CASSAZIONE

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 6 febbraio 2015, n. 5639

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PALLA Stefano – Presidente
Dott. LAPALORCIA Grazia – Consigliere
Dott. PEZZULLO Rosa – Consigliere
Dott. MICHELI Paolo – rel. Consigliere
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti nell’interesse di:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

(OMISSIS), nata a (OMISSIS);

avverso la sentenza emessa l’11/05/2012 dalla Corte di appello di Milano;

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. SCARDACCIONE Vittorio Eduardo, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO
1. Con la pronuncia indicata in epigrafe, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza di condanna emessa il 05/10/2005 dal Tribunale della stessa citta’ nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), soci e componenti del consiglio di amministrazione (la (OMISSIS) in veste di presidente) della (OMISSIS) s.r.l., dichiarata fallita nel (OMISSIS); i fatti loro addebitati riguardavano:
– la distrazione di materiale informatico acquistato fino ad aprile 2000, per un controvalore di oltre un miliardo di lire secondo le risultanze di bilancio (ovvero del ricavato della vendita degli stessi beni); l’occultamento, la dispersione, ovvero la distruzione della contabilita’, al fine di impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, in particolare circa la destinazione della merce di cui sopra e l’impiego del conseguente ricavato.
2. Il comune difensore dei tre imputati presenta nel loro interesse distinti ricorsi (di contenuto sovrapponibile), con i quali deduce:
carenza e manifesta illogicita’ della motivazione con riguardo al delitto di bancarotta per distrazione.
La difesa segnala che il Tribunale di Milano si era inutilmente dilungato su una ricostruzione dell’andamento economico-finanziario della societa’ onde trovare una motivazione alle condotte contestate, senza tuttavia dare contezza degli elementi di prova in ipotesi raccolti su tali addebiti: la Corte territoriale, a dispetto delle numerose censure mosse dalla difesa nei motivi di appello, avrebbe invece omesso di trattare il punto de quo, giungendo poi alla conferma della sentenza impugnata pur dando atto – coerentemente all’impostazione difensiva – che le presunte distrazioni dovevano intendersi fatti a se’ (“l’evento di una notte”) e non il risultato delle precedenti modalita’ di gestione dell’azienda.
In ogni caso, sul fatto in rubrica, ed in particolare sul valore delle merci in ipotesi distratte o vendute con sparizione del corrispettivo, nulla sarebbe emerso: il difensore degli imputati ribadisce quindi che i suoi assistiti, all’epoca della contestata distrazione, non erano piu’ coinvolti nella (OMISSIS), di cui erano state cedute le quote con nomina di altro amministratore (tale (OMISSIS), inspiegabilmente ritenuto dai giudici di merito un semplice loro prestanome). Ne’ avrebbe dovuto considerarsi sospetto il tempo trascorso fra la notizia della scomparsa delle merci dal magazzino e l’iniziativa degli stessi imputati nel sollecitare accertamenti sulla responsabilita’ del nuovo amministratore, ai sensi dell’articolo 2409 cod. civ., essendosi trattato di un intervallo di soli due mesi carenza e manifesta illogicita’ della motivazione della sentenza impugnata, in punto di analisi delle deposizioni dei testimoni (OMISSIS) e (OMISSIS).
Dalle dichiarazioni dei due testi anzidetti sarebbe emersa, secondo la tesi difensiva, l’effettivita’ della gestione dell’impresa da parte dell’ (OMISSIS), che invece la Corte territoriale avrebbe inteso una sorta di burattino nelle mani di (OMISSIS): le asserzioni dello (OMISSIS), in particolare, sarebbero di particolare rilievo essendo egli un testimone indotto dal P.M., risultando financo dimostrati alcuni dissapori di carattere personale fra lui e gli imputati.
Al contrario, quei contributi sarebbero stati minimizzati dai giudici di secondo grado, con l’apodittica affermazione che i testi de quibus si sarebbero orientati, per una non meglio chiarita convenienza, ad aderire alle ragioni degli odierni ricorrenti; nel contempo, appare ignorato quanto attestato dal curatore del fallimento in sede di relazioni ex articolo 33 legge fall., dove erano state ravvisate chiare responsabilita’ sul conto dell’ (OMISSIS) ed escluse invece condotte di rilievo penale a carico dei precedenti amministratori.
Lo stesso comportamento assunto in concreto dal suddetto (OMISSIS) sconfesserebbe infine la versione da lui fornita, secondo cui era stato (OMISSIS) ad avvicinarlo in un bar prospettandogli un lavoro da magazziniere: infatti, contrariamente a quanto sarebbe stato lecito attendersi da un presunto uomo di fatica di origine extracomunitaria, egli si presento’ immediatamente al Tribunale di Milano dopo la denuncia ex articolo 2409 cod. civ., ed analogamente fece una volta convocato dal curatore
violazione dell’articolo 530 c.p.p., comma 2.
