma, e 2945 e. e, interrompe la prescrizione del diritto controverso (su tale interruzione cfr., di recente, Cass. 10 aprile 2013 n. 8686 e 14 dicembre 2012 n. 23017).

La disciplina legale della decadenza non può essere modificata dalle parti che ad essa non possono neppure rinunciare in materia di diritti indisponibili del tipo di quello alla durata ragionevole del processo (art. 2968 c.c.) potendo solo la legge regolare diversamente il venir meno del diritto da cui il titolare decade, per mancato esercizio di esso nel termine di legge.

Nel caso cioè l’art. 5, comma 6, del D. Lgs. n. 28 del 2012 prevede che l’istanza di mediazione impedisce ‘per una sola volta’ la decadenza dall’azione a tutela del diritto su cui si è tentata la conciliazione, in deroga ai principi generali nella materia (2964 e ss. c.c.), per i quali il compimento dell’atto di esercizio del diritto nel termine di decadenza esclude che questa possa più operare.

Ciò assume peculiare rilievo nell’azione di equa riparazione per la quale si è escluso che la prescrizione operi prima del termine semestrale di decadenza e sempre che questa non si sia verificata (così S.U. 2 ottobre 2012 n. 16783). Anche dopo la dichiarata illegittimità costituzionale del primo comma dell’art. 5 del D.Lgs. n. 28 del 2010, resta fermo il sesto comma, per il quale la istanza di mediazione nei sei mesi di proponibilità della domanda, impedisce ‘per una sola volta’ la decadenza dal diritto di agire e, se il tentativo di conciliazione fallisce, consente che la domanda sia ‘proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale’ negativo di conciliazione, ‘presso la segreteria dell’organismo’.

2.3. La Corte d’appello dichiara decaduta la A. dal diritto di chiedere l’equa riparazione, per non avere proposto la domanda entro il termine di sei mesi previsto ‘a pena di decadenza’ dall’art. 4 della L. 89/2001, negando che possa applicarsi la mediazione in materia di diritti indisponibili come quello alla durata ragionevole del processo, per cui essa era da ritenere tamquam non esset se intervenuta nel semestre di cui alla norma sopra citata.

La A. ha negato che la soluzione della Corte di merito sia corretta, qualificando ‘patrimoniale e disponibile’ il diritto all’equa riparazione.

Ad avviso della ricorrente tale diritto è diverso da quello a carattere non patrimoniale al processo giusto e di durata ragionevole che, quale diritto fondamentale tutelato dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, è indisponibile e non può essere oggetto di conciliazione e di mediazione. Dato che la Cassazione ha sempre tenuto distinto il diritto disponibile al risarcimento del danno da quello anche se indisponibile ingiustamente leso a base dell’azione risarcitoria (in tal senso da Cass. 6 maggio 1975 n. 1744 a Cass. 21 settembre 2011 n. 19204), la reitengrazione patrimoniale per equivalente delle perdite subite per la lesione o per l’impedito esercizio d’un diritto indisponibile o fondamentale,è di natura disponibile e patrimoniale, come tale soggetta alla mediazione.

Il diritto al processo giusto e di durata ragionevole è indisponibile e, come tale, non è soggetto a conciliazione; esso è però sicuramente diverso da quello alla riparazione monetaria di natura patrimoniale della sua violazione di certo disponibile, oggetto della presente azione, si configuri questa come risarcitoria e sorta da lesione della situazione soggettiva indisponibile ovvero come obbligazione ex lege ai sensi dell’art. 1173 c.c. (nei due sensi cfr. da ultimo, per la responsabilità aquiliana, Cass. 20 gennaio 2010 n. 1101 e per la obbligazione ex lege Cass. 25 novembre 2011 n. 24962).

2.4. Il sesto comma dell’art. 5 del D.Lgs. n. 28 del 2010, è stato implicitamente ritenuto legittimo dalla citata sentenza della Corte Costituzionale n. 272/2012, che individua quali degli altri commi della stessa norma e degli altri articoli del D.Lgs. n. 28 del 2012 sono in contrasto con la carta fondamentale per eccesso di delega.

La pronuncia del giudice delle leggi lascia ferma la disposizione del sesto comma dell’art. 5 del decreto legislativo sulla mediazione, per la quale l’istanza di mediazione interrompe la prescrizione e impedisce che possa operare ‘per una sola volta’ la decadenza di sei mesi per proporre l’azione di equo indennizzo, facendo decorrere un altro termine semestrale per agire, a decorrere dalla data di comunicazione del verbale di chiusura della mediazione ex art. 11 dello stesso decreto legislativo.

