Corte di Cassazione bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 6 maggio 2015, n. 18775

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. OLDI Paolo – Presidente

Dott. FUMO Maurizio – Consigliere

Dott. BRUNO Paolo Antonio – Consigliere

Dott. MICCOLI Grazia – rel. Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPULLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI ROMA;

nei confronti di:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 786/2014 TRIB. LIBERTA’ di ROMA, del 29/09/2014;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GRAZIA MICCOLI;

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Aurelio GALASSO, ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza, emessa in data 29 settembre 2014, il Tribunale di Roma – sezione riesame – confermava il provvedimento di dissequestro emesso dal G.U.P. dello stesso Tribunale nel procedimento a carico di (OMISSIS), imputato dei reati di cui all’articolo 2624 c.c., L.F., articolo 216, nn. 1 e 2, articoli 219, 223 e 237.

Con il provvedimento del G.U.P. era stato revocato il decreto di sequestro preventivo per equivalente, emesso dal G.I.P. in data 7 febbraio 2012, ai sensi dell’articolo 321 c.p.p., comma 2, articolo 322 ter c.p., articolo 2641 c.c., dei beni appartenenti all’indagato (OMISSIS) in relazione al contestato reato di infedelta’ patrimoniale punito dall’articolo 2634 c.c..

In data 3 marzo 2014, in sede di udienza preliminare, su istanza della difesa di (OMISSIS), il G.U.P. disponeva il dissequestro.

Il Tribunale, con il provvedimento impugnato in questa sede, ha confermato l’ordinanza del primo giudice in quanto sono venuti meno i presupposti del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, posto che in relazione al delitto di cui all’articolo 223 la legge non prevede la confisca per equivalente.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Roma, deducendo violazione e falsa applicazione dell’articolo 84 c.p., e del combinato disposto del Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 223, comma 2, n. 1, articoli 2634 e 2641 c.c..

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ infondato e, di conseguenza, non e’ meritevole di accoglimento.

1. Vanno condivisi i rilievi dei giudici del merito, che si sintetizzano qui di seguito:

– il sequestro per equivalente disposto nel caso di specie si fondava sull’assenza di pertinenzialita’ dei beni rispetto al profitto del reato e sulla natura anticipatoria della confisca per equivalente;

– il P.M. ha chiesto il rinvio a giudizio per imputazioni diverse da quelle originarie, contestando il reato di bancarotta “societaria” previsto dalla L.F., articolo 223, comma 2, nella parte in cui richiama l’articolo 2634 c.c., essendo intervenuto il fallimento della societa’ (OMISSIS) (fattispecie per la quale il legislatore non ha previsto il sequestro e la conseguente confisca per equivalente);

– l’intervenuto fallimento ha determinato il perfezionamento di un nuovo e del tutto autonomo reato – previsto dall’articolo 223, comma 2 cit., con una sanzione edittale piu’ elevata di quella prevista dall’articolo 2634 c.c. – e non la prosecuzione dell’originaria accusa;

– il momento consumativo del nuovo reato coincide con la dichiarazione di fallimento;

– l’articolo 223 determina l’assorbimento degli elementi costitutivi del reato societario, contestato originariamente, considerato come “fatto di reato”;

– tale ultimo principio e’ pacifico in giurisprudenza, secondo la quale l’articolo 223 rinvia non gia’ ai reati dettati dal codice civile, ma ai fatti integrativi dei medesimi, agli elementi tipici delle rispettive figure incriminatrici, per cui l’articolo 223, non puo’ considerarsi circostanza aggravante di quelle ipotesi criminose, ma figura autonoma di reato;

– tale figura autonoma si struttura come “reato complesso” perche’ contiene in se’ come elemento costitutivo uno dei reati previsti dal codice civile, ma deve escludersi l’applicazione alla fattispecie complessa degli effetti normativi applicabili al reato assorbito, in ragione del principio di tassativita’ e del divieto di analogia in malam partem in tema di assoggettabilita’ alle sanzioni;

la norma sulla confisca per equivalente (articolo 2641 c.c.), prevista per il reato assorbito, non puo’ applicarsi al reato complesso, cosi’ come affermato anche dalla Corte di Cassazione nel caso di assorbimento del reato di truffa aggravata ai danni dello Stato in quello di frode fiscale.