La difesa evidenzia che alla carenza di elementi di prova sulla effettivita’ della distrazione non avrebbe potuto porsi rimedio richiamando fatti pregressi, comunque estranei alla contestazione, “all’unico, evidente fine di screditare gli imputati, attribuendo agli stessi condotte non conformi alla legge” carenza e manifesta illogicita’ della motivazione quanto all’addebito di bancarotta documentale.
Osserva il difensore dei ricorrenti che la presunta distruzione delle scritture contabili troverebbe causa, secondo l’impianto motivazionale del provvedimento impugnato, nella necessita’ di nascondere una precedente situazione di dissesto, ed in particolare di impedire che venissero occultate le tracce di falsi in bilancio gia’ commessi, attraverso la sopravvalutazione delle rimanenze di magazzino. Di addebiti di falso nelle scritture non vi e’ pero’ traccia in rubrica, ed in ogni caso non si vede come poter escludere che gli imputati – da ritenere non piu’ coinvolti nella gestione della societa’ – abbiano, a tutto voler concedere, beneficiato degli effetti di una condotta altrui, mentre era certamente l’ (OMISSIS) a nutrire interesse per celare l’entita’ o la stessa esistenza delle rimanenze, tanto piu’ che egli era l’unico ad avere diretta disponibilita’ delle chiavi dei locali e dei libri contabili.
La motivazione della sentenza appare poi contraddittoria nella parte in cui si sostiene che la sopravvalutazione del magazzino sarebbe provata dalle dichiarazioni dello (OMISSIS) (il quale aveva parlato di riduzione delle merci in magazzino, con scarso ricambio di pezzi, nel 1999-2000), vale a dire di un testimone ad altri fini ritenuto non attendibile. Ne’ viene tenuto conto del documentato rinvenimento di buona parte delle scritture asseritamente distrutte (i libri dei verbali delle assemblee e del consiglio di amministrazione, il libro soci, numerose fatture emesse, copie delle dichiarazioni dei redditi), come pure della circostanza che due attivita’ di indagine curate dalla Guardia di Finanza nell’aprile 2000 non avevano fatto emergere alcuna anomalia, mentre nel maggio successivo erano stati curati da un notaio gli estratti del libro degli inventari, del libro giornale e di altri documenti. Cio’ ad ulteriore riprova della circostanza che, al momento della nomina dell’ (OMISSIS) quale amministratore unico, le scritture contabili certamente esistevano ed erano state fino ad allora regolarmente tenute carenza e manifesta illogicita’ della motivazione sul presunto concorso dei singoli imputati nei reati ipotizzati.
Secondo l’ipotesi accusatoria, la distrazione delle merci sarebbe avvenuta nel corso di una notte, quando i tre ricorrenti non erano piu’ amministratori della societa’; secondo la difesa, ritenere che i (OMISSIS) e la (OMISSIS) dovrebbero comunque rispondere dei fatti in rubrica nella veste di soci, come affermato dai giudici di merito, costituisce principio giuridicamente scorretto, richiedendosi la prova rigorosa di un loro contributo causale nel reato proprio dell’amministratore (qui, peraltro, mandato esente da addebiti). La sentenza impugnata si limita a rappresentare che i tre imputati avrebbero continuato a gestire di fatto la (OMISSIS), senza indicare le specifiche risultanze istruttorie che deporrebbero in tal senso.
Nella parte conclusiva del ricorso, si precisa riassuntivamente che:
– la (OMISSIS) aveva lavorato presso la ditta solo fino al novembre 1999, senza poi occuparsi piu’ della relativa gestione;
– sulla mancata indicazione di elementi per giungere alla identificazione di tale (OMISSIS) (vale a dire la persona che aveva condotto le trattative con gli imputati per la cessione delle quote, e che poi aveva designato l’ (OMISSIS)), la Corte territoriale non avrebbe tenuto presente che il solo (OMISSIS) era stato convocato dal Tribunale, e nulla autorizza a ritenere che la descrizione del (OMISSIS) da lui fornita fosse meno attendibile di quella offerta dall’ (OMISSIS);
– e’ impossibile sostenere che l’ (OMISSIS) si limitasse ad eseguire direttive impartitegli dai ricorrenti, visto che egli risulterebbe avere avuto la disponibilita’ di assegni ricevuti in garanzia dai clienti, negoziati e versati su suoi conti personali mancanza di motivazione in punto di trattamento sanzionatorio e di giudizio di comparazione fra opposte circostanze.
