Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 29 gennaio 2016, n. 4064

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARASCA Gennar – Presidente

Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere

Dott. SETTEMBRE Antoni – Consigliere

Dott. GUARDIANO A – rel. Consigliere

Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) S.P.A.;

avverso l’ordinanza n. 188/2014 TRIB. LIBERTA’ di BOLOGNA, del 27/11/2014;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALFREDO GUARDIANO;

sentite le conclusioni del PG Dott. Pasquale Fimiani, che si e’ determinato per l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata;

Udito il difensore Avv. (OMISSIS), del Foro di (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

FATTO E DIRITTO

1. Con l’ordinanza di cui in epigrafe il tribunale di Bologna, in funzione di tribunale adito ex articolo 322 bis c.p.p., confermava l’ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Bologna, in data 24.8.2014, aveva rigettato l’istanza presentata nell’interesse dell’istituto di credito ” (OMISSIS)”, volta ad ottenere la revoca del provvedimento con cui il medesimo giudice per le indagini preliminari, in data 4-18.5.2012, aveva disposto il sequestro preventivo, anche per valore equivalente della somma di euro 1.779.765,00 presso il (OMISSIS) (da ora in avanti indicato con l’acronimo (OMISSIS)), considerata profitto dei reati di cui ai capi N); 0); P); P bis) dell’imputazione provvisoria.

Il suddetto decreto di sequestro preventivo, in relazione alla (OMISSIS), era stato originariamente annullato dal tribunale del riesame di Bologna con ordinanza del 29.6.2012, che, tuttavia, veniva successivamente annullata dalla Corte di Cassazione con rinvio per nuovo esame, avendo, il suddetto tribunale errato nel ritenere che il presupposto del titolo cautelare fosse rappresentato dagli illeciti amministrativi, ormai prescritti, ipotizzati, ai sensi della Legge n. 231 del 2001, a carico del menzionato istituto di credito, laddove il sequestro era stato in realta’ disposto, rilevava la Suprema Corte, ai sensi dell’articolo 321 c.p.p., comma 2, con riferimento ai delitti di abuso di informazioni privilegiate, omessa comunicazione di conflitto di interessi e di manipolazione del mercato di cui ai capi O), P bis) ed N) dell’imputazione.

In sede di rinvio il tribunale del riesame di Bologna aveva confermato il provvedimento di sequestro preventivo, con provvedimenti che resistevano al successivo vaglio della Suprema Corte, intervenuta su ricorso della (OMISSIS).

In seguito ” (OMISSIS)”, che aveva incorporato (OMISSIS), aveva formulato istanza di revoca del sequestro preventivo, deducendo la propria estraneita’ al procedimento penale, in quanto: 1) l’unica forma di partecipazione criminosa ipotizzabile a carico delle persone giuridiche e’ quella di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2001; 2) in ogni caso una responsabilita’ di tal genere sarebbe configurabile solo a carico della (OMISSIS), senza potersi trasferire nei confronti della banca incorporante; 3) nessun vantaggio indiretto, in relazione alle ipotesi di “market abuse” per cui si procede e’ stato realizzato dal (OMISSIS), poiche’, all’atto della fusione per incorporazione tra le due banche, nel patrimonio della (OMISSIS) nulla era rimasto degli eventuali profitti illeciti per i quali venne disposto il sequestro preventivo, emergendo dai relativi atti che l’istituto incorporato aveva un patrimonio netto negativo di 36,9 milioni di euro, con conseguente impossibilita’ di applicazione dell’articolo 187, t.u.f..

La richiesta di revoca, su parere conforme del pubblico ministero era stata rigettata dal giudice per le indagini preliminari, il cui provvedimento, per l’appunto veniva impugnato innanzi al tribunale del riesame bolognese, in sede di appello, ai sensi dell’articolo 322 bis c.p.p..

