Suprema Corte di Cassazione
sezione V
sentenza n. 28514 del 2 luglio 2013
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Savona del 13/01/2010, veniva confermata l·’affermazione di responsabilità di M. G. per il reato di cui all’art. 216 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, commesso quale socio amministratore della M. s.n.c., successivamente M. di B. M. s.a.s. e come tale dichiarata fallita in Savona il 20/10/2004, distraendo le somme di £. 12.475.278 e £. 97.500.000 dal conti correnti bancari della società, rideterminandosi la pena inflitta in anni tre di reclusione. L’imputato ricorre sul punti e per i motivi di seguito indicati.
1. Sulla sussistenza della condotta distrattiva, il ricorrente deduce violazione di legge e mancanza di motivazione sulla sostanziale restituzione delle somme di cui all’imputazione precedentemente al fallimento, costituita dall’atto del 05/10/2001 con il quale il M. G. cedeva le quote della M. s.n.c., che contestualmente si trasformava in M. s.a.s., a B. M. e D. G., e questi ultimi manlevavano il M. G. dai precedenti debiti verso la società, ivi compresi quelli derivanti dal prelievi delle somme avvenuti nel 1999, escludendosi pertanto alcun pregiudizio per i creditori.
2. Sulla sussistenza dell’elemento psicologico del reato, il ricorrente deduce violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alla consapevolezza del dissesto, tenuto conto della distanza di tempo fra la condotta contestata ed il fallimento.
3. Sulla rilevanza della dichiarazione di fallimento, il ricorrente deduce violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alla connotazione della stessa quale elemento costitutivo della qualificazione del soggetto agente e, conseguentemente, alle intervenute modifiche dei requisiti di fallibilità di cui al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, e al d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, ed alla previsione dell’art. 147 legge fall., per la quale non è consentito il fallimento dei soci a responsabilità illimitata dopo un anno dal momento in cui gli stessi abbiano perso tale qualità. 4. Sulla qualificazione giuridica del fatto come bancarotta fraudolenta anziché come bancarotta preferenziale e sul trattamento sanzionatorio, il ricorrente deduce violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine all’essere state le somme prelevate a titolo di restituzione di un finanziamento eseguito dall’imputato quale socio della fallita, al diniego delle attenuanti di cui agli artt. 62, n. 6, e 62-bis cod. pen. ed alla determinazione della durata delle pene accessorie in anni dieci e non in misura pari alla pena principale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi di ricorso relativi alla sussistenza della condotta distrattiva sono infondati. Posto che il prelievo delle somme di cui all’imputazione non è messo in discussione dal ricorrente, il quale esclude invece che lo stesso configuri distrazione per la sostanziale restituzione delle somme, individuata nella manleva degli acquirenti delle quote sociali rispetto al precedenti debiti del M. G. verso la società, occorre rammentare che una siffatta restituzione è rilevante nel momento in cui la sottrazione dei beni venga annullata da un’attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell’impresa prima della dichiarazione di fallimento ed impedisca l’insorgenza di alcun effettivo pregiudizio per i creditori (Sez. 5, n. 3622 del 19/12/2006, Morra, Rv. 236051; Sez. 5, n. 8402 del 03/02/2011, Cannavale, Rv. 249721).
E’ pertanto al permanere o meno dl tale pregiudizio, costituente per questo come per altri aspetti l’offesa tipica dei reati di bancarotta (Sez. 5, n. 39043 del 21/09/2007, Spitoni, Rv. 238212), che deve essere riferita la valutazione sulla sussistenza di un’azione restitutoria idonea a rimuovere gli effetti distrattivi della precedente condotta; non tralasciando di considerare la natura di reati di pericolo che connota i delitti in esame, e che attribuisce valenza lesiva anche alla mera potenzialità di un danno per le ragioni dei creditori (Sez. 5, n. 12897 del 06/10/1999, Tassan Din, Rv. 214860; sez. 5, n. 11633 dell’08/02/2012, Lombardi Stronati, Rv. 252307; Sez. 5, n. 3229 del 14/12/2012, Rossetto, Rv. 253932). Tenuto conto dl questo, la decisione impugnata è senz’altro corretta nella ritenuta irrilevanza, ai fini che qui interessano, della manleva prestata dagli acquirenti delle quote.
Questi ultimi, con il relativo accordo, acconsentivano infatti a tenere il M. G. indenne dai debiti pregressi verso la società, ivi compresi quelli derivanti dalle sottrazioni contestate.
Ma tale accordo non poteva che esaurire i suoi effetti all’interno dei rapporti fra l soci della fallita, e non mutava la situazione con riferimento alla posizione dei creditori della stessa; rispetto alle ragioni dei quali, al di là della soggettiva assunzione di responsabilità per le sottrazioni, persisteva il pericolo derivante dall’incidenza di dette sottrazioni sulla garanzia patrimoniale dei debiti della società, non rimosso dall’effettiva immissione di somme corrispondenti a quelle prelevate.