Le considerazioni svolte nell’interesse degli imputati in sede di motivi di appello sul giudizio di sola equivalenza delle attenuanti generiche rispetto alle aggravanti in rubrica sarebbero rimaste prive di disamina: la Corte territoriale richiama una “condotta di frode particolarmente insidiosa” che dovrebbe ascriversi ai prevenuti, ma non spiega le ragioni di tale assunto, tanto piu’ che il loro comportamento – anche a dar credito alle tesi dell’accusa – sarebbe stato semmai improntato ad una certa grossolanita’. Ne’ sarebbero state compiutamente esposte le ragioni giustificative dell’entita’ della pena (come invece imposto dalla giurisprudenza di legittimita’), a fronte peraltro della pregressa incensuratezza degli imputati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi non possono trovare accoglimento.
1.1 E’ infatti evidente che gli argomenti utilizzati dal difensore degli imputati con riguardo ai profili di presunta carenza o manifesta illogicita’ della motivazione della sentenza impugnata tendono a sottoporre al giudizio di legittimita’ aspetti che riguardano la ricostruzione del fatto e l’apprezzamento del materiale probatorio, da riservare alla esclusiva competenza del giudice di merito e gia’ adeguatamente valutati sia in primo che in secondo grado.
Sino alla novella introdotta con la Legge n. 46 del 2006, la giurisprudenza di questa Corte affermava pacificamente che al giudice di legittimita’ deve ritenersi preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa, dovendo soltanto controllare se la motivazione della sentenza di merito fosse intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito. Quindi, non potevano avere rilevanza le censure che si limitavano ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, e la verifica della correttezza e completezza della motivazione non poteva essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite: la Corte, infatti, “non deve accertare se la decisione di merito propone la migliore ricostruzione dei fatti, ne’ deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilita’ di apprezzamento” (v., ex plurimis, Cass., Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, Elia).
I parametri di valutazione possono dirsi solo parzialmente mutati per effetto delle modifiche apportate agli articoli 533 e 606 cod. proc. pen. con la ricordata novella: in linea di principio, questa Corte potrebbe infatti ravvisare un vizio rilevante in termini di inosservanza di legge processuale, e per converso in termini di manifesta illogicita’ della motivazione, laddove si rappresenti che le risultanze processuali avrebbero in effetti consentito una ricostruzione dei fatti alternativa rispetto a quella fatta propria dai giudici di merito, purche’ tale diversa ricostruzione abbia appunto maggior spessore sul piano logico (realizzando cosi’ il presupposto del “ragionevole dubbio” ostativo ad una pronuncia di condanna).
Si e’ peraltro piu’ volte ribadito che anche all’esito della suddetta riforma “gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimita’ se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacita’ dimostrativa e …, pertanto, restano inammissibili, in sede di legittimita’, le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio” (Cass., Sez. 5, n. 8094 dell’11/01/2007, Ienco, Rv 236540). E, proprio con riguardo al principio dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio”, si e’ da ultimo precisato che esso non ha comunque inciso sulla natura del sindacato della Corte di Cassazione in punto di motivazione della sentenza e non puo’, quindi, “essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicita’ di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicita’ sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell’appello” (Cass., Sez. 5, n. 10411 del 28/01/2013, Viola, Rv 254579).
Nella fattispecie oggi in esame, al contrario, la difesa punta proprio a far rivalutare a questa Corte le emergenze istruttorie, occupandosi soltanto degli elementi di fatto a dispetto della dedotta sussistenza di vizi ex articolo 606 cod. proc. pen.; a riguardo, deve rilevarsi che il giudizio di credibilita’ formulato dal Tribunale e dalla Corte di appello di Milano quanto al contributo offerto dall’ (OMISSIS) risulta espresso in termini congrui e lineari, ove si pensi alle decisive circostanze gia’ correttamente evidenziate nella pronuncia di primo grado, secondo cui:
l’ (OMISSIS) era subentrato quale cessionario di quote sociali e nuovo amministratore il 21/04/2000, e subito – nei primi giorni di maggio – si era verificata la sottrazione della merce presente nei magazzini (peraltro in circostanze singolari, con alcuni testimoni che avevano udito mezzi di trasporto andare e venire ripetutamente, particolare assai poco compatibile con una ipotesi di furto);
– lo stesso extracomunitario, nel ricorso ex articolo 2409 cod. civ. che i (OMISSIS) presentarono nel luglio 2000, era stato descritto come soggetto sicuramente irreperibile, mentre invece comparve ritualmente, dichiarando di essere stato avvicinato da (OMISSIS) in un bar con un’offerta di lavoro, e di aver poi prestato la sua opera di magazziniere per soli 15 giorni, disponendosi nel contempo a firmare i documenti che gli venivano sottoposti;