Il tribunale riesame, nel rigettare l’appello, evidenzia: 1) che, conformemente alla richiesta del pubblico ministero, il sequestro e’ stato disposto, ai sensi dell’articolo 187 t.u.f., e articolo 240 c.p., comma 2, n. 1, in vista sia della confisca diretta sia di quella per valore equivalente, come affermato dalle sentenze della corte di cassazione intervenute nell’ambito del procedimento 2) che sicuramente il sequestro si giustifica ai sensi dell’articolo 240 c.p., comma 2, n. 1, ricorrendo, come evidenziato dalla Suprema Corte nella sentenza con cui era stato rigettato il ricorso della (OMISSIS), tutte le condizioni previste dalla menzionata disposizione normativa per procedere alla confisca delle cose costituenti il prezzo del reato; 3) che, come affermato nella sentenza del Supremo Collegio, da ultima citata, la n. 14600 del 2014, la societa’ incorporante risponde dei fatti della societa’ incorporata ex articolo 2504 bis c.c., di cui ha assunto i diritti e gli obblighi, perche’ se cosi’ non fosse sarebbe semplice eludere gli effetti di un sequestro penale attraverso l’operazione di fusione; 4) che l’appellante non ha dimostrato la mancata disponibilita’ dell’importo, ritenuto profitto di reato, in capo alla (OMISSIS) all’atto della fusione, che il pubblico ministero, in conseguenza del primo provvedimento di annullamento del tribunale del riesame, aveva restituito, assenza di disponibilita’ concettualmente distinta dal patrimonio netto dell’ente incorporato.

2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l’istituto di credito ” (OMISSIS) s.p.a.”, a mezzo del suo difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), del Foro di (OMISSIS), lamentando: 1) violazione di legge in quanto, evidenzia il ricorrente stigmatizzando l’affermazione secondo cui nel nostro ordinamento sarebbe possibile applicare cumulativamente tanto il sequestro preventivo ex articolo 321 c.p.p., comma 2, quanto quello finalizzato alla confisca per valore equivalente, il provvedimento del tribunale del riesame ha in definitiva ritenuto legittimo il vincolo reale, che si presenta, tuttavia, come un sequestro preventivo per valore equivalente disposto nei confronti di una persona giuridica, al di fuori delle ipotesi di responsabilita’ amministrativa da reato di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 25 sexies, e articolo 25 ter, lettera r); 2) violazione di legge in relazione alla qualificazione della somma di denaro sequestrata in termini di prezzo o profitto di reato, in quanto il tribunale del riesame qualifica l’oggetto del sequestro a volte come profitto, a volte come prezzo, laddove si tratta, come e’ noto di concetti profondamente diversi, disciplinati in maniera diversa dallo stesso articolo 240 c.p., per cui, non essendo revocabile in dubbio che la somma in questione debba considerarsi profitto e non prezzo dei reati di “market abuse”, essa non poteva formare oggetto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca; 3) violazione di legge, anche sotto il profilo della mancanza assoluta di motivazione, con riferimento al rapporto pertinenziale tra la somma sequestrata ed i reati per i quali si procede, in quanto il giudice del riesame, da un lato non ha tenuto conto dei nuovi elementi addotti a sostegno della istanza di revoca, con cui si dimostrava, attraverso l’allegazione dell’accordo di investimento, che, all’atto della prima esecuzione del sequestro, nel 2012, non fosse configurabile nessun rapporto pertinenziale tra i reati ipotizzati e le somme nella disponibilita’ della banca bolognese, che, alla data del 31 dicembre del 2010, non aveva piu’ da tempo la disponibilita’ di quelle risorse economiche, prezzo o profitto dei reati contestati, anzi non aveva nessuna risorsa economica, essendo stato il suo capitale sociale azzerato ed interamente ricostituito con fondi di (OMISSIS); dall’altro ha omesso di motivare sull’esistenza del nesso pertinenziale tra il denaro sequestrato ed i reati, che va dimostrato nel senso che, quando non si tratti proprio della somma acquisita attraverso l’attivita’ criminosa, occorre che il denaro costituisca un surrogato diretto di quest’ultima, sempre che si tratti di utilita’ che derivino dal suo impiego immediato; 4) la fondatezza dell’approdo interpretativo cui e’ giunta la sentenza “Gubert” delle Sezioni Unite di questa Corte, nella parte in cui afferma che il sequestro preventivo funzionale alla confisca di proprieta’, rispetto a beni fungibili e nei confronti di una persona giuridica, non richiederebbe il necessario e corretto accertamento del nesso pertinenziale, poiche’, evidenzia il ricorrente, seguendo siffatto orientamento, la confisca si tramuterebbe in una vera e propria sanzione penale, perdendo le sue caratteristiche di misura di sicurezza, ed in quanto tale presupporrebbe necessariamente, conformemente al consolidato indirizzo della giurisprudenza di Strasburgo, una sentenza di condanna, nel caso in esame del tutto assente; 4) violazione di legge con riferimento alla non ritenuta estraneita’ di ” (OMISSIS)” ai reati, che, invece va affermata, stante l’assoluta estraneita’ del suddetto istituto di credito alla commissione dei reati in questione ed essendo, peraltro, l’unica forma di partecipazione criminosa configurabile in capo agli enti quella di cui al Decreto Legislativo 231/2001, per cui ” (OMISSIS)” non puo’ essere destinataria della misura cautelare, senza violare i principi di presunzione di innocenza e di legalita’, ribaditi anche dagli articoli 6 e 7 della CEDU; ne’, al contrario, puo’ essere invocata la disposizione di cui all’articolo 2504 bis c.c., che limita la sua portata ai soli effetti civili della fusione; ed in ogni caso, rileva, infine, il ricorrente, va ribadito come ” (OMISSIS)” abbia ampiamente dimostrato, senza che il tribunale del riesame abbia tenuto in adeguato conto questo dato, che gia’ anteriormente alla esecuzione del primo sequestro, la (OMISSIS) non aveva la disponibilita’ dei profitti illeciti che avrebbe incamerato, per totale assenza di liquidita’.