Altrettanto correttamente la circostanza non veniva pertanto valutata come qualificabile al pari di una restituzione di dette somme, delle quali veniva in conclusione motivatamente ritenuta la distrazione.
2. I motivi di ricorso relativi alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato sono anch’essi infondati.
Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, l’oggetto del dolo dei reati di bancarotta non include la prospettiva del dissesto; essendo tale oggetto limitato, quanto in particolare al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, alla consapevolezza di dare a beni della fallita una destinazione diversa da quella dovuta secondo la funzionalità dell’impresa, privando quest’ultima di risorse e di garanzie per i creditori (Sez. 5, n. 12897 del 06/10/1999, Tassan Din, Rv. 211538; Sez. 5, n. 29896 dell’01/07/2002, Arienti, Rv. 222388; Sez. 5, n. 7555 del 30/01/2006, De Rosa, Rv. 233413; Sez. 5, n. 11899 del 14/01/2010, Rizzardi, Rv. 246357; Sez. 5, n. 44933 del 26/09/2011, Pisani, Rv. 251214; Sez. 5, n. 3299 del 14/12/2012, Rossetto, Rv. 253932).
Opportunamente l’aspetto sottolineato dal ricorrente non veniva pertanto valutato nella sentenza impugnata ai fini della sussistenza dell’elemento psicologico del reato, compiutamente motivata con la consapevolezza, esistente nell’imputato all’atto del non contesto prelievo delle somme dai conti correnti, di sottrarre le stesse alla garanzia delle obbligazioni della società.
3. Parimenti infondati sono i motivi di ricorso relativi alla rilevanza della dichiarazione di fallimento.
Non valutando il tema proposto dal ricorrente in ordine alla sussistenza, nella posizione della società M., dei diversi requisiti di fallibilità introdotti con le modifiche normative intervenute successivamente alla declaratoria di fallimento della stessa, la sentenza impugnata faceva infatti corretta applicazione dei principi stabiliti da questa Corte (Sez. U, n. 19601 del 28/02/2008, Niccoli, Rv.239398; Sez. 5, n. 9279 dell’08/01/2009, Carottinl, Rv.2 43160; Sez. 5, n. 40404 dell’08/05/2009, Melucci, Rv. 245427), per i quali la dichiarazione di fallimento, costituendo atto giuridico richiamato nella struttura di una fattispecie incriminatrice, ne diviene componente solo in quanto provvedimento giudiziale che attualizza e rende concreta la potenzialità offensiva della condotta, e non in quanto rappresentativo dei fatti che con esso vengano accertati, unicamente sui quali, e non anche sull’atto giuridico della declaratoria di fallimento, incide la normativa che individua i presupposti di quest’ultima; normativa che pertanto, nella sua natura indiscutibilmente extrapenale, investe ciò che propriamente è l’elemento costitutivo della fattispecie e non può essere qualificata come integratrice del precetto penale, derivandone l’estraneità delle modifiche legislative normative di cui sopra all’operatività dell’art. 2 cod. pen. e l’inapplicabilità delle stesse, ai lini penali, alle vicende fallimentari precedentemente in corso.
Ragioni analoghe rendono infondata la censura del ricorrente sull’omessa valutazione della previsione di cui all’art. 147 legge fall. in ordine all’impossibilità di dichiarare il fallimento di un socio a responsabilità illimitata oltre l’anno dalla perdita di tale qualità, costituente anch’esso un presupposto della declaratoria di fallimento, per quanto detto non sindacabile in questa sede (Sez. 5, n. 47017 dell’08/07/2011, Di Matteo, Rv. 251446). Non senza considerare, comunque, che l’imputato risponde nella specie non quale socio dichiarato personalmente fallito in estensione, ma come socio amministratore anche di fatto, il che rende irrilevante, anche rispetto ad una società di persone, che lo stesso sia stato o meno dichiarato fallito in proprio (Sez. 5, n. 12496 dell’11/10/1994, De Negri, Rv. 200437; Sez. 5, n. 43036 del 1/10/2009, Gennari, Rv. 245435).
4. I motivi dl ricorso relativi alla qualificazione giuridica del fatto come bancarotta fraudolenta anziché come bancarotta preferenziale, al diniego delle attenuanti di cui agli artt. 62, n. 6, e 62-bis cod. pen. ed alla durata delle pene accessorie sono infine inammissibili.
Le relative questioni non venivano infatti proposte con i motivi di appello e devolute alla cognizione di secondo grado, il che ne preclude in questa sede (Sez. 1, n. 2176 del 20/12/1993, Etzi, Rv. 196414; Sez. 2, n. 40240 del 22/11/2006, Roccetti, Rv. 235504).
Il ricorso deve in conclusione essere rigettato, seguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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