Corte di Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 9 febbraio 2017, n. 3447

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente, in virtù della quale i prelevamenti ed i versamenti operati su conto corrente bancario vanno imputati a ricavi conseguiti nell’esercizio dell’attività d’impresa, è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della inerenza alla sua attività di maneggio di denaro altrui di ogni singola movimentazione del conto

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI civile

ordinanza 9 febbraio 2017, n. 3447

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19875/2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SRL (gia’ (OMISSIS) S.R.L.), in persona del legale rappresentante (OMISSIS), elettivamente domiciliata a Piazza Cavour presso La Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1554/22/2014 del 23/06/2014 della Commissione Tributaria Regionale della PUGLIA Sezione Distaccata di LECCE, depositata il 07/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIDA.

IN FATTO

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti della (OMISSIS) srl, gia’ (OMISSIS) srl, (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Puglia Sez. Staccata di Lecce n. 1554/22/2014, depositata in data 7/07/2014, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso per maggiori IRES, IRAP ed IVA, dovute in relazione all’anno di imposta 2005, a seguito di rettifica del reddito d’impresa, previa acquisizione, Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, ex articolo 32, comma 1, n. 2, delle movimentazioni bancarie sui conti correnti intestati alla societa’ ed al socio amministratore, – e’ stata confermata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso della contribuente.

In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto, nel respingere il gravame dell’Agenzia delle Entrate, che, a fronte di un accertamento basato unicamente “sull’analisi delle movimentazioni finanziarie” e su “considerazioni logiche personali e ricostruzioni matematiche”, in ordine all’esistenza di “redditi evasi”, prive di valenza probatoria, la contribuente era stata in grado di ricostruire “ogni singola operazione finanziaria”, sia in sede contenziosa che amministrativa, spiegando “i beneficiari di ogni singola operazione bancaria; i proventi rinvenenti da vendite immobiliari impiegati dalla societa’; i proventi da vincita versati nei propri conti bancari ed utilizzati con le movimentazioni contestate; gli atti notori di privati che hanno confermato la corretta utilizzazione dei movimenti bancari contestati, a beneficio della societa’”.

A seguito di deposito di relazione ex articolo 380 bis c.p.c., e’ stata fissata l’adunanza della Corte in Camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti. Parte ricorrente ha depositato memoria.

Si da’ atto che il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

IN DIRITTO

1. La ricorrente lamenta, con il primo motivo, la nullita’ della sentenza, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’articolo 132 c.p.c., non avendo i giudici della C.T.R. operato la necessaria “analitica valutazione dei citati documenti in relazione agli elementi posti a fondamento dell’atto impositivo”. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia poi, sempre ex articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32 e articolo 2697 c.c., avendo i giudici della C.T.R. erroneamente ritenuto che “l’accertamento di movimentazioni bancarie non giustificate non costituisca prova idonea a giustificare la presunzione di maggiori ricavi” e che fosse “onere dell’Ufficio fornire prova certa circa l’imputazione e ricavi delle citate movimentazioni”, operando un’illegittima inversione dell’onere probatorio.

2. La prima censura e’ infondata.

La giurisprudenza di questo giudice di legittimita’ ha affermato, che si ha motivazione omessa o apparente quando il giudice di merito omette di indicare, nel contenuto della sentenza, gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento ovvero, pur individuando questi elementi, non procede ad una loro disamina logico-giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (v. Cass. n. 16736/2007).

Cio’ non ricorre nel caso in esame, laddove la C.T.R., sia pure in maniera sintetica, ha ritenuto di non potere confermare, nella sua entita’, i maggiori ricavi accertati dall’Ufficio, ritenendo che la contribuente avesse fornito specifica e puntuale prova contraria di ogni singola contestata movimentazione bancaria/finanziaria.

Si tratta di una motivazione che non puo’ considerarsi meramente apparente, in quanto esplicita – le ragioni della decisione, proprio criticando la congruita’ del criterio di rideterminazione dei maggiori ricavi non dichiarati, operato dall’Ufficio. I profili di apoditticita’ e contraddittorieta’ della motivazione, censurati col motivo in esame, dunque, quand’anche sussistenti, non vizierebbero tale motivazione in modo cosi’ radicale da renderla meramente apparente, escludendone l’idoneita’ ad assolvere alla funzione cui al Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 36 (cfr. Cass. 5315/2015).

3. Anche la seconda censura e’ infondata.

Questa Corte (Cass. 13819/2007) ha gia’ chiarito, con riguardo all’onere per il contribuente di provare, in modo puntuale e specifico, l’effettiva riconducibilita’ di ogni incasso ai versamenti bancari contestati, che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi ed al fine di superare la presunzione, posta a carico del contribuente dal Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 32 (in virtu’ della quale i prelevamenti ed i versamenti operati su conto corrente bancario vanno imputati a ricavi conseguiti nell’esercizio dell’attivita’ d’impresa), non e’ sufficiente al contribuente dimostrare genericamente di avere fatto affluire su un proprio conto corrente bancario, nell’esercizio della propria professione, somme affidategli da terzi in amministrazione, ma e’ necessario che egli fornisca la prova analitica della inerenza alla sua attivita’ di maneggio di denaro altrui di ogni singola movimentazione del conto”.

Ancora e’ stato affermato (Cass. 7666/2008) che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presunzione legale relativa posta dal Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 32, comma 1, vincola l’Ufficio tributario ad assumere per certo che i movimenti bancari effettuati sui conti correnti intestati al contribuente siano a lui imputabili, senza che risulti necessario procedere all’analisi delle singole operazioni, la quale e’ posta a carico del contribuente, in virtu’ dell’inversione dell’onere della prova” (cfr. Cass. 2752/2009; Cass. 21420/2012; Cass. 25984/2013).

Ora, con accertamento di merito, incensurabile in questa sede di legittimita’, in difetto di vizi nell’iter logico della motivazione, i giudici d’appello hanno ritenuto che le giustificazioni fornite dalla contribuente, in ordine ad una serie di versamenti, effettuati anche sul conto personale del socio amministratore, valutati sia analiticamente sia nel loro complesso, fossero pienamente credibili, quanto alla provenienza dei ricavi da redditi, da vendite immobiliari o vincite o altro.

4. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Non sussistono i presupposti per il versamento del doppio contributo unificato da parte della ricorrente, poiche’ il disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, non si applica all’Agenzia delle Entrate (Cass. SSUU 9938/2014).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 4.000,00, a titolo di compensi, oltre accessori di legge e rimborso forfettario spese generali, nella misura del 15%.

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