3. Il ricorso e’ fondato e va accolto nei termini che seguono.

4. Preliminarmente va rilevato che, in relazione ad alcune delle questioni su cui si concentrano le doglianze del ricorrente, riguardanti l’ammissibilita’ del sequestro operato in danno della (OMISSIS), risulta formatosi il c.d. giudicato cautelare, che, come e’ noto, opera anche in materia di misure cautelari reali (cfr. Cass., sez. 6 , 13.6.2012, n. 34506, rv. 253253; Cass., sez. 6 , 27.4.2012, n. 18199, rv. 252646).

Si tratta di una preclusione concernente solo le questioni esplicitamente o implicitamente trattate e non anche quelle deducibili e non dedotte, che opera allo stato degli atti ed e’ preordinata ad evitare ulteriori interventi giudiziari in assenza di una modifica della situazione di riferimento, con la conseguenza che essa puo’ essere superata laddove intervengano elementi nuovi che alterino il quadro precedentemente definito (cfr., ex plurimis, sempre in tema di misure cautelari reali, Cass., sez. 5 , 2.10.2014, n. 1241, rv. 261724; Cass., sez. 5 , 14.12.2011, n. 5959, rv. 252151).

Orbene, nel caso in esame, nell’ambito del medesimo procedimento penale, e’ gia’ intervenuta questa Corte di Cassazione, che, con la sentenza n. 14660, pronunciata dalla seconda sezione in data 12.3.2014, ha rigettato il ricorso proposto dalla (OMISSIS) avverso l’ordinanza con cui il tribunale del riesame di Bologna, decidendo in sede di rinvio, aveva confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari in precedenza indicato.

Si e’, dunque, formata quella preclusione endoprocessuale (ben nota, peraltro, allo stesso difensore del ricorrente: cfr. la nota n. 22, riportata alle pagine 8 e 9 del ricorso), che rende inammissibile, in assenza, come si e’ detto, di un mutamento del quadro processuale di riferimento, la riproposizione di questioni, fondate su motivi che hanno gia’ formato oggetto di valutazione.

