Cassazione 15

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza 2 novembre 2015, n. 22379

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13151-2013 proposto da:

(OMISSIS) S.P.A. ((OMISSIS)), Societa’ con socio unico soggetta all’attivita’ di direzione e coordinamento di (OMISSIS) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta mandato in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1314/2012 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 22/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/9/2015 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA.

 

FATTO E DIRITTO

 

1 – Considerato che e’ stata depositata relazione del seguente contenuto:

“Con sentenza resa in data 22 novembre 2012, la Corte di appello di Firenze, nel giudizio di impugnazione proposto da (OMISSIS) S.p.A., nei confronti di (OMISSIS), avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede (che aveva accertato come non ripetibile la somma di euro 2.674,09, quale quota contributiva a carico della dipendente per differenze retributive corrisposte nel 2007 ma riferite ad anni arretrati ed aveva condannato (OMISSIS) S.p.A. alla restituzione di quanto indebitamente trattenuto), confermava la pronuncia di primo grado. Riteneva la Corte territoriale che, vertendosi in una ipotesi in cui i contributi non erano stati versati dal datore di lavoro nel termine di legge, andava applicato il principio di cui alla Legge n. 218 del 1952, articolo 23 in base al quale il datore di lavoro inadempiente e’ tenuto a versare non solo la quota a proprio carico ma anche quella a carico del lavoratore.

Avverso tale sentenza (OMISSIS) S.p.A. propone ricorso affidato ad un motivo.

(OMISSIS) resiste con controricorso.

Con l’unico motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 12 disp. gen., dell’articolo 2115 cod. civ. e della Legge 4 aprile 1952, n. 218, articoli 9 e 23. Si duole del fatto che la Corte territoriale abbia ritenuto sussistente un inadempimento del datore di lavoro laddove le differenze retributive (ed i conseguenti contributi) – imputabili al riconoscimento di un superiore inquadramento – erano stati corrisposti solo dopo che era stato accertato giudizialmente il diritto in questione. Assume, pertanto, che il debito contributivo era venuto ad esistenza solo quale effetto del nuovo inquadramento disposto con la sentenza giudiziale, modificativa della posizione del dipendente.

Il motivo e’ manifestamente infondato.

La Legge n. 218 del 1952, articolo 19 (riordinamento delle pensioni dell’assicurazione obbligatoria per la invalidita’, la vecchiaia e i superstiti) dispone: “Il datore di lavoro e’ responsabile del pagamento dei contributi anche per la parte a carico del lavoratore; qualunque patto in contrario e’ nullo (comma 1). Il contributo a carico del lavoratore e’ trattenuto dal datore di lavoro sulla retribuzione corrisposta al lavoratore stesso alla scadenza del periodo di paga a cui il contributo si riferisce (comma 2)”.

L’articolo 23 della stessa legge precisa: “Il datore di lavoro che non provvede al pagamento dei contributi entro il termine stabilito o vi provvede in misura inferiore alla dovuta e’ tenuto al pagamento dei contributi o delle parti di contributo non versate tanto per la quota a proprio carico quanto per quella a carico dei lavoratori, nonche’ al versamento di una quota aggiuntiva pari a quella dovuta, ed e’ punito con l’ammenda … (comma 1)….” – tale articolo e’ stato modificato, al comma 4, dal Decreto Legislativo 30 dicembre 1999, n. 507, articolo 76 “Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi della Legge 25 giugno 1999, n. 205, articolo 1” -.

Sostiene la ricorrente che, essendo state le differenze retributive corrisposte a seguito di condanna giudiziale, a tale data doveva farsi risalire l’obbligo contributivo, con la conseguenza che non si era verificata la concentrazione di tale obbligo sul datore di lavoro.

Tale prospettazione, pero’, non distingue tra i rapporti intercorrenti tra il datore di lavoro e l’I.N.P.S. da un lato, e tra il datore di lavoro ed il lavoratore dall’altro. Invero, qualora il datore di lavoro sia inadempiente verso il lavoratore per quote di retribuzione, l’inadempimento sorge al momento del mancato pagamento delle medesime, perche’ l’intervento del giudice che sancisce tale obbligo ha il valore di accertamento costitutivo e di condanna, tant’e’ vero che nella specie vengono liquidati anche gli accessori di legge (interessi e rivalutazione). Tuttavia il ritardo nel pagamento di contributi previdenziali trae origine dall’inosservanza da parte del datore di lavoro – che non puo’ procrastinare a causa della propria inadempienza il periodo di paga anche ai fini della trattenuta di cui al citato articolo 23, comma 2 dei principi di buona fede e di correttezza nello svolgimento del rapporto contrattuale, restando quindi escluso che questi, pagati i contributi, abbia diritto di rivalersi nei confronti del lavoratore per la quota a carico di quest’ultimo (per ipotesi del tutto analoghe si vedano Cass., 12 giugno 1998, n. 5916; Cass. 8 agosto 2000, n. 10437; Cass. 19 marzo 2001, n. 3919).