solo dinanzi alla comparizione del suddetto, lo stesso (OMISSIS) aveva ricordato come fosse stato tale signor (OMISSIS) (non menzionato nel ricordato ricorso, e rimasto non identificato) a presentargli l’ (OMISSIS);
– la (OMISSIS) non opero’ di fatto dopo la presunta cessione delle quote, visto che “tutti i crediti insinuati al passivo, con un’unica eccezione di 3 o 4 milioni di lire, risultano formati in epoca precedente al 21/04/2000, concentrati soprattutto negli ultimi mesi del 1999 e gli inizi del 2000 …: non risulta praticamente traccia, cioe’, di una effettiva attivita’ negoziale svolta dalla cd. “nuova gestione””;
– ulteriore dato pacifico, che appare confermato dalle stesse dichiarazioni degli imputati, e’ che i (OMISSIS) mantennero (durante la presunta amministrazione della societa’ fallita da parte dell’ (OMISSIS)) le deleghe ad operare sui conti correnti, e si occuparono direttamente del recupero dei crediti della (OMISSIS);
– doveva ritenersi gia’ conclamato uno stato di insolvenza della societa’, in quanto due segretarie amministrative avevano dichiarato di essersi dimesse in cerca di nuova occupazione perche’ l’azienda non andava bene, ed il principale fornitore (tale (OMISSIS), al contempo titolare di alcune quote) aveva parimenti riferito di essersi visto tornare indietro, insoluti, alcuni titoli ricevuti in pagamento;
– nel frattempo, stando ai bilanci depositati, il valore delle rimanenze all’esito dell’esercizio 1999 ammontava ad una cifra praticamente doppia rispetto a quella dell’anno precedente, e cio’ malgrado vi fosse stata una obiettiva riduzione sia degli acquisti che dei ricavi;
– era dunque sicuramente falso quel che i (OMISSIS) scrissero nel ricorso di cui all’articolo 2409 cod. civ., quando sostennero che la societa’ fosse, al momento del subentro del nuovo amministratore, in attivo e priva di debiti;
– a voler prestare fede alla ricostruzione dei fatti proveniente dagli imputati, risulta senz’altro “sconcertante che i (OMISSIS) … consegnino la loro azienda nelle mani di un perfetto sconosciuto, con un magazzino che avrebbe avuto un valore di oltre un miliardo di lire, senza assicurarsi alcuna garanzia per il pagamento e dopo avere ricevuto (a loro dire) una caparra di appena 6 milioni di lire per le loro quote”.
Le considerazioni svolte dalla Corte territoriale, contrariamente alle censure mosse nell’interesse dei ricorrenti, si pongono in ragionevole consequenzialita’ rispetto agli argomenti sviluppati dal Tribunale di Milano: se l’azienda era gia’ in decozione, e se il valore delle rimanenze di magazzino era sicuramente differente rispetto a quanto attestato nei bilanci e negli atti strumentali al passaggio delle quote avvenuto ad aprile del 2000, la sparizione dei beni de quibus trovava una lampante spiegazione nella necessita’ di occultarne in via definitiva la reale consistenza, cui certamente avevano interesse coloro che avevano amministrato l’azienda nel periodo in cui lo stato di insolvenza era venuto a manifestarsi, e che risultava comunque l’unico in cui la (OMISSIS) era stata in attivita’. Ergo, non puo’ affermarsi che rimane indimostrata una gestione dei (OMISSIS) (e della (OMISSIS), che risultava comunque figura apicale del consiglio di amministrazione) dopo l’assunzione della carica di legale rappresentante da parte dell’ (OMISSIS): l’assunto dei giudici di merito, coerente alle risultanze istruttorie, e’ che una gestione da riferire all’ (OMISSIS) non vi fu mai. Ne’ deve ritenersi illogico avere ascritto a quest’ultimo una veste di mero prestanome, a dispetto della sua solerzia nel comparire dinanzi al Tribunale una volta convocato, giacche’ un conto e’ non avere alcuna competenza in materia di informatica o di attivita’ imprenditoriali in genere, ben altro e’ rendersi conto di dover rispondere ad un invito a presentarsi ricevuto da un’autorita’.
1.2 Quanto alle doglianze afferenti il trattamento sanzionatorio, deve ricordarsi che “la graduazione della pena, anche rispetto agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita’ del giudice di merito, il quale la esercita, cosi’ come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 cod. pen., sicche’ e’ inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita’ della pena” (Cass., sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, Cilia, Rv. 238851). Analoghe argomentazioni valgono in ordine alle statuizioni sottese al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, che – implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito – sfuggono al sindacato di legittimita’ qualora non siano frutto di merito arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la piu’ idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (V. cass., sez. U, 25/02/2010 n. 10713, Contaldo, rv. 245931).
2. Il rigetto dei ricorsi comporta la condanna degli imputati al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi, e condanna ciascuno ricorrente al pagamento delle spese processuali

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