Ne consegue che, con riferimento al provvedimento di sequestro adottato nei confronti della (OMISSIS), non possono essere rimessi in discussione alcuni punti fermi, rispetto ai quali non si e’ verificato nessun mutamento del quadro processuale di riferimento.

Essi sono sintetizzati nei seguente passaggi motivazionali della sentenza in questione:

“La confisca ex articolo 240 c.p., come misura di sicurezza patrimoniale, e’ applicabile anche nei confronti di soggetti (quali le societa’) sforniti di capacita’ penale. Di conseguenza, ove il prezzo del reato di “market abuse” commesso dai legali rappresentanti di una Banca, sia stato da questa utilizzato per propri fini, legittimamente e’ disposta la confisca di una somma di denaro equivalente al prezzo del reato e di cui la Banca abbia la disponibilita’”.

Ad identiche conclusioni la Suprema Corte giungeva con riferimento alla dedotta violazione dell’articolo 187 t.u.f., affermandone l’infondatezza.

Secondo il Supremo Collegio, “infatti, premesso che il sequestro e’ stato disposto anche sotto il profilo del profitto conseguito dalla Banca ricorrente dai reati di “market abuse” commessi dai propri funzionari, va osservato che:

a) per quanto ampiamente argomentato dalle SSUU Gubert, che aveva ad oggetto proprio la confisca di somme di denaro derivante da profitto, nel caso di specie, e’ fuorviante parlare di sequestro per equivalente perche’ il sequestro e’ stato eseguito su una somma di denaro e non su beni equivalenti;

b) di conseguenza, il sequestro va considerato diretto ed e’ stato legittimamente eseguito su beni della societa’ (ossia della (OMISSIS) spa) essendo il profitto rimasto nella sua disponibilita’, secondo l’incensurabile motivazione del tribunale; e) in ogni caso, e’ possibile la confisca per equivalente del profitto anche nei confronti della persona giuridica, Decreto Legislativo n. 231 del 2001, ex articolo 6, comma 5 (SSUU Gubert), per reati che, come nella specie, facciano parte del catalogo di cui all’articolo 25 ter, Decreto Legislativo cit.”.

4.1. Nessuna preclusione, invece, si configura in ordine all’ulteriore, rilevante profilo della estensibilita’ del sequestro a (OMISSIS).

Sul punto, a dire il vero, la richiamata sentenza n. 14660, del 12.3.2014, si e’ soffermata, ma senza farne oggetto di approfondita disamina, in quanto la questione prospettata dalla ricorrente (OMISSIS), che aveva eccepito l’omessa considerazione, da parte del tribunale del riesame, che il sequestro era stato effettuato non su beni ad essa riconducibili, ma su quelli della (OMISSIS), societa’ incorporante, terza estranea ai fatti commessi dai legali rappresentanti della (OMISSIS), era stata rigettata dal giudice di legittimita’, innanzitutto per una ragione di ordine meramente processuale, non essendo la (OMISSIS), unico soggetto che risultava costituito, legittimata a dedurre la suddetta eccezione; inoltre perche’, “in ogni caso, (OMISSIS), in quanto societa’ incorporante, risponde dei fatti della societa’ incorporata ex articolo 2504 bis c.c.”.

Tale ultima affermazione, anche in ragione del ritenuto difetto di legittimazione processuale della (OMISSIS) a dedurre la relativa eccezione, assume, di fatto, la natura di un obiter dictum, in quanto la questione della natura o meno di terzo estraneo al reato di (OMISSIS) e delle condizioni alle quali il sequestro finalizzato alla confisca disposto nei confronti della (OMISSIS) possa eventualmente estendersi anche a carico del diverso istituto di credito, e’ rimasta sostanzialmente estranea al thema decidendum, su cui si e’ formato il giudicato cautelare, incentrato, piuttosto, sulla legittimita’ dell’adozione nei confronti della (OMISSIS), del decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, sicche’ tale questione non puo’ ritenersi preclusa nei confronti di (OMISSIS). Quest’ultima, pertanto, mentre non e’ legittimata a riproporre questioni in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca nei confronti della (OMISSIS), che hanno gia’ trovato la loro definitiva soluzione con il formarsi del giudicato, e’ certamente legittimata ad interloquire sul profilo riguardante l’estensione del vincolo reale nei suoi confronti, rispetto al quale non ha potuto far valere le proprie ragioni, perche’ estranea alla procedura cautelare definita con la piu’ volte citata sentenza della Suprema Corte.