Un altro termine di sei mesi comincia a decorrere dal deposito del verbale negativo di conciliazione, per cui la mera comunicazione della domanda di mediazione alle altre parti, da sola e per una sola volta, impedisce la decadenza dell’art. 4 della L. n. 89 del 2001, ai sensi dell’art. 5, comma 6, D. Lgs. n. 28 del 2010.

La dichiarazione di illegittimità costituzionale del primo comma del citato art. 5 del decreto legislativo del 2010 sulla mediazione c.d. obbligatoria, in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953 n. 87, ha modificato la disciplina dell’istituto di conciliazione stragiudiziale di cui al D. Lgs. n. 28 del 2010, con effetti che rilevano anche in questa sede, escludendo che la mediazione costituisca nelle azioni di cui a quel comma in contrasto con la Costituzione, condizione di proponibilità della domanda.

Si pone il problema se la conclusione negativa di una procedura di mediazione di natura facoltativa e che ormai non costituisce più condizione di procedibilità della domanda, possa ancora incidere sulla prescrizione, interrompendola, come prevede l’art. 5, sesto comma, del D.Lgs. n. 28 del 2010, così parificando la domanda di mediazione a quella introduttiva dell’azione di equa riparazione.

La lettera della legge impone una risposta affermativa su tale questione, perché l’istanza di mediazione interrompe la prescrizione del diritto per cui si tenta la conciliazione, così come ogni azione a tutela di esso, anche se per l’equa riparazione la prescrizione può decorrere solo se non vi è stata decadenza, come poi sarà chiarito.

In ordine alla decadenza, l’istanza di mediazione ha effetti solo limitati rispetto a quelli della domanda giudiziale che osta in via definitiva al venir meno del diritto di agire; essa infatti impedisce ‘per una sola volta’ la decadenza e consente la proposizione di una nuova domanda nell’ulteriore nuovo termine semestrale decadenziale di cui al sesto comma dell’art. 5 del D.Lgs. n.28 del 2010.

La mediazione è possibile ai sensi dell’art. 2 del D. Lgs n. 28 del 2010 per la conciliazione di ogni controversia in materia di diritti disponibili, anche al fine di evitare i giudizi di equa riparazione, che hanno ad oggetto tale diritto patrimoniale e disponibile che possono essere conclusi da una conciliazione a seguito di mediazione (Cass. 13 aprile 2012 n. 5924).

È quindi venuta meno la natura di ‘condizione dell’azione’ che l’incostituzionale 1 comma dell’art. 5 del D.Lgs. 28 del 2010 riconosceva all’attività di mediazione in rapporto alle controversie in detta norma allora espressamente indicate.

Peraltro la mediazione, pur essendo facoltativa, si collega ormai ad una attività che, se non è più indispensabile alla proponibilità della domanda, comporta l’affermazione da chi la chiede del suo diritto ad agire a tutela di diritti sui quali tenta la conciliazione, per cui resta ferma la disciplina del sesto comma dell’art. 5 del D. Lgs. n. 28 del 2012, anche circa la mancata decadenza dal diritto di agire ‘per una sola volta’, a causa dell’istanza di mediazione per ottenere l’equa riparazione, che ha effetto interruttivo della durata della prescrizione nei sensi già indicati, come se si trattasse dell’esercizio del diritto prescrivibile. La natura non più obbligatoria della mediazione nella fase preliminare delle azioni civili e commerciali elencate nell’art. 5, primo comma, del D. Lgs. n. 28 del 2010, è incompatibile con la natura di ‘condizione dell’azione’ della mediazione stessa, come rilevato dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza n. 272 del 2012, la quale, dichiarando illegittima tale obbligatorietà della mediazione nei casi indicati nella norma ritenuta in contrasto con la legge fondamentale, comunque supera la natura di condizione dell’azione della mediazione stessa.

La stessa ricorrente deduce che la C.E.D.U. ritiene ormai transigibili e quindi soggette a mediazione anche le azioni di equa riparazione che si svolgano dinanzi ad essa, per cui la data della domanda di mediazione sostituisce quella di equo indennizzo, al fine di escludere ogni decadenza dall’azione e, se intervenuta nel semestre dalla sentenza definitiva che ha chiuso il processo presupposto, impedisce la perdita del diritto di agire, perché il semestre dell’art. 4 della legge n. 89 del 2001, deve ritenersi rispettato anche con la mera richiesta di mediazione.