Come questa Corte ha gia’ affermato, l’articolo 23 citato puo’ non trovare applicazione solo quando il ritardo non sia imputabile al datore (Cass. 30 dicembre 1992, n. 13735; Cass. 11 luglio 2000, n. 9198).

Nell’ipotesi qui in esame il datore di lavoro, attraverso l’assegnazione a mansioni inferiori rispetto a quelle poi riconosciute, e’ incorso in un illecito contrattuale, di cui deve sopportare le conseguenze. Si veda, in argomento, anche Cass. 4 aprile 2008, n. 8800 secondo cui: “Nella previsione contenuta nel comma 1 di questo articolo, che trasferisce l’obbligo di pagare una parte dei contributi da uno ad altro soggetto, dev’essere ravvisata una pena privata, giustificata dall’intento del legislatore di rafforzare il vincolo obbligatorio attraverso la comminatoria, per il caso di inadempimento, di un pagamento di importo superiore all’ammontare del mero risarcimento del danno” nonche’, in materia di nullita’ del termine apposto ad un contratto, Cass. 17 marzo 2009, n. 6448 secondo cui: “In tema di contributi previdenziali, il datore di lavoro che non abbia provveduto ai versamenti dovuti nei termini di legge resta obbligato, ai sensi della Legge 4 aprile 1952, n. 218, articolo 23 in via esclusiva per l’adempimento, con esclusione del diritto di rivalsa nei confronti del lavoratore per la quota a carico di quest’ultimo e cio’ anche nell’ipotesi in cui l’inadempimento sia conseguenza della nullita’ del termine di durata apposto al contratto di lavoro, non potendosi ravvisare, in tale situazione, una impossibilita’ della prestazione derivante da causa oggettiva non imputabile allo stesso datore di lavoro” – conf. Cass. 18 agosto 2014, n. 18027 -. In termini analoghi si e’ anche espressa Cass. 17 giugno 2013, n. 15071 secondo cui “Quel che, piuttosto, deve ribadirsi e’ come – a fronte di un comportamento antigiuridico del datore di lavoro (che omette o ritarda il pagamento dei contributi) – vada riconosciuta la possibilita’ per lo stesso di dimostrare l’impossibilita’ di adempiere la prestazione dovuta per causa non imputabile (cfr. Cass. n. 5916/1998; Cass. n. 4399/1988), senza nemmeno la necessita’ di configurare nella concentrazione del debito contributivo una pena privata (cosi’ Cass. n. 8800/2008), secondo una prospettiva che appare, in realta’, eccedente la struttura della fattispecie, nella quale rileva essenzialmente un inadempimento colpevole, valutabile secondo i rimedi comuni (Cass. n. 6448/2009, cit.)”.

In conclusione, si propone il rigetto del ricorso, con ordinanza, ai sensi dell’articolo 375 cod. proc. civ., n. 5″.

2 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla consolidata giurisprudenza di legittimita’ in materia e non scalfite dalla memoria ex articolo 380 bis cod. proc. civ. con la quale la societa’ ricorrente insiste nel sostenere che il debito contributivo sia venuto ad esistenza solo quale effetto del nuovo inquadramento disposto in forza di sentenza; tale ragionamento, infatti, che non tiene conto dell’imputabilita’ al datore di lavoro del comportamento che ha reso necessario l’accertamento giudiziale ed il riconoscimento del corretto inquadramento.

Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’articolo 375 c.p.c., n. 5, per la definizione camerale del processo.

3 – In conclusione il ricorso va rigettato.

4 – La regolamentazione delle spese del presente di legittimita’ nei confronti del controricorrente segue la soccombenza.

5 – Il ricorso e’ stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilita’ del 2013 (Legge 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17), che ha integrato il Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13 aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale e’ respinta integralmente o e’ dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta e’ tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma articolo 1 bis. Il giudice da’ atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

La suddetta condizione sussiste nel caso di specie.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del contro ricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimita’ che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 2.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. articolo 13, comma 1 bis.

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