4.2. Cosi’ definito il perimetro della decisione da assumere, si osserva che la soluzione offerta dal tribunale del riesame bolognese, che, in realta’, si limita a riaffermare il principio secondo cui (OMISSIS), in quanto societa’ incorporante, risponde dei fatti della societa’ incorporata ex articolo 2504 bis c.c., perche’ in tal modo ne ha acquisito i beni al proprio patrimonio e ne ha assunto “i diritti e gli obblighi…procedendo in tutti i suoi rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione”, risulta dotata di un apparato motivazionale, piu’ apparente che reale. Con tale soluzione, infatti, il tribunale del riesame applica, in maniera meccanicistica, una disposizione civilistica agli effetti penali, omettendo di confrontarsi con i principi che, proprio in tema di confisca (e, quindi, di sequestro preventivo ad essa finalizzato) vanno applicati nei confronti del terzo estraneo al reato, titolare di diritti su beni soggetti a confisca, essendo tale la posizione rivendicata da ” (OMISSIS)”.

Al riguardo ritiene il Collegio di aderire ai principi di diritto affermati di recente dalla Sezioni Unite del Supremo Collegio (in continuita’ con quanto statuito dalle medesime Sezioni Unite nella sentenza n. 9 del 28/04/1999, B.), con riferimento al particolare istituto della confisca di beni prevista dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 19, trattandosi di principi che attengono in generale alla posizione del terzo estraneo al reato, titolare di diritti su beni soggetti a confisca.

Premesso che per terzo, i cui diritti vengono salvaguardati dal legislatore prevalendo anche sulla sanzione della confisca, deve intendersi la persona estranea al reato, ovvero la persona che non solo non abbia partecipato alla commissione del reato, ma che da esso non abbia ricavato vantaggi e utilita’, evidenziano le Sezioni Unite di questa Corte che soltanto colui che versi in tale situazione oggettiva e soggettiva puo’ vedere riconosciuta la intangibilita’ della sua posizione giuridica soggettiva e l’insensibilita’ di essa agli effetti del provvedimento di confisca.

Al requisito oggettivo integrato dalla non derivazione di un vantaggio dall’altrui attivita’ criminosa, deve aggiungersi la connotazione soggettiva della buona fede del terzo, intesa come “non conoscibilita’, con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta, del predetto rapporto di derivazione della propria posizione soggettiva dal reato commesso dal condannato”. Da quanto detto risulta che il concetto di buona fede per il diritto penale e’ diverso da quello di buona fede civilistica a norma dell’articolo 1147 c.c., dal momento che anche i profili di colposa inosservanza di doverose regole di cautela escludono che la posizione del soggetto acquirente o che vanti un titolo sui beni da confiscare o gia’ confiscati sia giuridicamente da tutelare. Quanto all’onere della prova della buona fede, evidenzia la recente sentenza delle Sezioni Unite, in questo modificando il precedente orientamento, che esso non puo’ essere posto sic et simpliciter a carico del terzo, in quanto spetta sempre al giudice che dispone il sequestro e che ordina la confisca accertare quale sia la titolarita’ dei beni e quali le modalita’ di acquisizione da parte dei terzi, non potendo apporre il vincolo su beni acquisiti dai terzi in buona fede.

Appare, invece, ragionevole, ad avviso delle Sezioni Unite, pretendere un onere di allegazione a carico del terzo che voglia far valere un diritto acquisito sul bene in ordine agli elementi che concorrono ad integrare le condizioni di appartenenza del bene e di estraneita’ al reato dalle quali dipende l’operativita’ della situazione impeditiva o limitativa del potere di confisca esercitato dallo Stato (cfr. Cass., sez. un., n. 11170, del 25.9.2014, rv. 263679).