Ai sensi del sesto comma dell’art. 5 del D.Lgs. n. 28 del 2010, come già detto, la decadenza è evitata ‘per una sola volta’ dalla comunicazione della domanda di mediazione nel semestre decorrente dalla sentenza definitiva e la norma è applicabile anche alla presente procedura, iniziata dopo la entrata in vigore del citato decreto legislativo, perché il primo inciso dell’art. 24 del decreto legislativo che la regola, risulta anche esso illegittimo costituzionalmente per la citata sentenza del giudice delle leggi.

Deve quindi accogliersi il primo motivo del ricorso in base al seguente principio di diritto: ‘anche se la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 5 primo comma del D.Lgs. n. 28 del 2010, di cui alla sentenza del 6 dicembre 2012 n. 272 della Corte Costituzionale ha escluso la obbligatorietà della mediazione in ogni controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili e se la mediazione non costituisce più condizione di proponibilità della domanda, resta fermo l’effetto della istanza di mediazione d’interruzione della prescrizione e di impedimento per una sola volta della decadenza dal diritto di agire per equa riparazione, essendo rimasta ferma l’applicazione del sesto comma dell’art. 5 del D. Lgs. n. 28 del 2010, che non è stato dichiarato in contrasto con la carta costituzionale ed è coerente agli intenti deflattivi del contenzioso giudiziario della disciplina legale della mediazione stessa’. Nessun rilievo può avere sulla soluzione adottata la mancata comunicazione al Ministro della giustizia ai sensi dell’art. 5 della legge n. 89 del 2001 della intervenuta conciliazione stragiudiziale della vertenza sull’equo indennizzo, potendo il Ministro comunque chiedere che gli sia data notizia di ogni mediazione per agire eventualmente anche in sede disciplinare per eventuali comportamenti del magistrato, che abbia determinato la istanza di mediazione.

L’impianto complessivo del D.Lgs. n. 28 del 2010, anche se con incidenza ridotta, resta teso alla deflazione delle controversie giudiziarie, anche nell’interpretazione letterale della normativa sulla mediazione data in questa sede, restando ferma la decadenza prevista del diritto di agire per decorso del termine semestrale dalla sentenza definitiva, cui osta, per una sola volta, la domanda di mediazione di cui al D. Lgs. n. 28 del 2010.

Il primo motivo di ricorso è quindi fondato e da accogliere e il decreto impugnato deve essere cassato.

3. I motivi di ricorso dal secondo al quinto attengono tutti al merito della domanda di equa riparazione proposta dalla A. alla Corte d’appello di Milano, che su di essi potrà decidere in sede di rinvio.

Infatti si deduce che il ritardo per cui è stato chiesto l’indennizzo non è imputabile alla ricorrente (secondo motivo), ponendosi questioni sulla esistenza e sulla natura del danno da indennizzare (terzo e quarto motivo) e sulla liquidazione dello stesso (quinto motivo) con censure in questa sede inammissibili perché relative a statuizioni mai emesse dalla sentenza impugnata.

Infine si prospetta la non manifesta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, lett. a, della L. n. 89 del 2001, per la scelta normativa di limitare il danno al solo periodo eccedente la durata ragionevole del processo in contrasto con la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e con l’art. 117 della Cost., ma la questione è di certo irrilevante in questa sede, anche se va osservato che la stessa C.E.D.U. esclude ogni suo potere di intervento in ordine al tipo e ai modi dei rimedi interni predisposti contro la durata eccessiva dei processi, potendo intervenire solo in difetto di ogni rimedio (C.E.D.U. 21 dicembre 2010 su ricorso n. 45867/07).

4. In conclusione, deve accogliersi il primo motivo di ricorso e vanno dichiarati inammissibili allo stato gli altri motivi; il decreto oggetto di ricorso deve essere cassato in relazione al motivo accolto e la causa deve rimettersi alla Corte d’appello di Brescia in diversa composizione, perché si uniformi ai principi enunciati in questa sede ed esamini nel merito la domanda della A. , provvedendo anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte a sezioni unite accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta gli altri; cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Brescia in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di cassazione.

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