2. Il Pubblico Ministero ricorrente contesta i suddetti rilievi dei giudici di merito in primo luogo con argomentazioni di fatto, secondo le quali, nel caso in esame, l’autore del delitto di infedelta’ patrimoniale e’ venuto a giovarsi, con la revoca del sequestro, in seguito all’intervenuto fallimento della societa’, “da lui in bonis gia’ consapevolmente danneggiata”, sicche’ “cagionare il dissesto societario e/o l’insolvenza e quindi commettere bancarotta, per colui sul quale pende un procedimento per infedelta’ patrimoniale, sarebbe un mezzo sicuro per evitare l’ablazione da parte dell’A.G. dei propri beni personali sequestrati per equivalente”.

E’ evidente che si tratta di argomentazioni non valutabili in questa sede, non dovendo peraltro trascurarsi che quanto sostenuto dal ricorrente e’ smentito dalla possibilita’ di ricorrere ad altre forme di misure cautelari reali, come il sequestro conservativo, che peraltro si evince dagli atti essere stato gia’ disposto nel caso di esame, come indicato dallo stesso ricorrente.

3. Correttamente i giudici di merito hanno rilevato che il reato di bancarotta fraudolenta impropria c.d. societaria, previsto dall’articolo 223 legge fallimentare, e’ una figura di reato autonoma rispetto al reato di infedelta’ patrimoniale previsto dall’articolo 2634 c.c..

Esso e’ strutturato come reato complesso, rispetto al quale un reato societario tra quelli espressamente previsti dal legislatore ed assunto come elemento costitutivo deve essere causa o concausa del dissesto societario; tuttavia, il momento consumativo del reato e’ da individuarsi nella dichiarazione di fallimento, che fissa anche il “dies a quo” da cui decorre la prescrizione (Sez. 5, n. 32164 del 15/05/2009, Querci, Rv. 244488). Ne’ puo’ ipotizzarsi che i fatti di falso in bilancio seguiti dal fallimento della societa’ costituiscano un’ipotesi aggravata del reato di false comunicazioni sociali, integrando di contro l’autonomo reato di bancarotta fraudolenta impropria da reato societario (Sez. 5, n. 15062 del 02/03/2011, Siri, Rv. 250092).

Il Pubblico Ministero ricorrente, proprio partendo dall’assunto della configurabilita’ del reato complesso, ritiene che possa applicarsi anche nel caso di bancarotta c.d. societaria il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente ex articolo 2641 c.c., prevista per il reato societario assorbito.

La tesi e’ errata, cosi’ come rilevato dai giudici di merito.

Il sequestro “per equivalente” finalizzato alla confisca ha natura prettamente sanzionatoria, a differenza del sequestro preventivo ex articolo 321 c.p.p. (Sez. 3, n. 18311 del 06/03/2014, Cialini, Rv. 259103Sez. 3, n. 23649 del 27/02/2013, D’Addario, Rv. 256164; Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami e altro, Rv. 255037).

A tal proposito, correttamente il Tribunale rileva che, se fosse fondata la tesi della sopravvivenza del reato elemento costitutivo e dei suoi effetti giuridici nel reato complesso, l’articolo 84 c.p., comma 1, escluderebbe l’applicabilita’ dell’articolo 77 c.p. (che prevede che, nel determinare le pene accessorie e ogni altro effetto penale della condanna, si ha riguardo ai singoli reati per i quali e’ pronunciata la condanna e alle pene principali che, se non vi fosse concorso di reati, si dovrebbero infliggere per ciascuno di essi), con la conseguenza che non si potrebbe far riferimento ai singoli reati per determinare le pene accessorie e la confisca (come sanzione) non potrebbe essere parametrata sul profitto del reato di infedelta’ patrimoniale.

Il Pubblico Ministero ricorrente censura il meccanismo del c.d. assorbimento, ritenendo che esso operi solo con espresso riferimento al trattamento sanzionatorio del reato complesso, richiamando a tal fine gli articoli 131 e 170 c.p.. Corrette sul piano giuridico sono ancora una volta le argomentazioni del Tribunale a confutazione di tali censure. L’articolo 131 c.p., che prevede la procedibilita’ d’ufficio del reato complesso se il reato elemento costitutivo e’ procedibile d’ufficio, e’ norma processuale, per cui inconferente e’ il richiamo fatto dal ricorrente.