Deve, pertanto, escludersi che la confisca (ed il sequestro preventivo ad essa finalizzato) disposta nei confronti della societa’ che ha partecipato alla fusione per incorporazione, si estenda automaticamente alla societa’ incorporante, solo sulla base della regola, fissata in sede civilistica dall’articolo 2504 bis c.c., secondo cui “la societa’ che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle societa’ partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione”.

Tale regola, infatti, (che, peraltro, trova corrispondenza nella previsione del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231, articolo 29, secondo cui “nel caso di fusione, anche per incorporazione, l’ente che ne risultata risponde dei reati dei quali erano responsabili gli enti partecipanti alla fusione”) va coordinata con i richiamati principi volti a tutelare la posizione del terzo di buona fede, estraneo al reato, perche’, se cosi’ non fosse, la societa’ incorporante o quella risultante dalla fusione si troverebbe esposta alle conseguenze di natura penale di reati commessi da altri, unicamente in base alla posizione formale di soggetto partecipante alla fusione. Occorre, pertanto, verificare, con riferimento alla fattispecie in esame, se, attraverso la fusione per incorporazione, ” (OMISSIS)” abbia o meno conseguito un vantaggio o un’altra apprezzabile utilita’, circostanza che non puo’ essere esclusa solo perche’, come rappresentato dal difensore del ricorrente istituto di credito, gia’ prima della fusione la (OMISSIS) non aveva la disponibilita’ dei profitti illeciti che avrebbe incamerato, per totale assenza di liquidita’.

Ed invero, essendo stato accertato che la stessa (OMISSIS) ha utilizzato i suddetti profitti per alleggerire la propria esposizione debitoria verso terzi, il vantaggio per ” (OMISSIS)”, che proprio in virtu’ della regola fissata nell’articolo 2504 bis c.c., e’ subentrata nei rapporti patrimoniali facenti capo alla societa’ incorporata, potrebbe essere astrattamente configurabile nell’avere incorporato una banca la cui esposizione debitoria si e’ ridotta grazie all’impiego di profitti illeciti.

Al tempo stesso deve accertarsi se, all’atto della fusione, ” (OMISSIS)”, in relazione alla circostanza innanzi indicata, si trovasse o meno in una condizione di buona fede, vale a dire se conosceva ovvero se era in condizione di conoscere, attraverso l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta, che la (OMISSIS) si era avvantaggiata in qualche modo del profitto derivante dai reati in materia di “market abuse” innanzi indicati, ad esempio, impiegandolo per estinguere una parte dei propri debiti pregressi. Si tratta, dunque, di operare una nuova valutazione di merito, incentrata sulle modalita’ di acquisizione di (OMISSIS) da parte di ” (OMISSIS)”, che fornisca adeguata risposta alle evidenziate questioni di diritto, pretermesse dal tribunale del riesame, gravando sul giudice che dispone il sequestro (e non sulla parte, alla quale, come si e’ detto, puo’ imporsi solo un onere di allegazione) l’onere di dimostrare l’assenza di buona fede del terzo.

5. Sulla base delle svolte considerazioni, risultando la motivazione del provvedimento oggetto di ricorso, con particolare riferimento alla sussistenza delle condizioni per l’estensione del sequestro preventivo al ricorrente istituto di credito, affetta da lacune tali da renderla meramente apparente, con conseguente integrazione del vizio di violazione di legge processuale (cfr. Cass. Sez. un., 13.2.2004, n. 5876, p.c. Ferazzi in proc. Bevilacqua, rv. 226710, nonche’, in senso conforme, Cass., sez. 4 , 30.11.2011, n. 4049, S. e altro), l’ordinanza impugnata va annullata, con rinvio per nuovo esame al tribunale di Bologna, che vi provvedera’ uniformandosi ai principi di diritto innanzi indicati.

P.Q.M.

annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al tribunale di Bologna.

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