L’articolo 170 c.p., che certamente e’ norma di diritto sostanziale, non avvalora la tesi del ricorrente, perche’ la causa estintiva di un reato elemento costitutivo del reato complesso non si trasmette a quest’ultimo, proprio perche’ il reato complesso e’ figura autonoma e le fattispecie che lo compongono sono inserite in maniera “fattuale” nella fattispecie complessa; altrimenti opinando ne deriverebbe che l’estinzione per prescrizione del reato “componente” possa comportare anche l’estinzione del reato che lo ingloba, per il venir meno di uno degli elementi costitutivi.

Peraltro, come si e’ gia’ detto, proprio per il delitto di bancarotta fraudolenta impropria (L.F., articolo 223, comma 2, n. 1), che e’ strutturato come reato complesso, rispetto al quale un reato societario tra quelli espressamente previsti dal legislatore ed assunto come elemento costitutivo deve essere causa o concausa del dissesto societario, il momento consumativo del reato e’ da individuarsi nella dichiarazione di fallimento, che fissa anche il “dies a quo” da cui decorre la prescrizione (Sez. 5, n. 32164 del 15/05/2009 – dep. 06/08/2009, Querci, Rv. 244488), sicche’ assolutamente irrilevante e’ il termine prescrizionale del reato societario che va a comporlo.

Sempre correttamente il Tribunale ha rilevato che questa Corte non ha affatto affermato che si applichi alla bancarotta l’articolo 2634 c.c..

Si e’ solo affermato che il comma 3 di tale previsione che, relativamente alla fattispecie incriminatrice dell’infedelta’ patrimoniale degli amministratori esclude la rilevanza penale dell’atto depauperatorio in presenza dei c.d. “vantaggi compensativi” dei quali la societa’ apparentemente danneggiata abbia fruito o sarebbe stata in grado di fruire in ragione della sua appartenenza a un piu’ ampio gruppo di societa’, conferisce valenza “normativa” a principi – gia’ desumibili dal sistema, in punto di necessaria considerazione della reale offensivita’ – che sono senz’altro applicabili anche alle condotte sanzionate dalle norme fallimentari e, segnatamente a fatti di disposizione patrimoniale contestati come distrattivi o dissipativi (Sez. 5, n. 49787 del 05/06/2013, Bellemans, Rv. 257562).

Giova peraltro ricordare che questa Corte, anche di recente, ha ribadito che, in caso di dichiarazione di fallimento, il reato di appropriazione indebita e il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione degli stessi beni, sebbene si tratti di fattispecie tra loro strutturalmente diverse, danno luogo ad un reato complesso ex articolo 84 c.p., che determina l’assorbimento del reato di appropriazione indebita in quello di bancarotta (Sez. 5, n. 48743 del 29/10/2014, Flecchia, Rv. 261301).

Ne deriva che certamente la norma sulla confisca per equivalente (articolo 2641 c.c.), prevista per il reato societario assorbito dalla L.F., articolo 223, non puo’ applicarsi a quest’ultimo, in quanto reato complesso, cosi’ come affermato peraltro da questa Corte nel caso di assorbimento del reato di truffa aggravata ai danni dello Stato in quello di frode fiscale (Sez. 2, n. 5656 del 11/01/2007, Perrozzi, rv. 236126; Sez. 3, n. 39172 del 24/09/2008 Canisto, Rv. 241033).

Deve quindi escludersi l’applicazione alla fattispecie complessa degli effetti normativi applicabili al reato assorbito, in ragione del principio di tassativita’ e del divieto di analogia in malam partem in tema di sanzioni.

Va, infine, detto che non sussistono i presupposti per sollevare la questione di illegittimita’ costituzionale (come sollecitato dal ricorrente), non presentando affatto il sistema profili di irragionevolezza, potendo – come si e’ detto – essere adottati altri strumenti finalizzati a sottrarre all’imputato di bancarotta societaria la disponibilita’ del patrimonio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso del Pubblico Ministero.

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